MORANDI, Orazio
MORANDI, Orazio. – Nacque a Roma intorno al 1570 da Ludovico, che prestava probabilmente servizio in una delle famiglie cardinalizie dell’epoca; il nome della madre è ignoto.
Conseguita nel 1590 la laurea in diritto alla Sapienza, iniziò poco dopo il noviziato tra i benedettini nel monastero di Vallombrosa. In questo periodo perfezionò la sua educazione ed entrò in contatto con diversi letterati fiorentini legati all’Accademia degli Spensierati, forse per tramite di Simone Finardi, Spensierato e priore del monastero. Tra i membri dell’Accademia, Morandi fu vicino in particolare a Francesco Allegri con cui curò l’edizione di una raccolta di poesie burlesche del fratello di Francesco, Alessandro (La prima parte delle rime piacevoli d’Alessandro Allegri raccolte dal m. rev. Orazio Morandi e da Francesco Allegri date in luce, Verona 1605). Ebbe rapporti cordiali con Galileo Galilei, che proseguirono negli anni successivi, ed espresse il suo appoggio allo scienziato in occasione della polemica aperta dal matematico Francesco Sizzi in relazione alla scoperta dei satelliti di Giove.
Grazie agli stretti rapporti che intercorrevano tra Vallombrosa e la corte granducale, Morandi poté avvicinarsi ad alcuni membri della famiglia regnante, come il cardinale Carlo, zio del granduca Ferdinando II, e soprattutto Giovanni, figlio naturale di Cosimo I de’ Medici, profondamente versato negli studi di astrologia, filosofia naturale e alchimia.
Morandi condivise con lui riflessioni ed esperimenti astrologici e alchemici, e mantenne un rapporto epistolare piuttosto intenso tra il 1615 – quando Giovanni si trasferì a Venezia – e il 1620, disimpegnando anche alcuni compiti di fiducia, come quando nel 1620 si adoperò per procurare al principe i volumi del defunto Cosimo Ridolfi.
Nel 1613 tornò a Roma, dove grazie alla protezione dei Medici assunse la carica di abate del monastero di S. Prassede, istituzione piuttosto importante nel mondo culturale e religioso della città. In un primo momento manifestò una certa insoddisfazione per l’allontanamento da Firenze, rimpiangendo nelle lettere a Giovanni de’ Medici i «felici tempi» trascorsi in Toscana e lamentandosi della vita «nel pelago di questa cortaccia»(cit. in Ernst, 1993, p. 225). Passati alcuni anni, però, i rapporti con Firenze si allentarono, soprattutto dopo l’improvvisa morte di Giovanni (19 luglio 1621), mentre Morandi acquisì un ruolo di rilievo nel mondo culturale romano.
Divenuto abate generale dei vallombrosani nel 1617-1621, non si dimostrò particolarmente interessato agli aspetti più specificamente religiosi del suo ministero e anzi tollerò un certo rilassamento della disciplina monastica, del resto non infrequente in quell’epoca. Grazie alla vasta cultura e a una naturale versatilità nelle relazioni intellettuali, cercò invece di trasformare il monastero di S. Prassede in un luogo di incontro dell’élite curiale, favorito in ciò dal rigoglio letterario e scientifico che caratterizzò Roma nei primi decenni del Seicento.
Ad attrarre prelati, letterati e artisti era innanzi tutto la sua biblioteca. Oltre ad accogliere la migliore produzione coeva nei campi della letteratura, delle scienze fisiche, dell’astrologia e della magia naturale, della politica e della storia contemporanea, essa si presentava come una realtà aperta alla frequentazione di un eterogeneo pubblico di studiosi, che avevano anche la possibilità di ricevere volumi in prestito. Non sorprende dunque che fosse frequentata da cardinali, come Tiberio Muti, Desiderio Scaglia e Marcello Lante, da membri di ordini religiosi, come il maestro del Sacro Palazzo Niccolò Ridolfi e l’erudito Francesco Ughelli, da artisti come Gian Lorenzo Bernini e Pietro Finelli, da letterati ben introdotti negli ambienti curiali, come Cassiano Dal Pozzo o Paolo Mancini.
Morandi non si limitava però a fungere da mediatore culturale capace di diffondere la più aggiornata letteratura politica e scientifica. Riuscì accreditarsi anche come fonte di notizie politiche e, in collaborazione con alcuni monaci di S. Prassede, contribuì alla diffusione di scritture relative al collegio cardinalizio e ai cardinali papabili, che furono apprezzate da rappresentanti diplomatici presso la corte di Roma, come l’ambasciatore veneziano Alvise Contarini. Soprattutto, utilizzò la sua cultura astronomica e scientifica per compilare predizioni astrologiche su eventi politici e importanti personaggi contemporanei.
