Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Orazio Vecchi è uno dei più importanti compositori del secondo Cinquecento. È noto soprattutto per aver inaugurato la “comedia harmonica” (o madrigale dialogico), un genere in cui la tradizionale composizione polifonica assume nuovo carattere narrativo e rappresentativo.
“Modana è una città di Lombardia,/ Tra ’l Panaro e la Secchia in un pantano,/ Dove si smerda ogni fedel cristiano,/ Che s’abbatte a passar per quella via”. Così il modenese Alessandro Tassoni descrive burlescamente la propria città, a causa “delle sue strade lorde, dominate più dalla dea Merdarola che dal dio Febo”. Ed effettivamente la Modena del Cinquecento, se paragonata ai principali centri della splendida Italia delle corti, può apparire una cittadina di provincia, poco differenziata dal suo rustico contado. Eppure allo stesso tempo essa si mostra come un luogo di vivace dibattito culturale, capace di dare un importante contributo alla cultura italiana.
Modenesi sono ad esempio il poeta Francesco Maria Molza, il filosofo Lodovico Castelvetro, cui dobbiamo una fondamentale traduzione della Poetica di Aristotele, nonché lo stesso Tassoni, poliedrico letterato, autore della Secchia rapita. Inoltre, Modena è una delle città italiane in cui si accende uno speciale interesse per le idee della Riforma protestante anche fra gli strati popolari, interesse presto soffocato sia dalle autorità ducali sia da quelle religiose.
In questa interessante cittadina (un po’ rusticana e un po’ filosofa) nasce Orazio Tiberio Vecchi, in uno dei primi giorni del dicembre 1550, da Giovanni e da Isabella Garuti.
Nulla sappiamo della sua infanzia, e molto poco della giovinezza e dei percorsi di studio: alcuni accenni nella dedicatoria di una sua raccolta musicale fanno pensare che riceva la formazione religiosa dai padri benedettini di San Pietro in Modena. Sappiamo invece con certezza che apprende l’arte della musica da Salvatore Essenga; è proprio nel primo libro dei Madrigali a quattro voci di Essenga (1566) che compare il primo madrigale firmato da Orazio Vecchi. In questo modo, seguendo una consuetudine dell’epoca, il maestro presenta il suo giovane allievo, e lo presenta con affetto e orgoglio sulla scena del “theatro del mondo”.
Non sappiamo esattamente cosa sia della carriera musicale di Vecchi dopo la morte del maestro (1575). Sappiamo di suoi viaggi alla volta di alcune città vicine, probabilmente per cercare un impiego da musico professionista all’altezza del suo indubbio talento. Comunque, già nel 1579 gode di buona fama se, in compagnia di altri affermati compositori, partecipa a una raccolta madrigalesca confezionata per le nozze di Francesco de’Medici, duca di Firenze, e Bianca Capello.
Vecchi, comunque, si preoccupa di farsi conoscere oltre i confini locali anche pubblicando diversi libri di sue composizioni: nel 1579 un volume di Mottetti a otto voci; in un anno imprecisato (non ci è pervenuta alcuna copia della prima edizione, ma solo della prima ristampa, del 1580), il fortunato primo libro delle Canzonette a quattro voci; e nel 1580 il secondo libro delle Canzonette a quattro voci.
Dopo esser stato nominato nel 1581 maestro di cappella del duomo di Salò, Vecchi viene chiamato presso il duomo di Modena nel febbraio 1583 per assumervi la medesima funzione e, nel settembre dello stesso anno, pubblica un libro di Madrigali a sei voci. Il servizio a Modena comincerà però, effettivamente, solo l’anno successivo e del resto la permanenza nella città natale non si rivela proprio lineare: Vecchi richiede presto aumenti salariali, che gli vengono concessi perché possa rimanere in città; ma all’inizio del 1586 egli presenta istanza al nuovo vescovo (modenese) di Reggio Emilia per essere assunto in quella città come maestro di cappella della cattedrale. I canonici di Modena, adirati da questi maneggi, gli revocano la nomina, e già a fine gennaio 1586 Vecchi prende licenza e lascia la sua città. Tuttavia non si stabilisce a Reggio, ma prende tempo e, infine nell’ottobre dello stesso anno, viene nominato canonico nella collegiata di Correggio (rimanendo dunque nello stesso territorio). Nel frattempo, nel 1585, ha pubblicato il terzo libro delle Canzonette a quattro voci.
Vecchi rimane a Correggio sette anni, fino al 1593. E’ un periodo prolifico e importante, durante il quale giunge a termine la prima fase della sua produzione, e inizia la seconda, più matura e originale. Nel 1587 pubblica un libro di Lamentazioni e una raccolta (l’unica) di Canzonette a sei voci; nel 1589 il primo libro di Madrigali a cinque voci (anche questo rimasto senza seguito); nel 1590 i Mottetti a 4, 5, 6 e 8 voci. Sempre nel 1590 vedono la luce il quarto libro delle Canzonette a quattro voci, e soprattutto la Selva di varia ricreatione, che dà ufficialmente avvio alla seconda fase creativa. Fino alla Selva infatti Vecchi segue la consuetudine cinquecentesca di tenere distinti i vari generi e stili compositivi: musica vocale sacra, con i suoi vari sottogeneri (messe, mottetti, lamentazioni); musica vocale profana, articolata in madrigali (più dotti e aulici) e villanelle (più semplici nella forma e più leggere nei contenuti dei testi messi in musica); e musica strumentale, per singoli strumenti o per ensemble. Dalla Selva in poi, invece, Vecchi abbraccia la poetica della combinazione dei generi degli stili, parzialmente anticipata dalle Hore di ricreatione inserite nel libro dei Madrigali a sei voci. Fondamento di questa nuova poetica è il supremo ideale della varietà, esposto in un’ampia prefazione alla Selva che spiega il significato estetico dell’opera. Tutte le raccolte successive porteranno poi analoghi scritti introduttivi, molto importanti per capire la poetica e lo stile dell’autore.
