LUDOVISI, Orazio
Nacque a Bologna nel 1561 dal conte Pompeo e Camilla Bianchini. La famiglia Ludovisi, impegnata nelle attività finanziarie, apparteneva alla fazione contraria ai Bentivoglio, signori di Bologna tra il 1446 e il 1506, e dopo il definitivo passaggio della città sotto il dominio pontificio era stata inclusa nei Quaranta, cioè nel gruppo di casate ammesse a partecipare al governo municipale; quindi, era stata insignita da papa Leone X del senatorato, titolo che faceva accedere al vertice dell'élite cittadina. Lo stesso L. ricoprì diversi incarichi politici municipali: nel 1590 e 1595 fu degli Anziani, nel 1611 e nel 1617 gonfaloniere; quindi, dal 1618 senatore di Bologna.
A influire infine sulla biografia del L. fu la carriera ecclesiastica del fratello Alessandro; questi, infatti, era pervenuto il 19 sett. 1616 al cardinalato e il 9 febbr. 1621 era stato eletto papa, con il nome di Gregorio XV. Dopo poche settimane, nei primi giorni del marzo 1621, il L. fu nominato prefetto delle fortezze di Perugia, Ancona, Ascoli, e governatore di Benevento, cariche che garantivano cospicue entrate. Quindi, l'11 marzo 1621 il L. ricevette il grado di "governatore generale delle armi e di tutte le milizie di Santa Romana Chiesa", solito concedersi ai più stretti consanguinei dei pontefici regnanti.
Il L., che dopo la morte del fratello Girolamo (1591) deteneva il titolo di conte di Samoggia e Tiola, si recò a Roma proprio negli stessi giorni, insieme con la moglie, Lavinia Albergati (sposata nel 1594), e con i figli Ludovico e Niccolò. Giunse il 12 marzo 1621 a Bracciano, feudo della famiglia Orsini, e il giorno seguente fu accolto alle porte di Roma da cardinali e da altri membri della corte pontificia. Entrato in città, prese alloggio in un primo tempo presso il palazzo Orsini di Campo de' Fiori. Il 17 marzo prestò giuramento come comandante supremo degli Eserciti pontifici (carica per la quale riceveva mensilmente circa 770 scudi d'oro).
Il L., apparso agli ambasciatori veneziani che erano giunti a congratularsi con il pontefice "buon cavaliere, di natura ingenua, non molto propenso al sussiego et al punto" (Relazioni degli Stati europei(), non rimase inoperoso nella sua carica di generale di S. Chiesa; poteva contare sull'aiuto di importanti nobili militari romani: Federico Savelli, luogotenente generale, Giovan Antonio Orsini, generale della cavalleria, Giovan Battista Naro, sergente maggiore generale. Subito il L. li sollecitò a curare gli ordinamenti militari, ribadendo di non "aver altro desiderio, che il vedere che il servitio di Nostro Signore camini bene" (a G.A. Orsini, Roma, 4 sett. 1621, in Arch. stor. Capitolino, Archivio Orsini, parte I, 99, n. 122). La sua attività, tuttavia, si limitò al coordinamento dell'operato degli ufficiali insediati sul territorio dello Stato.
Né il L. si impegnò sul campo, come invece avevano fatto diversi predecessori nella carica: quando Gregorio XV nel giugno 1621 decise di arruolare un reggimento tedesco a spese della Camera apostolica in aiuto all'imperatore impegnato nella prima fase della guerra dei Trent'anni, comandante del contingente fu nominato non il L., bensì Pietro Aldobrandini, il figlio del generale di S. Chiesa Gian Francesco, morto in Croazia nel 1601 durante la guerra contro i Turchi. Se il L. non appariva disponibile a lasciare Roma era anche perché impegnato a fondo nel consolidamento delle fortune familiari. In quei mesi, infatti, si stavano concludendo due importanti trattative: per l'acquisto del feudo di Fiano e per il matrimonio della figlia Ippolita.
Il feudo di Fiano, appartenuto agli Orsini sin dal XIII secolo, era passato agli inizi del Seicento al cardinale Francesco Sforza, che l'aveva eretto in ducato per Sforzino, suo figlio naturale legittimato. I Borghese, congiunti del papa Paolo V, si erano dimostrati interessati all'acquisto del feudo e nel 1620 avevano concluso un contratto preliminare. Ciò non scoraggiò il L., che intavolò trattative con gli Sforza per mezzo di un emissario, Carlo de' Ghetti. La compravendita fu così conclusa il 7 giugno 1621, al prezzo di 220.000 scudi, e il L. assunse il titolo di duca di Fiano. L'enorme somma fu garantita dall'erario pontificio: il L. spese infatti i 110.000 scudi della Camera apostolica ricevuti dal pontefice come donativo e per il resto della somma pattuita attinse al debito pubblico (attraverso i due Monti di Fiano istituiti da Gregorio XV per un capitale complessivo di più di 130.000 scudi). Seguì l'erezione della primogenitura e fedecommesso sui beni del L., compresi il ducato di Fiano e le proprietà di Bologna, certificata dallo stesso papa Ludovisi il 5 nov. 1621.
