ORAZIO di Jacopo
ORAZIO di Jacopo. – Figlio del pittore Jacopo di Paolo, nacque a Bologna, si presume, intorno al 1385.
Un censimento «per bocche», non datato, cita nella parrocchia di S. Caterina nel quartiere di S. Procolo a Bologna, il padre, all’epoca dell’età di quarant’anni, e i suoi figli, tra cui Orazio, «de agni 1» (Montanari, 1966, p. 63). L’atto reca più oltre, in riferimento ad altri quartieri, l’anno 1395, ma la sezione in predicato è stata per lo più datata al 1387 circa (Tura, 1987; Pini, 2005, p. 31), anche in virtù della coerenza tra l’età di Jacopo e le attestazioni riguardanti Orazio.
Nel 1410 Orazio risulta iscritto, col padre e gli altri suoi fratelli, nella matricola della Società delle quattro arti (Frati, 1911; Arslan, 1931; Filippini - Zucchini, 1968; Tura, 1987), segno di un’attività già avviata, con verosimiglianza nella fiorente bottega paterna, una tra quelle di maggior spicco nell’ambiente bolognese tra XIV e XV secolo.
Tra i tre figli pittori di Jacopo di Paolo, Orazio è il solo di cui è possibile ricostruire, benché parzialmente, l’itinerario artistico, che si svolse interamente, in base alle testimonianze oggi note, nel capoluogo emiliano. L’ampia documentazione disponibile non si collega, tuttavia, in nessun caso a opere sopravvissute, riferendosi o a lavori andati distrutti o, in prevalenza, a un’estesa operosità nel campo della decorazione effimera, a iniziare dal 1418: pittura di stemmi e insegne (in massima parte del Comune, del pontefice e della Chiesa; nel 1438 del duca di Milano), pennoni, bandiere e vessilli, per lo più su commissione del Comune e talvolta per occasioni quali palii o festività.
Nel 1425 Orazio fu cancellato dal bando che, in data imprecisata, lo aveva colpito insieme ad altri cittadini bolognesi a seguito alla sua opposizione al legato pontificio e all’appoggio ai Bentivoglio. L’anno seguente fu pagato per pitture realizzate nel palazzo del Governatore, raffiguranti l’episodio evangelicodella Navicella; stipulò altresì un contratto col padre (Arslan, 1932) e ricevette la dote della sua promessa sposa. Nel 1431 dimorava ancora nella parrocchia di S. Caterina di Saragozza; nel 1432, a seguito della morte del padre, ottenne dal Comune la facoltà di impiantare la propria bottega nei pressi del palazzo di re Enzo (Frati, 1911). Quattro anni più tardi acquistò un podere ed è documentato l’appalto a due maestri di legname per la costruzione di un armadio, destinato alla chiesa di S. Giacomo Maggiore, il cui disegno era stato fornito da Orazio (Lenzi, 1967). Un atto del 1437, in passato collegato a una sua presunta attività nel campo dell’oreficeria (Frati, 1911), si riferisce in realtà a Jacopo (Tura, 1987).
Nel 1441, anno in cui i sei suoi figli furono iscritti alla matricola delle Società delle quattro arti, Orazio divenne altresì massaro di tale Società (carica rinnovata nel 1449), mentre l’anno successivo fu eletto anziano per il quartiere di Porta Procula. Si tratta di un periodo di prosperità, come ribadiscono altri atti coevi, attestanti la nomina a provvisore dei fortilizi e a ingegnere della Fabbrica di S. Petronio, e l’assegnazione delle rendite dei mulini e degli edifici della parrocchia di S. Martino dell’Aposa. Nello stesso 1442 prese in affitto dal Comune terreni e botteghe in via Portanuova, addossati al palazzo comunale (così poi nel 1443: Pini, 2005, p. 125). In seguito a tali impegni civici, nel 1446 venne nominato anziano per il primo bimestre (come nel penultimo bimestre del 1447) e fu investito della carica di ufficiale sovrastante ai fornai e all’abbondanza di Bologna; risulta inoltre commissario del Comune e, l’anno seguente, difensore dell’avere del Comune.
Dettò testamento il 7 ottobre 1449, nominando eredi i suoi figli legittimi; il seguente 10 ottobre sono documentate le spese per la sua sepoltura. Morì, con ogni probabilità a Bologna, tra queste due date.
Nel 1451 i figli Policleto e Gentile presero nuovamente in affitto le botteghe in via Portanuova in precedenza abitate dal padre.
Carlo Cesare Malvasia (1678; 1686) ricorda due polittici realizzati da Orazio, anch’essi non pervenuti. Il primo, «con la Madonna in mezzo quattro Santi, il Sudario ecc.», si trovava all’epoca nell’infermeria delle donne dell’ospedale di S. Maria della Morte a Bologna, ma proveniva dalla chiesa eponima ed era firmato «Oratius pin[xit] 1438» (Malvasia, 1678, p. 33). Nella sagrestia del duomo di S. Giovanni in Persiceto l’erudito vedeva «una simile [tavola] che fu anticamente la principale della chiesa», pure sottoscritta «Oratius Jacobi De Bon[onia] Pi[nxit]» (ibid.). Non può essere accolta, come asserito da Benati (1987), la proposta di riconoscere lo scomparto principale del primo complesso nella Madonna in trono con il Bambino (Bologna, Collezioni comunali d’arte) un tempo nell’ospedale della Morte (Grandi, 1987).
