MOROZZI, Orazio Ferdinando (Ferdinando)
– Nacque a Siena l’11 novembre 1723 da Giuseppe e da Orsola Sorri; al battesimo ricevette i nomi Orazio Ferdinando, ma utilizzò sempre soltanto il secondo.
Malgrado la nascita senese, Morozzi considerò sempre sua patria effettiva Colle Val d’Elsa, dove la famiglia aveva il suo palazzo (ancor oggi noto come palazzo Morozzi), risalente al XIII secolo e ristrutturato nel corso del XVI secolo, situato nel terziere di Castello, nel borgo medievale in prossimità del duomo. Nella cittadina ricoprì a più riprese incarichi pubblici (priore nel 1752, camerlengo nel 1758, gonfaloniere nel 1764) e inoltre vi promosse per molto tempo una vera e propria produzione industriale incentrata sull’attività di cartiere e concerie attraverso l’uso dell’energia idrica del fiume Elsa convogliata in appositi canali.
A Siena Morozzi si inoltrò nei primi studi che non dovettero essere almeno inizialmente regolari, formandosi alla scuola di diversi ecclesiastici: secondo quanto scrisse egli stesso in alcune note biografiche che costituiscono l’unica fonte sui suoi anni di formazione, ricevette i primi rudimenti del leggere da certa signora Teresa Campiani, alla grammatica fu introdotto da tali preti Bravi e Gori.
Comunque, in famiglia dovette trovare un clima particolarmente favorevole all’apprendimento delle scienze esatte, come è testimoniato dalla presenza nella biblioteca di casa di importanti manoscritti scientifici raccolti dal nonno Pietro Antonio: questi, già allievo di Teofilo Gallaccini, fu un noto architetto e ingegnere militare che ricoprì per due anni (1708-10) la cattedra di matematica e fortificazione nell’Università di Siena. Lo stesso padre di Morozzi, impiegato nella burocrazia granducale come ragioniere dell’Uffizio delle collette di Siena, ebbe modo di approfondirsi nello studio delle matematiche.
Intraprese un più regolare cursus scolastico con l’entrata nel seminario senese di S. Giorgio, che, strutturato sul modello gesuitico dei seminaria nobilium, accoglieva anche figli di aristocratici e cittadini facoltosi non necessariamente destinati al sacerdozio o alla carriera ecclesiastica (Pompeo Neri a esempio vi trascorse almeno un anno). Lì frequentò i corsi inferiori e vi apprese grammatica, umanità e retorica rispettivamente dai preti Biondi, Fancelli e Giovanni Baldacconi. Passò quindi ai corsi di filosofia: la geometria gli fu insegnata dal gesuita Desideri, mentre apprese logica e fisica dal prete Domenico Valentini; Antonio Bonfigli lo iniziò all’arte del disegno. Certo è che, se la sua preparazione in campo tecnico e scientifico fu di ottimo livello, quella umanistica dovette mostrare qualche lacuna, se nel 1769 il severissimo Giuseppe Pelli Bencivenni nelle sue Efemeridi diceva Morozzi «sprovvisto dei buoni studi» e, in seguito, in altra annotazione del 1783 lo poneva tra i «semi-letterati fiorentini» (Pelli Bencivenni, s. 1, XXIII, p. 105; s. 2, XI, p. 2093).
Il 21 agosto 1746, mentre si trovava a Colle, giunse la notizia che il padre era stato accusato di peculato e arrestato. Tale evento ebbe non poche conseguenze su Morozzi e sulla sua famiglia: qualche mese dopo, insieme con i tre fratelli e la madre, lasciò Siena e si ritirò dapprima a Colle per risparmiare sulle spese sostenute e mettere ordine negli «interessi della casa», quindi, nel corso del 1748, a Firenze per meglio tutelare gli affari familiari. Mentre era in città, forte delle conoscenze scientifico-matematiche accumulate in precedenza, si sottopose agli esami per matricolarsi ingegnere dell’Uffizio dei capitani di parte, che aveva competenza tecnica sull’amministrazione dei beni demaniali e dei lavori pubblici (strade, fiumi, ponti, edifici pubblici, fognature).
