ordine
In quanto concetto prevalentemente filosofico, o. ricorre assai spesso nel Convivio e nella Monarchia; con una certa frequenza ricorre nel Paradiso dove si tratta dell'o. universale e a proposito degli angeli. Con minore frequenza si registra nelle altre opere.
Seguiremo in questa voce la quadruplice divisione di o. (considerato nei suoi rapporti con la ragione) proposta da Tommaso in un passo esplicitamente citato da D. (Cv IV VIII 1 sì come dice Tommaso sopra lo prologo de l'Etica, " conoscere l'ordine d'una cosa ad altra è proprio atto di ragione ") e da lui rielaborato in IV IX 4-10.
Dice infatti Tommaso (Exposit. in Eth. I lect. I): " Sicut dicit Philosophus in principio Metaphysicae [Aristotele Metaph. I 3] sapientis est ordinare. Cuius rado est, quia sapientia est potissima perfectio rationis, cuius proprium est cognoscere ordinem... ordinem... unius rei ad aliam cognoscere est solius intellectus aut rationis. Invenitur autem duplex ordo in rebus. Unus quidem partium alicuius totius seu alicuius multitudinis adinvicem, sicut partes domus adinvicem ordinantur. Alius est ordo rerum in finem. Et hic ordo est principalior, quam primus... Ordo autem quadrupliciter ad rationem comparatur. Est autem ordo quem ratio non facit, sed solum considerat, sicut est ordo rerum naturalium. Alius est ordo, quem ratio considerando facit in proprio actu, puta cum ordinat conceptus suos adinvicem, et signa conceptuum, quia sunt voces significativae. Tertio autem est ordo quem ratio considerando facit in operationibus voluntatis. Quartus est ordo quem ratio considerando facit in exterioribus rebus, quarum ipsa est causa, sicut in arca et domo ".
Alla luce del rapporto ragione-realtà, l'o. viene anzitutto considerato sotto un duplice aspetto: come o. oggettivo o universale, come un tutto armonico, in quanto strumento attraverso cui Dio dispone il creato a un fine, e come o. soggettivo o di ragione, attraverso cui l'uomo - con il proprio intelletto - ripercorre e scopre quest'o. universale che è via alla verità. Nel primo caso la ragione considera l'o. universale senza operare, nel secondo caso essa opera o ricostruendo quest'o. in quanto facoltà raziocinante (l'o. del retto ragionare è uno specchio dell'o. naturale) o mirando a un fine da perseguire con la volontà (o. morale che coincide con l'universale) o infine realizzando fuori di sé un'opera di cui è causa e pertanto anche principio di o. (è il caso di ogni attività produttiva e ‛ artificiale ').
Il primo aspetto dell'o. è dunque quello di " ordinamento " naturale e obiettivo, inteso sia come organizzazione armonica di un tutto, sia come naturale successione nello spazio e nel tempo.
Il concetto generale di o. viene usato da D. per provare la necessità di un fine del genere umano: esso è essenzialmente " relazione reciproca " tra elementi di un tutto, tendenza di questo tutto a un fine superiore, e deve perciò trovarsi a tutti i livelli: Mn I VI 2 Cum ergo duplex ordo reperiatur in rebus, ordo scilicet partium inter se, et ordo partium ad aliquod unum quod non est pars, sicut ordo partium exercitus inter se et ordo earum ad ducem, ordo partium ad unum est melior tanquam finis alterius (v. anche §§ 1 e 3). La stessa nozione di o. in quanto esprimente una ‛ relazione ', ‛ proporzione ', D. aveva già espressa nel Convivio, distinguendo tra il desiderio della ricchezza, che è propriamente un ‛ crescere ', e quello della scienza, che è una serie infinita di desideri diversi: IV XIII 3 e 4 'l cento sì è parte del mille, e ha ordine ad esso come parte d'una linea a tutta linea... Ma conoscere che siano li principi de le cose naturali, e conoscere quello che sia ciascheduno, non è parte l'uno de l'altro, e hanno ordine insieme come diverse linee. Se nella Monarchia D. vuole inserire l'o. del genere umano nell'o. universale (I III 2, VII 1), egli torna ad affermare che l'o., in quanto voluto dalla natura e dal suo autore, nel consorzio umano, dev'essere garantito dal diritto II VI 3 Ex quo sequitur quod ordo naturalis in rebus absque iure servari non possit, cum inseparabiliter iuris fundamentum ordini sit annexum: necesse igitur est ordinem de iure servari (al § 2 si fa riferimento per analogia all'ordo di una piccola comunità).