L’attività di Orazio può quindi essere ricostruita sulla base di poche opere (radunate inizialmente da Arslan, 1931), alcune delle quali firmate. La più antica tra quelle certe è la Crocifissione con la Madonna e s. Giovanni Evangelista del Museo dell’Osservanza (già nella chiesa di S. Paolo in Monte all’Osservanza), ridotta prima del 1650 in una sagoma circolare, uno tra gli esempi più brillanti della penetrazione della cultura del gotico internazionale a Bologna. La sua datazione, talvolta posta negli anni Venti o intorno al 1430 (Bottari - Volpe, 1958; Grandi, 1987; Medica, 1987), può essere meglio specificata sulla base della lettura della firma, finora non fornita in maniera completa, che recita: «Oratius quo[n]d[am] Jacobi»; tale iscrizionevincola pertanto l’esecuzione del dipinto a un momento posteriore alla morte di Jacopo di Paolo, avvenuta tra il 1429 e gli inizi del 1430 (Filippini - Zucchini, 1968, p. 131). È probabile che Orazio non si firmasse più in tal modo diversi anni dopo la scomparsa del padre e anche la conduzione stilistica riporta a un momento non di molto successivo al 1430.
La possibilità che la genesi della tavola sia legata a un breve di papa Eugenio IV del 1431 (secondo le argomentazioni di Piana, 1945; D’Amico, 1987), sembrerebbe tuttavia contraddetta dalle recenti indagini tecniche sul dipinto (Bruni et al., 2003). Sul tronco del linguaggio delle opere tarde di Jacopo – quale si può desumere dall’altarolo del Museo di S. Stefano, dai dipinti della chiesa di S. Giacomo Maggiore (in cui Massaccesi, 2011, ha ipotizzato l’intervento di Orazio) e dalla Crocifissione della Fondazione Cassa di risparmio di Bologna – Orazio dimostra l’avvenuta assimilazione dei modi di Giovanni da Modena, con particolare aderenza al ciclo della cappella Bolognini nella basilica di S. Petronio, a fianco di una ancor più forte aderenza allo stile di Michele di Matteo. Quest’ultimo, genero di Jacopo di Paolo, è peraltro significativamente responsabile di alcune tra le opere che Francesco Arcangeli ha attribuito in passato a Orazio (Massaccesi, 2011, pp. 44-46). La pungente affilatura dei tratti fisionomici e la sinuosa, raffinata modulazione della linea di contorno richiamano il polittico di Michele nelle Gallerie dell’Accademia di Venezia, manifesto della sua adesione al magistero di Gentile da Fabriano, che aveva analogamente fatto breccia nella fase più matura del percorso di Jacopo di Paolo. Il trattamento dell’oro nelle figurazioni angeliche della Crocifissione bolognese e altri dettagli come il suolo roccioso spolverato da una minuta graniglia di sassolini sono una conferma dell’influsso di Gentile, probabilmente mediato da Michele di Matteo, grazie al quale Orazio propone una propria originale diversione dalle forme più squadrate del padre. A tale proposito, è possibile che dipinti del seguito di Jacopo come la Madonna della Carità delle Collezioni comunali d’arte a Bologna possano appartenere agli esordi dell’attività di Orazio(Massaccesi, 2011), benché non si sappia come dipingessero gli altri figli del maestro. La solidità torreggiante e sintetica della Vergine replica, infatti, modelli di quest’ultimo, ma gli angeli che si stagliano con movimenti arcuati anticipano soluzioni leggibili nella Crocifissione dell’Osservanza.
La Crocifissione con s. Domenico e un devoto, appartenuta sino al 1906 alla collezione Gozzadini a Bologna (ripr. in Collection…, 1906, tav. VII) e di cui poi si sono perdute le tracce, recava la firma «Oracius Jacobi pinxit 1442», sulla cui autenticità sono stati espressi talvolta alcuni dubbi (Bottari - Volpe, 1958). L’attendibilità sia della paternità di Orazio sia della data riposa sulle congruenze con il di poco successivo S. Bernardino da Siena del 1445, in particolare sul confronto tra i volti pungenti e smagriti in semiprofilo dei due santi raffigurati, mentre gli angeli dolenti richiamano quelli della più antica tavola dell’Osservanza. Tra le due versioni del tema sembra correre infatti un certo lasso di tempo e ora il linguaggio di Orazio dimostra una sensibile collusione con quello del cosiddetto Pseudo-Stefano da Ferrara.
