MICHI, Orazio (Orazio dall’Arpa)
Nacque intorno al 1595 ad Alife, nel Casertano, da Nicolò; si ignora il nome della madre.
Circa la sua formazione musicale, Cametti ipotizzò che potesse essere avvenuta a Napoli, dal momento che il M. era un virtuoso di arpa doppia, strumento all’epoca particolarmente diffuso in quella città. Nessun documento tuttavia sembra avvalorare questa ipotesi.
Al più tardi nel 1613 si trasferì a Roma; dal febbraio di quell’anno il M. compare infatti fra i salariati presenti nei ruoli del cardinale Alessandro Damasceni Peretti Montalto, noto musicofilo che aveva al servizio numerosi musicisti di vaglia. Il fatto che il fratello del cardinale, Michele Peretti, era principe di Venafro, feudo non distante da Alife, potrebbe contribuire a spiegare il motivo per cui il M. fosse arrivato giovane alla corte del Montalto.
Nel febbraio 1614 il M. partecipò come arpista all’Amor pudico, favola pastorale per musica di Iacopo Cicognini rappresentata nel palazzo della Cancelleria per le nozze di Michele Peretti con Anna Maria Cesi e messa in musica da vari compositori. Ben presto il M. divenne uno dei musicisti più apprezzati del cardinale Montalto, rimanendo al suo servizio fino alla di lui morte nel 1623. Oltre al regolare stipendio, nel 1622 il cardinale gli concesse la rendita di una piccola parte dei suoi cospicui benefici ecclesiastici, ammontante a 300 scudi annui provenienti da diverse «badie», e dalle chiese di «S. Stefano a Bologna e S. Bartolomeo a Musciano», lasciandogli poi per testamento l’ingente vitalizio di 2000 scudi d’oro l’anno (Hill, p. 35).
Dal 1620 alla morte del cardinale Montalto il M. prese parte alle devozioni mariane nella chiesa di S. Lorenzo in Damaso, accompagnando «col suo istrumento le litanie e le laudi che verso la sera di tutti li sabati si recitavano nella cappella della SS.ma Concezione»; a tale scopo fece costruire un «palco posticcio» sul quale «dai musici si cantavano le dette laudi al suono dell’organetto e dell’arpa» (Barbieri, p. 95). È probabile che a queste devozioni fossero destinate diverse delle sue arie spirituali per canto e basso continuo.
Il violista francese André Maugars, che scrisse una relazione sulla musica ascoltata a Roma nel 1639, ricordò il M., come arpista, e il cembalista e organista G. Frescobaldi come due strumentisti che non avevano pari in tutta l’Italia, tanto che, pur pregato dall’ambasciatore francese il duca Annibal d’Estrée, si rifiutò di suonare alla presenza del M., come riferisce il contemporaneo Gédéon Tallemant des Réaux nelle sue Historiettes. Quest’ultimo, inoltre, ricordava personalmente il «Signor Horatio [Michi] qui jouait fort bien de la harpe et etoit à Madame de Savoye», vale a dire Cristina di Francia duchessa reggente del Ducato di Savoia allora residente a Torino; questa testimonianza ha fatto pensare che il M., che mai si allontanò da Roma, fosse piuttosto al servizio del cardinale Maurizio di Savoia, che aveva soggiornato nella città papale dal 1622 al 1630 e di nuovo dal 1636 al 1638 (Cametti, p. 225). Tuttavia nessun documento può comprovare gli asseriti rapporti fra il M. e i Savoia.
Dai diversi legati che lasciò nel suo testamento apprendiamo invece dei rapporti che il M. mantenne con i cardinali Antonio Barberini senior, Bernardino Spada e Giovanni Battista Maria Pallotta.
Il lascito all’abate Francesco Peretti, figlio del principe Michele, di un «rubbino» che gli era stato donato «dalla felice memoria del cardinale Montalto, che disse essere stato di sua madre» (ibid., p. 250), mostra come avesse mantenuto buone relazioni con i discendenti della famiglia del cardinale che aveva servito in gioventù. Lo stesso testamento ci informa inoltre dei rapporti del M. con altri musicisti: oltre ai cantori pontifici Loreto Vittori e Francesco Lancioni, che comparvero come testimoni, lasciò alcuni legati ad altri due cantanti della Cappella pontificia, Francesco Bianchi e Girolamo Rosini, al quale furono destinati uno «studiolo con tutti i libri di musica profani e spirituali» (ibid., p. 255); lasciò poi «tre arpe alla figlia del signor Mutio Barone monaca in S.ta Lucia in Selice», vale a dire Caterina Baroni, sorella della celebre Eleonora e figlia dell’altrettanto famosa Andreana Basile – detta la bella Adriana – che potrebbe forse essere stata sua allieva (ibid.). Infine, «l’arpa che sta nella sua cappella con le corde che si trovano in casa con le chiavi e libri manuscritti dalla partitura nello stipo» furono destinati con un codicillo a Francesca Orsini (ibid., p. 267).
