GIUDIZIARIO, ORDINAMENTO (XVII, p. 307)
La riforma dell'ordinamento giudiziario, attuata con il decreto 30 gennaio 1941, n. 12, e che aveva già subìto numerose modificazioni (tra cui va ricordata, per la sua importanza, quella apportata con il decr. legisl. 13 settembre 1946, n. 264, relativo alla composizione dei consigli giudiziarî, del consiglio superiore della magistratura e della Corte disciplinare), deve ritenersi ormai anche essa superata, in relazione alla cosituzione della repubblica italiana (27 dicembre 1947), che pone principî innovatori di tutto il sistema giudiziario.
Le autorità giudiziarie. - Principio fondamentale e massima garanzia di giustizia è che ogni "causa" (civile, penale o amministrativa), astrattamente considerata, cioè prima che sorga effettivamente, deve appartenere ad un dato giudice (giudice naturale) costituito da magistrati ordinarî, ossia istituito e regolato dalle norme sull'ordinamento giudiziario (giudice ordinario). Questo principio, che si risolve nel divieto, per il potere legislativo, così come per il potere esecutivo, di istituire giudici straordinarî (cioè costituiti allo scopo di decidere una controversia già sorta) o giudici speciali (cioè costituiti al di fuori delle norme sull'ordinamento giudiziario per la decisione di determinate specie di cause), è sancito nell'art. 102 della costituzione. Giudici ordinarî sono: il Conciliatore, il Pretore, il Tribunale, la Corte di appello, la Corte suprema di cassazione.
L'esigenza insopprimibile, però, che determinate cause, per le loro particolari caratteristiche, siano decise da persone in possesso di speciali esperienze o cognizioni tecniche, trova la sua conciliazione con il principio dell'inderogabilità della giurisdizione ordinaria mediante la creazione di giudici ordinarî specializzati. Questo sistema, sostenuto dalla migliore dottrina, è esplicitamente accolto dalla costituzione, che (art. 102) precisa: "Possono soltanto istituirsi presso gli organi giudiziarî ordinarî sezioni specializzate per determinate materie, anche con la partecipazione di cittadini idonei estranei alla magistratura". Giudici ordinarî specializzati sono ad es.: il Tribunale per i minorenni, la sezione di Corte di appello per i minorenni, la sezione per le controversie di lavoro, il tribunale per le acque pubbliche, ecc.
Il principio ora esposto, che dovrebbe essere gelosamente salvaguardato come massima guarentigia dei cittadini, subisce tuttavia grave deroga nella stessa costituzione che, nell'art. 103, prevede tre ordini di giudici speciali, e precisamente: a) gli "organi" di giustizia amministrativa "per la tutela nei confronti della pubblica amministrazione degl'interessi legittimi e in particolari materie indicate dalla legge anche dei diritti soggettivi" (Consiglio di stato, Giunte provinciali amministrative); b) la Corte dei conti, che ha giurisdizione nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre specificate dalla legge: c) i Tribunali militari che, in tempo di guerra, hanno la giurisdizione stabilita dalla legge e in tempo di pace l'hanno solo per i reati militari degli appartenenti alle forze armate.
L'ordine giudiziario. - L'ordine giudiziario, inteso in senso stretto, deve ritenersi comprensivo solo di tutti i magistrati ordinarî investiti in linea generale dallo stato della funzione di "giudicare". Invece lo si ritiene generalmente comprensivo anche dei componenti il pubblico ministero. L'ordine giudiziario è esplicitamente, riconosciuto come tale dalla costituzione che, nell'art. 104, ne proclama solennemente l'autonomia e l'indipendenza "da ogni altro potere". Ciò costituisce un'importante innovazione nel sistema costituzionale italiano, poiché si viene a rendere effettiva ed efficiente la distinzione tra i tre poteri dello stato (legislativo, esecutivo, giudiziario). L'autonomia della magistratura vuole principalmente significare che essa è completamente avulsa dall'organizzazione burocratica, attraverso la quale invece si esplica il potere esecutivo. Da ciò deriva la necessaria conseguenza che lo stato giuridico dei giudici deve prescindere completamente da quello dei pubblici impiegati. Esclusione quindi di ogni gerarchia burocratica, di ogni distinzione di grado ed autonomia conseguente anche nel trattamento economico. Tutto ciò è confermato dall'art. 107 della costituzione ove si stabilisce che "i magistrati si distinguono fra loro soltanto per diversità di funzioni". L' indipendenza dell'ordine giudiziario non è da confondere con l'indipendenza del giudice. Quest'ultima è sancita nell'art. 101 della costituzione, ove si stabilisce che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge" ed ha riguardo alla piena libertà del singolo giudice di dare il contenuto che crede agli atti di propria competenza. L'indipendenza dell'ordine giudiziario, proclamata dall'art. 104 della costituzione, rappresenta invece il presupposto e la salvaguardia della stessa indipendenza del giudice e si risolve nelle tre guarantigie dell'autogoverno, dell'autodisciplina e dell'inamovibilità. L'autogoverno consiste nel fatto che sono sottratti al potere esecutivo e legislativo e sono attribuiti allo stesso potere giudiziario (in particolare al Consiglio superiore della magistratura) tutti i provvedimenti di assunzione, di assegnazione, di trasferimenti e di promozione dei magistrati. L'autodisciplina consiste ugualmente in ciò che tutti i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati spettano al Consiglio superiore della magistratura. L'inamovibilità, infine, è garantita esplicitamente dall'art. 107 della costituzione per cui i magistrati "non possono essere dispensati o sospesi dal servizio né destinati ad altre sedi o funzioni se non in seguito a decisione del Consiglio superiore della magistratura, adottata o per i motivi e con le garanzie di difesa stabilite dall'ordinamento giudiziario o con il loro consenso".
