Vedi SECTILE, Opus dell'anno: 1966 - 1997
SECTILE, Opus
Si disse in antico opus sectile marmoreum quella specie di mosaico che risultò non già dall'impiego di piccole o piccolissime tessere (o abaculi) di pietra o di pasta vitrea, ma dall'impiegò di lastre di marmo (o crustae), di spessore vario, di dimensioni relativamente grandi in lunghezza e larghezza, e tagliate talora in forme geometriche (triangoli, quadrati, esagoni, ecc.), talora secondo linee atte a rendere ogni genere di figurazioni animate (v. anche incrostazione).
L'arte di resecare il marmo in lastre per pavimenti o per pareti, è nata in Oriente. "Io non so - dice Plinio (Nat. hist., xxxvi, 47) - se sia sorto in Caria l'uso di tagliare il marmo in crustae". E soggiunge che, per quel che egli può rilevare dalle più antiche notizie a sua conoscenza, il palazzo di Mausolo di Alicarnasso fu nobilitato col marmo di Proconneso; in Roma poi il primo a rivestire con lastre di marmo le pareti di tutta la sua casa sul monte Celio sarebbe stato Mamurra, nato in Formia, prefetto dei genieri di Gaio Cesare nelle Gallie. Per quel che particolarmente riguarda il Mausoleo di Alicarnasso dobbiamo segnalare che quando i Cavalieri Gerosolimitani ripararono nel 1522, con i materiali del Mausoleo, il Castello di S. Pietro o Budrùm (presso Alicarnasso), essi entrarono, come è detto nelle pur vaghe loro relazioni, in "una vasta camera quadra riccamente adorna di lastre e strisce di marmi di varî colori" (Norman Price); ma dobbiamo ritenere che l'uso della decorazione con lastre marmoree abbia origini assai più remote, in un Oriente così ricco di fasto, quale ci è rivelato dalle civiltà mesopotamiche e persiana. Comechessia, la consuetudine dell'opus s. marmoreo si diffuse ben presto dall'Oriente nel mondo greco, sin dalla prima età ellenistica, e tracce di tale opus s. si sono riscontrate tra le rovine del palazzo reale dei Tolomei in Alessandria d'Egitto.
1. - L'opus sectile non figurato. - La forma più semplice di decorazione mediante crustae marmoree è quella che si ottiene giustapponendo l'una all'altra le lastre di marmo in varî colori e in varî disegni. Dell'uso di rivestire le pareti, nelle ricche dimore, con lastre di marmi colorati, si ha un vivido riflesso, nel mondo romano, nella partizione orizzontale della parete di stucco - sia nelle facciate delle case, sia nei vani interni - in rettangoli a rilievo variamente colorati: i quali vogliono appunto imitare il rivestimento con lastre di marmo. È, questa, la decorazione parietale pompeiana detta dello stile "ad incrostazioni", o primo stile: la quale decorazione, oltre alla imitazione naturale dei marmi, finisce per giovarsi, ai fini di una ricerca arbitraria di effetto, di colori innaturali, quali il giallo, il rosso e il nero a campi uniti.
Saggio classico dello stile a incrostazione in Pompei è la Casa di Sallustio; ma talora, invece dei campi rettangolari di stucco colorato, si hanno veri e proprî rivestimenti di marmo, come nella grande sala della Casa del Rilievo di Telefo in Ercolano.
Più ricco e vario, in territorio italico, l'uso di intarsi di marmi colorati nei pavimenti. Già per la metà del II sec. a. C., Plinio ricorda (Nat. hist., xxxvi, 185) che un pavimentum scutulatum (e cioè un pavimento formato con lastrine policrome di marmo tagliate a rombi - scutulae sectiles - e disposte, agli effetti del colore, così da dar l'illusione di cubi visti in prospettiva) ebbe per la prima volta in Roma il tempio di Giove Capitolino dopo la terza guerra punica (e cioè poco dopo il 149 a. C.).
