ORDINI MONASTICI e MENDICANTI
Mentre alcuni studiosi si sono preoccupati di circoscrivere la produzione artistica di un O. particolare (v. Benedettini; Certosini; Cistercensi; Clarisse; Cluniacensi; Domenicani; Eremiti di s. Agostino; Francescani; Premostratensi), altri hanno affrontato il problema delle immagini degli O.: la grande maggioranza di questi studi, legati all'immenso territorio delle ricerche agiografiche, è dedicata all'esame monografico di un santo fondatore di un O., di cui diviene così possibile seguire l'evoluzione iconografica (Frugoni, 1993).La problematica che le immagini degli O. ispirano può essere estesa anche in un'altra direzione: l'immagine di un O. non è semplicemente l'immagine prodotta da un O., ma è anche la rappresentazione dell'O. medesimo, a sua volta elaborata da questo stesso o dai suoi concorrenti.La nozione di O., monastico o mendicante, pur centrale nella storia culturale e sociale dell'Occidente medievale, non ha dato vita, nelle produzioni figurative del Medioevo, a un'iconografia ben definita: il mondo dell'immagine non concepì l'idea di O. in maniera unitaria e al fine di restituire tale molteplicità di immagini devono essere presi in esame differenti tipi di rappresentazioni. Essi possono articolarsi intorno a tre poli, anch'essi d'altro canto ambivalenti: immagini narrative e immagini organiche (l'O. e il santo, struttura dell'O.); immagini polemiche e immagini unitarie (O. nella storia, O. come corpo mistico); immagini dei riti fondanti (vestizione dell'abito, consegna del libro).
Eccezion fatta per i complessi cistercensi e per le certose, la maggior parte dei monasteri e dei conventi medievali conserva affreschi che espongono, episodio per episodio, la vita del santo fondatore dell'Ordine. È il caso della chiesa inferiore del Sacro Speco di Subiaco, della basilica superiore di S. Francesco ad Assisi, della chiesa di S. Miniato al Monte a Firenze.Questi affreschi, ricollocati nell'unità funzionale e ideale del monastero o del convento, acquistano anche un'altra dimensione: quella della rappresentazione dell'O. considerato. S. Benedetto e s. Francesco non appaiono infatti più come santi òrdinari', ma sono identificati come santi fondatori, come padri spirituali della comunità che vive nell'edificio. La storia della vita del santo si confonde allora con quella dell'O.; il suo percorso personale, individuale, costituisce lo specchio di un processo esemplare verso la perfezione (Vogüé, 1976). Incarnando così la specificità dell'istituzione religiosa, la figura del santo si impone ai 'fratelli' come modello, punto di riferimento assoluto della loro vita religiosa; la sua identità coincide con quella dell'Ordine.Un insieme di immagini, che si collocano soprattutto nell'ambito della pittura pubblica (in particolare affreschi), presenta l'O. come un tutto organico, riprendendo metafore sviluppate nelle fonti agiografiche, per es. il Dialogus miraculorum (I, 1) di Cesario di Heisterbach per i Cistercensi o i Fioretti di san Francesco (48). In questi testi l'edificio architettonico e il fertile albero della buona parentela sono le raffigurazioni più frequenti dell'O., scelto in maniera distaccata come un tutto ideale e rivelato nel suo stato passato (mito delle origini), presente (conferma della giusta fondazione e della vitalità dell'O.) o futuro (predizione del divenire dell'O.).Il vero oggetto di queste immagini a carattere geometrico e spiccatamente organizzativo è la struttura dell'O., con i legami stabiliti tra i suoi membri; il sistema relazionale prevale sull'individuo. Queste composizioni articolano i ritratti dei religiosi in funzione di criteri precisi, gerarchici, tipologici o cronologici; tre opzioni che possono in qualche caso intersecarsi. Esse appaiono in un primo momento, a partire dal sec. 13°, nei fregi che decorano le crociere degli