Come esaminatore si trovò di fronte Tommaso Perelli, matematico e docente di astronomia all’Università di Pisa, con il quale dovette stringere proficui rapporti professionali e scientifici, che si approfondirono nei decenni successivi. Perelli giudicò assai positivamente le prove di Morozzi: trovava che il giovane fosse un abilissimo disegnatore (poteva vantare particolare «grazia del disegno») e giudicava che possedesse «sufficiente cognizione di geometria pratica» oltre a trovarlo versato «nell’architettura d’acque per aver avuto occasione d’esercitarsi per qualche tempo in essa nella città di Siena» (Guarducci, 2008, p. 14).
Il 14 gennaio 1749 fu dunque nominato ingegnere dei Capitani di parte, entrando a servizio di tale magistratura: la funzione non prevedeva regolare stipendio ma il cosiddetto sistema dell’imborsamento, cioè il singolo ingegnere veniva scelto di volta in volta per ricevere incarichi specifici e redigere perizie tecniche. Malgrado l’impiego, Morozzi non tralasciò di «scorrere le mattematiche» sotto la guida del camaldolese Rudesindo Cateni, né di approfondire lo studio del disegno approfittando delle preziose lezioni di Francesco Conti, docente della materia nella fiorentina Accademia del disegno.
Nel 1750 gli fu proposto di diventare precettore e maestro di matematica di un non meglio precisato principe di Nassau, ma quando era pronto per assumere questo prestigioso compito, a luglio, il consigliere per la Reggenza Emmanuel de Richecourt gli impose di rimanere al servizio granducale e lo nominò lettore di matematica (professore di nautica) su uno dei vascelli della flotta toscana che presidiava i mari contro i barbareschi, per istruire nell’arte della navigazione i cavalieri di S. Stefano. Si imbarcò così dapprima sulla nave da guerra Leone, quindi passò sulla Alerione, con la quale, in agosto, salpò da Livorno per un viaggio di alcuni mesi che lo portò in diversi porti del Mediterraneo.
Toccò le isole Milo e Zea, nelle Cicladi, e il 4 ottobre 1750 giunse a Costantinopoli dove si fermò 24 giorni, visitandola a fondo. Si recò pure più volte sul Mar Nero per osservare varie città che «sono alla riviera». Sulla via del ritorno si fermò all’isola di Tenedo ed ebbe modo di vedere le rovine di Troia («altro di antico non si vidde se non che alcune grossissime colonne di granito orientale», ibid., p. 212), proseguì quindi per Smirne («il più celebre porto di tutto il Levante per un incredibile commercio che vi si fa da tutte le nazioni dell’Europa e Asia», ibid.), l’isola di Patmo e Alessandria, da dove si recò a visitare Rosetta. Nel gennaio 1751 le navi granducali giunsero a Malta per poi dirigersi verso Tunisi, trascorrendo un’intera giornata ad ammirare le rovine di Cartagine, e infine ad Algeri da dove il convoglio toscano fece rotta verso Livorno, giungendovi il 16 marzo 1751. Subito dopo il rientro Richecourt gli chiese di presentare all’imperatore e granduca Francesco I il diario dettagliato del viaggio, che aveva tenuto e costantemente aggiornato durante la circumnavigazione mediterranea, diario ricco, oltre che di annotazioni tecniche su fabbriche ed edifici, di analisi geografiche, osservazioni etnografiche ed erudite e corredato da numerosi rilievi, vedute e piante che aveva disegnato per suo uso e diletto.
