ora (sost.)
Un'esauriente definizione dell'unità di misura del tempo secondo i due sistemi di computarla adottati nel Medioevo è in Cv III VI 2-3 [la canzone] dice: ‛ in quell'ora '; onde è da sapere che ‛ ora ' per due modi si prende da li astrologi. L'uno si è, che del die e de la notte fanno ventiquattr'ore, cioè dodici del die e dodici de la notte, quanto che 'l die sia grande o picciolo; e queste ore si fanno picciole e grandi nel dì e ne la notte, secondo che il dì e la notte cresce e menoma. E queste ore usa la Chiesa... e chiamansi ore temporali. L'altro modo si è, che faccendo del dì e de la notte ventiquattr'ore, tal volta ha lo die le quindici ore, e la notte le nove; tal volta ha la notte le sedici e lo die le otto, secondo che cresce e menoma lo die e la notte; e chiamansi ore equali.
Senza alcuna specificazione, ma presumibilmente con riferimento alle o. ‛ uguali ', il vocabolo compare in Cv II III 5 (due volte), XIV 16; sono invece ‛ temporali ' le o. citate in Vn III 2, 8 (tre volte) e 11, XII 9, XXXIX 1, Cv IV XXIII 15 (tre volte) e 16, Pg XV 1, Pd XXX 2 (dove però la locuzione l'ora sesta, oltre che l'o. del mezzogiorno, indica la posizione del sole allo zenit sul meridiano del Gange).
In Cv IV XXIII 11, parlando dell'ora del giorno de la... morte di Cristo, D. afferma che, secondo Luca, era quasi ora sesta quando... [il salvatore] morio. In realtà, come risulta dai Vangeli sinottici (Marc. 15, 33-37; Matt. 27, 45-50; meno probante Luc. 23, 44-46), Cristo, crocifisso all'o. sesta, morì alla nona. Più che a un " granchio preso da Dante " (B. Nardi, Saggi di filosofia dantesca, Firenze 1967², 122), l'errore può essere imputato al desiderio di far coincidere l'o. della passione con il momento della massima esaltazione del sole, in armonia con l'insegnamento di s. Tommaso (Sum. theol. III 46 9 ad 2). Allo stesso problema della morte di Cristo e del terremoto che in quel momento si verificò allude l'occorrenza di If XXI 112. A un analogo presupposto dottrinario è forse attribuibile l'oscurità di Pd XXVI 141-142, quando Adamo afferma di esser rimasto nell'Eden da la prim'ora a quella che seconda, / come 'l sol muta quadra, l'ora sesta.
Si discute quale sia la durata del tempo che D. ha voluto indicare: cinque o. per il Buti, sette per Scartazzini-Vandelli, Casini-Barbi e Chimenz, poco più di sei, coerentemente alle chiose dell'Ottimo e di Benvenuto, secondo il Sapegno; quest'ultima interpretazione sembra la migliore, anche se è contraddetta dalla fonte di D., Pietro Comestore, che (Hist. schol. XXIV, Patrol. Lat. CXCVIII 1075) tramanda che i progenitori rimasero " in paradiso septem horas ". In ogni caso, concludendo il canto con l'ora sesta, D. ha voluto sottolineare come Cristo patisse nella medesima ora nella quale Adamo aveva peccato (si vedano su ciò Fallani, e B. Nardi, Saggi, cit., p. 322).
Non diversamente, cioè con l'intento di collegare l'o. della morte di Beatrice con il numero nove, si spiega la preferenza data al sistema di computare il tempo usato dagli Arabi, in Vn XXIX 1 secondo l'usanza d'Arabia, l'anima sua nobilissima si partio ne la prima ora del nono giorno del mese, cioè al tramonto del giorno otto secondo il calendario latino (per le questioni connesse con la lezione, si veda Barbi, ad l.).
Vale " spazio di tempo più o meno lungo quanto un'ora ", in Rime XCI 70 sanza lei non può passare un'ora; Pg IX 44 e 'l sole er' alto già più che due ore, erano trascorse due o. e più dalla levata; Fiore CXCVI 11.
Indica un " momento della giornata " determinato mediante un riferimento a un'azione che si è soliti ripetere tutti i giorni, o a un fenomeno astronomico ricorrente (spesso descritto accennando a una favola mitologica): Pd X 140 ne l'ora che la sposa di Dio surge / a mattinar lo sposo perché l'ami; Pg IX 13 Ne l'ora che comincia i tristi lai / la rondinella presso a la mattina; If I 43, XXXIII 43, Pg XIX 1, XXV 1, XXVII 94, Pd XXVII 79.
Per Pg VIII 1 Era già l'ora che volge il disio / ai navicanti e 'ntenerisce il core / lo dì c'han detto ai dolci amici addio, il Pagliaro (Ulisse 769-778) ha sostenuto che soggetto di volge debba essere considerato lo dì e non l'ora, come vuole l'interpretazione corrente; secondo questa ipotesi, il nesso l'ora che avrebbe il valore di " nell'ora in cui " con il quale compare in alcuni tra gli esempi già citati. L'interpretazione del Pagliaro (" era l'ora in cui il ricordo del giorno nel quale si separarono dai loro cari, suscita nei naviganti il desiderio del ritorno, ecc. ") non modifica il significato della parola, che in questo caso designa il tramonto.