Un pavimentum scutulatum ebbe anche in Pompei il tempio di Apollo, d'età sannitica, del qual tempio sono anche da ricordare i fini stucchi in rilievo che imitano il rivestimento con lastre di marmo.
Naturalmente con la fine della Repubblica e con l'inizio dell'Impero diviene ogni giorno più frequente l'uso dei pavimenti in opus s., anche nelle case di persone lontane dalla eccezionale raffinatezza lussuosa di Giulio Cesare, del quale si narrava (Svet., Divus Iulius, 46) in expeditionibus tessellata et sectilia pavimenta circumtulisse.
I pavimenti più semplici in opus s. sono quelli a carattere geometrico e a elementi marmorei relativamente non piccoli, tagliati a triangoli, quadrati, rombi, ecc. A solo titolo di esempio, e per limitarci ai casi di maggiore notorietà, ricorderemo: il pavimento del ponte della prima nave di Nemi, dell'età di Caligola (37-41 d. C.) (G. Ucelli, figg. 258-259); il "centro" a losanghe di tre colori nel triclinio estivo della Casa di Fabia e Tyranno musici (già detta Casa della Regina Elena) in Pompei (v. Spinazzola, Pompei alla luce degli Scavi Nuovi di Via dell'Abbondanza, 1953, fig. 297 a p. 270); il pavimento di una sala rotonda di Ercolano (pavimento da lungo tempo messo in opera in un vano della Pinacoteca Nazionale nell'edificio del Museo Nazionale di Napoli) risultante di una serie di circoli concentrici a piccoli elementi triangolari che divengono leggermente maggiori via via che si allontanano dalla stella a 24 raggi partenti da un disco centrale) che forma il centro della composizione marmorea; infine due pavimenti della Villa Adriana presso Tivoli: uno a commesso di quadrati, losanghe e triangoli nel quadriportico della "Piazza d'oro", uno nelle "Terme piccole", risultante di stelle a 16 raggi partenti da un disco centrale e inscritte in quadrati di cui le vele d'angolo sono occupate da quadratelli (S. Aurigemma, Villa Adriana, Roma 1961, fig. 59).
Pavimenti in opus s., a disegni ugualmente geometrici ma a elementi che, risultando in parte di più piccole dimensioni, conferiscono ai pannelli un effetto più vivace, sono - per fare un unico esempio - taluni di quelli che si alternano ai quadretti con pesci nella parte centrale nel mosaico con scene di anfiteatro, di Zliten (S. Aurigemma, I mosaici di Zliten, 1926, tav. D a p. 137). Attorno a una mattonella centrale a venature verdine si appunta da ogni lato una fila di "denti di lupo", di porfido; e le vele d'angolo recano maggiori lamelle triangolari appuntite, di porfido o di serpentino, in campi di giallo antico.
Ma, come è ovvio, la fantasia di artisti, ottiene, anche nel campo delle opere settili senza figure, effetti stupendi con più nobili disegni che si giovano talora di motivi vegetali. Fra gli esempî più significativi vanno ricordati i seguenti: due pannelli provenienti dalla Domus Tiberiana sul Palatino (riferibili al periodo 14-37 d. C.) oggi conservati nell'Antiquarium del Palatino. Uno di essi, entro una fascia di bordo, di cui il motivo principale è una successione di piastrelle romboidi disposte su ciascun lato a spina di pesce, reca un ornato di stelle a quattro punte limitate lungo i bordi da segmenti di cerchio, e divise e unite tra loro, nel resto del campo, da lamelle a mandorla in marmo serpentino.
Da un'edicola costruita sulla prima nave di Nemi (dell'età di Caligola, e cioè del periodo 37-41 d. C.) si è recuperato un frammento di uno dei quattro pannelli in opus s. di cui risultava formato il pavimento dell'edicola. Al centro del pannello è un disco di porfido entro due stretti anelli concentrici, esternamente ai quali corrono quattro nastri tricolori, inflessi e tangenti a detti anelli. Quattro mezzi dischi di serpentino, lunati come le pelte, son volti con la loro convessità verso i nastri tricolori, di cui le punte estreme sono chiuse, insieme con le punte dei prossimi nastri in una mezza ogiva di porfido. Tra le mezze ogive angolari e il disco centrale è un ornato a zig-zag, di marmo serpentino. La tecnica dell'opus s. si alterna, nel pannello, col tessellato; e gli elementi del pannello risultano di marmi e di paste vitree (nastri tricolori, lamelle e motivi vegetali rossi) (G. Ucelli, Le Navi di Nemi, 1950, fig. 247, 251).
