GIOVANELLI, Orazio
Figlio di Alessandro, notaio e vicario vescovile di Fiemme, nacque a Cavalese (nel Trentino) tra il 1586 e il 1592.
Alessandro, dopo un primo matrimonio nel 1568 con Lucia Corradini di Castello di Fiemme, si risposò, intorno alla metà degli anni Settanta del Cinquecento, con tale Chiesure di Carano, dalla quale ebbe numerosi figli. La data di nascita del G. si evince da alcune suppliche inviate dal padre al principe vescovo di Trento Carlo Gaudenzio Madruzzo (Degiampietro) e da un atto di compravendita risalente al 1620 con cui egli acquistava dai fratelli la casa paterna.
Dopo un iniziale accostamento alla pittura attraverso l'osservazione delle opere lasciate in valle da artisti itineranti provenienti dai territori limitrofi, il primo approccio con i modelli del tardo manierismo veneto da parte del G. va ricondotto, più che a un precoce discepolato svolto a Venezia nella bottega di Iacopo Negretti, detto Palma il Giovane (non dimostrabile né a livello stilistico né a livello documentario: Rapaggi, p. 75 n. 10), all'esperienza trentina e alla mediazione qui operata da F. Frigimelica, A. Vicentino, F. Brusasorci, e in particolare da M.T. Polacco: quest'ultimo, formatosi a Venezia accanto a Palma il Giovane, divenne "pittore aulico" alla corte del principe vescovo di Trento Carlo Gaudenzio Madruzzo nel primo ventennio del XVII secolo.
Il rapporto diretto del G. con l'ambiente lagunare è documentabile solo dal 1614 al 1628 quando è registrato tra gli iscritti alla fraglia dei pittori di Venezia (Pignatti). A questi anni è pertanto ipotizzabile la conoscenza di Palma il Giovane: e la conferma parrebbe venirne dalla coincidenza del suo ultimo anno d'iscrizione con l'anno di morte del pittore veneto (1628). Poche sono tuttavia le notizie che lo documentano in questi anni e, sebbene l'iscrizione alla fraglia implicasse una certa esperienza, in quanto conferiva il titolo di "legittimo maestro" (Favaro), non vi è traccia di una sua produzione precedente all'ammissione.
La prima testimonianza dell'arte del G. va individuata in un gonfalone, raffigurante da un lato un Santo vescovo, dall'altro S. Simone e s. Francesco (Cavalese, Museo Pinacoteca della Magnifica Comunità di Fiemme, deposito) databile agli ultimi anni del secondo decennio del Seicento e pertanto pressoché contemporaneo a due pale firmate e datate dall'artista: quella raffigurante i ss. Ulrico e Volfango, dipinta per la chiesa parrocchiale di Nova Ponente (ora nei depositi della canonica), l'altra nel 1621 per la parrocchiale di Trodena con i ss. Biagio e Sebastiano. Nel 1626 il G. eseguì un secondo lavoro per Nova Ponente dipingendo, nella chiesa di S. Agata, la pala con la Madonna, il Bambino e le ss. Agata e Lucia, il cui pesante restauro lascia ormai solo intuire il suo stile. In questo periodo la maggior parte delle sue opere appaiono destinate a una committenza di area tedesca, facendo ipotizzare l'intento dell'artista di volersi inserire in ambiente altoatesino, ove la concorrenza con il pittore della corte vescovile di Trento, Martino Teofilo Polacco, era forse meno forte. Una conferma potrebbe venire dall'acquisto della casa paterna a Cavalese nel 1620, nonché dalla richiesta di cittadinanza inoltrata alla giunta comunale di Bolzano nel 1621, gli stessi anni in cui Polacco lasciava il Trentino alla volta di Salisburgo.
Il mancato rilascio della residenza, che corrispondeva all'autorizzazione a esercitare la propria arte in quei territori, fece probabilmente maturare nel G. la scelta di trasferirsi a Dolo, nella riviera del Brenta, ove risiedette dal 1621 al 1628. In questi anni la sua attività non è più documentata e la sua condizione economica non dovette essere florida se, nel 1624, i numerosi debiti contratti sia a Cavalese, sia a Bolzano lo costrinsero a cedere al cognato la casa paterna. Il suo ritorno in valle va ricondotto al 1629 quando, il 5 agosto, compare come padrino al battesimo di Giovanni Paolo de Pollis e le sue opere tornano a essere presenti in territorio trentino e altoatesino.
Dal soggiorno veneto il G. rientrò carico di impressioni palmesche, bassanesche, ma soprattutto di Alessandro Varotari detto il Padovanino, che gli permisero di superare i rigidi impianti compositivi, ancora legati ai dettami postconciliari, in favore di una maggiore complessità rappresentativa. Ai nuovi modi sono improntate le due pale d'altare per la parrocchiale di S. Nicolò a Egna (nelle quali Rasmo vide la firma del G. e la data 1630, ora non più leggibili) raffiguranti l'Adorazione dei pastori e la Madonna col Bambino e i ss. Valentino, Vito e Giovanni Battista, una tela con S. Giovanni Battista (Cavalese, collezione privata) e un affresco con la Sacra Famiglia dipinto in questa stessa cittadina sulla facciata di una casa in via Garbari, nella quale si può ipotizzare sia vissuto al rientro da Dolo. Seppure di lui non siano note altre opere dipinte con questa tecnica, le affinità tipologiche con la Madonna col Bambino (già in collezione privata a Trento), attribuitagli da Rasmo nel 1943, e databile alla prima metà degli anni Trenta, permettono di riconoscergli l'affresco.