edifici religiosi o che inquadrano, in modo apparentemente decorativo, scene a carattere narrativo. Così è, per es., sulle volte della basilica inferiore di S. Francesco ad Assisi, nella sala capitolare di S. Francesco a Pistoia e nel refettorio di S. Maria del Carmine a Firenze. Complessi reticoli di nessi geometrici o vegetali inseriscono, in una struttura generale orizzontale, medaglioni o losanghe che contengono un vero florilegio dei più eminenti membri dell'Ordine.Va considerata in queste rappresentazioni l'esistenza di una gerarchia tra i componenti dell'O., che si definisce nell'immagine attraverso lo scarto che si determina tra il medaglione centrale, contenente il santo fondatore, e gli altri medaglioni della catena. Quanto più un personaggio si colloca vicino al centro, vicino alla radice, tanto più egli viene considerato come eminente. È dunque secondo una trama semantica centro-periferia che viene reintrodotta in questi schemi orizzontali e unitari una gerarchia dell'Ordine.Oltre a queste metafore vegetali è utilizzato anche il modello dell'edificio, per offrire dell'O. una visione organica in forma 'architettonica'. L'albero e l'edificio possono peraltro combinarsi tra loro. La sala capitolare del convento di S. Nicolò a Treviso (1352) sviluppa il suo programma iconografico a partire dal solo modello dell'edificio. In essa si elabora così un'immagine assai strutturata dell'O. domenicano (Gibbs, 1989; Boskovits, 1990; Russo, 1992): attraverso un 'mosaico di pietre', essa articola le figure eminenti, organizzate in ritratti, le province dell'O. e il dettaglio dei conventi di una determinata provincia. Quest'allegoria architettonica apporta due dimensioni supplementari alla definizione in immagine dell'O.: la sua estensione geografica e la sua organizzazione istituzionale, due parametri non presi in considerazione nei fregi e negli alberi.Alcune grandi decorazioni totali permettono di sfumare la dicotomia narrazione-struttura. Il Cappellone degli Spagnoli in S. Maria Novella a Firenze (1366-1368) adotta il modo narrativo per esporre il programma dogmatico dell'O. domenicano (Gardner, 1979). Se la lettura dell'immagine si svolge in maniera sequenziale, il suo contenuto è nettamente di tipo organico: presentare l'O. domenicano nella sua storia, i suoi valori e la sua funzione, e precisare le sue relazioni da un lato con il Comune e dall'altro con la Chiesa.
Non si può analizzare il vasto corpus delle rappresentazioni conservate senza avere costantemente presente la questione delle connotazioni dell'immagine. A questo proposito si possono distinguere due orientamenti: da una parte l'autorappresentazione di un O., evidentemente sempre positiva, vale a dire glorificatrice; dall'altra la rappresentazione di un O. da parte di un altro O., che lascia trasparire, a gradi diversi, elementi di critica.Queste due prospettive sono intimamente legate al processo dell'emergere, della scomparsa e della trasformazione degli O.: concorrenza, rivalità, fascinazione e spirito di emulazione legano gli O. più di quanto non li dividano. I nuovi O. si costituiscono in funzione dei vecchi, in un meccanismo di interazione con essi. Essendo dunque le linee di demarcazione tra queste istituzioni particolarmente problematiche, la questione dell'identità, e quindi della rappresentazione, si pone per ciascun O. in maniera centrale.Nel campo delle immagini, la rappresentazione di un O. da parte di un altro O. è quantitativamente poco significativa, a fronte dell'immensa letteratura polemica e satirica che riecheggia le tensioni tra gli Ordini. Inoltre, queste rappresentazioni figurate compaiono in maniera solo episodica all'interno di programmi iconografici il cui oggetto principale (o per lo meno l'oggetto dichiarato) non è la rappresentazione dell'Ordine. Se ne trova un esempio, tra gli altri, nel Camposanto