Per Pg I 115 L'alba vinceva l'ora mattutina / che fuggia innanzi, sì che di lontano / conobbi il tremolar de la marina, tutti i commentatori moderni si rifanno alla chiosa del Buti (" la bianchezza che appare nell'oriente, quando incomincia a venire lo dì, vinceva l'ora mattutina, cioè l'ora del mattino, che è l'ultima parte della notte, che fuggia innanzi, cioè all'alba "). Nessun credito ottiene più la spiegazione del Cesari (Bellezze II 22) il quale, accentando òra e attribuendo alla parola il valore di " aura ", interpretava " l'alba cacciava davanti a sé quel venticello che suol muoversi innanzi al sole e che, increspando la marina, la facea tremare ". Del tutto isolata restò l'ipotesi formulata da D. Strocchi, il quale, nelle note al Lombardi (Prato 1847), sostenne doversi leggere òra ed esser qui usata la voce con il significato di " ombra ", con un'accezione che " suona quotidianamente in bocca di chi pur non è volgo in Romagna "; a suffragare questa ipotesi lo Strocchi portava l'autorità di Virgilio Aen. III 589 " umentemque Aurora polo dimoverat umbram ".
Una lunga tradizione esegetica, iniziata dal Torelli, ha assegnato a ore di Pg XXVIII 16 (con piena letizia l'ore prime, / cantando, ricevieno intra le foglie) il significato di " aure ", sottolineandolo anche con l'accento diacritico (Casini l'ôre, Casella l'òre) e rifacendosi agli esempi virgiliani di Georg. III 274 " exceptant... levis auras " e di Aen. X 97 " flamina prima ". Ma in seguito il Porena, il Sapegno e il Petrocchi (ad l.) sono tornati all'interpretazione dei commentatori antichi (Ottimo, Pietro, Benvenuto, Buti, ecc.), i quali intendevano ore proprio come " ore del giorno ".
In un'accezione anche più generica indica un momento, non della giornata ma del tempo in senso lato: Pg XXIII 99 Tempo futuro m'è già nel cospetto, / cui non sarà quest'ora molto antica; Vn XXIII 31; Cv II Voi che 'ntendendo 34, IX 4, XV 7, III Amor che ne la mente 20, XIII 7; If XXXI 140, Pg VII 75, XXII 13, Pd VI 35. In particolare, l'ultima ora (Pg V 53) è quella della morte, e l'ora / del buon dolor ch'a Dio ne rimarita (XXIII 80) indica il pentimento; a D., sceso nell'Inferno ancor vivo, l'Argenti domanda: Chi se' tu che vieni anzi ora? (If VIII 33), cioè " prima del tempo "; non perder l'ora (XIII 80) vale " non perder tempo ", " cogliere il momento opportuno ". La stessa accezione generica in Rime dubbie XXII 6 ma desïoso nel desio stare / d'ora d'amore.
Accanto alla lezione ma a te com'è tanta ora tolta?, comunemente accolta dagli editori (v. Petrocchi, ad l., e Introduzione 142) e commentatori moderni, per Pg II 93 la tradizione conosce anche la variante tanta terra, preferita in passato, tra gli altri, dal Castelvetro e dal Lombardi; i due esiti erano già noti all'Anonimo, il quale, con la sua chiosa (" Se dice tanta ora, si dee intendere Chi t'ha tolto tanto tempo quanto hai penato a venire qui, ch'erano più mesi ch'egli [Casella] era morto, et pure allora giugnea [sulla spiaggia del Purgatorio]. Se dice tanta terra, ciò è sì gran terra et maravigliosa quanta è questa di Purgatorio "), nel mentre enuncia con chiarezza le due interpretazioni possibili, attesta anche di non saper scegliere tra le due varianti.
Entra a far parte di molte locuzioni avverbiali o congiuntive: quell'ora (Fiore VII 8), " allora "; tratutte l'ore (CLI 3), " ogni volta che "; qualunque ora (Cv I XI 4, IV XXVI 5), " qualora ", " ogni volta che ", con valore ipotetico-temporale; a un'ora (II IX 4, IV V 9; Fiore CLXXXV 1) " contemporaneamente ", " nel medesimo tempo "; alcun'ora (Fiore CI 13, CXLVII 4) e alcun'or (LXIV 9), " qualche volta "; in poc'ora (If XVI 105, XXXIV 104), in poco d'ora (XXIV 14, Pg XIX 14) e 'n poca d'or (Fiore VI 2, XXVI 13, CCVI 7), " in poco tempo "; a poca d'ora (CLXXXV 8), " tra poco "; altr'or... altr'or (CII 13, CXXII 2), un'or... un'altra (XXXIV 7, CI 3 e 6), un'ora... altra (IV 13) e un'or... altra (LVI 11), " qualche volta... qualche altra "; ad ora ad ora (Rime dubbie III 5 7, If XV 84) e ad ora ad or (Rime CIII 40, Pg VIII 101, Pd XV 14), " di quando in quando ", " di tempo in tempo ".
Bibl. - L. Castelvetro, Sposizione di 29 canti della Commedia, in Opere varie critiche, Lione 1727, 160.