LANCELLOTTI, Orazio
Nacque a Roma nel 1571 da Paolo e da Giulia Delfini. Il padre ricoprì cariche di rilievo nel governo dell'Urbe; nel 1589 ottenne l'ambito seggio di conservatore di Roma e l'ascrizione della famiglia alla nobiltà.
Giunti a Roma alla metà del secolo precedente, i Lancellotti riuscirono a conquistare una collocazione prestigiosa nella città. L'unione con i Delfini, nobili romani presenti nel governo municipale e legati da vincoli di parentela e amicizia a membri della più antica nobiltà cittadina, contribuì a sua volta a consolidare l'ascesa sociale ed economica della famiglia, di cui poterono beneficiare il L. e i suoi fratelli (fu il primo di sette), avviati alla carriera ecclesiastica, a quella militare, al governo municipale o, nel caso delle sorelle, a prestigiose unioni matrimoniali.
Il L. compì studi giuridici a Perugia con il fratello Giovanni Battista e partecipò alla vita culturale della città (fu membro dell'Accademia letteraria degli Insensati) probabilmente negli stessi anni in cui a Perugia studiava diritto Scipione Borghese. L'omonimia con l'Orazio figlio del giureconsulto perugino Giovanni Paolo Lancellotti ha indotto in confusione. Diversi sono del resto gli aspetti della vita del L. su cui le notizie riportate dalle fonti risultano contraddittorie e fondate su un'aneddotica difficilmente verificabile. È incompatibile con l'età del L. la notizia ricorrente che lo vuole già uditore di Rota con Gregorio XIII nel 1583, né va dato credito a chi lo dice uditore, appena diciottenne, con Sisto V. Fu invece nel 1597 (secondo alcuni nel 1596) con nomina di Clemente VIII Aldobrandini, che il L., già nominato canonico di S. Pietro il 31 maggio dell'anno precedente, ottenne l'uditorato (conservat0 fino al 1611), grazie ai buoni uffici dello zio, il cardinale Scipione, che aveva tenuto la stessa carica fino al 1585. Ben visto dalla cerchia di papa Aldobrandini, il L. fu anche uditore del sacro palazzo apostolico e uditore della Camera apostolica.
Furono anni in cui il L. strinse e consolidò legami importanti, come quelli con Michelangelo Tonti - unito ai Borghese da ottimi rapporti e quindi molto vicino al futuro pontefice Paolo V, che nel 1608 lo creò cardinale - e con Fulvio Orsini, di casa presso la famiglia materna del L., già legato allo zio Scipione, che gli era stato amico e consigliere nella missione diplomatica nella Francia di Carlo IX. Con il primo il L. condivise la vicinanza ai religiosi delle Scuole pie e all'Ordine dei frati minimi. Al secondo lo legò il gusto per l'arte e il collezionismo antiquario; dell'Orsini il L. fu inoltre esecutore testamentario ed erede di una parte della sua collezione di manoscritti greci e latini.
La connotazione politica del L. fu in linea, fin da allora, con quella familiare. Fu come lo zio Scipione vicino alla Francia e servì gli interessi a Roma del Granducato di Toscana, dietro un compenso annuo che non doveva essere di poco conto. Apprezzato per l'equilibrio del suo operato in Rota e stimato, pur rimanendo in ombra di fronte alla notorietà dello zio, dalle alte gerarchie ecclesiastiche, fu designato ancora da Clemente VIII come referendario di entrambe le Segnature. Dopo la morte dello zio, nel 1598, fu con il pontificato di Paolo V che la vicinanza con Scipione Borghese e la protezione di Michelangelo Tonti consentirono al L. di consolidare la sua posizione in Curia e perseguire l'obiettivo del cardinalato. Dopo essersi visto confermare la presenza nella Segnatura di grazia e dopo aver ricevuto, il 14 ott. 1609, l'incarico di reggente del tribunale della Penitenzieria apostolica, fu elevato al cardinalato da Paolo V nella sua quarta creazione, il 17 ag. 1611, che aggiunse al Collegio undici membri. Il 12 sett. 1610 il L. divenne cardinale prete del titolo di S. Salvatore in Lauro, appartenuto allo zio dal 1587, anno in cui il titolo cardinalizio era stato trasferito dalla chiesa di S. Simeone Profeta.
