Vedi SECTILE, Opus dell'anno: 1966 - 1997
SECΤILE, Opus (v. vol. VII, p. 145)
Opus (v. vol. VII, p. 145). La definizione opus s. è usata nella moderna letteratura archeologica per indicare il rivestimento di muri o di pavimenti con elementi di marmo o di altro materiale, tagliati in forme che costituiscono le diverse parti di un disegno, giustapposte a formare una superficie continua liscia. La stessa espressione va considerata verosimilmente come un'invenzione moderna, anche se sectilia pavimenta sono menzionati in Vitruvio (VII, 1, 3) e in Svetonio (Iul., 46). Crusta e i suoi derivati (crustatus, incrustatio, ecc.) sono usati frequentemente per indicare le lastre di marmo applicate sia ai pavimenti sia alle pareti. Il termine greco più frequente è σκούτλωσις, che si riferisce genericamente ai rivestimenti marmorei parietali di qualsiasi tipo, ma che non sembra usato per i pavimenti.
Anche se la decorazione di pareti e pavimenti in questa tecnica è simile, è opportuno tenere distinti e affrontare separatamente i due aspetti.
Pavimenti. - Pavimenti lastricati decorati con semplici motivi di losanghe compaiono nell'architettura greca almeno a partire dal IV sec. a.C., p.es. nella thòlos di Epidauro e nel Cortile dell'Altare a Samotracia. Diverso è l'uso occasionale di elementi di opus s. nel periodo di formazione dei mosaici ellenistici a tessere, p.es. a Morgantina (mosaico di Ganimede) o ad Alessandria (mosaico degli Eroti). Qui alcune parti del motivo decorativo, geometriche o figurate, sono ottenute da un unico elemento tagliato in una determinata forma, mentre il resto della composizione è ottenuto con tessere più o meno regolari. Pavimenti in opus s. di calcare, in genere di piccole estensioni e comprendenti semplici motivi di triangoli, losanghe o quadrati, compaiono in Italia prima della fine del II sec. a.C., p.es. a Pompei (Tempio di Apollo, Casa del Fauno), per svilupparsi definitivamente nel corso del secolo successivo.
Inizialmente i primi pavimenti in opus s. in Italia sono in calcare o in altre pietre diverse dal marmo (ardesia, selce, palombino): questo comincia a essere usato nel corso del I sec. a.C., dapprima abbinato, a volte, ad altri materiali, per poi soppiantarli quasi del tutto. Pochi sono gli studi dedicati al problema della comparsa dei diversi tipi di marmo nell'uso corrente: F. Guidobaldi (1985, p. 124) ritiene che il pavonazzetto, il giallo antico, l'africano, il cipollino e probabilmente il portasanta possano essere stati usati a Roma a partire dalla metà del I sec. a.C., mentre solo nei periodi tardo-augusteo o giulio-claudio compaiono il porfido rosso e quello verde. Questi ultimi, assieme al giallo antico e al pavonazzetto, divengono poi i marmi preferiti per le costruzioni pubbliche e private di maggior lusso; assai ampia tuttavia si mantiene la gamma dei marmi per tutto il periodo imperiale maturo e tardo.
È chiaro che tale tecnica veniva apprezzata sia per il valore intrinseco dei materiali sia per i contrasti cromatici che si potevano ottenere; talvolta sono usati materiali più esotici, quali l'alabastro in un pavimento degli Horti Lamiani a Roma, mentre il vetro colorato compare nell'emblema della Casa dell'Efebo a Pompei e sulle navi di Nemi. Nel tardo impero assistiamo a un'estesa riutilizzazione di spolia, che spesso comprendono elementi in origine destinati a funzioni di altro tipo.
Gli elementi della composizione potevano essere posati direttamente sulla malta e spesso le impronte qui lasciate sono l'unica testimonianza di pavimenti per il resto asportati. Sappiamo così che la sala di ricevimento della Casa di Augusto sul Palatino e la grande sala del Palazzo d'Inverno di Erode a Gerico avevano bei pavimenti in opus s., presumibilmente di marmo, di cui restano le impronte. A partire dal I sec. d.C. gli elementi erano in genere posati su un fondo costituito nella maggior parte dei casi da frammenti di pareti di anfora, e raramente da pezzi di marmo o altre pietre, reso stabile dal sottostante letto di malta. Anche in questo caso, dopo l'asportazione dei marmi, sono i fondi che restano: i motivi che decoravano i pavimenti della Villa di Domiziano a Sabaudia sono stati identificati in prevalenza sulla base delle impronte degli elementi marmorei.