Per sancire definitivamente l'ingresso della famiglia Ludovisi nella più alta nobiltà romana era altresì necessario un parentado prestigioso. L'ipotesi più prevedibile era quella di un matrimonio Ludovisi-Aldobrandini, stante lo stretto legame del papa con il cardinale Pietro Aldobrandini e la sua fazione nella corte di Roma. Così, dopo l'arrivo del L. a Roma, subito si intrecciarono trattative per concludere il matrimonio tra la figlia Ippolita e Giovan Giorgio Aldobrandini, il primogenito del casato. Il contratto fu concluso il 2 apr. 1621: la dote della figlia del L. sarebbe stata di 100.000 scudi, finanziati attraverso il debito pubblico pontificio (in particolare attraverso il Monte delle Allumiere). Il matrimonio fu poi celebrato il 25 aprile nella cappella Sistina alla presenza del pontefice. Nel contempo, per il figlio cadetto del L., Niccolò, si stava preparando un importante matrimonio nel Regno di Napoli, quello con Isabella Gesualdo.
Conclusa la fase del consolidamento delle fortune familiari, il L. si occupò della riorganizzazione amministrativa degli ordinamenti militari territoriali e, nel luglio 1622, promosse una nuova edizione dei Capitoli et leggi da osservarsi( dalle militie a piedi, et a cavallo dello Stato ecclesiastico (Roma 1622: un esemplare intestato con il nome del L. è nell'Arch. segr. Vaticano, Miscellanea, Arm. IV-V, t. 73, cc. 161-176). Nello stesso anno, un collaboratore del L., il bolognese Cornelio Bentivoglio, collaterale e pagatore dell'esercito, gli presentò un riepilogo delle "milizie", gli ordinamenti non professionali stanziati su tutto il territorio dello Stato per prestare servizio temporaneo e ausiliario: si trattava di 60.170 fanti e circa 6000 cavalieri. Seguì il maggior impegno nel comando delle armate pontificie: la guida di un corpo di spedizione inviato da Gregorio XV in Valtellina.
I cattolici della Valtellina, regione strategica per gli interessi della Monarquía e dell'Impero, si erano liberati dal dominio dei Grigioni nel 1620, aiutati dagli Spagnoli. Ne erano scaturiti attriti tra le Corone di Francia e Spagna, composti nell'aprile 1621 dal trattato di Madrid che prevedeva la restituzione della Valtellina ai Grigioni, insieme con alcune garanzie per il culto cattolico nella valle. Il trattato era rimasto inapplicato e, acuendosi le tensioni nella valle, gli Spagnoli ne avevano presidiato i passi con fortificazioni. Un nuovo conflitto in Europa sembrava vicino e la diplomazia pontificia aveva offerto la sua mediazione: così, il 14 febbr. 1623, Gregorio XV e il re di Spagna avevano concluso un accordo che prevedeva il ritiro degli Spagnoli, il deposito dei forti alle truppe pontificie, il loro successivo smantellamento.
A Roma si doveva decidere sulla guida del contingente. Superate le candidature di Francesco Colonna (del ramo di Palestrina) e del marchese Alessandro Ridolfi, a metà marzo 1623 la scelta del papa cadde sul L., facendo nascere il sospetto - diffuso dall'ambasciatore veneziano - che, data l'eccezionale ascesa sociale della famiglia Ludovisi, egli volesse addirittura infeudare la valle al fratello. Erano voci infondate: comunque, la nomina del L. dovette attendere il benestare dei sovrani di Francia e Spagna; pertanto solo all'inizio di aprile Gregorio XV investì il L. del comando generale della spedizione in Valtellina e fece avviare i preparativi per la formazione del contingente, forte di 13 compagnie di fanteria e 3 di cavalleria.
