BEMBO, Orazio
Nacque a Canea, nell'isola di Candia, il 5 febbr. 1626, da Gabriele di Vincenzo e da Margherita di Orazio Negri. Il 29 apr. 1674 il Maggior Consiglio lo destinò a succedere ad Alvise Corner nel consolato d'Egitto al Cairo, che il Senato, ristabilita la pace con la Porta, aveva voluto ripristinare allo scopo di favorirvi le possibilità d'intrapresa che ancora vi si offrivano al commercio veneto: tuttavia la preferenza accordata, in forma esclusiva, dai mercati allo zucchero americano rispetto a quello di produzione egiziana rendeva impossibile quella frequenza di scambi commerciali che aveva caratterizzato la prima metà del secolo.
Il B., sin dal suo sbarco ad Alessandria, il 24 nov. 1674, trovò una situazione tesa a causa dei debiti ancora pendenti, contratti da Marco Zen durante il suo infelice consolato; questi, in carica dal 1642, sorpreso dalla guerra di Candia non poté rimpatriare che nel 1664, ammontando nel frattempo a 160.000 reali i crediti vantati nei confronti del cottimo, cui si aggiungeva l'aggravio del 22% sopra le mercanzie venete. All'esosità turca, che trovava giustificazione nella guerra in corso e all'ingeneroso comportamento di alcuni mercanti francesi era anche imputabile un passivo di tal fatta. E ancora numerosi erano i creditori all'arrivo del B., che subito vollero citarlo dinnanzi al bassà del Cairo; ma egli - per evitare ritorsioni sui pochi mercanti veneti e per salvaguardare la propria dignità di rappresentante della Repubblica - preferì accordarsi direttamente con loro.
Il B. versò dapprima 9000 ducati, di cui più tardi riuscirà a ricuperare 3000; quindi, per far fronte alle richieste, stabilì un prelievo del 3% sui capitali entranti degli ebrei e di quegli stranieri che usassero del vessillo di S. Marco. Esenti ne erano i sudditi veneti; gli ebrei, cui andava il maggior giro d'affari, preferivano comunque a Venezia il porto di Livorno (cfr. all'Archivio di Stato di Venezia, Senato Mar, f. 615, una scrittura dei Capi di piazza dell'aprile 1677). Una altra imposizione del 3%, sempre allo stesso scopo, aggiunse il B. sulle merci che, battendo bandiera veneta, fossero destinate a scali esteri. Avendo così tranquillizzato i creditori, poté a sua volta ottenere l'introduzione da Venezia, esente da dogana, di una certa quantità di raso e sagia, sorta di panno sottile e leggero. Altro suo successo fu il ricupero di una polacca - la "S. Antonio di Padova e Gierusalem" - catturata dai corsari; con forti donativi riuscì infatti ad indurre le autorità a sottrarla ai pirati e a restituirla. Si trattò comunque di un caso più unico che raro, come il B. rilevava in seguito nella relazione presentata in Senato (in Archivio di Stato di Venezia, Senato Mar, f. 621) agli inizi del 1678: "pareva impossibile questa rilassatione contesa et oppugnata dagl'interessati corsari che, nel numero di più di sessanta legni predati a' sudditi veneti, han veduto uscir dalle loro mani solo questa polacca ricuperata".
Ma, come non bastassero le difficoltà del momento, gli intrighi del console francese, i non facili rapporti colle autorità venali e spesso succubi di una truppa facile a sollevarsi, erano gli stessi sudditi veneti che contribuivano ad amareggiare al B. il soggiorno al Cairo. Esacerbati per lo scarso volume d'affari e l'insicurezza dei traffici, trovavano troppo costoso il consolato e continuavano a farlo presente a Venezia. Al che egli non mancava di replicare nelle sue lettere al Senato (in Archivio di Stato di Venezia, Senato. Dispacci consoli in Alessandria e Cairo, f. 3): "si ingannano - scriveva il 3 ott. 1676 - questi signori se credono che, mandando qua un console che non sia nobile, sia diminuita la spesa, perché tanto vi anderà venendo console nobile quanto altra persona... La spesa che si ha è quella delle usanze che sono fatte e non vi è rimedio perché, se si volesse diminuire un quattrino, tutte le cose anderiano in scompiglio". E continuava precisando "che il guadagno che provano li signori mercanti è adesso di 25 in 30 per cento di più di quello che havevano in tempo che io sono venuto qua". Ancora nell'ultima sua lettera, il 24 febbr. 1677, dopo aver premesso che soprattutto dalla recrudescenza della pirateria erano provenuti i maggiori danni pei mercanti, così ribadiva: "faccino bene il conto che ritroveranno molto maggiori li vantaggi che le spese che io haverò fatto nel corso del mio debolissimo impiego. Conoscano quanto sia di loro utile un console nobile in questa città e si accertino che molto maggiori saranno li aggravii che liaveranno se vorano negotiare sotto altre bandiere". I mercanti avrebbero infatti preferito - ed avevano inoltrato richiesta in tal senso - commerciare servendosi del console francese; "pessima sarebbe tal delliberatione" commentava il B. nella sua relazione al Senato, dopo aver lumeggiato come i Francesi in Egitto si "applicano alla distrution della nation stessa" veneta.
Tornato a Venezia il B., il Senato, il 12 febbr. 1678, gli dava atto della "matura direttione di quel consolato con molte fruttuose operationi in pubblico decoro e vantaggio praticate" (in Archivio di Stato di Venezia, Senato Mar, reg. 143, c. 234); ma, facendo soprassedere alla nomina di un successore, accoglieva anche le proposte dei mercanti.
Lo stesso B. d'altronde nella relazione era stato costretto a riconoscere il "languido stato" degli affari. E aveva precisato come "mancati... li zuccari, lini d'Alessandria e cuori [cuoi]... restano solo le drogarie, cioè canelle, asfori, cassia, e sciena [siena], con qualche parte anche di tellarie et altro di poca consideratione. Fra tutte le merci più accreditata è quella della cassia e sciena... Questo negotio... pare al presente molto indebolito con l'introduttione di cassia di ponente e sciena di Barberia e, seben questa sia di pessima qualità, ad ogni modo per il basso prezzo viene preferita a quella del Cairo". Il B. osservava a tal proposito come ogni ulteriore contrazione degli scambi tornasse a svantaggio anche di Venezia, poiché, venendo a cessare le ordinazioni egiziane, "non si trasmetterebbero in cambio di là tante manifatture di questa città, cioè contarie et altri lavori sopra quali vivono tanti migliara di poveri sudditi".
Il B. fu tra i quarantuno elettori del doge Marcantonio Giustinian nel 1684, "scansador" nel 1687, provveditore al Sale nel 1689, inquisitore revisore e regolatore sopra i Dazi nel 1692. Morì il 30 genn. 1700.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Cinque savi alla mercanzia, n. s., b. 27 bis; Ibid., misc. Codici III Soranzo 31: G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, p. 295; Ibid., M. Barbaro, Arbori de' patritii veneti, I, cc. 314, 342; C. Poma, Il consolato veneto in Egitto, in Bollett. del Min. degli Affari Esteri... (1897), pp. 473, 475.