GRANDI, Orazio
Nacque a Montecatini (l'odierna Montecatini Terme) il 13 genn. 1851 da Arcangelo, avvocato, amico di G. Giusti e di F. Carrara, e da Enrichetta Del Grande Pierallini. Trascorse gli anni dell'infanzia in campagna, presso Poggio alla Guardia, come testimoniato da lui stesso in Poggio alla Guardia (ricordo d'infanzia) (in Charitas. Strenna per gli inondati, promossa dal G. con B.E. Maineri, Roma 1882-83, pp. 114-116). Pers0 il padre all'età di nove anni, dopo aver compiuto gli studi elementari a Montecatini frequentò per tre anni il collegio Vittorio Emanuele di Arezzo, per poi approdare al liceo Dante di Firenze, che lasciò per un istituto tenuto dagli scolopi. Non avendo i mezzi per continuare gli studi, concorse a un posto nell'amministrazione pubblica e, con decreto 11 sett. 1871, fu assegnato agli uffici della Corte dei conti, il che comportò il suo trasferimento a Roma.
Intanto il G. si dedicava con passione alla scrittura. A venticinque anni fece uscire il suo primo romanzo, Margherita, o Sulle rive del Trasimeno (Firenze 1875), lacrimevole storia di un amore impossibile, condotta con mano decisamente proclive a commuovere il lettore. Altra storia d'amore con potenziale triangolo e matrimonio finale dopo il suicidio del terzo incomodo è il secondo romanzo, La zingara (Prato 1876), assai più ricco però di vicende periferiche, recensito tra gli altri da P. Fanfani e da F. Martini. Seguì un'opera dal titolo esemplarmente indicativo, L'angelo del focolare (Siena 1876), in cui una vicenda intessuta d'amore, vita campagnola e bohème aumenta il ricorso allo psicologismo e ai toni dell'idillio. Nel 1877 pubblicò il romanzo Cinquant'anni (Siena; nella successiva edizione presso Treves [Milano 1894] il titolo sarebbe stato mutato in Destino), in cui la vita del protagonista Giuliano Andrei, narrata in prima persona, era segnata da un amore negato che solo nel finale approdava all'inevitabile matrimonio.
Dopo le accoglienze non entusiastiche riservate a quest'ultima fatica, il G. si dedicò a quello che sarebbe stato considerato il suo romanzo più riuscito, L'abbandono, pubblicato per i tipi di Le Monnier a Firenze nel 1878.
Tema dell'opera era la vita del popolo fiorentino, il che indusse alcuni recensori ad accostarla all'Assommoir di É. Zola. Siamo però lontani dalle più autentiche ruvidezze rappresentative del naturalismo e il distacco dell'autore è ben visibile nel paternalismo di fondo: i lavoratori che fanno da cornice alla narrazione dopo vari stenti trovano soccorso nella figura fortemente idealizzata di un sacerdote, don Marcello, e nella generosità di una famiglia nobile, i conti Pierotti; i due protagonisti, gli operai Lella e Cecchino, vivono una lacrimevole e tormentosa storia d'amore, che sbilancia il romanzo verso il feuilleton. Lella si trova malmaritata, sposata a un impiegato corrotto, poi amante di Cecchino; entrambi cessano di lavorare e cadono in miseria dopo essersi coperti di debiti: da questa situazione, dopo la morte della madre, Cecchino fugge lasciando Lella che, disperata, si suicida gettandosi nell'Arno. Anche dall'esposizione sommaria della trama riesce chiaro l'intento moralistico e politicamente inerte dell'autore. Va aggiunto che la prima edizione di L'abbandono contiene larghe macchie vernacolari, che vennero però in gran parte eliminate nella seconda edizione del 1884.
