PALLAVICINO, Orazio
PALLAVICINO (Pallavicini), Orazio. – Nacque a Genova intorno al 1540, secondo figlio di Tobia (morto nel 1581) e di Battina Spinola (1522-1607).
Il padre era un’importante figura dell’oligarchia genovese e tra il 1549 e il 1577 ricoprì prestigiose cariche nella Repubblica, tra cui quella di ambasciatore presso la corte francese nel 1560.
Le prime informazioni su Pallavicino risalgono agli anni Settanta del secolo, quando è attestato ad Anversa, direttamente impegnato nella rete commerciale familiare per la distribuzione dell’allume.
Sin dagli anni Quaranta la famiglia fu coinvolta nel commercio dell’allume di Tolfa dopo che era diventato titolare dell’appalto Ansaldo Grimaldi, la cui sorella Violantina aveva sposato Francesco Pallavicino (padre di Tobia). Tobia e suo fratello Agostino nel 1566 subentrarono allo zio. L’intera famiglia, sotto la guida di Tobia, gestì così l’organizzazione internazionale della vendita dell’allume in regime di quasi monopolio: suo figlio Fabrizio a Roma aveva l’incarico di sorvegliare il processo produttivo, mentre suo nipote Niccolò in Spagna, suo fratello Alessandro a Londra e Orazio ad Anversa curavano la distribuzione in quelle piazze. L’appalto finì nel 1578 e, nonostante i tentativi dei Pallavicino di ottenerne la conferma per altri dodici anni, Gregorio XIII preferì una compagnia fiorentina. I Pallavicino, nel timore di non vedere rinnovato l’appalto, nei dodici anni precedenti avevano messo da parte scorte di allume per quasi 10.000 tonnellate, che corrispondevano al fabbisogno europeo di sei anni. Tentarono poi di negoziare dei contratti di monopolio in Inghilterra e nei Paesi Bassi, cercando in questo modo di danneggiare i nuovi titolari dell’appalto. In Inghilterra il piano fallì sia a causa della resistenza di William Cecil, primo barone di Burghley, lord tesoriere del Regno, che temeva di danneggiare l’economia inglese, sia per le manovre dell’ufficiale di dogana Thomas Smith che voleva manipolare il mercato a proprio vantaggio. Nei Paesi Bassi invece i Pallavicino ottennero un monopolio di sei anni in cambio di un prestito di allume per un valore di 30.000 sterline agli Stati Generali, che l’avrebbero venduto per finanziare la guerra con la Spagna. Il prestito era stato sottoscritto per garanzia dalla regina Elisabetta e dalla città di Londra e, anche se non venne mai ripagato dagli olandesi, Pallavicino continuò negli anni a riscuotere gli interessi.
Già nella seconda metà degli anni Settanta, quando gli affari inglesi della famiglia erano ancora curati dallo zio Alessandro, Pallavicino – pur trattenendosi per lunghi periodi a Parigi – probabilmente si stabilì a Londra, risiedendo nella parrocchia di St. Dunstan, non lontano dalla Torre.
Laurence Stone (1956, pp. 8 s.) ipotizza che possa essere identificato in un giovane italiano cattolico, coinvolto nel commercio dell’allume, che nel novembre 1576 assisteva alla messa presso la cappella dell’ambasciatore portoghese nella capitale inglese. Pallavicino, così come Alessandro, in quegli anni si fece notare dalle autorità londinesi per le frequentazioni di prostitute e ruffiani e nel 1578 uno dei suoi servitori dichiarò di aver avuto l’incarico di procurargli delle vergini per soddisfare i suoi piaceri sessuali. È probabilmente intorno a quella data che ebbe un figlio illegittimo, forse da una donna inglese di umili condizioni sociali, che venne chiamato Edward.