Il Consiglio superiore della magistratura. - Il Consiglio superiore rappresenta l'organo supremo del potere giudiziario posto su un piano di parità con il parlamento e con il governo. Il Consiglio superiore è composto (art. 104 della costituzione) dal presidente della repubblica, che ne è il presidente, e da un numero indeterminato di consiglieri (la determinazione del loro numero sarà fatta per legge), nominati con vario criterio e precisamente: a) due consiglieri di diritto e cioè il primo presidente della Corte suprema di cassazione ed il procuratore generale presso la Corte stessa: b) degli altri consiglieri i due terzi sono eletti per quattro anni da tutti i magistrati ordinarî (esclusi quindi i membri del Consiglio di stato e delle altre giurisdizioni amministrative); c) il rimanente terzo dei consiglieri è eletto, pure per quattro anni, dal parlamento, che li sceglie fra i professori universitarî ordinarî di materie giuridiche e tra gli avvocati che abbiano almeno quindici anni di esercizio. I membri di questa categoria non possono, finché sono in carica, essere iscritti negli albi professionali. La carica di membro del Consiglio superiore della magistratura è incompatibile con quella di membro del parlamento e dei consigli regionali e, sebbene la costituzione non lo dica, deve ritenersi certa anche la incompatibilità con l'ufficio di membro del governo. Il Consiglio elegge un vicepresidente fra i componenti designati dal parlamento. Al Consiglio superiore sono devoluti parecchi poteri che prima spettavano al ministro della Giustizia. In particolare spettano ad esso (art. 105 della costituzione) "le assunzioni, le assegnazioni ed i trasferimenti, le promozioni e i provvedimenti disciplinari nei riguardi dei magistrati". Spetta poi ancora (art. 106 della costituzione) designare per la nomina a consigliere di cassazione "per meriti insigni, professori ordinarî di università in materie giuridiche e avvocati che abbiano quindici anni di esercizio e siano iscritti negli albi speciali per le giurisdizioni superiori".
Il ministro della Giustizia. - Per l'art. 110 della costituzione, "ferme le competenze del Consiglio superiore della magistratura, spettano al ministro della Giustizia l'organizzazione e il funzionamento dei servizî relativi alla giustizia". Nessun dubbio, quindi, che spettano al ministro i più ampî poteri rispetto all'organizzazione ed al funzionamento delle cancellerie e delle segreterie, degli ufficiali giudiziarî e degli uscieri, dei locali e dell'arredamento e dell'attrezzatura degli stessi. Invece, nell'attesa delle leggi che con norme più concrete attuino i principî della costituzione, rimangono controversi due punti: quello delle attribuzioni del Ministero della giustizia rispetto ai magistrati (giudicanti) e quello delle attribuzioni del ministro stesso rispetto ai componenti il pubblico ministero. Rispetto al primo, è da rilevare che, una volta attribuiti al Consiglio superiore i più ampî poteri circa le assunzioni, assegnazioni, trasferimenti, promozioni e provvedimenti disciplinari dei magistrati, il ministro, come organo "esecutivo", ha poteri d'iniziativa, di segnalazione, di proposta, di richiesta, d'istruzione ed infine di esecuzione delle decisioni del Consiglio superiore, dato che queste postulano quasi sempre i provvedimenti amministrativi, i quali non possono rientrare che nella competenza ministeriale. Un'esplicazione di questo principio, del resto, troviamo nella stessa costituzione, ove, all'art. 107, si riconosce al ministro il potere di promuovere l'azione disciplinare contro i magistrati. Altra delicata questione è quella di determinare se, ed in quali limiti, ciò implichi necessariamente anche un potere di sorveglianza e di inchiesta a carico dei magistrati giudicanti. L'altro punto delicato è quello relativo ai rapporti tra il ministro ed i componenti del pubblico ministero. Esso dipende dalla natura che si riconosce a quest'ultimo.