Nel 1751 gli fu commissionata la prima delle grandi operazioni cartografiche grazie alle quali nei decenni successivi si affermò come il più importante cartografo attivo sulla scena toscana, e forse italiana, del tempo: sapendo che aveva cominciato a collezionare fin dal 1749 un considerevole numero di carte geografiche della Toscana, Richecourt gli affidò la redazione di una carta generale del Granducato suddivisa nelle cinque province principali, individuando per ciascuna di esse le relative potesterie. Si trattava di un primo tentativo di ristrutturazione politico-amministrativa della Toscana, impostata dal regime lorenese per rivedere gli antichi confini amministrativi e conoscere accuratamente il territorio, che naufragò momentaneamente e sarebbe stato realizzato solo negli anni Settanta. Tuttavia per circa un anno Morozzi si impegnò in un lavoro cartografico su vasta scala, compilando tante carte quante erano le giurisdizioni o vicariati civili.
Nello stesso periodo gli fu richiesto il progetto del teatro dei Varii di Colle, ma il suo disegno e gli alti costi di realizzazione non dovettero incontrare il favore dei concittadini, poiché il compito fu assegnato al più celebre Antonio Luigi Galli Bibbiena, che elaborò il prospetto definitivo dell’edificio, poi inaugurato nel 1762. Morozzi curò invece, nel 1779, la ristrutturazione del teatro dell’Accademia de’ Rinascenti di Poppi, ospitato nel castello medievale già residenza dei conti Guidi e da tempo in decadenza, di cui fu incaricato.
Altri periodi di imbarco sulla flotta granducale gli furono richiesti nel 1753, nel 1754 e nel 1755, anno in cui si recò a Cagliari (del soggiorno in tale città lasciò nelle sue Memorie una vivace descrizione), Tunisi e Malta, sbarcando infine a Livorno l’11 settembre: questo fu l’ultimo viaggio per mare intrapreso da Morozzi, ma solo nel luglio 1759 venne definitivamente sancito il suo abbandono la sua mansione di lettore di nautica.
Nel 1756 fu incaricato di coadiuvare, per la parte toscana, la deputazione che doveva risolvere la questione sorta tra il Granducato di Toscana e la Repubblica di Lucca a causa della regimentazione delle acque del lago di Bientina. La deputazione era guidata dai matematici Leonardo Ximenes per la Toscana e Ruggero Boscovich per Lucca: nella sua veste di ingegnere, Morozzi non si limitò al mero lavoro di livellazione e di rilievo cartografico ma partecipò attivamente all’elaborazione della proposta di risistemazione idrogeologica della zona di confine interessata. Dopo essersi recatosi a Vienna per illustrare il progetto all’imperatore, al suo rientro in Toscana Ximenes escluse gli altri componenti della deputazione dalla realizzazione e dalla gestione del progetto finale, suscitando il risentimento di Morozzi: da qui sorsero i contrasti che lo avrebbero contrapposto da allora in avanti al potente e influente matematico, di cui ancora nel 1763 criticò le proposte definitive dei lavori da farsi per la sistemazione del lago.
A seguito dello scoppio un’epidemia di febbri putride nell’estate 1759, nel settembre 1760 Morozzi ebbe l’ordine di portarsi nella contea di Pitigliano (Maremma senese) per sovrintendere e compiere i lavori di risanamento ambientale necessari, dalla creazione di un sistema fognario all’incanalamento delle acque stagnanti e al ripristino delle condutture dell’acquedotto: si preoccupò pure, facendo propri i nuovi orientamenti della medicina dei lumi, di rendere salubre l’aria favorendo la sua circolazione attraverso il taglio di piante, lavori che l’avrebbero occupato a più riprese anche negli anni successivi. Poco dopo gli furono affidati i rilevamenti dell’intero quartiere di S. Giovanni di Firenze al fine di stimare le imposizioni. Nel 1761 ebbe la nomina a ingegnere al servizio della deputazione sul fiume Arno, istituita allo scopo di porre rimedio alle inondazioni che colpivano Firenze e con la quale collaborò fino al 1765.