Non appena la Spagna seppe dell’accordo intervenuto tra i Pallavicino e i ribelli olandesi in merito all’allume, le loro proprietà nei domini spagnoli furono bloccate. La stessa cosa venne fatta nei domini papali dove, nell’estate 1579, si procedette anche all’arresto del fratello di Pallavicino, Fabrizio.
Per chiederne la liberazione intervennero sia la regina d’Inghilterra Elisabetta, con una lettera al cardinale Tolomeo Gallio, segretario di Stato di papa Gregorio XIII, del luglio 1579, sia il re di Francia, Enrico III con una lettera al papa del gennaio 1580 e attraverso altri canali diplomatici. Probabilmente rilasciato nel corso di quell’anno, due anni dopo, nel maggio 1582, Fabrizio fu nuovamente arrestato e «condotto al Santo Uffizio dell’Inquisizione» accusato di aver «intendimento con suo fratello che si trova in Inghilterra molto favorito da quella regina» (lettera di monsignor Odescalchi alla corte di Mantova, 10 maggio 1582, cit. in Bertolotti, 1892, p. 69). Questa volta Fabrizio venne rapidamente liberato grazie all’intervento di Enrico III e Caterina de’ Medici che, a questo scopo, inviarono a Roma, tra giugno e luglio, il segretario Jean Arnault de Chérelles.
Queste vicende determinarono la vita di Pallavicino che si stabilì definitivamente in Inghilterra, maturando un progressivo allontanamento dalla Chiesa di Roma.
Se ancora nel 1581, a Londra, non frequentava alcuna parrocchia anglicana, forse per mostrare la sua ortodossia cattolica, quando venne a sapere che suo fratello era stato torturato, usò nella sua corrispondenza con le autorità inglesi espressioni violentemente antiromane di sapore protestante. Di lì a poco il mercante vicentino Anton Maria Ragona, recatosi a Londra nel 1582, ne avrebbe parlato come di uno di quegli italiani «assai ben veduti nella corte di Londra» avendo «cambiato di religione», definendolo un «accarezzatissimo ugonotto» (Giovanni da Schio, 1836, pp. 11 s.).
All’inizio del 1583 il suo rifiuto di andare a Roma, dove era stato convocato per comparire di fronte al S. Ufficio, segnò il distacco definitivo dal cattolicesimo. Alla mancata comparizione seguì la condanna al rogo in effigie, che venne eseguita a Roma il 6 agosto 1584.
Divenuto una sorta di protettore della comunità di esuli protestanti italiani in Inghilterra, a lui Giovanni Battista Aureli, ministro della Chiesa italiana di Londra, dedicò l’Esamine di vari giudicii dei politici: e della dottrina e dei fatti dei Protestanti veri e dei Cattolici Romani e Francesco Betti la sua Lettera… all’Illustriss. & Eccellentiss. S. Marchese di Pescara (entrambe Londra, John Wolf, rispettivamente 1587 e 1589). È inoltre possibile che Pallavicino si sia fatto promotore di un’edizione di Salmi in italiano pubblicati nel 1594 (di cui apparentemente non è conservata copia). Se non sembrano esservi dubbi sulla coerenza delle sue azioni dopo la conversione al protestantesimo, è significativo del pragmatismo delle sue posizioni che i suoi più stretti amici fossero tutti esponenti della Chiesa alta noti per le loro simpatie filocattoliche: Gilbert Talbot, settimo conte di Shrewsbury (che fece da padrino al suo primogenito), Lord Thomas Howard, Sir William Cornwallis.
La condanna dell’Inquisizione e la conseguente decisione di trasferirsi definitivamente in Inghilterra indussero Pallavicino a investire i suoi soldi in proprietà fon-diarie (nel 1581 era morto suo padre Tobia che aveva lasciando 400.000 scudi di eredità a lui e ai suoi due fratelli). Ottenuta la naturalizzazione attraverso una lettera di cittadinanza (Denization) nel novembre 1585, acquistò terre nell’Essex (1585), nel Norfolk (1588) e nel Cambridgeshire (1589). In quest’ultima contea, a Babra-ham, si stabilì a partire dagli anni Novanta, lasciando l’elegante casa londinese che aveva acquistato a Bishopsgate nel 1584.