Il pubblico ministero. - La costituzione (art. 107 del quarto comma), stabilisce che: "il pubblico ministero gode delle garanzie stabilite nei suoi riguardi dalle norme sull'ordinamento giudiziario". In tal modo dovrebbe essere chiaro che è operata una netta distinzione tra la posizione dei magistrati giudicanti e i componenti del pubblico ministero, dato che per questi ultimi valgono non le guarentigie costituzionalmente stabilite, ma solo le altre per essi dettate in modo particolare. Ciò implica che il pubblico ministero ha natura di organo del potere esecutivo con dipendenza funzionale dal ministro, sia pure con la salvaguardia di speciali garanzie connaturate alla particolarità della funzione. La conferma di questo principio si trova nel secondo comma dell'art. 101 della costituzione, ove si afferma che "i giudici sono soggetti soltanto alla legge", col che è evidente, per ragionamento a contrario, l'affermazione di una subordinazione gerarchica del pubblico ministero. La figura del pubblico ministero tende quindi ad uscire dalla situazione equivoca ed incerta nella quale si era venuta riducendo ed a ritornare ad essere quella originaria di "rappresentante del potere esecutivo presso l'autorità giudiziaria sotto la direzione del ministro della Giustizia".
La tendenza pseudo-liberale, che vuole il publico ministero sottratto anch'esso, come i giudici, alla dipendenza del potere esecutivo, si fonda su di un equivoco. Essa crede, in tal modo, di aumentare le garanzie del cittadino, mentre in pratica viene ad attenuarle. Infatti, una volta accomunato il pubblico ministero con il giudice, avviene che il necessario collegamento del potere esecutivo con quello giudiziario si traduce in una sia pure parziale e cauta prevalenza del governo a pari titolo non solo sul pubblico ministero ma anche sui giudici.
D'altra parte consegue ancora che il governo, nell'impossibilità di usare liberamente del pubblico ministero nei suoi imprescindibili compiti di attuazione della legge e di conservazione dell'ordine, provvede a ciò mediante altri organi (prefetture, questure, commissariati), che usurpano precisamente funzioni e poteri proprî del pubblico ministero, senza le garanzie e l'affidamento che questi dà per il suo collegamento continuo con l'autorità giudiziaria e con l'ulteriore conseguenza che il pubblico ministero stesso si riduce ad una parvenza di organo, non più sollecitatore della giustizia, ma esso stesso sollecitato dai privati o dalla polizia, e quindi a poco più di una pallida ed inutile duplicazione del giudice nella istruzione, e ad una pleonastica figura nel dibattimento.
Del resto la natura di organo del potere esecutivo del pubblico ministero si rivela anche nella sua struttura necessariamente gerarchica, oltre che nella stessa natura delle sue funzioni istituzionali, che sono quelle di vegliare sull'osservanza della legge, sulla pronta e regolare amministrazione della giustizia, sulla tutela dei diritti dello stato e delle persone incapaci: tutte funzioni, queste, rientranti esattamente nei compiti del potere esecutivo, nell'adempimento della funzione giuridica dello stato. D'altra parte che il pubblico ministero sia un organo del potere esecutivo è una necessità derivante anche dalla sua posizione nel processo penale nel quale deve agire, il che implica la sua natura di "parte", che non è compatibile con il riconoscimento a lui di una natura simile a quella del giudice. poi anche un corollario dello stesso principio della "ufficialità ed obbligatorietà dell'azione penale" (art. 112 della costituzione). Infatti, in una situazione di assoluta indipendenza del potere giudiziario, quale è sancita dalla nuova carta costituzionale, se di esso facesse parte il pubblico ministero, il privato cittadino non avrebbe come tutelarsi nella ipotesi in cui il pubblico ministero, sia pure nella più ampia buona fede, ritenesse non sussistenti le condizioni di fatto o di diritto per promuovere l'azione penale. Invece l'inquadramento di esso nel potere esecutivo implica la possibilità di ricorsi gerarchici, il controllo del governo ed infine la responsabilità parlamentare di questo.
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