Su via dei Coronari, dove si trovavano le due chiese, il L. stava in quegli anni sovrintendendo al completamento della costruzione del palazzo di famiglia, iniziato intorno al 1591 da Scipione con lo scopo di consolidare, attraverso una dimora gentilizia nel cuore della città, l'immagine e il prestigio dei Lancellotti e la loro collocazione nell'ambito dell'aristocrazia. Al momento della morte, Scipione aveva indicato come suoi eredi i quattro nipoti figli del fratello Paolo (il secondogenito, Francesco, era morto nel 1591), disponendo che potessero abitare nel palazzo e riservando al primogenito, il L., il diritto di prelazione sulla scelta dell'appartamento. Il L. affidò a Carlo Maderno il compito di completare il progetto del palazzo (Scipione aveva incaricato Francesco Capriani da Volterra, morto nel 1594), e ad Agostino Tassi quello di realizzare gli affreschi della famosa sala dei Palafrenieri, del cortile e delle sale del pian terreno, dove Tassi fu affiancato, dopo la morte del L. e per volere del fratello Tiberio (suo unico erede), da pittori come il Guercino e Giovanni Lanfranco.
Il palazzo testimonia il gusto per l'arte e per l'antiquariato del L., che adornò il cortile e le scale con la sua collezione di statue antiche e bassorilievi. Nel 1610 il L. dette ulteriore prova del suo mecenatismo facendo restaurare la vicina chiesa di S. Simeone Profeta.
Nel 1616 il L. succedette al cardinale Francesco Maria Del Monte nella carica di prefetto della Congregazione del concilio, istituita da Pio IV nel 1564 con il compito di vigilare sulla corretta interpretazione e applicazione dei decreti tridentini. In tale veste si trovò a pronunciarsi sull'opportunità di incoraggiare o sopprimere gli istituti femminili delle "Gesuitesse", fondati in varie città d'Europa sul modello gesuitico dall'inglese Mary Ward, che in diverse occasioni si rivolse ai pontefici per spiegare gli scopi della sua fondazione, accusata di contravvenire al precetto della rigorosa clausura decretata a Trento per le religiose: quando nel 1616 fece appello a Paolo V, il L., interpellato come prefetto della congregazione, non precluse la strada allo sviluppo del nuovo Ordine, che invece fu sospeso definitivamente da Urbano VIII nel 1631.
Viene spesso ricordata una concreta attenzione del L. per le fondazioni e gli ordini religiosi: in buoni rapporti con i gesuiti, fu vice protettore dell'Ordine dei frati minimi fondato da s. Francesco di Paola; fu vicino al neonato Ordine degli scolopi (cui lasciò 6000 scudi in eredità) e ai padri dell'Oratorio. Proprio alla Chiesa Nuova il corpo del L. fu traslato subito dopo la morte, avvenuta il 9 dic. 1620 (G. Gigli la fa risalire al 21 novembre), prima di essere trasferito nella basilica di S. Giovanni in Laterano, nella cappella di famiglia fondata alla fine del secolo precedente dal cardinale Scipione.
Fonti e Bibl.: G. Gigli, Diario romano (1608-1670), a cura di G. Ricciotti, Roma 1958, p. 47; G.B. Cantalmaggi, Selectanea rerum notabilium ad usum decisionum Sacrae Rotae Romanae…, Romae 1639, pp. 257, 259; Id., Syntaxis Sacrae Rotae Romanae auditorum…, Romae 1640, pp. 7, 34, 37, 42; P. Mandosio, Bibliotheca Romana seu Romanorum scriptorum centuriae…, II, Roma 1692, pp. 42 s.; O. Panciroli, Descrizione di Roma moderna…, Roma 1727, p. 331 (cita un Girolamo Lancellotti, ma si tratta del L.); F. Cerasoli, Diario di cose romane degli anni 1614, 1615, 1616, in Studi e documenti di storia e diritto, XV (1894), pp. 268, 272, 284, 287; T. Amayden, La storia delle famiglie romane, con note e aggiunte di C.A. Bertini (1910), II, Roma 1987, p. 15; B. Katterbach, Sussidi per la consultazione dell'Archivio Vaticano, II, Referendarii utriusque signaturae…, Roma 1931, pp. 219, 235; L. von Pastor, Storia dei papi, XII, Roma 1930; XIII, ibid. 1931, ad indices; R. De Maio, Alfonso Carafa cardinale di Napoli(1540-1565), Roma 1961, p. XIV; N. Del Re, I cardinali prefetti della sacra congregazione del Concilio dalle origini ad oggi (1564-1964), in La sacra congregazione del Concilio…, Roma 1964, pp. 271, 307; P. Cavazzini, Palazzo Lancellotti ai Coronari. Cantiere di Agostino Tassi, Roma 1998, ad ind.; A. Koller, Paolo V, in Enc. dei papi, III, Roma 2000, p. 291; Hierarchia catholica, IV, p. 12.