Nel Convivio, D. tratta più volte dell'o. sotto vari aspetti. Anzitutto, l'o. propriamente naturale secondo cui sono disposti i cieli: II III 7 Ed è l'ordine del sito questo, che lo primo che numerano è quello dove è la Luna. Qui D. paragona l'o. naturale dei cieli con quello intercorrente tra le scienze: XIII 2 Dico che per cielo io intendo la scienza e per cieli le scienze, per tre similitudini... e per l'ordine e numero in che paiono convenire (vedi anche §§ 7). E poiché, nella canzone, D. si rivolge direttamente agli angeli motori, egli ragiona diffusamente degli angeli che, conformemente alla tradizione ecclesiastica (v. GERARCHIA ANGELICA), divide in nove o. o gruppi qualitativamente distinti. In questo caso o. assume il valore specifico di " rango ", " grado ", " serie gerarchica ": Cp II V 5 E [la Chiesa] partele [le creature angeliche] per tre gerarchie... e ciascuna gerarchia ha tre ordini; sì che nove ordini di creature spirituali la Chiesa tiene e afferma; cfr. g 6, 7, 9, 12 (due volte) e 13 (con riferimento ai cori angelici il termine è in Pd XXVIII 47, 120, 123, 127 e 131). Con questo medesimo significato a proposito dei beati, in Pd IX 116 e XXXII 7. All'o. dello Spirito Santo si riferisce Pd III 54. Sempre come " serie di gradi ", " suddivisione gerarchica ", D. adopera o. a proposito dei gradi degli esseri creati: Cv III VII 6 però che ne l'ordine intellettuale de l'universo si sale e discende per gradi quasi continui da la infima forma a l'altissima [e da l'altissima] a la infima, sì come vedemo ne l'ordine sensibile; e tra l'angelica natura... e l'anima umana non sia grado alcuno, ma sia quasi l'uno a l'altro continuo per li ordini de li gradi. In Pd X 21 ordine mondano è l'ordinamento del mondo sublunare. Del miracolo come sospensione dell'o. naturale è detto in Mn II IV 1. In Pg XXI 41 il riferimento è all'o. del mondo celeste. Nel confrontare bellezza fisica e bellezza morale, la voce o. viene usata, sempre col significato fondamentale di " disposizione ", " relazione armonica ", in Cv IV XXV 12 e 13 l'ordine debito de le nostre membra rende uno piacere non so di che armonia mirabile... E così dicere che la nobile natura lo suo corpo abbellisca e faccia conto e accorto, non è altro a dire se non che l'acconcia a perfezione d'ordine. Inoltre, nella Vita Nuova o. vale " successione nel tempo ": in XXIII 31 ne la prima [parte] dico per ordine questa imaginazione; XXXIX 2 ricordandomi di lei secondo l'ordine del tempo passato; Cv II I 13.
Nel Paradiso è ripreso il concetto di o. come armonia universale coincidente con il piano provvidenziale di Dio (Mn II IV 11, III XVI 12). In tal senso l'universo è visto come un insieme armonico di esseri tesi verso l'attuazione del loro fine particolare ma disposti in modo così mirabile da elevare necessariamente l'attenzione di chi è dotato d'intelligenza alla considerazione del creatore, fine universale: Pd I 104 e 109 Le cose tutte quante / hanno ordine tra loro, e questo è forma / che l'universo a Dio fa simigliante. / Qui veggion l'alte creature l'orma / de l'etterno valore, il qual è fine / al quale è fatta la toccata norma. / Ne l'ordine ch'io dico sono accline / tutte nature, per diverse sorti, / più al principio loro e men vicine; / onde si muovono a diversi porti / per lo gran mar de l'essere, e ciascuna / con istinto a lei dato che la porti; X 5 Guardando nel suo Figlio con l'Amore / che l'uno e l'altro etternalmente spira, / lo primo e ineffabile Valore / quanto per mente e per loco si gira / con tant'ordine fé, ch'esser non puote / sana gustar di lui chi ciò rimira. In Pd XXIX 31 Beatrice, illustrando la contemporaneità della creazione delle cose e della loro " mutua disposizione ", afferma: Concreato fu ordine e costrutto / a le sustanze (dove il significato di o. resta sostanzialmente lo stesso, sia che costrutto s'interpreti come sostantivo, sia che venga inteso come participio passato).
Sull'esempio dell'o. naturale come disposizione secondo gradi gerarchici e rapporto armonico tra gli esseri a tutti i livelli, la ragione riproduce quest'o. in ogni suo atto. Così essa ordina i concetti e i termini che li significano in un tutto ordinato secondo gradi e rapporti necessari, coincidente con il metodo logico e, più genericamente, con ogni procedimento raziocinativo proprio di qualsiasi scienza o disciplina.