Nel 1632 rilasciò quietanza per la pala della chiesa di S. Valentino a Siror, raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Valentino e Carlo Borromeo (distrutta nel 1985), la cui commissione gli giunse per il probabile tramite dello scultore Giorgio Moena, artefice dell'altare ligneo che doveva ospitare la tela saldato nel 1627 (Fontana, 1947). Agli stessi anni è possibile datare un disegno raffigurante la Madonna col Bambino e s. Carlo Borromeo conservato a Cavalese nel Museo Pinacoteca della Magnifica Comunità di Fiemme, la pala dell'altare maggiore della chiesa di Casatta di Valfloriana con la Madonna col Bambino e i ss. Floriano e Antonio Abate, nonché quella con i Quattordici santi ausiliatori dipinta per la chiesa di S. Maria Assunta a Cavalese e oggi nella chiesa di S. Sebastiano.
Tale opera, dai biografi sempre considerata come il capolavoro dell'artista, venne attribuita da Rasmo nel 1982 a "pittore veneto vagante"; tuttavia, anche in considerazione del restauro subito nei primi anni dell'Ottocento per mano del pittore Carlo Vanzo, essa può essere restituita al G., sebbene non con una datazione al 1609 come sempre ritenuto dalla critica, bensì agli anni Trenta.
Nel quarto decennio del secolo emerge l'interesse del G. per le nuove correnti classiciste e naturaliste, conosciute attraverso i veronesi Pasquale Ottino e Alessandro Turchi; tali tendenze, fuse con le precedenti esperienze manieristiche, traspaiono nella pala con l'Assunzione della Vergine al cospetto degli apostoli, dipinta per la chiesa dei cappuccini di Casignano per la quale, oltre che per un quadro raffigurante il Beato Felice (ubicazione ignota), rilasciò quietanza il 18 ott. 1631. Nonostante le numerose commissioni, il suo reddito non doveva essere variato molto se, nel 1632, in un prospetto dei contribuenti della Valle di Fiemme, viene registrato come nullatenente ed esonerato dal pagamento delle tasse. Nel 1636 firmò e datò la pala per la parrocchiale di Pieve di Marebbe raffigurante la Madonna col Bambino e i ss. Domenico e Caterina da Siena.
All'ultimo periodo di attività del G. è possibile ricondurre la Madonna col Bambino e i ss. Cecilia, Andrea e Francesco, già nella chiesa di Mattarello e ora nel Museo diocesano di Trento. Nei cromatismi cangianti e nella pennellata di tocco quest'opera sembra infatti anticipare gli ultimi esiti dell'arte del G. espressi nel Martirio di s. Vigilio, dipinto per l'altare maggiore della chiesa di Cortaccia certamente dopo il 23 giugno 1635, quando il maestro falegname Hans Wolf Modl venne pagato per la costruzione del nuovo altare maggiore; inoltre Rasmo, in un suo appunto conservato al Museo civico di Bolzano, la dice firmata "Hocio Giovanelli P." (Felicetti, 1990-91, p. 139).
Si tratta dell'ultima vigorosa impennata nell'attività dell'artista che nella materia sfrangiata, nell'effetto di una pasta schiumosa, vibrante e intrisa di luce, pare tradire la conoscenza di B. Strozzi avvenuta forse durante un successivo viaggio a Venezia. Con questo tipo di pittura il G., insieme con i suoi allievi e successori, diede inizio in Valle di Fiemme a uno sviluppo coerente e continuativo dell'arte pittorica che permise il definitivo superamento della necessità di importare arte e artisti dalle regioni limitrofe e preparò il terreno alla nascita, nel secolo successivo, della scuola pittorica di Fiemme.
Il G. morì, probabilmente a Cavalese, tra il 1639 e il 1640.
Il perduto progetto per l'altare maggiore della parrocchiale di Merano, ideato dal G. e dallo scultore meranese Helias Hendl, rappresenta l'ultima testimonianza che, rimasta incompiuta, permette di risalire all'anno della sua morte: nel 1639 l'allievo Antonio Zeni venne infatti incaricato dal maestro, ormai infermo, di recarsi a Merano per ritirare la somma dovutagli per il progetto (Rasmo, 1981); nel 1640 la decorazione pittorica dell'altare venne affidata ad altri (Moeser, 1927).
Fonti e Bibl.: Urbario della Pieve di Cavalese (a partire dal 1509), c. 73rv (già Arch. stor. della Magnifica Comunità di Fiemme); Cavalese, Biblioteca G.P. Muratori: A. Giovanelli, Schreibcalender mit eingefühlter Ora auf das Jahr M.D.LXXXII… (con aggiunte del figlio Gian Giacomo); Ibid., Atti del Notaio Giangiacomo Giovanelli, libro C: Emptio d. Horatij Ioannelli pictoris Cavalesij ab Eg.° d. Gilimberto Ioannello eius fratre Notario habitatore Cadrani, c. 351; ibid.: Emptio & cessio antescripti d. Joannis Bozetta nomine proprio… Ioannelli eius ex patri uxoris nepotis, a d. 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