DE ATTELLIS, Orazio
Nacque a Sant'Angelo Limosano, presso Campobasso, il 22 ott. 1774 secondogenito di Francesco marchese di Sant'Angelo e Dorotea D'Auria.
Poco amato ed aspramente trattato dal padre, un bizzarro letterato alieno dai vincoli domestici al punto da esercitare verso i figli la più dispotica tirannia, il D. fu educato dapprima nel collegio dei somaschi, poi in quello dei nobili a Napoli. Di carattere irrequieto e ribelle ad ogni disciplina, a quindici anni, desideroso di azione, interruppe gli studi per seguire il fratello maggiore in Spagna dove militò come cadetto nel reggimento "Toledo" prima e in quello "Nápoles" poi, e con quest'ultimo corpo fu inviato a Ceuta a combattere contro i Marocchini. Ritornò a Napoli nel 1792, si arruolò volontario nel reggimento "Re" e, per volontà del padre, iniziò la pratica forense presso l'avvocato molisano Leonardo Palomba. Fu in casa di lui, fiero repubblicano - dove "molti dotti ed entusiasti amici" si riunivano per discutere della Rivoluzione francese, delle condizioni del Regno e della necessità, per questo, di un radicale rivolgimento - che ebbe principio la passione politica del D. (Napoli, Biblioteca nazionale, ms. V-A-47-48: Autobiografia). Litigi con il padre e atti di insubordinazione lo indussero ad abbandonare Napoli.
Per due anni viaggiò in vari Stati italiani e nel 1794, a Firenze, come "viaggiatore di un'Europa in guerra" conseguì, in soli tre giorni, in una loggia massonica i gradi di apprendista, compagno e maestro. Di ritorno in patria si arruolò nel reggimento di cavalleria "Napoli" che, nel febbraio del 1796, venne inviato ad affiancare gli Austriaci in Lombardia. Le vicende della guerra, i frequenti contatti che ebbe con i soldati francesi segnarono la piena adesione del D. al giacobinismo. Disertò allora dall'armata borbonica e si recò in Francia.
A Parigi conobbe Barras e per sette mesi fece parte della segreteria della Deputazione lombarda presso il Direttorio, pur non condividendo il progetto di questa di dividere la Lombardia in due repubbliche indipendenti e dolendosi che "mentre l'Italia intera sospirava la riunione in un sol corpo di nazione", i lombardi pensassero "ad una nuova suddivisione di un'altra parte d'Italia" (I miei casi di Roma sotto il triumvirato Mazzini, Armellini e Saffi, preceduti da una sintesi biografica di tutta la mia vita militare e politica, lettera di De Attellis a Saffi; il saggio, composto a Roma nel 1849, è conservato presso la Bibl. naz. di Napoli, ms. V-A-47-48).
Rientrato in Italia, si stabilì a Bologna, si arruolò nella compagnia dei cacciatori della guardia nazionale, collaborò al Democratico imparziale redatto da L. Spargi, al Quotidiano bolognese di I. Marsili e, insieme con gli avvocati Gambara, Argelati e Gavasetti, con lo studente Armandi, col commissario di guerra Balzani, con i due fratelli Pignatelli di Strongoli e col generale Mazzuchelli fondò il Gran Circolo costituzionale.
Di questo fu uno dei principali animatori, pronunziandovi, tra gli altri, un Discorso in cui, secondo la più pura tradizione giacobina, rivendicava il diritto del mendicante di procacciarsi la sussistenza anche con la forza, affermando, così, l'uguaglianza in senso economico sostanziale (Discorso pronunziato nel Gran Circolo costituzionale, concernente l'urgenza di bandire la mendicità, Bologna 1798). Dell'attività svolta in questo periodo non ci è pervenuto il testo delle orazioni, che il D. affermò poi di aver pronunziato, per la libertà e unità d'Italia.
Infine, insieme con gli esuli toscani L. Micheli e G. Salucci, fu, a Bologna, tra gli organizzatori di una complicata congiura che avrebbe dovuto "democratizzare" il granducato di Toscana. La congiura, i cui preparativi durarono quattro mesi, venne inizialmente favorita dagli agenti di polizia del governo lorenese, interessati a verificare l'effettiva entità della propaganda giacobina nel granducato e a coinvolgere la vicina repubblica nell'accusa di complicità. Ai primi di aprile del 1798 il D. partì per la Toscana e, a Firenze, l'11 dello stesso mese venne arrestato.