Attraverso William Cecil, Lord Burghley, cui Pallavicino era assai vicino sin dai primi anni Ottanta, la regina Elisabetta lo investì di delicate missioni di diplomazia finanziaria. Per suo tramite vennero finanziate tra il 1581 e il 1584 le campagne del duca d’Anjou nei Paesi Bassi, anche al fine di tenerlo lontano dall’Inghilterra, dato che Elisabetta aveva deciso di non sposarlo. Alla morte del duca nel 1584 Pallavicino rinegoziò i termini degli accordi, tentando invano di convincere Enrico III a farsi carico delle spese militari del fratello. All’inizio del 1586, inoltre, sondò attraverso suo fratello Fabrizio e le autorità genovesi la volontà di pace di Filippo II.
Nel febbraio 1586 fu accreditato come ambasciatore della regina Elisabetta negli Stati tedeschi, dove si trattenne dall’aprile 1586 sino all’aprile 1587 conducendo a Francoforte trattative diplomatiche con i principi protestanti tedeschi per convincerli a reclutare truppe in sostegno di Enrico di Navarra e degli ugonotti. L’impegno di Pallavicino venne però vanificato dalle condizioni poste da Elisabetta, che si disse disposta a concedere il suo sostegno economico solo in presenza di un cospicuo finanziamento che provenisse dai principi stessi.
Segretario latino di Pallavicino in questa missione era stato nominato Alberico Gentili che già nel 1584 gli aveva dedicato il terzo libro delle sue lezioni sul diritto internazionale (Lectionum & Epistolarum quae ad jus civile pertinent Liber III, Londra, J. Wolf, 1584). È possibile, come ha ipotizzato John Bossy (1992, p. 85), che per il tramite di Gentili, Pallavicino sia entrato in rapporti con Giordano Bruno.
Al ritorno dalla missione diplomatica in Germania, Pallavicino nel novembre 1587 venne fatto cavaliere. L’anno successivo partecipò alla campagna contro l’Invencibile Armada.
Annunciò la sua intenzione in una lettera a Francis Walsingham del 24 luglio 1588 in cui affermava di voler combattere per «esser partecipe della vittoria» o per morire in «testimonianza al mondo della [sua] fedeltà» verso la regina (Londra, National Archives, SP 12/213, c. 36). Nonostante il suo nome non figuri tra quelli dei capitani, probabilmente, oltre a equipaggiare a sue spese un vascello, partecipò agli scontri. Venne per questo effigiato in uno degli arazzi commemorativi disegnati da Hendrick Vroom nel XVII secolo (gli arazzi, andati perduti nel 1834 a causa di un incendio della Camera dei Lords dove erano esposti, sono noti grazie a una riproduzione settecentesca dell’incisore John Pine). Tra le carte di Stato conservate ai National Archives di Londra rimane un suo ampio resoconto manoscritto della disfatta della flotta spagnola (SP/12/215, cc. 146-147). Dopo i combattimenti esercitò un importante ruolo di mediazione per il riscatto di numerosi prigionieri spagnoli.
Da tempo correvano voci di un dissidio tra Filippo di Spagna e Alessandro Farnese duca di Parma, allora nei Paesi Bassi. Contando su questi dissapori, nell’ottobre 1588, dopo la sconfitta dell’Invencibile Armada, Pallavicino suggerì al duca di Parma di assumere la sovranità dei Paesi Bassi, esautorando Filippo. Così facendo avrebbe ottenuto il sostegno di Elisabetta, che avrebbe preluso a un’alleanza perpetua con l’Inghilterra. Alessandro Farnese, probabilmente timoroso che si trattasse di un intrigo ai suoi danni, respinse platealmente queste proposte, manifestando sdegno e indignazione e inviando un dettagliato resoconto di questo abboccamento a Filippo (la vicenda è narrata anche da Famiano Strada nel De bello belgico, decas secunda, Romae 1647).