Della Domus Aurea di Nerone faceva parte una grande aula porticata, di cui gli avanzi sono stati messi in luce sotto il ninfeo S-O della Domus Flavia palatina. Il pavimento dell'aula, più basso di circa un metro rispetto a quello del ninfeo ellittico occidentale del tnclinio; reca un bel disegno geometrico-fioreale in marmi rari, con dischi, quadrati e fasce sinuose ed elementi vegetali stilizzati.
Anche il triclinio domizianeo del palazzo dei Flavi è in opus s., peraltro meno prezioso. Gli elementi sono i consueti: dischi, segmenti di cerchio, quadrati, triangoli, losanghe, mezze ogive, ecc.
Tra i più preziosi saggi di opus s. a disegno geometrico fioreale va ricordato il centro di un triclinio della Casa dell'Efebo in Pompei, in cui appaiono stelle entro esagoni, lamelle a mandorla entro losanghe, e bellissimi ornati a foglie stilizzate partenti da una mezza corolla di fiore. Un intarsio marmoreo policromo di straordinario effetto, adorna, nel Foro Romano, il pavimento della Curia Iulia, totalmente rifabbricato da Diocleziano dopo l'incendio del 283 d. C. Il disegno dell'aula del Senato risulta, nel senso dell'asse maggiore, di cinque fasce (tre maggiori e due minori alternate), di cui ognuna consta di campi quadrati e rettangolari alternati. Nei campi quadrati il centro è occupato da un disco di porfido o di serpentino, e agli angoli sono quattro mezze ogive, le quali si legano con cespi di acanto stilizzati, figurati in corrispondenza della metà di ciascun lato. Nei campi rettangolari è una piastrella quadrata centrale disposta di punta, chiusa da un ornato cui si legano, nel senso dei lati lunghi, due coppie di massicce cornucopie stilizzate. In minori quadrati sono inscritte piastrelle a lati inflessi e punte gigliate. Porfido, serpentino, marmo frigio e marmo numidico sono i marmi che trovano impiego nel pavimento.
Per ultimo ricordiamo un pavimento in opus s. in una sala di rappresentanza (una basilica, secondo il parere di G. V. Gentili), nella Villa di Piazza Armerina, che è da attribuire alla fine del IV, o ai primi decennî del V sec. d. C.
2. - L'opus sectile in composizione figurata. - Questo genere di intarsi figurati fiorì soprattutto durante i principati di Claudio e di Nerone (41-54 e 54-68 d. C.) come è segnalato da un passo di Plinio (Nat. hist., xxxv, 2): Nunc vero (pictura) in totum a marmoribus pulsa, iam quidem et auro; nec tantum ut parietes toti operiantu, verum et interraso marm ore vermiculatisque ad effigies rerum et animalium crustis. 3) ..... Hoc Claudii principatu inventum Neronis vero maculas quae non essent in crustis inserendo unitatem variare...
È ovvio che in queste composizioni figurate rese con la tecnica della tarsia, i particolari del rendimento anatomico e i particolari del rendimento delle vesti e di ogni attributo non possono essere espressi se non con incisioni che non sono peraltro in grado di rendere né la morbidezza o le pieghe delle stoffe, né i chiaroscuri delle membra, sicché il modellato e il colorito sono assai semplificati.
Si ricorse nell'età di Nerone all'espediente di modificare il colore dei marmi con delle macchie, sicché - dice Plinio (Nat. hist., xxxv, 3) - "il marmo di Numidia presenta variazioni di colore a mo' di uovo, e il marmo di Synnade viene venato di porpora".