Il processo, macchinosissimo, fece molto scalpore e il D., nonostante gli interventi in suo favore del rappresentante cisalpino in Toscana e del Mazzuchelli, il 7 novembre dello stesso anno fu condannato alla pena di morte. La condanna gli fu poi commutata in quella di reclusione a vita e, nel febbraio del 1799-, venne condotto nel penitenziario di Portoferraio. Vi rimase poco più di un mese e quando, alla fine di marzo, le truppe francesi occuparono la Toscana, fu tra i promotori dell'insurrezione del forte. In aprile fece ritorno a Firenze, accolto da eroe; il u giugno ottenne, dal governo provvisorio, la nomina a capitano nel battaglione toscano appena costituito. In seguito, occupata la Toscana dall'esercito austro-russo, il D. riparò in Francia, si aggregò alla legione italiana del Lechi e con questa partecipò alla campagna che si concluse a Marengo.
Ma, ripreso dall'antica passione per l'idea unitaria, pubblicamente si dichiarò sostenitore dell'unità italiana e, per questo, fu sottoposto a un processo che si concluse poi con l'assoluzione (Lettera ai Governi cisalpino, ligure e piemontese, Parma a. IX). Dopo una sosta a Firenze, durante la quale militò nel piccolo esercito toscano, il D. per due anni fu in viaggio in varie città italiane, e a Marsiglia, dove pure si recò, prese la cittadinanza francese. Ma l'intemperanza del carattere e l'ingenuità della sua condotta politica gli procacciarono nuove disavventure. Nel 1803, infatti, benché sorvegliato dalla polizia borbonica perché "perfido nelle opinioni ed operazioni rivoluzionarie", volle recarsi a Napoli. Subito arrestato, evitò una condanna grazie all'intervento dell'ambasciatore francese, ma i discorsi rivoluzionari e le idee di indipendenza e unità italiana, che non seppe celare neppure nel carcere napoletano, permisero alla polizia borbonica di denunziarlo al governo francese quale autore di una congiura contro la Francia. A Firenze, quindi, venne nuovamente imprigionato, ma l'inconsistenza delle prove raccolte a Napoli gli valse, nel dicembre del 1803 e dopo tre mesi di prigione, d'essere scarcerato con l'ordine, però, di lasciare la Toscana. Si recò allora a Milano e, nel dicembre del 1804, fallito il tentativo di pubblicare una Gazzetta economico-politica del Mondo, spinto dal bisogno, si arruolò come semplice volontario nella guardia del governo. Nel 1806 fece ritorno a Napoli e, nominato ufficiale della gendarmeria dal nuovo governo napoletano, fu inviato in Abruzzo con il compito di combattere il brigantaggio e raccogliere reclute per il suo corpo; nel settembre del 1809 fu nominato capitano nel reggimento delle guardie d'onore e con questo corpo, il 5 dic. 1812, scortò da O'chmiano a Vilna Napoleone reduce da Mosca.
Di ritorno a Napoli egli continuò a far parte dell'esercito come aggiunto allo Stato Maggiore della gendarmeria senza, però, prendere parte ad operazioni di guerra.
Divenuto intanto contrario al regime murattiano, fu tra gli organizzatori della loggia di rito scozzese fondata a Napoli nel febbraio dell'anno 1814 in opposizione alla massoneria murattiana (Documenti storici della fondazione della Gran Loggia Madre al rito scozzese antico e accettato all'O. di Napoli, Napoli 1814) e molto probabilmente fu per l'opera da lui svolta in questo periodo che, nel maggio del 1814, venne allontanato da Napoli ed inviato in Calabria presso il Manhès.
Ritornati i Borboni, divenne avvocato dei poveri, ma non abbandonò l'attività politica e prese parte agli avvenimenti del 1820. Ma, quando la direzione del moto passò dalle mani dei carbonari a quelle dei murattiani, il D., nuovamente all'opposizione, scrisse in difesa della libertà di stampa (Due parole sulla libertà di stampa, Napoli 1820), riorganizzò la massoneria scozzeie e ne redasse gli statuti, si dimise dall'esercito e, infine, attaccò F. Pepe per l'accordo da lui concluso con i rivoluzionari palermitani (Due parole sulle cose di Sicilia, Napoli 1820). Per questo suo atteggiamento, all'avvicinarsi della guerra, non ottenne di riprendere servizio nell'esetcito e, nel marzo del 1821, partì per la Spagna.