Dopo l’uccisione di Enrico III, Enrico IV si rivolse alla regina Elisabetta per ottenere il suo aiuto e così, nell’aprile 1590, Pallavicino fu impiegato in una seconda missione diplomatica in Germania per spingere i principi protestanti a intervenire in sostegno del Borbone. Da Francoforte, Pallavicino viaggiò in lungo e in largo per il paese, tessendo accordi con Giovanni Casimiro, reggente del Palatinato e con il langravio d’Assia. La sua missione, ancora una volta, si concluse con un nulla di fatto per le ambiguità e indecisioni della regina Elisabetta che aveva allora impegnato le sue risorse economiche e militari in Bretagna. Tornato in Inghilterra, nell’estate Pallavicino accompagnò in Francia Sir William Stafford, per esplorare le possibilità di un sostegno inglese a Enrico IV. Una terza missione diplomatica in Germania nel dicembre 1590 lo condusse a Torgau dove, nel febbraio 1591, fu siglata un’unione tra i principi protestanti che prevedeva l’intervento militare in aiuto a Enrico IV, qualora l’Inghilterra avesse provveduto a fornire un sostegno economico. Pallavicino, che da tempo non riceveva istruzioni precise dalla corte di Londra, promise 15.000 sterline ma fu sconfessato dalla regina, non disposta a pagare una cifra così alta. Il fallimento della campagna militare inglese in Francia nel 1592 fece naufragare tutta la politica intessuta da Pallavicino nelle sue missioni diplomatiche in Germania, ponendo fine una volta per tutte alla sua carriera diplomatica.
Pallavicino perse così il favore della regina Elisabetta, ma non per questo fu bandito dalla corte dove continuò a recarsi per il rituale scambio dei regali di capodanno. Continuò, soprattutto, a godere dell’appoggio di Burghley e, alla sua morte, del figlio Sir Robert Cecil, che gli subentrò nel ruolo di governo: Pallavicino lo sostenne nella guerra di fazione al partito di Essex e contribuì alla costruzione della sua rete spionistica (già Burghley e Walsing-ham lo avevano utilizzato frequentemente per azioni di intelligence).
Abilissimo speculatore finanziario, probabilmente fu solo per ingraziarsi Walsingham che manifestò un qualche interesse per le attività di esplorazione inglese (il suo nome figura nel 1581 in una lista di potenziali investitori della fallita impresa di circumnavigazione del mondo di Edward Fenton e nell’aprile 1584 manifestò a Richard Hakluyt il suo concreto interesse verso le esplorazioni occidentali).
Spesso impiegato dalla regina e dai cortigiani per l’acquisto di opere d’arte all’estero, Pallavicino era espressione di una cultura cosmopolita e, se di preferenza scriveva in italiano e, più raramente, in francese, parlava però almeno altre quattro lingue (latino, olandese, tedesco e inglese).
Dal 1594 si divise tra Londra e la dimora di Babraham, dove morì il 6 luglio 1600.
Alla sua morte, con una ricchezza di 100.000 sterline era probabilmente il più ricco commoner d’Inghilterra. È stato stimato che i suoi investimenti fondiari ammontassero a 20.000 sterline.