Se queste macchie di colore si producessero a fuoco - come si pratica anche oggidì - è da accertare.
Comunque, nella generalità dei casi, è naturale che la sommarietà di rendimento, tanto dei particolari anatomici, come del colorito, faccia sì che le figure di questo genere di tarsie tendano sempre a forme decorative.
L'estrema rarità delle composizioni figurate in opus s., rende opportuno un elenco dei quadretti e delle singole figure. Numerose testine umane e parti di figurine umane e di animali sono state raccolte ai piedi di talune pareti della Domus Transitoria di Nerone sul Palatino, durante i saggi che Giacomo Boni condusse nel 1913 nell'area sottostante al triclinio o coenatio Iovis del palazzo dei Flavi. Gli ambienti e il cortile che furono messi in luce in quella occasione apparivano decorati con sfarzo inconsueto anche alle più ricche dimore; gli ambienti, al riparo dal sole e allietati e rinfrescati da fontane, dovevano - si pensa - servire al soggiorno estivo della famiglia imperiale, e furono abbandonati in seguito ad un incendio che si presume sia stato quello del 64 d. C. Gli ambienti furono tagliati dalle grandi fondazioni dei vani della Domus Aurea neroniana. Taluni dei frammenti degli intarsi figurati (che dovranno essere sottoposti a diligente restauro) sono esposti a titolo di saggio, in una vetrina dell'Antiquarium del Palatino. Due pannelli in opus s. con figure si rinvennero in Pompei nel 1845 nella Casa dei Capitelli Figurati lungo la via della Fortuna. Eran caduti dal piano superiore della casa, e sono oggi esposti al Museo Nazionale di Napoli. Sottilissime crustae marmoree sono immesse entro un fondo di lavagna (lapis ligusticus) il quale permette col suo colore scuro una eccellente messa in valore delle figurazioni, a toni essenzialmente chiari. Il primo intarsio reca, contrapposti, un satiro barbato e una menade, moventisi a passo di danza; il satiro si appoggia con la destra ad un tirso; la menade, in lungo chitone, ha nella sinistra un cembalo, nella destra una fiaccola, ed ha il capo arrovesciato all'indietro, presa com'è da ebbrezza mistica. Tra il satiro e la menade è un'edicola; il terreno è indicato - come nella tecnica delle figurazioni dei vasi greci - da una linea ondulata. Il secondo pannello reca una figurazione poco dissimile: anche qui un satiro e una menade, contrapposti e danzanti; tra i due sono un'erma priapica e, su una base, una figura in lungo chitone; una pantera avanza guardando il satiro che essa accompagna. I marmi di cui l'artista si giova sono il giallo di più gradazioni (marmor numidicum), il verde (m. pisanum), il fior di pesco (m. molossium) e il palombino (m. coraliticum).
Sempre da Pompei proviene un terzo intarsio nel Museo Nazionale di Napoli, che reca una figuretta di Afrodite o di ninfa in atto di allacciarsi un sandalo; il disegno è meno accurato.
Dal territorio di Marino nei dintorni di Roma si recuperò, or sono alcuni decennî, in un fondo di proprietà dei principi Colonna, un piccolo intarsio che, su una tavola di rosso antico, recava la scena della lupa allattante i Gemelli. Con la lupa eran figurati il pastore Faustolo, la dea Roma seduta su un cumulo di armi sull'alto di una roccia, il fico ruminale, due uccelli, e un'ara quadrata. Gli elementi della figurazione si possono stabilire dalle tracce superstiti nella tavola marmorea di supporto: ma oggi non ci sono pervenuti se non il corpo della lupa (reso in modo del tutto insolito, in color bianco), uno dei Gemelli e la punta ricurva del pedum di Faustolo. Il piccolo intarsio, giudicato dal Tomassetti (che lo pubblicò nel 1886) della fine del II sec. d. C., è stato ora riconosciuto come un'opera della metà del IV sec. d. C. (Cagiano).