È stato dimostrato (Guidobaldi, 1985, in part. pp. 182-185) che l'opus s. era spesso prefabbricato e che i motivi più comuni, quali i quadrati entro riquadri, erano destinati a una produzione in serie che prevedeva formelle già pronte. Tali motivi erano eseguiti al rovescio, e i materiali che ne costituivano il fondo erano poi applicati sul retro con la malta, per facilitare il trasporto; una tecnica preparatoria simile è attestata per i pannelli di vetro di opus s. da Kenchreai, destinati al rivestimento parietale (v. infra).
È stata effettuata (Guidobaldi, 1985) una classificazione dei pavimenti in opus s. basata sul «modulo», ossia sulla ripetizione di un'unità di base sull'intero campo pavimentale. Si distinguono tre gruppi: con modulo grande (più di 4 piedi romani per lato); medio (in genere da 1 a 3 piedi romani: è di gran lunga il gruppo più numeroso) o piccolo. Ciascuno di questi è a sua volta soggetto a ulteriori suddivisioni, in relazione alla forma del modulo, alla semplicità o complessità dei motivi di campitura e al sistema di ripetizione o combinazione di moduli diversi. Solo un numero relativamente esiguo di pavimenti non rientra in tale classificazione: si tratta di un gruppo caratterizzato da uno «schema unitario» che si può estendere su tutto il pavimento o può essere limitato al pannello centrale.
L'applicazione di tale tipologia riguarda un ambito cronologico ristretto, ma sembra chiaro che nelle pavimentazioni più antiche in Italia (di età tardo-repubblicana o dell'inizio dell'età augustea) si utilizzassero le forme geometriche di base, isolate o in combinazioni semplici, con modulo piccolo o medio. A partire dall'età augustea gli elementi decorativi si arricchiscono fino a raggiungere l'apice nei motivi fitomorfi e curvilinei dei periodi neroniano e flavio. Anche i pavimenti con modulo grande, realizzati grazie alla disponibilità di lastre di marmo di maggiori dimensioni, compaiono verso la fine dell'epoca augustea, mentre quelli in tecnica composita e quelli a piccolo modulo scompaiono quasi del tutto nel corso del I sec. d.C. Motivazioni di carattere economico determinarono verosimilmente la scelta dei diversi tipi durante i due secoli successivi: l'uso di grandi lastre di materiale e di composizioni complesse era riservato ai clienti più ricchi, mentre la maggioranza dei pavimenti era costituita da varianti dei motivi geometrici di base a modulo medio. Nel IV sec. d.C. assistiamo a un rinnovato interesse per i pannelli con motivi elaborati (che spesso comprendono elementi circolari) posti al centro di pavimenti di tipo comune, in modo particolare nelle abitazioni tarde del tipo delle domus di Ostia e della basilica di Piazza Armerina. Nello stesso tempo, il riutilizzo dei materiali comporta pavimenti molto meno accurati dei precedenti, anche se spesso dotati di maggiore ricchezza cromatica. Pavimenti in opus s. del tipo tradizionale continuano a essere eseguiti ancora nel VI sec., come mostra un esempio da Cartagine. Gli ultimi sviluppi a Roma e dintorni, esaminati in dettaglio (Guidobaldi, Guiglia Guidobaldi, 1983), consentono di affermare che il tipo tradizionale viene sostituito nel VI sec. da semplici motivi geometrici composti da piccoli elementi, spesso distribuiti in pannelli separati da fasce di marmo: questa composizione è comune anche al Mediterraneo orientale.
In questo periodo ricompare anche una tecnica composita di opus s. e mosaico di tessere.
La tecnica dell’opus s. è più comune in Italia e soprattutto attorno a Roma, senza dubbio per ragioni connesse all'organizzazione del commercio dei marmi pregiati. Altrove non mancano gli esempi, come quelli della Gallia, in particolare di Vienne (Lancha, 1977) e le numerose testimonianze africane (Dunbabin, 1976, pp. 35-38); tuttavia gli esemplari provinciali sono meno studiati dei pavimenti dell'Italia.