Vecchi dimostra anche, fin da giovane, talento letterario oltre che musicale. Al periodo di Correggio, e precisamente al 1587, risale la stesura della sua più ampia creazione in versi, un “capitolo” dedicato in parte alle nozze Pio-Farnese, e in parte a tracciare un gustoso schizzo autobiografico.
Rientrato a Modena nel 1593, Vecchi assume nuovamente la funzione di maestro di cappella del duomo, mantenendola fino alla morte. Ormai egli è un musico affermato e blandito da varie corti italiane ed europee, e dà piena espressione alla sua nuova poetica. Nel 1597 (oltre a una raccolta di Canzonette a tre voci) escono contemporaneamente il famosissimo Amfiparnaso, e il Convito musicale, che portano avanti la poetica del molteplice, ma ciascuna in modo diverso. Il Convito è un variegato e gustoso centone nello stile della Selva, in cui convivono cicli madrigalistici, canzonette e dialoghi in varie combinazioni vocali. L’Amfiparnaso invece (per il quale l’autore conia la definizione di “comedia harmonica”) mostra una sensibile innovazione: anche in esso si trovano alternati vari generi musicali, ma essi sono disposti secondo un preciso filo conduttore letterario come varie scene di una “comedia”. Vecchi fa così riferimento a quel genere di teatro, allora giovanissimo, che alcuni dei più brillanti attori girovaghi (i “comici” appunto) da pochi decenni hanno inventato, e che dal Settecento in poi sarà universalmente noto come commedia dell’arte.
La specificità della commedia dell’arte consiste nell’improvvisazione a partire da semplici canovacci scritti; e solo dai primi del Seicento i comici più acculturati si dedicheranno a dare forma letteraria più estesa e compiuta a questi canovacci.
Poiché l’Amfiparnaso presenta un testo letterario ben definito e curato, esso è da considerare il primo esempio di testo di commedia dell’arte scritto per intero.
Con ogni verosimiglianza Vecchi, che già si è cimentato con la poesia, è autore anche dei testi poetici dell’Amfiparnaso, e di molte poesie intonate nel Convito e nelle varie raccolte delle canzonette. A questi anni risale anche un’altra testimonianza rilevante (e di sicura attribuzione) del suo mestiere di scrittore: il Breve compendio del peregrinaggio di Loreto (1595), un gustoso volumetto che raccoglie la cronaca di un viaggio fatto al santuario di Loreto dalla Compagnia di San Geminiano di Modena, cui Vecchi appartiene.
Nel 1604 Vecchi pubblica l’ultima sua opera, Le veglie di Siena, un arioso e felice affresco musicale nel quale viene portata a ulteriore maturazione il nuovo stile iniziato dall’Amfiparnaso. L’ambientazione delle Veglie è costituita da tre riunioni della gloriosa Accademia degli Intronati di Siena, che permettono di dar corpo sonoro ad arguti testi dialogici, probabilmente scritti dallo stesso Vecchi.
Nella prefazione all’opera Vecchi spiega di aver inteso “unire il piacevole col grave; che pur sono correlativi insieme, come padre e figlio” (“Come meglio potrà il musico giovare che col grave, e dilettare che col ridicolo?”), e trae un bilancio della sua seconda stagione creativa: “dunque non paia meraviglia s’io vado hor con le Selve, hor co’i Conviti, hor con le Comedie, et ultimamente con le Veglie di Siena adhescando gli altrui gusti con l’hamo della varietà, et con la rete dell’inventioni; schifando di non darmi tutto ad una forma sola, con la qual senza dubbio potrei piacere à pochi”.
Gli ultimi mesi della vita di Vecchi sono segnati da un triste crepuscolo, a causa delle invidiose macchinazioni del suo ex allievo Geminiano Capilupi, che riesce a rendere il proprio maestro inviso al vescovo di Modena, e a farlo privare degli incarichi musicali. Tra il 19 ed il 20 febbraio del 1605 Vecchi muore nella sua Modena. Il cronista Spaccini fa sapere che causa ufficiale del decesso è ritenuto “il cattaro”, ma aggiunge subito dopo che, in realtà, tutti dicono che è morto di crepacuore, “per lo torto che vi facea il Vescovo il levargli la Capella”.
Creatore originalissimo, dall’intelligenza arguta e dall’inconfondibile temperamento ironico, Orazio Vecchi è senz’altro una delle maggiori personalità artistiche del secondo Cinquecento, e non solo italiano. Un solido mestiere di musicista, unito a una buona cultura letteraria e a un particolare fiuto per le tendenze emergenti del proprio tempo, hanno fatto di lui uno dei compositori più noti nell’Europa dell’autunno del Rinascimento.
Numerose ristampe delle sue canzonette in Germania, nelle Fiandre e in Inghilterra (e ancora per molti decenni dopo la sua morte) ne garantiranno una duratura, anche se non vistosa, influenza sulla musica barocca continentale. La storiografia non ha mai dimenticato del tutto la sua singolare personalità; e soprattutto in Italia, Vecchi ha goduto di una particolare simpatia a partire dagli anni Trenta, grazie alla tendenza a riscoprire i grandi maestri italiani del passato. Parzialmente sottostimato poi nel secondo dopoguerra, Vecchi è oggetto in questi anni di un’ulteriore riscoperta, criticamente più matura, ed è in corso la pubblicazione integrale (seppur frammentata) delle sue opere.