Si accinse all’opera con lo scrupolo e l’esattezza che contraddistinguevano la sua attività scientifica e di tecnico, procedendo alla ricostruzione storica e sistematica delle tante alluvioni provocate dal fiume e all’accurata descrizione fisica e topografica del suo corso: manifestando un’apertura mentale peraltro comune a molti scienziati e ingegneri formatisi alla cultura illuminista, non si limitò ad affrontare il mero dato tecnico ma lo inserì nel contesto, affrontando in modo realmente interdisciplinare i connessi problemi di carattere giuridico, sociale ed economico. Il frutto di tante fatiche e approfondimenti confluì nell’opera Dello stato antico e moderno del fiume Arno e delle cause e de’ rimedi delle sue inondazioni. Ragionamento istorico matematico, edita a Firenze in due parti: nel 1762 uscì la prima dedicata alla ricostruzione della «storia delle inondazioni», mentre la seconda, edita nel 1766, recava la descrizione dell’Arno dalla sorgente sino a Firenze; la terza e la quarta parte invece restarono tra le sue carte manoscritte.
Il 2 maggio 1762 Morozzi, a seguito di un processo da lui avviato da tempo, ottenne l’ambìto riconoscimento di nobiltà per sé e la famiglia : la nobilitazione ostinatamente perseguita era anche funzionale al matrimonio con la vedova Anna Sabina Holtzmann, che sposò il 13 dicembre di quello stesso anno.
In questo periodo probabilmente iniziarono i rapporti di amicizia e collaborazione con il medico e naturalista Giovanni Targioni Tozzetti, destinati a stringersi maggiormente negli anni seguenti e che si concretizzarono anche in una convergenza di interessi e in un comune lavoro di conoscenza del territorio: fu Morozzi, per esempio, a redigere alcune carte geografiche della Toscana pubblicate nella seconda edizione dell’imponente opera di Targioni, Relazioni d’alcuni viaggi fatti in diverse parti della Toscana per osservare le produzioni naturali e gli antichi monumenti di essa (12 volumi, Firenze 1768 -1779). Nel primo volume Targioni Tozzetti (ma forse la redazione si deve allo stesso Morozzi) spiega le motivazioni che lo hanno spinto a preferire il tipo di rilievo cartografico utilizzato dall’amico e ne dà una descrizione accurata, che mostra come Morozzi avesse utilizzato quanto di meglio esisteva nel campo della misurazione, rifacendosi a rilievi di geodesia astronomica precedenti fatti da scienziati quali i Cassini, Christopher Maire, Boscovich, Ximenes. Morozzi fornì pure utili informazioni che servirono a Targioni Tozzetti per la redazione delle Notizie degli aggrandimenti delle scienze fisiche accaduti in Toscana nel corso di anni LX del secolo XVII (Firenze 1780).
Legava i due anche il comune interesse per il mai compiuto disegno di realizzare un vasto ed enciclopedico dizionario storico e geografico della Toscana avviato in modo autonomo sin dagli anni Cinquanta. Se Targioni Tozzetti nel 1754 aveva pubblicato il suo Prodromo della corografia e topografia toscana, nel 1752 Morozzi, essendosi reso conto dell’importanza di questa opera di ricostruzione storica e antropologica per una effettiva e profonda conoscenza del territorio, aveva cominciato a «formare un dizionario istoriografo con ordine di alfabeto di tutti i luoghi e nomenclature di Toscana inserendo ad ogni luogo etiandio le memorie istoriche non risparmiando neppure il notarvi le più antiche etrusche ove si sono trovate, le iscrizioni, gl’uomini illustri in somma tutto quello che nelli spogli o di istorici stampati o manoscritti o nelli spogli di archivi ed altro ho potuto trovare» (Guarducci, 2008, p. 220).