Nel complesso, l’astrologia praticata da Morandi e dai suoi amici appare priva di suggestioni teologiche o filosofiche di ampio respiro e semmai legata a forme di magia naturale di origine cinquecentesca, rappresentando dunque soprattutto una forma di curiosità intellettuale, che lo portava a dialogare con gli ambienti socialmente modesti in contatto con il convento, ma anche a proporre le sue doti divinatorie agli esponenti di punta dell’élite curiale. Lo stesso papa Urbano VIII era sensibile alle previsioni astrologiche, tanto che, nel corso del 1628 ricorse all’aiuto di Tommaso Campanella per mettere in opera pratiche di magia naturale allo scopo di allontanare pericoli dalla sua vita.
In un contesto mobile e ricco di inquietudini come quello della Roma seicentesca, gli interessi culturali, politici e astrologici di Morandi gli conferirono una fama di virtuoso, addentro alle più delicate vicende della sua epoca. Campanella, che non gli fu amico, ricordò un «collegio fra tutti gli astrologi di Roma» svoltosi nel monastero di S. Prassede (Lettere, p. 287). Già alla metà degli anni Venti, Morandi divenne così un personaggio di rilievo, ma la sua posizione, per quanto apprezzata, rimaneva precaria, perché condizionata dalla relativa tolleranza che caratterizzò i primi anni del pontificato di Urbano VIII. Tale tolleranza venne improvvisamente meno, quando Morandi iniziò a formulare pronostici sulla morte del pontefice.
Anche se sulla ricostruzione della vicenda permangono elementi di incertezza, nel complesso lo svolgersi degli eventi è noto. A partire almeno dal 1628 Morandi cominciò a far circolare, insieme con testi politici sulla corte romana, previsioni astrologiche sui futuri pontefici. La decisione di avventurarsi su questo terreno pericoloso non derivò probabilmente da curiosità intellettuale, quanto piuttosto da un’esigenza sociale di promozione del proprio ruolo. Inizialmente, l’operazione andò a buon fine, anche perché Morandi conferì un carattere criptico e ambiguo ai suoi pronostici, ma tra il 1629 e il 1630 si spinse oltre, redigendo una previsione, basata sull’oroscopo di Urbano VIII, secondo la quale il pontefice sarebbe morto nel 1630. Alcuni amici e corrispondenti avanzarono dubbi, come Raffaele Visconti che, forse intimorito, contestò l’interpretazione dei dati astrologici; numerosi altri, però, diedero credito, come il prelato Francesco Usimbardi, il poeta Francesco Bracciolini, l’astronomo Francesco Lamponi.
Data la notorietà del suo autore, la previsione circolò abbondantemente, solleticando le aspirazioni di diversi cardinali papabili in una fase politicamente delicata, nella quale si era determinato un aspro conflitto tra la Corona spagnola e il papato, e creando in diversi ambienti politicoreligiosi un’atmosfera di fine pontificato, tale da suscitare viva irritazione in Urbano VIII. Tuttavia, ancora nella primavera del 1630 nel monastero di S. Prassede non si aveva una precisa percezione del cambio imminente nella politica papale. Alla fine di maggio Galileo Galilei, giunto a Roma per ottenere il permesso di stampa per il Dialogo sopra i due massimi sistemi del mondo, fu ospite di Morandi, insieme con altri personaggi di rilievo, come il domenicano Raffaele Visconti, in seguito chiamato a rivedere l’opera galileiana, e il suo confratello Ludovico Corbusio, già inquisitore di Fiesole. Il 26 giugno Galileo lasciò Roma. Il 13 luglio, Urbano VIII ordinò al luogotenente del governatore di Roma, Antonio Fido, di procedere all’arresto di Morandi e di eventuali complici e a un’accurata perquisizione del monastero. Il processo a Morandi si sviluppò sin dall’inizio come un vero e proprio processo politico, guidato dalla volontà del papa di colpire, per suo tramite, le fazioni che anche attraverso l’astrologia e la diffusione di scritture politiche cercavano di destabilizzare il pontificato o di gettare un’ombra sulla sua figura.