Nel Museo Nazionale Romano è un intarsio con figure in pasta vitrea, a elementi commessi con la stessa tecnica degli intarsi di marmo. Il frammento, superbo per eleganza di disegno e per vivacità di colori, rappresenta un grifo alato, la cui coda termina con un vistoso e finissimo girale vegetale. Il pannello proviene forse dal Museo Kircheriano.
Nello stesso Museo Nazionale Romano, è un secondo pannello in opus s. con un ornato vegetale in pasta vitrea; una fascia di marmo pario corre orizzontalmente nell'alto.
Nell'agosto del 1954, nel mitreo di S. Prisca in Roma, e precisamente nel vano a sinistra rispetto all'aula principale del mitreo, è stata messa in luce, durante lavori di esplorazione dal Vermaseren e dal Van Essen una testa del Sole in grandezza al vero (diametro massimo m 0,295 × 0,257; dal mento alla scriminatura dei capelli, m 0,17). Sono particolarmente notevoli nel volto (che è reso in marmo giallo antico) gradazioni di colore e ombreggiature ottenute a fuoco.
Il gruppo più notevole di intarsi marmorei figurati a noi pervenuti dall'antichità è quello dei quattro pannelli superstiti della basilica civile di Giunio Basso (v.), sull'Esquilino. Gli intarsi marmorei furono giudicati "cosa meravigliosa"; già da Giuliano da Sangallo, che li disegnò tra il 1485 e il 1494.
Dei quattro pannelli, due (larghezza in fronte m 1,82, altezza m 1,24) sono oggi nel Palazzo dei Conservatori, affissi alle pareti del ripiano antistante all'ingresso della Pinacoteca, e raffigurano una tigre che azzanna un torello vol. iv, fig. 163), in schemi contrapposti; gli altri due passarono da tempo nel palazzo che, già appartenuto ai cardinali Massimi, poi Nerbio, poi Albani, è ora di proprietà del marchese Del Drago alle Quattro Fontane e raffigurano il console nella quadriga e Ila e le Ninfe (tavv. a colori vol. iii p. 928, vol. iv p. 102).
La basilica di Giunio Basso era adorna di molti altri pannelli (nei soli due lati lunghi dovevano essercene sedici); ma essi sono andati purtroppo perduti. Di un centauro alato ci è conservato il disegno: in altri pannelli sarebbero stati figurati un leone che sbrana un cervo e un leopardo che abbatte un bue. Parecchi pannelli sarebbero andati distrutti non tanto per le vicende molteplici cui ogni edificio è soggetto nel corso dei secoli, quanto per la circostanza che essendo la chiesa di "Sant'Andrea Katabarbara Patricia" (e cioè l'antica basilica di Giunio Basso, divenuta chiesa cristiana sotto il pontificato di papa Simplicio, 468-483) contigua all'ospedale di S. Antonio in cui prestavano l'opera loro i monaci antoniani francesi, avvenne che presso detti monaci prese consistenza l'opinione - creatasi non si sa come - che giovasse contro le febbri il glutine che serve di legamento alle lastrine marmoree dei pannelli in opera settile. Furono così intenzionalmente distrutte non poche delle "marmoree meravigliose intarsiature" (G. B. De Rossi, 1871, da Grimaldi, 1622).
Di recente si è scavata a Ostia un'aula di un edificio del IV sec. d. C. fuori Porta Marina, che era tutta rivestita sulle pareti di un ricco opus s. geometrico e figurato. Il restauro ha permesso di ricomporre tutta questa sontuosa decorazione parietale che presenta sui due lati una successione di specchiature rettangolari riquadrate da fasce con rosette, sopra un fregio di pelte e rombi, sormontato da un fregio a girali di acanto su fondo di serpentino, e nella parte più alta pannelli con leoni e tigri che abbrancano cerbiatti. Nel fregio a pelte e rombi entro un rettangolo compare un busto di Cristo barbato e nimbato. Nell'aula aperta con due colonne sul piazzale di Porta Marina, è una esedra rettangolare, nella parete di fondo, inquadrata da lesene floreali a girali di acanto; le pareti dell'esedra erano decorate a scacchiera bianca, rossa, verde e gialla, e la parte sovrastante imitava in marmo giallo antico la muratura laterizia con specchiature di reticolato degli stessi colori della scacchiera e con finestre chiuse. Il soffitto dell'esedra era coperto in piano e rivestito di mosaico di paste vitree blu scure con sottili girali dorati: nella sala si sono recuperati circa 40 pannelli, forse pavimentali, con cerchi, pelte e stelle di triangoli. La decorazione non fu mai terminata nelle parti inferiori delle pareti e non fu mai messo in opera il pavimento. I marmi usati sono di varî tipi di bianco venato, giallo antico, serpentino, porfido, palombino, granito e paste vitree.