Durante la terza missione diplomatica in Germania, il 27 aprile 1591 aveva sposato a Francoforte Anna Hooftman, figlia del banchiere di Aversa Gielis van Eychelberg alias Hooftman, con cui aveva avuto Henry (1592-1615), Toby (1593-c. 1644) e Baptina (1594-1618). Sul letto di morte Pallavicino nominò la moglie unico esecutore testamentario, cancellando il nome dei suoi fidati agenti Giovanni Battista Giustiniano e Francesco Rizzo che le erano affiancati in una precedente stesura del testamento stilata nel 1596. Passato il periodo di lutto, la vedova il 7 luglio 1601 sposò Sir Oliver Cromwell di Hinchinbrook, allora coperto di debiti. I due supervisori del testamento di Orazio, Sir Robert Cecil e il conte di Shrewsbury, non rimossero Lady Anne come esecutrice testamentaria nonostante l’atto lo prevedesse in caso di nuove nozze. Cromwell il 24 aprile 1606 fece sposare le sue due figlie Catherine e Jane (avute da un precedente matrimonio) con Henry e Toby Pallavicino, i figli di Orazio. A questo doppio matrimonio, qualche tempo dopo, seguì quello di Henry Cromwell, figlio maggiore ed erede di Sir Oliver, con Baptina Pallavicino. Con questa spregiudicata politica matrimoniale, Cromwell acquisì così il completo controllo dell’eredità. Il primogenito Henry Pallavicino morì nel 1615 senza discendenti, facendo di suo fratello Toby l’erede universale delle sue proprietà. Questi morì intorno alla metà degli anni Quaranta, dopo aver dissipato pressoché tutte le ricchezze della famiglia.
Edward Pallavicino, il figlio illegittimo di Orazio, nato tra intorno al 1578-80, trovò impiego presso Robert Cecil e, dopo la morte di questi, presso Sir Francis Vere. In rapporti conflittuali con la vedova di Orazio, morì a Londra nel 1630.
Alla morte di Pallavicino, Theophilus Field, in seguito vescovo di Hereford, curò la pubblicazione di un volume di epitaffi in suo onore intitolato An Italian Dead Bodie Stucke with English Flowers. Elegies on the Death of Sir Oratio Pallavicino, London 1600. Il libretto, che include i componimenti di una decina di studiosi cantabrigensi ed è dedicato alla vedova di Pallavicino, riporta anche dei versi di Edmun Mason, che, rovesciando il famoso detto secondo cui ogni «Inglese italianato» era un «diavolo incarnato», affermava, riferendosi a Orazio, che «un italiano inglesizzato» era «un santo angelicato» (An Englishe man Italianate / Becomes a Divell incarnate / But an Italian Anglyfide / Becomes a Saint Angelifide). Joseph Hall, uno dei contributori al volume di Field e futuro vescovo di Exeter e Norwich, pubblicò nello stesso anno un’altra raccolta di elegie, in latino, intitolata, Album seu Nigrum Amicorum in obit. Hor. Palavicini, London 1600. Accanto all’immagine positiva che emerge da queste raccolte poetiche – testimonianza anche del suo patronage – circolò manoscritto un epitaffio derisorio che lo dipingeva come un ladro finito all’inferno per i suoi peccati (Here lies Horatio Palavazene, / Who robb’d the Pope to lend the Queene; / He was a thiefe. A thiefe? Thou lyest, / For whie? He robb’d but Antichrist, / Him death with besome swept from Babram / Into the bosom of old Abram./ But then came Hercules with his club, / And struck him down to Belzebub). L’epitaffio fu pubblicato a stampa alcuni decenni dopo (Witts recreations. Selected from the finest Fancies of Moderne Muses, London 1640, Epitaphs, num. 62) e fu citato nel 1762 da Horace Walpole nel primo volume dei suoi Anecdotes of Painting in England che, con il suo commento a questi versi, dette origine alla leggenda, del tutto infondata, che Pallavicino si fosse stabilito in Inghilterra durante il regno di Maria come esattore delle tasse papali e che, dopo aver abiurato al cattolicesimo, si fosse arricchito a dismisura con il mancato invio delle tasse papali. È stato ipotizzato (Draper, 1951) che Shakespeare nell’Antonio del Mercante di Venezia abbia avuto come modello Pallavicino.