Decorazioni parietali. - Le questioni della terminologia, delle fonti antiche, delle imitazioni pittoriche e dell'evoluzione complessiva dal I al VII sec. d.C. sono state affrontate (Asemakopoulou-Atzaka, 1980) con particolare riguardo alla diffusione di questo tipo di decorazione nelle chiese cristiane. Il termine è in genere limitato alle decorazioni figurate e fitomorfe o ai motivi ornamentali complessi distinti dai semplici rivestimenti lineari, e comprende due tecniche leggermente diverse. Una è quella dell'intarsio o incrostazione, in cui elementi tagliati in marmo o vetro sono inseriti in appositi alloggiamenti ricavati in una base di altro materiale (p.es. ardesia): i dettagli interni possono essere aggiunti per incisione o con pittura a colori. La seconda tecnica è quella dell'opus s. vero e proprio, in cui un motivo è composto da elementi separati giustapposti su un fondo di malta o intonaco. La decorazione figurata nella tecnica dell'incrostazione compare intorno alla metà del I sec. d.C.; si ritiene (Asemakopoulou-Atzaka, 1980) che le sue origini risalgano all'applicazione della tecnica di intarsio, già comune nelle arti minori, al modello dell'opus s. geometrico pavimentale e dei semplici rivestimenti parietali lineari, entrambi noti a Roma a partire dalla tarda età repubblicana. Gli esempi comprendono frammenti con putti dalla Domus Transitoria, pannelli con scene dionisiache e Venere che si allaccia il sandalo da Pompei e un gruppo di capitelli di lesena dagli Horti Lamiani. Nel ninfeo-triclinio sommerso di Punta Epitaffio a Baia sono stati individuati numerosi frammenti non ancora pubblicati in dettaglio, che comunque sembrano appartenere a questo gruppo. Ugualmente nella stessa tecnica è il pannello con la Lupa e i gemelli da Bovillae, verosimilmente del IV sec., che si ritiene pertinente a un pavimento: si tratterebbe quindi dell'unico esempio noto di decorazione figurata realizzata in questa tecnica su pavimento. I motivi figurati eseguiti nella seconda tecnica sembrano limitati al tardo impero: la testa di Sol dal Mitreo di S. Prisca a Roma, che risale alla prima metà del III sec., è il più antico esempio a noi noto. Datano al IV sec. numerose testimonianze di un uso su vasta scala di decorazioni in opus s., figurate, fitomorfe, architettoniche e ornamentali, per ricoprire intere pareti e stanze: i più noti sono quelli dalla Basilica di Giunio Basso a Roma e dall'edificio fuori Porta Marina a Ostia (Becatti, 1969).
Nonostante le numerose iscrizioni dell'Asia Minore che ricordano lavori in σκουτλωσις, l'uso dell'opus s. e degli altri rivestimenti marmorei nel mondo greco è stato studiato in misura insufficiente. Tra i rinvenimenti recenti, i più importanti sono quelli dalla Sinagoga di Sardi che comprendono motivi geometrici e architettonici, e piccoli elementi fitomorfi e animali: la loro datazione resta tuttavia incerta. Elementi simili, anche se privi di decorazione figurata, sono stati rinvenuti a Sardi anche nel complesso di terme e ginnasio, ove sembrano appartenere a un restauro di IV o V secolo . È stato redatto l'elenco degli esempî noti nel mondo greco ed è ormai documentato l'uso di tale tecnica nelle chiese bizantine (Asemakopoulou-Atzaka, 1980).
La produzione di pannelli di opus s. in vetro, di cui in precedenza si conoscevano solo pochi frammenti (elencati in Ibrahim, Scranton, Brill, 1976, pp. 262-265), è stata ampiamente confermata dalla scoperta a Kenchreai (v.), il porto di Corinto, di più di cento pannelli, abbandonati ancor prima di essere messi in opera poiché danneggiati da un terremoto (quasi certamente quello del 375 d.C.). I soggetti raffigurati comprendono scene nilotiche, paesaggi marini e varî personaggi, tra cui Omero e Platone, accanto a semplici pannelli geometrici, fitomorfi e architettonici. La tecnica ha molto in comune con quella dell'opus s. in marmo: gli elementi di vetro erano fissati mediante un supporto di stucco resinoso a un fondo costituito da frammenti di pareti di anfora, ed erano quindi imballati in ceste per essere trasportati nel luogo della messa in opera.
Tale tecnica si distingue dal comune opus s. per il fatto che solo alcune parti del motivo erano ritagliate da fogli piani, mentre gli altri elementi erano fusi insieme secondo la tradizione del vetro millefiori e trattati in vario modo prima dell'indurimento. Non è noto il luogo di produzione, che potrebbe forse essere l'Egitto.
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