Al L. furono consegnate due istruzioni, datate entrambe 5 apr. 1623. La prima riassumeva l'ultimo secolo di storia della Valtellina ed esponeva gli scopi della missione, aggiungendo dettagli sul governo del contingente inviato. In particolare, al L., prescelto dal papa "per dimostrare al mondo quanto le sia a cuore il negotio" (Die Hauptinstruktionen Gregors XV., p. 941), si comandava di prendere contatti con Gómez Suárez de Figueroa, duca di Feria, governatore dello Stato di Milano, e di guadagnarne l'appoggio; di avere buoni rapporti con i rappresentanti della valle; di non intervenire nelle questioni politiche locali. Infine, doveva vigilare sulla disciplina dei soldati pontifici, che rappresentavano l'immagine della Sede apostolica in un contesto assai spinoso. Quanto alla seconda istruzione, vi erano contenuti dettagli sulla materia cerimoniale, per disciplinare il protocollo degli incontri che il L. avrebbe avuto via via: era infatti "gran tempo" - gli si scriveva - "che niun fratello del papa è stato destinato per publici affari a' principi o per operare alcuna attione in servigio di questa Santa Sede; e quindi tutta l'Italia ha rivolti gli occhi verso di V.E." (ibid., p. 953).
Il L. lasciò Roma il 5 aprile accompagnato da Giovan Antonio Orsini, Federico Savelli, Pierfrancesco Colonna e da un seguito non molto provvisto. Imbarcatosi a Civitavecchia, raggiunse Genova. Quindi, il 27 apr. 1623 entrò a Milano, dove ebbe subito colloqui con il duca di Feria. Per quasi tutto il mese seguente, il L. si impegnò per preparare l'ingresso del contingente pontificio in Valtellina. Avvertita la Segreteria pontificia dei timori dei cattolici di quelle valli per un ritorno sotto il dominio dei Grigioni (protestanti), egli tentò di controllare le diffidenze che Valtellinesi e Spagnoli continuavano a nutrire nei confronti dell'operazione; nel contempo, denunciava espressamente "la poca voluntà, che si vede in chi dovria aiutar l'opera" (al card. Ludovico Ludovisi, Milano, 4 maggio 1623, in Biblioteca apostolica Vaticana, Boncompagni-Ludovisi, E.83, c. 172v), alludendo al comportamento del governatore di Milano. Anche le spese per il mantenimento del contingente pontificio si dimostravano molto più elevate del previsto: il L., di fronte agli esigui finanziamenti erogati da Roma dovette avvisare che "i 26.000 scudi rimessi sono un'insalata" (al medesimo, ibid., c. 198v); e avvertì dei pericoli di lasciare i militi senza paghe in terra straniera e di fronte a popolazioni ostili. Nondimeno, mise a punto le tappe di trasferimento del contingente, che da Milano avrebbe raggiunto il lago di Garda, per poi sbarcare a Gravedona; quindi, alla fine di maggio, entrò in Valtellina alla testa della truppa. L'occupazione dei forti fu sostanzialmente portata a termine all'inizio del giugno 1623. Il L. poté così lasciare il comando a Niccolò Guidi di Bagno (nominato luogotenente generale il 10 maggio) e iniziare il ritorno a Roma: la missione gli aveva guadagnato quasi 10.000 scudi di paga, 5000 come anticipo, 150 al giorno come diaria.
Durante il viaggio transitò nella città natale. L'ingresso a Bologna, il 14 giugno 1623, fu oggetto di articolate cerimonie e fu seguito da un fastoso banchetto. Lasciò la città il 18, dopo aver partecipato alla processione del Corpus Domini in abito di senatore. Rientrato a Roma il 30 giugno, sopraggiunse la notizia della morte di Gregorio XV, l'8 luglio 1623.
Il L. morì a Roma poco dopo, all'inizio di novembre 1624.
Aveva avuto quattro figli: il cardinale Ludovico, Niccolò che ereditò titoli e patrimonio, Virginia, destinata al chiostro, e Ippolita.
Fonti e Bibl.: Biblioteca apost. Vaticana, Boncompagni-Ludovisi, E.83 (carteggio del L. durante la missione a Milano e in Valtellina); Relazioni degli Stati europei lette al Senato dagli ambasciatori veneti nel secolo decimo-settimo, a cura di N. Barozzi - G. Berchet, s. 3, I, Venezia 1877, p. 117; Die Hauptinstruktionen Gregors XV. für die Nuntien und Gesandten an den europäischen Fürstenhöfen 1621-1623, a cura di K. Jaitner, Tübingen 1997, ad ind.; L. von Pastor, Storia dei papi, XIII, Roma 1931, ad ind.; Legati e governatori dello Stato pontificio, 1550-1809, a cura di Chr. Weber, Roma 1994, pp. 141, 745; G. Brunelli, Soldati del papa. Politica militare e nobiltà nello Stato della Chiesa (1560-1644), Roma 2003, ad indicem.