A Barcellona scrisse la storia della cospirazione del 1820 (L'Ottimestre costituzionale delle Due Sicilie autenticamente documentato da servire alla storia di quel Regno, Napoli, Bibl. naz., ms. V-A-4748) e tre anni dopo, mentre la polizia borbonica lo segnava sul suo libro nero, si mise in viaggio per gli Stati Uniti, ritenendo l'America "il solo soggiorno convenevole all'uomo pensante, onesto e libero".
Giunto a New York il 20 maggio 1824,vi conobbe Giuseppe Bonaparte, Lorenzo Da Ponte e, nel settembre, aprì una scuola privata. Ma l'anno successivo riprese a viaggiare e si recò nel Messico. Erano i giorni dei congresso di Panama e il D., spinto dal presidente del Senato messicano, iniziò a scrivere un volume in cui esponeva le sue idee politiche (Las cuatros primeras discusiones del Congreso de Panamd, tales como deberian ser, Mexico 1826). Nel 1827ritornò a New York e, l'anno seguente, fu chiamato a sostituire il Da Ponte, quale insegnante di letteratura italiana e spagnola, al Columbia College. Nel 1832, chiamato dal generale Santa Anna - con il quale dal suo primo soggiorno messicano si era mantenuto in corrispondenza - con l'offerta della direzione di un liceo nazionale, ripartì per il Messico. Vi rimase fino al 1836, quando, non approvando i metodi di governo del Santa Anna, fu espulso dalla repubblica e riparò a New Orleans. Qui si impegnò attivamente a favore dell'indipendenza del Texas dal Messico e, contemporaneamente, si diede ad organizzare gli Italiani residenti negli Stati Uniti. Nel 1845, ormai vecchio, amareggiato dalle esperienze americane, abiurò le idee repubblicane fino ad allora sostenute e si diede a scrivere l'Autobiografia.
Nel 1847 le notizie degli avvenimenti italiani ridestarono in lui l'antica passione politica e, lasciati gli Stati Uniti, all'inizio del 1848 sbarcò a Marsiglia; e di qui in una lettera al marchese Dragonetti, ministro degli Esteri di Ferdinando II, si mise a disposizione del governo napoletano. Dopo gli avvenimenti del 15 maggio criticò violentemente la politica di Ferdinando e, confidando nella monarchia sabauda, si recò a Genova, dove collaborò al Pensiero italiano, a Firenze, Livorno e infine a Roma, dove conobbe Mazzini durante i pochi mesi della Repubblica romana.
Ma da troppo tempo lontano dall'Italia. per temperamento ed educazione politica legato all'esperienza settaria e giacobina del primo ventennio dell'Ottocento, in parte ripercorsa durante il soggiorno americano, il D. era ormai estraneo al dibattito e alla pratica di lotta politica sviluppatasi nella penisola negli anni dopo il 1830. A Roma iniziò a scrivere una nuova autobiografia che comprendesse la storia delle sue avventure durante la Repubblica (I miei casi..., cit.); la terminava quando per questa sopraggiungeva la fine. Riparò, "allora, a Qvitavecchia dove morì il 10 genn. 1850.
Fonti e Bibl.: Per un'indic. completa dei manoscritti dei D. si veda N. Cortese, Le avventure ital. e americane di un giacobino molisano: O. D., Messina 1935. Sul D. si veda inoltre: A. Zobi, Storia civile della Toscana, III,Firenze 1851, pp. 249-54; L. Da Ponte, Memorie, a cura di G. Gambarini-F. Nicolini, II, Bari 1918, p. 210; R. Sorip, Le società segrete e i moti del 1820 a Napoli, in Rass. stor. del Risorg., VIII (1921), pp. 147-78; M. Bizzarrilli, La figura di Gioacchino Murat in una memoria di O. D., ibid., XVII (1930), 4, pp. 216-25; Id., O. D. di Sant'Angelo storico e patriota (1774-1850), in Samnium, I (1931), 1, pp. 23-38; 2, pp. 17-26; 3, pp. 12-21; 4, pp. 37-46; 11 (1932), 1, pp. 33 s.; 3, pp. 169-80; 4, pp. 277-86; 111 (1933), s. pp. 156-65; 4, pp. 250-56; IV (1934), 1-2, pp. 58-67, 3, pp. 128-37; U. Marcelli, Movimenti Politici a Bologna durante la Rivoluz. francese e l'Impero napoleonico.... Bologna 1960, pp. 193 ss.; A. Zazo, O. D. e la sua Accademia dei Filopatridi, in Samnium, XX-XV (1962), pp. 248 s.; L. G. RusichI Un carbonaro molisano neidue mondi, Napolì 1982 (con elenco completo degli scritti americani del D.); Diz. del Risorg. naz., II, s. voce.