Nel 1881 il G. concorse, senza successo, al posto di vicebibliotecario del Senato. Come impiegato della Corte dei conti progredì invece ai gradi di applicato, vicesegretario, archivista, archivista capo (nomina, questa, giunta con decreto del 1° ag. 1907), arrivando più tardi a ottenere l'incarico di bibliotecario. A Roma il G. partecipava intanto alla vita mondana, accolto nei salotti delle case Cairoli e Caetani Lovatelli: tra i molti amici vanno ricordati B. Cairoli, T. Mamiani, R. Bonghi, E. Nencioni, P. Giacometti, V. Bersezio, L. Capuana, F. Martini e, non ultimo, E. De Amicis (con il quale, come con molti altri, fu in corrispondenza). Queste e altre conoscenze gli aprirono la strada della collaborazione - in alcuni casi molto fitta - con le maggiori riviste letterarie italiane (tra le altre, Nuova Antologia, L'Illustrazione italiana, La Rassegna nazionale, La Rivista italiana, Il Fanfulla della domenica, Cronaca d'arte, La Riviera ligure), sulle quali pubblicò articoli, racconti, poesie e bozzetti.
Dopo L'abbandono, vennero altri romanzi: Il cugino Riccardo (Cesena 1886; poi, con il titolo La nube, Milano 1904), nuovamente di ambientazione borghese; quindi Tullo Diana (Torino 1890), il cui protagonista, un pittore, si muove nella vita artistica romana e fiorentina.
All'attività di romanziere il G. affiancò una fervida vena di novelliere e bozzettista. Il bozzetto Storia di un passero (Firenze 1875), più volte ristampato con illustrazioni, divenne un piccolo classico della letteratura per l'infanzia. Tra le numerose novelle, in genere apparse in prima stampa all'interno di riviste, si possono ricordare quelle raccolte nel volume Macchiette popolari (Ancona 1881), poi riapparso in seconda edizione nella "Biblioteca amena" di Treves con il titolo Macchiette e novelle (Milano 1884), seguito da ulteriori edizioni accresciute; Silvano (ibid. 1900), contenente sette novelle prima pubblicate nella Nuova Antologia; Fior di monte (Torino 1908), caratterizzato dalla particolare aura di toscanità; Per punto d'onore (Milano 1910), che riprende tre racconti lunghi già pubblicati in passato in rivista o in volume. Nella produzione di narrativa breve il G. si mostra attratto dall'estro vernacolare, spesso giungendo a risultati di chiara natura linguaiola, nella direzione seguita in quegli anni con maggior spicco da P. Fanfani e dal lessicografo P. Petrocchi.
Il G. fu anche poeta. Le sue prime liriche apparvero nel giovanile prosimetro Fantasie e fiori (Firenze 1873); seguirono il volume Battiti d'ale (Roma 1880) e molte poesie sparse pubblicate in rivista. Da ricordare anche il volume Dizioni (Firenze 1920), contenente vari discorsi del G., tra cui L'anima di E. De Amicis, Per il centenario di G. Giusti e il patriottico Per i nostri soldati di guerra e di mare.
Nel nuovo secolo la vena del G. era in larga parte svanita. La sua fortuna di narratore era ormai da molti anni scemata, tanto che, se G. Mazzoni lo citò nel suo Ottocento vallardiano, il G. non comparve nelle successive storie letterarie e nelle pur numerose antologie di letteratura toscana ottocentesca.
Dopo il pensionamento (decreto del 18 sett. 1911), si trasferì a Firenze, dove proseguì la sua attività di organizzatore culturale. Proprio dopo aver appena allestito il primo numero di una rivista da lui diretta, La Vita, il G. morì a Firenze il 12 nov. 1922.
Fonti e Bibl.: Necr. in L'Illustrazione italiana, 19 nov. 1922, p. 610; V. Genovesi, L'arte negli scritti di O. G.: quattro lettere, Firenze 1891; G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, II, p. 1345; A. De Rubertis, O. G., in Id., Varietà storiche e letterarie. Con documenti inediti, Pisa 1935, pp. 429-482.