ORCOMENO di Beozia
Una delle più antiche e più ricche città della Grecia eroica, situata sul Lago Copaide presso allo sbocco del Cefiso; fondata, secondo la tradizione, da Orcomeno figlio del re Minia e capitale del territorio dei preistorici Minî (v. grecia: Preistoria; cretese-micenea, civiltà, XI, p. 870), chiamata perciò anche Orcomeno-Minia, fu indubbiamente un brillante centro di civiltà in epoca primitiva, come attestano inoltre le leggende dei suoi costruttori Agamede e Trofonio, e gli arditi lavori iniziali per il prosciugamento del Lago Copaide. Padrona in origine di un fertilissimo ed esteso territorio, comprendente a grandi linee tutta la Beozia occidentale, con Coronea, Aliarto, Lebadea, Cheronea e Larimna, e alla quale pare che Tebe stessa sia stata tributaria, sembra che già da tempi assai remoti la potenza di Orcomeno abbia cominciato a declinare, quando Medea, cioè la Cheronea storica, Coronea e Aliarto passarono sotto l'influenza di Tebe, e ad Orcomeno rimaneva solo la costa settentrionale del Lago Copaide; era tuttavia allora in grado, secondo il tardo catalogo omerico delle navi, di mandare 30 navi a Troia. Sessant'anni dopo la guerra di Troia la città stessa sarebbe stata conquistata e parzialmente distrutta dai Tebani; essa quindi entrò come seconda città nella Lega beotica; prese insieme con Tebe le parti degl'invasori nelle guerre persiane e dopo quelle guerre, nel sec. V, la sua aristocrazia visse in generale in buon accordo con quella di Tebe, ma la vittoria del partito democratico a Tebe dopo la guerra del Peloponneso mise di nuovo alle prese le due città rivali. Nel 395 a. C. e nell'anno seguente Orcomeno fu con Sparta, con Lisandro ad Aliarto e con Agesilao a Coronea; i Tebani allora dovettero riconoscere l'indipendenza di Orcomeno, e la risparmiarono anche dopo Leuttra (371 a. C.), pure costringendola di nuovo ad aderire alla Lega beotica, solo per l'intervento di Epaminonda; ma tre anni dopo la distrussero invece senza pietà, massacrando e vendendo schiavi tutti i suoi abitanti. Nel 353 O. fu riedificata dai Focesi, per istigazione degli Ateniesi, per controbilanciare la potenza di Tebe; distrutta una seconda volta poco dopo, fu riedificata ancora da Filippo II di Macedonia o da Alessandro, ma non ritornò mai più al primitivo splendore. Ai tempi di Strabone non aveva alcuna importanza. Dalle sue rovine appare che la città non sia stata mai del tutto abbandonata, neppure in epoca romana e bizantina.
Ancora oggi si conservano cospicui ruderi di Orcomeno presso il paese di Skripoũ. La città preistorica si estendeva in mezzo alla piana verso il Lago Copaide, là dove sono stati eseguiti importanti scavi dal 1903 al 1905, diretti da A. Furtwängler e H. Bulle; poi per l'impaludamento della pianura la città era stata trasportata sulle pendici del vicino colle di Acontio, sulla cui vetta fu costruita l'acropoli.
La città preistorica, verso l'estremo orientale delle rovine, proprio vicino al paese di Skripoũ, ha dato quattro stratificazioni successive. I più bassi sono i resti ancora della città neolitica, la cui interessante e singolare architettura consiste di capanne a pianta rotonda, costruite in mattoni crudi sopra uno zoccolo di sassi e terra, e la cui struttura a primitiva cupola precede forse quella dei grandi tholoi funerarî; delle fosse erano scavate internamente alle capanne per conservare le ceneri del focolare considerate sacre; il secondo strato corrisponde circa all'età di Kamares cretese, e in questo l'architettura si trasforma con case a pianta ovale o ellittica e facciata rettilinea. Le due stratificazioni superiori sono di età micenea. A poca distanza dagli scavi si trova il più famoso monumento della città, il cosiddetto "tesoro di Minia" descritto da Pausania, che non è altro che una tomba a cupola micenea, dalla vòlta crollata, di pianta e dimensioni assai simili alla tomba di Atreo a Micene (v.). A nord di questo, sotto l'antico convento della Dormizione della Vergine, sono i resti del tempio delle Cariti, particolarmente venerate nella città, amante della musica (il cui territorio forniva infatti eccellenti canne per flauti e tartarughe per lire), e alle cui feste (le Caritesie) accorrevano alle gare di musica e di poesia partecipanti da tutta la Grecia, dall'Asia Minore e dall'Italia. Pausania ricorda inoltre la tomba di Minia, la tomba di Esiodo, che vi sarebbe stato trasportato da Naupatto, un tempio di Dioniso e un odeo. Dalla città preistorica salendo verso ovest si arriva ai ruderi delle mura della città bassa, con tratti ancora di età arcaica, e che formavano un triangolo, con la punta verso lo stretto baluardo dell'acropoli in vetta dell'Acontio; la città macedonica si trova su una terrazza superiore, verso l'acropoli, le cui mura egualmente appartengono alla fine del sec. IV a. C. A nord dei ruderi della città bassa si trova la Fonte Acidalia.
La battaglia di Orcomeno. - Nell'estate dell'86 il generale di Mitridate operante in Grecia, Archelao, ricevuti rinforzi guidati da Dorilao, si fermò nella pianura di Orcomeno offrendo battaglia. Silla, inferiore di numero e in posizione sfavorevole per il terreno, protesse i suoi fianchi con trincee: ma mentre la truppa procedeva appunto a scavarle, Archelao attaccò con la cavalleria, e soltanto grazie a sopraggiunti rinforzi e all'esempio personalmente dato da Silla, non avvenne subito un rovescio. Quando le truppe di Silla si erano appena ordinate nei trinceramenti, Archelao sferrò un secondo attacco con impiego di carri armati. Ma l'attacco frontale dei carri s'infranse contro la resistenza romana e per il contrattacco della cavalleria e della fanteria leggiera. I cavalli dei carri, adombratisi per la battaglia, si diedero alla fuga tornando indietro e scompigliando così la falange di Archelao. Un ultimo attacco di cavalleria tentato da Archelao non ebbe successo e fu reso inutile da un nuovo attacco di Silla che decise della battaglia con una piena sconfitta dell'esercito pontico, il quale lasciò circa 15.000 uomini sul campo di battaglia. All'indomani, un nuovo disperato tentativo trasformò la sconfitta di Archelao in un disastro: Archelao stesso dovette fuggire a Calcide per raggiungere il resto delle truppe. La battaglia di Orcomeno aveva compiuto l'opera di rioccupazione della Grecia da parte dei Romani dopo il breve dominio mitridatico.
Bibl.: H. Schliemann, Orchomenos. Bericht über meine Augsgrabungen im böetischen Orchomenos, Lipsia 1881; id., in Jour. Hell. St., II (1881), p. 122 segg.; C. Schuchhardt, Schliemann's Ausgrabungen, 2ª ed., Lipsia 1891, p. 352 segg.; H. Bulle, Orchomenos, I: Die älteren Ansiedelungsschichten, Monaco 1907; E. Kunze, Orchomenos, II: Die neolitische Keramik, Monaco 1931; id., Orchomenos, III: Die Keramik der frühen Bronzezeit, Monaco 1934. Per la battaglia v. Th. Reinach, Mithridate Eupator, Parigi 1890, p. 187 segg.; Cambridge Ancient History, IX, p. 252 segg.