In una prima fase, l’istruttoria languì per la mancanza di prove. Fino alla metà di agosto i monaci di S. Prassede, che avevano occultato in diversi luoghi del monastero libri e scritture di Morandi, negarono ostinatamente ogni addebito. Il segreto, però, non poté essere mantenuto a lungo. Il neerlandese Teodoro Ameyden, procuratore del monastero e assiduo frequentatore della sua biblioteca, si lasciò andare a dichiarazioni imprudenti nella libreria della Luna, svelando l’occultamento dei libri, forse anche nella speranza di guadagnarsi la benevolenza di Urbano VIII. Le dichiarazioni di Ameyden spianarono la strada alle ammissioni dei monaci. Il 18 agosto Ambrogio Maggi fece le prime dichiarazioni davanti al tribunale, confermate in seguito da altri, in particolare dal sacrestano Benigno Bracciolini, che fornì ai giudici un quadro completo delle attività di Morandi.
Proprio mentre il processo si avviava a una conclusione, Morandi morì improvvisamente il 7 ottobre 1630. Come spesso accadeva in questi casi, si diffusero voci di un avvelenamento, raccolte dal diarista Giacinto Gigli, ma escluse dal medico Bernardo Messorio, che compì una sommaria ricognizione del cadavere. Certo è che, con l’uscita di scena di Morandi, le autorità dimostrarono una certa fretta di chiudere la vicenda. Il 15 marzo 1631 i complici dello sfortunato abate furono rimandati liberi al loro convento, proprio mentre veniva promulgata una bolla Contra astrologos iudiciarios (1° aprile 1631) che comminava la pena di morte a chi si fosse dedicato a simili pratiche.
Fonti e Bibl.: la fonte essenziale per la biografia di Morandi è il processo, conservato in Arch. di Stato di Roma, Tribunale del governatore, Processi, 1630, n. 251; cfr. inoltre B. Bracciolini, Oratio de laudibus Horatii Morandi, Roma 1626; G. Galilei, Opere, XI, Firenze 1934, pp. 75, 360, 421, 423, 530; XIII, ibid. 1935, pp. 299 s., 308, 310, 319-321, 327; XIV, ibid. 1935, pp. 107, 134 s., 250; T. Campanella, Lettere, a cura di V. Spampanato, Bari 1927, p. 287; G. Gigli, Diario di Roma, a cura di M. Barberito, Roma 1994, ad ind. A. Favaro, Galileo Galilei e lo Studio di Padova, I, Firenze 1888, pp. 7 s.; A. Bertolotti, Giornalisti, astrologi e negromanti in Roma nel secolo XVII, in Rivista europea, V (1878), pp. 466-514; A. Bastiaanse, Teodoro Ameyden (1586–1656). Un neerlandese alla corte di Roma, Gravenhage 1967, ad ind.; D. Landolfi, Don Giovanni de’ Medici «principe intendentissimo di varie scienze», in Studi secenteschi, XXIX (1988), p. 128; L. Fiorani, Astrologi, superstiziosi e devoti nella società romana del Seicento, in Ricerche per la storia religiosa di Roma, II (1978), pp. 97-162; G. Ernst, Scienza, astrologia e politica nella Roma barocca. La biblioteca di don O. M., in Bibliothecae selectae. Da Cusano a Leopardi, a cura di E. Canone, Firenze 1993, pp. 217-252; A. Fantoli, Galileo per il copernicanesimo e per la Chiesa, Città del Vaticano 1997, ad ind.; B. Dooley, The ptolemaic astrological tradition in the seventeenth century: an example from Rome, in International Journal of the classical tradition, V (1999), pp. 528-548; Id., M.’s last prophecy and the end of renaissance politics, Princeton 2002; G. Ernst, Tommaso Campanella: il libro e il corpo della natura, Roma 2002, pp. 214, 257; Id., The M. affair and Urban VIII’s Rome, in Roma moderna e contemporanea, XI (2003), pp. 145-166; H. Darrel Rutkin,Note on O. M., in Bruniana e campanelliana, IX (2003), p. 230; P. Pizzamiglio, L’astrologia in Italia all’epoca di Galileo Galilei: 1550-1650. Rassegna storico-critica dei documenti librari custoditi nella Biblioteca Carlo Viganò, Milano 2004, pp. 221-224; L. Guerrini, Incontri e «fantasie» nella Roma di Urbano VIII, in Laboratorio Campanella: biografia, contesti, iniziative in corso, a cura di G. Ernst - C. Fiorani, Roma 2007, pp. 111 s., 126-131.