di Pisa (Frugoni, 1988). L'affresco con il Giudizio finale (1330-1340), a sua volta incluso in un programma iconografico più vasto, presenta un frate francescano condannato all'inferno che, approfittando di un momento di esitazione all'atto della suddivisione dei giusti dai reprobi, 'omette' di andarsi a collocare dal lato dei dannati: la committenza, proveniente dagli ambienti domenicani, colse l'occasione per sottolineare la reputazione di ipocrisia, di 'falsità' che accompagnava l'O. minorita, il più diretto concorrente dei Predicatori. La critica si manifesta in un luogo altamente significativo, il cimitero: essendo noto il livello della competizione tra i due O. nella gestione dei defunti, l'accusa risulta ancora più aspra.La citazione infamante si rende manifesta nell'immagine tramite l'elemento di intermediazione costituito dall'abito. Grazie ad alcuni segni distintivi dell'abbigliamento, ben noti a tutti, il discredito viene gettato su tutto un O. a partire da uno solo dei suoi rappresentanti. In un contesto polemico (positivo o negativo), la persona in abito religioso è assimilata all'O. nella sua interezza; l'abito si rivela allora come il mezzo principale attraverso il quale l'immagine addita e stigmatizza. Gli esempi si potrebbero moltiplicare, in particolare in riferimento alle Bibbie moralizzate, come quella di Vienna (Öst. Nat. Bibl., 2254), della prima metà del sec. 13°, dove il parteggiamento per i Domenicani è evidente (Laborde, 1911).All'opposto di queste rappresentazioni, che restituiscono l'attualità agitata degli O., un insieme di immagini tende a ravvicinarli, in uno spirito di consenso. Presentati come elementi complementari, essi concorrono a definire il corpo ecclesiale nei due sensi di Chiesa terrena e di Chiesa celeste. In un libro d'ore (Parigi, BN, lat. 1176, c. 132r), del sec. 15°, intorno a una scena di rito funebre, i quattro O. mendicanti (Eremiti di s. Agostino, Domenicani, Francescani, Carmelitani) sono rappresentati, all'interno di cerchi, da un gruppo di quattro o cinque religiosi che indossano i propri abiti distintivi. Questa disposizione dei quattro O., formanti un insieme coerente ed equilibrato, non manca di ricordare la metafora usata da Jacques de Vitry nella Historia orientalis, per dar conto della nascita dell'O. francescano come quarto O. inserito nell'ecclesia: "Praedictis tribus Eremitarum, Monacorum, et Canonicorum religionibus, ut regulariter viventium quadratura fundamenti in soliditate sua firma subsisteret, addidit Dominus in diebus istis quartam religionis institutionem ordinis decorem et regulae sanctitatem". I quattro O. mendicanti sono dunque presentati come altrettanti indispensabili punti di riferimento per i laici nell'organizzazione del rito funebre. In virtù del loro numero perfetto, quattro, della loro presentazione all'interno di cerchi, figura divina per eccellenza, e della loro posizione all'interno della pagina, essi costituiscono un'immagine ideale di concordia degli O., nel loro insieme un'istituzione destinata a organizzare la vita dei laici.Per quanto concerne la dimensione ultraterrena, gli O. si uniscono e si fondono nel concerto dei santi orchestrato dalle immagini consensuali della corte celeste. Tali raffigurazioni mettono in evidenza il posto riservato agli O., rappresentati dai loro fondatori, per mezzo di un sistema di ghirlande di santi disposte su più livelli e ordinate in modo tale da costituire una sorta di 'anello di santità' intorno alla scena centrale con l'Incoronazione della Vergine (Verdier, 1980). Allo stesso modo, i manoscritti del De civitate Dei di s. Agostino, come per es. quello di Parigi (BN, fr. 18, c. 3v), del 1473, presentano la civitas Dei organizzata in settori, sormontata dalla Trinità, attorno alla quale gravitano in concordia gli O. mescolati alla corte degli eletti (Laborde, 1909).