Questa attività di recupero storico avvicinò tra il 1768 e il 1769 Morozzi a Giuseppe Pelli Bencivenni, anche lui interessato all’idea di un dizionario toscano: trovava che Morozzi aveva «raccolto un atlante di carte toscane che non ha il simile fra noi, ed ha sbozzato quel Dizionario topografico al quale penso da molto tempo» e aveva verificato che egli era «fornito di una buona copia di notizie, prese su i luoghi, ed estratte dagli archivi, di modo che mi è parso necessario affatto il trattare con esso dell’impresa del dizionario per guadagnare quanto egli ha fatto, e quanto ha raccolto. Egli ha mostrato di prestarsi volentieri, e di somministrar tutto» (Pelli Bencivenni, s. 1, XXIII, p. 104; s. 2, III, p. 418), ma anche in questo caso la vastità e l’impegno necessario alla realizzazione di tale opera non permisero di concretizzare e portare a termine il progetto.
In tale ambito di interessi devono essere posti l’Elogio di Niccolò Beltramini di Colle Valdelsa, un giureconsulto del XVI secolo, scritto da Morozzi e pubblicato a Lucca nel 1766 nel III tomo degli Elogi degli uomini illustri toscani raccolti da Pelli Bencivenni e Marco Lastri con l’intento di tratteggiare l’«istoria dello spirito umano», una storia civile di quanti si erano distinti negli studi e nelle attività utili, e la pubblicazione nel 1775 del volume, edito a Firenze per lo stampatore granducale Gaetano Cambiagi, Memorie di istoria ecclesiastica civile e letteraria di Colle di Valdelsa. Sezione prima: Istoria della Badia di S. Salvatore di Spugna, in cui Morozzi fece confluire tutti i rilievi e l’accurata descrizione effettuati nel 1760 poco prima della demolizione dell’edificio.
Certamente a seguito della pubblicazione della seconda parte dell’opera sull’Arno, il 7 ottobre 1767 Morozzi venne ascritto all’Accademia dei Georgofili in qualità di socio corrispondente, passando nel 1773 tra gli accademici ordinari. Partecipò attivamente ad alcune adunanze presentando vari contributi, fra cui il discorso sui terreni «frigidi» pronunziato nelle sedute del 3 febbraio e del 2 marzo 1768, immediatamente dato alle stampe e presentato al granduca Pietro Leopoldo (De’ pregiudizj delle terre frigide e loro rimedi..., Firenze, Nella stamperia Bonducciana, 1768), opera che richiamò l’attenzione del mondo agronomico italiano sul suo nome: la Società di agricoltura pratica di Udine lo volle tra i suoi soci, mentre Francesco Griselini fornì un resoconto in due puntate dell’opera sulle colonne del Giornale d’Italia spettante alla scienza naturale, organo ufficiale della rete di accademie agrarie venete e del rinnovamento agronomico italiano. Ma l’attività per i Georgofili non fu circoscritta a questo pur importante contributo. Nel 1777 fu nominato nella deputazione accademica incaricata di giudicare le dissertazioni che concorrevano al premio sul tema dell’arginazione dei fiumi; negli anni seguenti destinò all’Accademia almeno altre tre relazioni, tra cui quella presentata l’8 maggio 1782 su alcuni difetti dell’agricoltura, in particolare «del piantare». Altro riconoscimento che sanciva la sua grande abilità di disegnatore gli giunse il 7 dicembre 1776 quando ottenne la patente di accademico della prestigiosa Accademia del disegno di Firenze.
Il 17 agosto 1768 fu nominato secondo ingegnere dello Scrittoio delle regie possessioni, che gestiva il patrimonio granducale. In tale veste si occupò anche delle fattorie granducali con perizie, bonifiche, ristrutturazioni che rispondevano al disegno di Pietro Leopoldo di razionalizzazione produttiva del mondo agricolo attraverso l’attivazione di sperimentazioni destinate poi a essere diffuse tra i privati: queste comprendevano nuove forme di edilizia colonica, in grado di eliminare i difetti delle abitazioni rurali e di migliorarne complessivamente la salubrità e l’utilizzabilità ai fini di una più alta resa economica delle attività lì svolte, contemperando le esigenze di funzionalità con quelle legate alla comodità e praticità degli edifici.