Beneficiarie della sua cospicua eredità furono anche alcune istituzioni religiose, come la chiesa di S. Maria della Scala, cui andò un quadro rappresentante «un Ecce homo con la Madonna»; la chiesa di S. Maria di Loreto dei Marchigiani, alla quale il M. lasciò il proprio organo, «pregando l’e.mo sig. card. Pallotta protettore a farlo collocare in loco decente» (ibid., p. 254), e la Congregazione delle Scuole pie, cui destinò i suoi libri e il proprio clavicembalo a tre registri con tastiera d’avorio (ibid., p. 251).
Erede principale del suo ingente patrimonio fu tuttavia la chiesa di S. Maria in Vallicella, al cui oratorio, rinomato per le esecuzioni musicali, il M. fu particolarmente legato, al punto che lasciò perfino la sua «carrozza et cavalli, con provisione di fieno e biada per un anno, per servitio delli musici del medesimo oratorio» (ibid., p. 252). Per gli esercizi oratoriali della Vallicella, alle cui musiche probabilmente aveva preso parte in veste di esecutore, il M. potrebbe aver composto diverse sue arie spirituali, come può desumersi dai testi poetici che alludono a s. Filippo Neri, fondatore della Congregazione oratoriana (Morelli, 1991, pp. 72 s.).
Negli anni 1636-41 il M. abitava nei pressi della Vallicella, in via di Panico, nella parrocchia di S. Celso.
Il M. morì a Roma il 26 ott. 1641 all’età di 46 anni, come si legge nell’atto di morte, e fu sepolto a S. Maria in Vallicella in un sepolcro che si era già fatto costruire nel 1633 (Cametti, p. 228).
Ancora vivente, il M. era stato celebrato come il miglior virtuoso di arpa doppia del suo tempo da V. Giustiniani, P. Della Valle, G.B. Doni e S. Bonini nei loro saggi sulla musica. Della Valle, in particolare, lo considerò quale sommo arpista, a fianco di J.H. Kapsberger per la tiorba e Michelangelo Rossi per il violino, ponendolo fra gli «eccellenti moderni» che avevano innovato lo stile esecutivo degli strumenti da corda, introducendo «mille gratie di trilli, di strascichi, di sincopi, di tremoli, di finte, di piano e forte, e di simili altre galanterie», superando «tutti i sonatori de’ tempi passati». Benché non si abbia notizia di composizioni strumentali del M. date alle stampe o conservate in manoscritto, sappiamo della possibile esistenza di alcune sue «sonate da arpa doppia», che nel 1640 il musicofilo ferrarese Antonio Goretti aveva invano cercato di procurarsi, pur «havendo fatto molte instanze per diverse bande» (Fabris).
Il M. va tuttavia ricordato per l’importante contributo dato al nascente genere dell’aria; fece parte infatti di quel gruppo di musicisti – soprattutto cantanti, come I. Macchiavelli, G. Cenci, G.D. Puliaschi, e strumentisti, come G.C. Marotta –, aggregatosi nel primo Seicento alla corte del cardinale Montalto, e che sviluppò un proprio stile compositivo nel campo della musica monodica su basso continuo, per molti aspetti diverso da quello fiorentino. Le arie del M. utilizzano in prevalenza la forma, allora in voga, della canzonetta strofica e, in minor misura, la tradizionale forma del madrigale con endecasillabi e settenari. In quest’ultimo caso il M. impiega lo stile recitativo, a tratti interrotto da passaggi ariosi, che evidenzia la flessibile aderenza della sua musica al testo poetico; l’espressività è intensificata in alcuni passi da pungenti dissonanze e da melismi dispiegati su un ambito vocale assai esteso, segnato da ampi salti, improvvisi cambi di registro e leggere volate. Fra i poeti autori dei testi, il M. sembra prediligere Francesco Balducci, che visse a Roma in quegli stessi anni, anche se si avvalse di versi di poeti allora particolarmente in auge fra i musicisti, come G. Chiabrera, G.B. Marino, e O. Rinuccini.