Fonti e Bibl.: Presso i National Archives di Londra, nella collezione delle State Papers, sono conservati, insieme con le lettere autografe, numerosi documenti su Pallavicino, che sono stati regestati nei Calendar of State Papers nei volumi riguardanti il regno di Elisabetta. Un’importante serie di lettere è conservato tra i Cotton MSS presso la British Library; Londra, National Archives, SP 12/213, c. 36; SP/12/215, cc. 146-147; Prob 11/96 sig. 24 (testamento); Genova, Biblioteca civica Berio, Sezione di Conservazione, m.r. VIII. 2. 28-30, A.M. Buonarroti, Alberi genealogici di diversefamiglie nobili...; Arch. di Stato di Genova, Notari, sala 7, n. G.G. Cibo Peirano, f. 22/195, doc. 141, 25 aprile 1560 (testamento del padre Tobia); Ibid., doc. 474 (copia redatta il 27 marzo 1707); Les lettres de Messire Paul de Foix, Archevesque de Tolose, et Ambassadeur pour le Roy auprés du Pape Gregoire XIII, escrites au Roy Henry III, Paris 1628, pp. 519-534; J. Pine, The Tapestry Hangings of the House of Lords, representing the several engagements between the English and Spanish Fleets in the ever-memorable Year MDLXXXVIII, London 1739; Giovanni da Schio, Viaggio in Inghilterra, Francia, Spagna di Anton-Maria Ragona nel MDLXXXII, 1836, pp. 11 s.; A. Bertolotti, Martiri del libero pensiero e vittime della S. Inquisizione, Roma 1892, p. 69; J. Knox Laughton, State Papers Relating to the Defeat of the Spanish Armada, Anno 1588, London 1894, I, pp. 304 s.; II, p. 203, n. 1; M. Rosi, Per un titolo. Contributo alla storia dei rapporti fra Genova e l’Inghilterra al tempo della Riforma, in Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei. Classe di Scienze Morali, Storiche e Filologiche, s. 5, VII (1898), pp. 204-215; A. Mercati, Documenti dall’Archivio Segreto Vaticano, VI Lettera di Elisabetta regina d’Inghilterra al cardinale Tolomeo Gallio segretario di Stato di Gregorio XIII, in Miscellanea Pio Paschini. Studi di storia ecclesiastica, Roma 1948, II, pp. 19-27, 37; L. Stone, An Elizabethan: Sir Horatio Palavicino, Oxford 1956; P. Blet, Girolamo Ragazzoni, Évêque de Bergame, nonce en France. Correspondance de sa nonciature 1583-1586, Roma 1962, pp. 229, 248, 308; R. Toupin, Correspondance de nonce en France Giovanni Battista Castelli (1581-1583), Rome 1967, pp. 329, 352; J.W. Draper, Shakespeare’s Antonio and the queen’s finance, in Neophilologus, LI (1967), 1, pp. 178-185; I. Cloulas, Correspon-dance du nonce en France Anselmo Dandino (1578-1581), Rome 1970, pp. 81, 377, 394, 431 s., 560, 574, 588, 623; G. Pagano De Divitiis, Il Mediterraneo nel XVII secolo: l’espansione commerciale inglese e l’Italia, in Studi storici, XXVII (1986), pp. 109-148; P. Ubaldini, La disfatta della flotta spagnola (1588). Due “Commentari” autografi inediti, a cura di A.M. Crinò, Firenze 1988, p. 94; J. Bossy, Giordano Bruno e il mistero dell’Ambasciata, Milano 1992, p. 85; L. Firpo, Scritti sulla Riforma in Italia, Napoli 1996, pp. 188 s., 239; I.W. Archer, s.v. Palavicino, Sir Horatio, in Oxford Dictionary of National Biography, Oxford 2004 (http://www. oxforddnb.com; D. Salkeld, AlienDesires: Travellers and Sexuality in Early Modern London, in Borders and Travellers in Early Modern Europe, a cura di T. Betteridge, Aldershot 2007, pp. 46 s. Stefano Villani