In tal senso D. in Cv II I 13 afferma che anteporre l'esposizione allegorica a quella letterale, anche se possibile, sarebbe inrazionale, cioè fuori d'ordine, dove appunto l'o. del procedimento dimostrativo coincide con una necessità di retta ragione (cfr. anche IV VII 5). Allo stesso modo, nel procedimento letterario retorico, l'o. coincide con la sistemazione più appropriata e conveniente (cioè secondo ragione) delle argomentazioni (cfr. Brunetto Latini Rettorica, ediz. Maggini, 29 1 " asettare per ordine, cioè mettere ciascuno argomento in quella parte, e luogo che si conviene "). A questa nozione di o. si riferisce D. più volte: I X 5 l'ordine de la intera scusa vuole ch'io mostri come a ciò mi mossi; II II 6 dico che questo ordine, che in questo trattato si prenderà, tenere intendo (XI 3 ordine de la canzone); III IX 1 l'ordine del presente trattato richiede; X 10 per che l'ordine de l'opera domanda; XI 1 Sì come l'ordine vuole. Con questo valore, da notare l'uso delle locuzioni ‛ per o. ' e ‛ secondo o. ': Cv I V 3 E queste cose... intendo per ordine ragionare in questa forma (anche II II 9, XIV 1, III I 13, V 2); Il XII 9 secondo l'ordine trapassato. Nelle opere latine si ha: in ordine dicendorum (Quaestio 29 e 58); secundum iam tactum ordinem (Mn I V 1); hic erit ordo (Quaestio 17); hic est ordo artificialis (§ 59), cioè l'o. " seguito a bella posta " (Padoan); ordine pertractantes illo quem in fine primi libri polluximus (VE II I 1). L'aspetto retorico dell'o. è messo particolarmente in rilievo in Cv II XI 9 ma ponete mente la sua bellezza, ch'è grande sì per construzione, la quale si pertiene a li gramatici, sì per l'ordine del sermone, che si pertiene a li rettorici (v. anche VE II XIII 9 e 10). In Cv I VII 4 perverso ordine (due volte) indica un rapporto invertito, contro natura e ragione, tra suddito e sovrano, mentre l'ordine diritto è lo sovrano a lo subietto comandare (v. anche III XV 11 e 14). Di ‛ ordo perversus ' parla ancora D. in Mn III IV 13. Se nel concetto di o. è comunque presente una connotazione morale, essa è evidente in Pg XVII 126, ove per ordine corrotto va inteso il pervertimento nella scala dei fini che conducono al bene.
O. sacro. - Non è estraneo a D. il senso sacramentale del termine, in passi in cui la sua attenzione, più che dalla teologia speculativa, è attirata dall'aspetto morale o dalle esigenze dei vari gradi dell'ordine.
In If XXVII 91 né sommo officio né ordini sacri / guardò in sé, D. muove a Bonifacio il grave rimprovero di non essere stato trattenuto, nella sua dannosa attività, dalla considerazione della sua suprema funzione e degli ordini sacri da lui ricevuti.
Parimenti, in Pd X 5, D. si lamenta di chi, come i vacui giuristi o i medici avidi, ricercano il sacerdozio nell'intento di servirsene a proprio tornaconto e non invece di servire con disinteresse.
In Mn III III 14 viene trasposto alle Decretali l'episodio di Matt. 15, 1-6 in cui Farisei e Scribi sono rimproverati da Gesù di anteporre le tradizioni degli antichi alle prescrizioni della Legge. Le Decretali, dice D., per quanto venerabili, non hanno comunque il valore o l'autorità della ‛ Scrittura fondamentale ', cum Cristus sacerdotes obiurgaverit de contrario. Il contesto non permette di affermare con certezza se questi sacerdoti sono i ministri del Tempio di Gerusalemme (tra i Farisei potevano essercene) oppure se l'intenzione di D. è quella di fustigare quei chierici della Curia romana di allora, sempre pronti a dilatare il potere pontificio in nome del quale governavano.
Lo scopo di D. non fu certo quello di scrivere un trattato sui sette sacramenti; è normale quindi che molti di essi siano oggetto solo di qualche allusione. S. Tommaso, conformemente all'enumerazione classica, aveva previsto per la Summa theologiae una serie di quaestiones sull'o. tra l'estrema unzione e il matrimonio. D. peraltro ebbe modo di conoscere direttamente la bella sintesi offerta del Liber Sententiarum di Pietro Lombardo (p. IV, dist. VIII ss.).