Dati archeologici e stilistici e i confronti stretti che tutta la decorazione e specialmente i pannelli dei leoni trovano con quelli della basilica di Giunio Basso, fanno datare questa aula ostiense verso la fine del IV sec. d. C. Tutto l'opus s. sarà ricostruito in una sala delle dimensioni di quella originaria nei Museo Ostiense.
3. - L'opus sectile sulla fine dell'Evo Antico. - Essendo i marmi materia pregiata e costosa, la decorazione ad incrostazione marmorea delle pareti, e l'ornato a commesso di marmi colorati nelle pareti e nei pavimenti andarono via via rarefacendosi nel corso del tardo Impero e nei primi secoli del Medioevo. Ai marmi - sulle pareti - si sostituirono imitazioni in pittura.
Ma in edifici di particolare nobiltà la tradizione di questa decorazione lussuosa continuò col suo particolare incanto. Molte chiese del IV e V sec. ebbero pareti rivestite di decorazioni geometriche in opus s., come i SS. Cosma e Damiano, l'Oratorio di S. Croce, il Battistero Lateranense che conserva alcune parti delle specchiature, S. Sabina, dove rimangono decorazioni sulle pareti alte della navata centrale. Per fare un esempio riferibile al sec. VI, tale decorazione continuò nel S. Vitale di Ravenna. L'incrostazione marmorea si giovò là largamente delle venature dei marmi, ottenendo, con la giustapposizione delle lastre marmoree, disegni simmetrici di alto e nobile effetto. Tal genere di incrostazione (che fu usata soprattutto per rivestimento di pilastri, di pareti e di talune zone di fregio nelle trabeazioni) ebbe in S. Sofia di Costantinopoli il suo monumento più insigne.
Quanto agli intarsi marmorei, divengono estremamente rari quelli figurati. Qualcuno ne avanza nella basilica ambrosiana di Milano, dove è superstite una figura di agnello. Altri intarsi son ricordati con soggetti allegorici, della distrutta basilica ursiana di Ravenna.
Ben più numerosi e di effetto coloristico, talora particolarmente felice, sono gli intarsi di marmi colorati: sia quelli su pareti, sia quelli sui pavimenti. Quali saggi di opus s. su pareti, a disegni talora assai elaborati svolgentisi in campi di cui il centro è occupato da un gran disco, o da rettangoli di porfido o di serpentino, si possono ricordare le tarsie del battistero degli Ortodossi in Ravenna, eseguiti, insieme con i mosaici figurati, al tempo del vescovo Neone (449?-459 d. C.); le tarsie di San Vitale di Ravenna, cominciate dal vescovo Ecclesio (521-534 d. C.) ed ultimate nel 547 essendo vescovo Massimiano, infine le tarsie del duomo di Parenzo, che sono anch'esse da attribuire al sec. VI.
Per quel che si riferisce all'opera settile dei pavimenti, ci richiamiamo a taluni commessi di marmi colorati dello stesso S. Vitale di Ravenna.
Con l'inoltrarsi del Medioevo tanto i rivestimenti con lastre di marmo quanto gl'intarsi colorati scompaiono quasi, per assurgere a nuova vita con l'architettura romanica nel sec. XI e seguenti.
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(† S. Aurigemma*)