Frutto esemplare di tale stagione è il trattato architettonico Delle case de’ contadini (Firenze 1770), dove Morozzi collegava le diverse tipologie di territorio (montagna, collina, pianura) a soluzioni tipologiche abitative differenti in grado di rispondere ai bisogni produttivi specifici di ciascuna area, fornendo indicazioni per la costruzione razionale delle fattorie, la partizione organica degli spazi abitativi e lavorativi e una lunga serie di suggerimenti concernenti le tante attività agricole che si svolgevano nelle case coloniche. L’opera ebbe grande successo e fu ristampata ancora nel 1807 e nel 1808.
Nel 1770 fu destinato al servizio della deputazione per il nuovo compartimento provinciale del Granducato presieduta da Pompeo Neri, con il quale collaborò strettamente. Riprendendo piani e riforme di riaccorpamento funzionale dei territori toscani, la deputazione aveva il compito di rivedere la suddivisione amministrativa della Toscana abrogando le antiche magistrature e giurisdizioni, secondo un criterio di semplificazione e razionalizzazione che, grazie a una concezione di geometria istituzionale altamente astratta, doveva portare a ridisegnare i confini giurisdizionali ereditati dal passato, cancellando gli antichi e complicati particolarismi municipali. L’abilità ingegneristica e cartografica di Morozzi fu un prezioso elemento per portare a compimento il progetto al quale si dedicò almeno fino al 1773, girando per tutta la Toscana per stabilire le sedi dei nuovi vicariati, risolvere problemi di accavallamenti tra le diverse giurisdizioni o rettificare i confini delle varie comunità.
Tra il 1777 e il 1783, quando lasciò gli incarichi pubblici, Morozzi si dedicò pressoché interamente alla realizzazione di una carta geografica generale della Toscana, oggi conservata nell’Archivio di Stato di Praga, redatta con «grande ricercatezza grafica e ornamentale» (Guarducci, 2008, p. 20) sulla scorta di accurate misurazioni geodetiche e astronomiche e portata a compimento nel 1784: la bellezza di quelle mappe era tale che Pietro Leopoldo diede disposizione agli agrimensori e cartografi Antonio, Francesco e Luigi Giachi, disegnatori a suo esclusivo servizio, di copiarne molte per conservarle nella sua raccolta cartografica personale.
Si trattava di un progetto risalente a parecchi anni prima e per la cui realizzazione Morozzi aveva ripetutamente presentato richieste al governo granducale e avanzato proposte, come quella stilata insieme con Perelli nel 1772. Impegno e lavoro di tutta la sua vita fu la certosina opera di raccolta di mappe, carte geografiche e cartografiche, vedute, piante e rilievi di chiese, palazzi e monumenti (pitture, statue, monete, bassorilievi), iscrizioni, ritratti di regnanti e uomini illustri (insomma, qualsiasi «memoria capace di essere effigiata in stampa o disegni», Guarducci, 2008, p. 251) che, nel suo enciclopedico e forse utopico disegno di accumulazione di dati di storia ecclesiastica, civile e politica, dovevano andare a formare un gigantesco Atlante toscano, una vera e propria «storia universale del Granducato di Toscana». In poco più di un trentennio accumulò più di 6000 carte, suddivise secondo l’ordine geografico per ogni singola podesteria, per un totale di 43 volumi.
Nel 1784 si era trasferito a Colle, dove visse il periodo finale della sua esistenza tra difficoltà economiche, cercando un compratore per il suo Atlante toscano.
Morì a Campiglia, nei pressi di Colle, il 3 dicembre 1785.
Ancora nel 1787 i suoi esecutori testamentari, tra i quali era Ottaviano Targioni Tozzetti, figlio di Giovanni, peroravano inutilmente perché il granduca acquistasse quell’ingens sylva che era l’Atlante morozziano, andato in seguito disperso.