La tela con S. Bernardino, proveniente dalla chiesa di S. Paolo in Monte all’Osservanza di Bologna, nel cui attiguo convento la vide Malvasia (1678) e ora in collezione privata (Arslan, 1931; ripr. in D’Amico, 1987), reca in calce l’iscrizione con la data di esecuzione, la firma e il soggetto («MCCCCXLV / Oracius pinxit / beatu[s] Bernardinus[s] servu[s] servo[r]um Dei»). La data è collegata alla morte del santo, occorsa l’anno precedente, mentre il soggetto è caratterizzato dalla presenza del nimbo ancor prima dell’avvenuta canonizzazione (1450). Sui piedi gracili si eleva una figura molto più solida rispetto alle precedenti, definita da pieghe colonnari, più sintetiche rispetto a quanto visibile nella tavola del 1442. Si tratta di una delle testimonianze del tramonto della stagione tardogotica bolognese, così come dell’attività di Orazio, morto quattro anni più tardi. Pittore di finissima ispirazione, secondo una parte della critica (Bottari - Volpe, 1958), questi dovette rivestire un ruolo non marginale in tale cultura figurativa.
Diverse attribuzioni hanno cercato di accrescere il corpus delle opere, ma nessuna, oltre a quelle citate, pare convincente: tra queste, né la Madonna con il Bambino della Pinacoteca comunale di Ravenna (ibid.; cfr. Tambini, 2001), né quella del chiostrino delle Madonne alla Certosa bolognese (Massa, 1970), prossima a Giovanni da Modena (Massaccesi, 2011, su indicazione di D. Benati), così come allo Pseudo-Stefano da Ferrara.
Fonti e Bibl.: C.C. Malvasia, Felsina pittrice, I, Bologna 1678, p. 33; Id., Le pitture di Bologna [1686], a cura di A. Emiliani, Bologna 1969, pp. 245 s.; Collection de tableaux et objets d’art, qui appartenaient au comte sénateur Jean Gozzadini (catal.), Bologna 1906, tav. VII; L. Frati, Una famiglia di pittori bolognesi, in L’Arte, XIV (1911), pp. 263 s., 267; W. Arslan, Osservazioni intorno agli affreschi della cappella Bolognini in S. Petronio, in Il Comune di Bologna, 1931, n. 3, pp. 43-45; Id., Jacopo di Paolo, in Rivista del R. Istituto d’archeologia e storia dell’arte, III (1932), 3, p. 212; C. Brandi, Nuovi affreschi bolognesi del Trecento nella Pinacoteca di Bologna, in Bollettino d’arte, s. 3, XXVIII (1934-35), p. 372; C. Piana, S. Bernardino da Siena a Bologna, in Studi francescani, XLII (1945), pp. 241-247; S. Bottari - C. Volpe, La pittura in Emilia nella prima metà del Quattrocento (dispense universitarie, a.a. 1957-58), Bologna 1958, pp. 73-76; P. Montanari, Documenti su la popolazione di Bologna alla fine del Trecento, Bologna 1966, p. 63; D. Lenzi, Regesto, in Il tempio di S. Giacomo Maggiore in Bologna, a cura di C. Volpe, Bologna 1967, p. 233; F. Filippini - G. Zucchini, Miniatori e pittori a Bologna. Documenti del secolo XV, Firenze 1968, pp. 129-138; I. Massa, Le Madonne della Certosa di Bologna, in Strenna storica bolognese, (XX) 1970, pp. 130-132; D. Benati, in Il tramonto del Medioevo a Bologna. Il cantiere di S. Petronio (catal.), a cura di R. D’Amico - R. Grandi, Bologna 1987, pp. 121 s.; R. D’Amico, ibid., pp. 77 s., 121, 124 s.; D. Tura, ibid., pp. 300-306; R. Grandi, La pittura tardogotica in Emilia, in La pittura in Italia. Il Quattrocento, a cura di F. Zeri, Milano 1987, I, p. 227; M. Medica, O. di J., ibid., II, p. 720; A. Tambini, in Pinacoteca comunale di Ravenna. Museo d’arte della città. La Collezione antica, a cura di N. Ceroni, Ravenna 2001, p. 35; S. Bruni et al., Indagini conoscitive sulla tavola di O. di J., in Museo dell’Osservanza di Bologna. Guida alle collezioni d’arte, a cura di D. Biagi Maino, Bologna 2003, pp. 87-92; G. Gandolfi, ibid., pp. 53-55; R. Pini, Il mondo dei pittori a Bologna, 1348-1430, Bologna 2005, passim; M. Ferretti, Primitivismo devoto e spirito municipale nella Bologna napoleonica: il chiostrino delle Madonne in Certosa, in Giuseppe Vernazza e la fortuna dei primitivi. Atti del Convegno,Alba… 2004, a cura di G. Romano, Torino 2007, pp. 175 s.; F. Massaccesi, Francesco Arcangeli nell’officina bolognese di Longhi. La tesi su Jacopo di Paolo, 1937, Cinisello Balsamo 2011, pp. 44-46, 123 s.; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, p. 37.