OPTOGENETICA.
– Caratteristiche dell’optogenetica. Utilizzo dell’optogenetica. Bibliografia
Caratteristiche dell’optogenetica. – Introdotto nel 2006 da Karl Deisseroth, il termine optogenetica descrive un insieme di tecniche che nel loro complesso consentono di rendere una qualsiasi cellula nervosa responsiva agli stimoli luminosi. L’idea di base è quella di attivare/inibire con la luce un neurone che normalmente non è in grado di rispondere a tale stimolo. Quale riconoscimento del suo grande impatto scientifico l’o. è stata indicata dalla rivista «Nature methods» come metodo dell’anno 2010. Si tratta di un approccio che integra metodi ottici (opto-) e genetici (genetica) per controllare l’attività di cellule eccitabili e di circuiti neuronali. La stimolazione di un neurone determina normalmente la depolarizzazione della sua membrana plasmatica e la generazione di un potenziale d’azione che viaggia come segnale elettrico lungo il suo assone. L’o., utilizzando tecniche di manipolazione genetica, consente di introdurre in una popolazione selezionata di neuroni un transgene che codifica per un canale ionico fotosensibile.
Nel 2003 è stato clonato il gene per una rodopsina, la canalrodopsina-2 (ChR2, ChannelRhodopsin-2), responsabile della fototassi del microrganismo algale Chlamydomonas reinhardtii. Si tratta di un canale ionico con azione depolarizzante che si apre in risposta alla luce blu, permettendo il passaggio di cationi come il Na+. Un qualsiasi neurone in cui venga introdotto il transgene per ChR2 si attiverà ogni volta che verrà esposto alla luce blu. In altre parole, l’espressione in un neurone di una rodopsina come ChR2 consente di trasformare uno stimolo luminoso in un segnale elettrico. Successivamente è stato identificato un gran numero di altre rodopsine, clonate e usate per studi di optogenetica. Mentre ChR2 determina la depolarizzazione della membrana plasmatica neuronale, altre rodopsine, come l’alorodopsina (NpHR, HaloRhodopsin clonata dal batterio Natronomonas pharaonis) che codifica per un canale del Cl-, sono invece iperpolarizzanti con azione inibitoria.
Il sistema nervoso umano consiste di molti diversi tipi di neuroni interconnessi gli uni agli altri a formare un circuito funzionale. Gli studiosi di neuroscienze si occupano di decifrare questi complessi circuiti, ma il compito che hanno di fronte è molto difficile non solo a causa del grande numero ed eterogeneità dei neuroni, ma soprattutto in ragione dell’enorme numero delle loro connessioni sinaptiche. Nel nostro cervello i neuroni sono organizzati in reti tridimensionali e scambiano tra di loro segnali elettrici la cui durata si misura nell’ordine dei millisecondi. L’o. ha, quindi, rivoluzionato lo studio del sistema nervoso fornendo strumenti adeguati ad analizzare le funzioni dei neuroni all’interno del cervello senza modificare le loro interconnessioni.
Utilizzo dell’optogenetica. – Agli inizi del 21° sec., l’o. viene usata non solo per studiare le cause di alcune malattie neurologiche ma anche per sperimentare nuovi approcci terapeutici per il trattamento di tali patologie. Infatti, mediante questa tecnica è possibile ottenere, per es., protesi retiniche. In alcune patologie della retina quali la retinite pigmentosa o la maculopatia degenerativa senile la cecità è legata alla perdita progressiva dei fotorecettori, ossia delle cellule che trasformano lo stimolo luminoso in segnale elettrico. Nei pazienti affetti da queste forme di cecità le altre cellule nervose della retina, comprese quelle bipolari e quelle gangliari, sono intatte ed è in gran parte mantenuta la funzionalità del nervo ottico. Se fosse possibile rendere sensibili alla luce i neuroni retinici rimanenti, i pazienti affetti da queste patologie potrebbero riacquistare la capacità di percepire gli stimoli luminosi. Al momento l’o. è stata usata con successo in modelli animali di retinite pigmentosa in cui il gene per ChR2 è stato introdotto nelle cellule gangliari della retina ripristinando la sensibilità alla luce blu (Bi, Cui, Ma et al. 2006). Le potenzialità terapeutiche dell’o. non sembrano comunque limitate alle lesioni retiniche. Infatti, un gran numero di dati sperimentali raccolti negli ultimi anni indica come questa tecnica si possa applicare con successo al trattamento delle lesioni del midollo spinale (Hägglund, Borgius, Dougherty et al. 2010) o di alcune malattie neurodegenerative come quella di Parkinson (Kravitz, Freeze, Parker et al. 2010). I risultati ottenuti fino al 2015, anche se limitati a modelli animali, sono comunque molto promettenti. L’eventualità che queste stesse tecniche siano in un prossimo futuro applicabili all’uomo dipenderà soprattutto dalla possibilità di introdurre in sicurezza e con successo transgeni nelle cellule somatiche umane (come quelle di specifiche popolazioni neuronali) e dallo sviluppo di fonti luminose che possano essere impiantate senza danno.
Bibliografia: A. Bi, J. Cui, Y.P. Ma et al., Ectopic expression of a microbial-type rhodopsin restores visual responses in mice with photoreceptor degeneration, «Neuron», 2006, 50, 1, pp. 23-33; M. Hägglund, L. Borgius, K.J. Dougherty et al., Activation of groups of excitatory neurons in the mammalian spinal cord or hind brain evokes locomotion, «Nature. Neuroscience», 2010, 13, 2, pp. 246-52; A.V. Kravitz, B.S. Freeze, P.R.L. Parker et al., Regulation of parkinsonian motor behaviours by optogenetic control of basal ganglia circuitry, «Nature», 2010, 466, 7306, pp. 622-26.