Di Morozzi sono editi modernamente Carta geografica del Granducato di Toscana, con un saggio di G. Pansini, Firenze 1993; Delle case de’ contadini. Dagli archivi dei Georgofili (catal.), a cura di Lucia Bigliazzi - Luciana Bigliazzi, Firenze 1995.
Fonti e Bibl.: Firenze, Biblioteca nazionale, G. Pelli Bencivenni, Efemeridi, s. 1, XXII, pp. 52, 110 s.; XXIII, pp. 103-105; s. 2, III, p. 418; XI, p. 2093 (la trascrizione è consultabile on line); L. Cheluzzi - G.M. Galganetti, Serie cronologica degli uomini di merito più distinto della citta di Colle di Val d’Elsa, Colle 1841, pp. 29 s.; F. Dini, Le cartiere in Colle di Valdelsa e la famiglia Morozzi, in Miscellanea storia della Valdelsa, IV (1896), pp. 189-199; F. Rodolico, La Toscana descritta dai naturalisti del Settecento. Pagine di storia del pensiero scientifico, Firenze 1945, pp. 163-165, 332 s.; C. Pazzagli, L’agricoltura toscana nella prima metà dell’800, Firenze 1973, ad ind.; R. Francovich, Materiali per una storia della cartografia toscana: la vita e l’opera di F. M., in Ricerche storiche, 1976, n. 4, pp. 445-512; L. Rombai, Geografi e cartografi nella Toscana dell’Illuminismo. La politica lorenese di aménagement del territorio e le ragioni della scienza geografica, in Rivista geografica italiana, XCIV (1987), pp. 287-335; Id., La formazione del cartografo in età moderna: il caso toscano, in Cartografia e istituzioni in età moderna, Atti della Società ligure di storia patria, n.s., XXVII (1987), 1, pp. 374, 380, 395, 399, 402 s.; L. Rombai - D. Toccafondi - C. Vivoli, Cartografia e ricerca storica. Un problema aperto. I fondi cartografici dell’Archivio di Stato di Firenze, in Società e storia, X (1987), pp. 459-478; G. Orefice, F. M. architetto e ingegnere toscano, 1723-1785, Firenze 1989; Documenti geocartografici nelle biblioteche e negli archivi privati e pubblici della Toscana, Firenze 1987-90, ad ind.; La Toscana dei Lorena nelle mappe dell’Archivio di Stato di Praga. Memorie ed immagini di un Granducato (catal., Firenze), Roma 1991, passim; G. Pansini, La riforma delle circoscrizioni territoriali del Granducato di Toscana nella cartografia di F. M. e di Luigi Giachi, ibidem, pp. 59-76, 196-307; Imago et descriptio Tusciae: la Toscana nella geocartografia dal XV al XIX secolo, a cura di L. Rombai, Venezia 1993, ad ind.; M.A. Timpanaro Morelli, Per una storia di Andrea Bonducci (Firenze, 1715-1766). Lo stampatore, gli amici, le loro esperienze culturali e massoniche, Roma 1996, ad ind.; Codici e mappe dell’Archivio di Stato di Praga: il tesoro dei granduchi di Toscana (catal.), a cura di L. Bonelli Conenna, Siena 1997, ad ind.; L. Rombai, I matematici territorialisti toscani del Settecento, in Viaggi e scienza. Le istruzioni scientifiche per i viaggiatori nei secoli XVII-XIX, a cura di M. Bossi - C. Greppi, Firenze 2005, pp. 67-70; A. Guarducci, Cartografie e riforme. F. M. e i documenti dell’Archivio di Stato di Siena, Firenze 2008; Le mappe del fondo Asburgo di Toscana nell’Archivio nazionale di Praga, a cura di P. Benigni - G. Pansini, Fiorenze 2008, pp. 3, 5 e passim; A. Guarducci, L’utopia del catasto nella Toscana di Pietro Leopoldo. La questione dell’estimo geometrico-particellare nella seconda metà del Settecento, Borgo San Lorenzo 2009, ad indicem.