Opere: circa 100 composizioni vocali (canzonette, arie, madrigali), profane e spirituali, sono a una voce e basso continuo, a esclusione di sei a due voci e di sei a tre. A parte cinque brani pubblicati nella Raccolta d’arie spirituali a una, due e tre voci di diversi eccellentissimi autori raccolte e date in luce da Vincenzo Bianchi (Roma 1640), le restanti opere sono conservate manoscritte a Bologna, Museo internazionale e Biblioteca della musica, Q.43 e Q.49; Praga, Biblioteca nazionale, Mss., II.La.2; Roma, Biblioteca nazionale, Mss., Fondi Minori, Mus. 56 (autografo), e Biblioteca Casanatense, Mss., 2472 e 2490; Biblioteca apost. Vaticana, Chigi, Q.IV.18, e Barb. lat., 4151; Isola Bella, Archivio Borromeo, Fondo Musiche, Mss. Misc.06 (elenco delle opere in Hill, pp. 176-179, non comprendente i brani conservati nell’Archivio Borromeo; Indice tematico delle arie di O. Michi, parziale ma con incipit musicali, in Cametti, pp. 272-277).
Fonti e Bibl.: V. Giustiniani, Discorso sopra la musica de’ suoi tempi [1628 circa], in A. Solerti, Le origini del melodramma, Torino 1903, p. 110; P. Della Valle, Della musica [1640], ibid., p. 159; G.B. Doni, De praestantia musicae veteris, Florentiae 1647, p. 117; S. Bonini, Discorsi e regole sopra la musica [1650 circa], a cura di L. Galleni Luisi, Cremona 1975, p. 112; G. Tallemant de Réaux, Les historiettes. Mémoires pour servir à l’histoire du XVIIe siècle, a cura di M. Monmerqué, Paris 1861, p. 114; A. Cametti, O. M. «dell’Arpa», virtuoso e compositore di musica della prima metà del Seicento, in Rivista musicale italiana, XXI (1914), pp. 203-277; S. Cordero di Pamparato, I musici alla corte di Carlo Emanuele I di Savoia, in Biblioteca della Società storica subalpina, CXXI (1930), p. 120; P. Barbieri, Ancora sugli organi di S. Lorenzo in Damaso, in Amici dell’organo di Roma, n.s., IV (1985), pp. 95 s.; J. Lionnet, André Maugars. Risposta data a un curioso sul sentimento della musica d’Italia, in Nuova Rivista musicale italiana, XIX (1985), pp. 681, 688-691; J. Chater, Musical patronage in Rome at the turn of the seventeenth century. The case of car;dinal Montalto, in Studi musicali, XVI (1987), pp. 179-227; A. Morelli, Note storiche sui manoscritti musicali della Biblioteca nazionale di Roma, in Catalogo del fondo musicale della Biblioteca nazionale centrale «Vittorio Emanuele II» di Roma, Roma 1989, p. 26; R.R. Holzer, Music and poetry in sev;enteenth century Rome. Settings of the canzonetta and cantata texts of F. Balducci, D. Benigni, F. Melosio, and A. Abati, University Microfilms International, Ann Arbor, MI, 1990, ad ind.; Id., «Sono d’altro garbo … le canzonette che si cantano oggi». Pietro della Valle on music and modernity in the sev;enteenth century, in Studi musicali, XX (1991), pp. 253-306; A. Morelli, Il tempio armonico. Musica nell’Oratorio dei filippini in Roma (1575-1705), Laaber 1991, ad ind.; J.W. Hill: Roman monody, cantata, and opera from the circles around cardinal Montalto, Oxford 1997, ad ind.; D. Fabris, Mecenati e musicisti. Documenti sul patrimonio artistico dei Bentivoglio di Ferrara nell’epoca di Monteverdi (1585-1645), Lucca 1999, p. 472; E. Boggio, Il Fondo Musiche dell’Archivio Borromeo dell’Isola Bella, ibid. 2004, ad ind.; The New Grove Dict. of music and musicians, XVI, p. 598; Die Musik in Geschichte und Gegenwart, Personenteil, XII, coll. 170 s.