L'O. si manifesta anche attraverso i rituali che lo costituiscono. L'iconografia ne rappresenta con particolare predilezione due: la vestizione, corrispondente a un reale rito di ingresso nella vita religiosa, e la consegna del libro (nella fattispecie la regola), immagine messa a punto per sottolineare l'approvazione dell'O. attraverso il suo testo costitutivo.La vestizione, che si effettua al termine di un periodo di noviziato, al momento della pronuncia dei voti solenni, ha ispirato numerose immagini, miniature, tavole e dipinti murali. Le rappresentazioni di questo rito di passaggio segnano una serie di rotture e di introduzioni: rottura spirituale del postulante con la sua vita precedente, macchiata dai peccati, permettendo così la nascita dell'uomo nuovo (Ef. 4, 22-24), rigenerato dall'abito religioso come da un nuovo battesimo; rottura spaziale con il mondo, al fine di inserirsi totalmente e senza rimpianti nel monastero (quest'ultima frontiera risulta meno netta negli O. mendicanti); rottura sociale dei legami familiari e carnali, a vantaggio della parentela spirituale che costituisce la 'famiglia' religiosa (Vogüé, 1961a; 1961b).Le immagini della vestizione presentano una ripartizione spaziale sinistra-destra assai netta, che mette in evidenza l'opposizione tra mondo secolare e mondo regolare. Le iniziali figurate di un Decretum Gratiani (Roma, BAV, Ross. 307, c. 97r), in particolare, presentano la vestizione dell'oblato come il punto di contatto, al tempo stesso spaziale e temporale, tra i laici, raffigurati dalla coppia parentale riccamente abbigliata, e i monaci, gruppo omogeneo, esclusivamente maschile, sobriamente vestito, che costituiscono un corpo unico con il luogo architettonico del loro ritiro. In una percezione dello spazio connotata di valori morali, i laici sono raffigurati dal lato 'cattivo', il sinistro, mentre i religiosi occupano il lato 'buono'.Le immagini della vestizione precisano inoltre le modalità dell'introduzione del religioso all'interno della comunità. Esse chiariscono così i processi di costituzione dell'O., membro per membro. Nei Miracles de Notre Dame di Gautier de Coincy (Parigi, BN, fr. 22928, c. 94r), del sec. 13°, l'abito che viene indossato dal postulante forma una sorta di ponte che collega i due gruppi di religiosi, con la comunità che si scinde momentaneamente per accogliere il nuovo venuto. Allo stesso modo, le Cantigas de Santa María (Escorial, Bibl., J.B.1, cantiga 154), del 1257-1274, presentano in più punti la comunità religiosa (cluniacense, cistercense o francescana) che, letteralmente, circonda il postulante nel corso del rituale, dando così l'impressione di inghiottirlo: l'abito-uniforme cancella l'individuo a vantaggio del gruppo. Prendere l'abito è dunque incorporarsi nel corpo costituito dai religiosi.L'approvazione della regola da parte della Santa Sede appare nell'iconografia come un passaggio obbligato per l'istituzione di un Ordine. Così, nella basilica superiore di S. Francesco ad Assisi il programma di affreschi commissionato da Bonaventura da Bagnoregio, generale dell'O., contiene questa scena cruciale: papa Onorio III consegna la regola, rappresentata dalla bolla di approvazione, a Francesco inginocchiato davanti al sovrano pontefice. Il fondatore dell'O., seguito dagli undici primi compagni, riceve dall'autorità ecclesiastica il riconoscimento del diritto di esistere. L'umiltà di Francesco e la sua posizione dinanzi al papa rimandano a un gesto di obbedienza che non può non ricordare le rappresentazioni di omaggio. L'O. è così colto nei suoi rapporti con la Santa Sede: esso nasce tra le mani del papa.
Bibl.:
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