Ordini religiosi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Il concetto di ordine monastico si afferma nel IX secolo con un processo di normalizzazione all’insegna della Regola benedettina e si perfeziona sempre più nel XII secolo con le nuove forme congregazionali monastiche e canonicali. A fronte di ciò vi è un gran proliferare di proposte religiose nelle quali è difficile non solo stabilire un confine di appartenenza rispetto agli ordines “classici”, ma anche tracciare una netta demarcazione tra stato laicale e religioso. La rinascenza eremitica, avviatasi con l’XI secolo, si manifesta ora in un riferimento costante a ideali pauperistici e comunitari. A questo problema il concilio lateranense IV, prima, e il concilio di Lione II, poi, cercano di porre rimedio con una sorta di razionalizzazione della moltitudine di ordini mendicanti.
Il concetto di ordine applicato al sistema monastico si afferma all’indomani delle riforme carolinge, quando il differenziato sistema cenobitico sviluppatosi in Europa subisce un processo di normalizzazione all’insegna della Regola benedettina, ordo monasticus per eccellenza. Convinta della propria superiorità morale rispetto a tutte le altre forme di vita religiosa, la cultura regolare elabora una gerarchia degli stati del mondo – codificata già alla fine del X secolo – che pone il proprio statuto al sopra di tutti gli altri. A questa presunzione di eccellenza si oppone la consapevolezza istituzionale dei vescovi che, come Adalberone di Laon, rivendicano la preminenza dell’ ordo canonicus.
Tra X e XI secolo è tuttavia quello monastico lo status symbol della perfezione spirituale agli occhi dei fedeli. L’influenza esercitata dagli ideali religiosi del cenobitismo sulla società a partire dall’età gregoriana si riflette anche sugli ambienti chiericali che adottano, più sistematicamente che nel passato, forme di vita comune e regolare specifiche per il mondo canonicale (Regula canonicorum). Nel secolo XII il concetto di ordo si integra con quello di religio ed entrambi definiscono le nuove esperienze federative del monachesimo riformato, con i suoi priorati dipendenti da una casa madre abbaziale: sono le origini di una forma congregazionale che si perfezionerà canonicamente nei secoli a venire ma che è già visibile, ad esempio, oltre che a Cluny, nella sperimentazione cistercense e nella sua originaria comunità di propositi più che di norme (la carta caritatis). Questa fluidità sperimentale evidenzia una mutazione semantica in corso nell’impiego del termine ordo che giunge a maturità nel corso del XII secolo, quando con esso non si tende più a indicare una generica forma di vita regolare definita da proprie consuetudines ma una vera e propria organizzazione che lega con vincoli di interdipendenza più case religiose.
Le istituzioni regolari sorte tra la fine del XII e gli inizi del XIII secolo rivelano il progredire di questo significato istituzionale: se l’ordine monastico e l’ordine canonicale sono realtà “culturali”, prodotto della “somma spirituale” di singole case collegate dalla condivisione di una regola e di consuetudini similari, essi tuttavia non identificano come propria una origine comune – ragione per la quale né san Benedetto né sant’Agostino ne sono considerati i fondatori: di contro l’aggregazione congregazionale ormai matura nel XII secolo riconosce a una “casa madre” un ruolo istitutivo e identitario spesso compendiato nel carisma originario di un iniziatore. I capostipiti di molte di queste nuove famiglie spirituali “allargate” ne diventeranno gli eponimi, come Romualdo per i Camaldolesi, Giovanni Gualberto per i Vallombrosiani, Bruno per i Certosini, Stefano di Muret per i Grandmontani, Norberto di Xanten per canonici regolari Premostratensi o la “triade” costituita da Roberto di Molesme, Stefano Harding, e soprattutto Bernardo per i Cistercensi – senza contare gli esperimenti di segno canonicale compiuti da vari riformatori, come Roberto di Arbrissel a Fontevrault, Bernardo a Tiron o Vitale di Mortain a Savigny. Questa attitudine alla creazione di un lignum genealogico tra il fondatore e la sua discendenza religiosa diverrà più evidente con gli ordini fondati a partire dal secolo XIII.
Il XII secolo produce una quantità di proposte regolari nelle quali è difficile non solo stabilire un confine di appartenenza rispetto alle categorie “classiche” degli ordines monastici o clericali (come evidenzia lo sviluppo congregazionale delle comunità di canonici regolari, specie quelli connotati da specifiche vocazioni assistenziali o ospedaliere, a loro volta destinate talora a sviluppi missionari o militari), ma anche tracciare una netta demarcazione tra stato laicale e religioso, come è particolarmente evidente durante la rinascenza eremitica avviatasi con l’XI secolo. Più tardi la canonistica cercherà, come si evince dallo sforzo classificatorio di Gregorio IX, di isolare descrittori giuridici idonei a marcare le differenze tra gli ordini religiosi: uno sforzo di omogeneizzazone che tuttavia rivela l’esistenza di ampie zone di indeterminatezza e di reciproca similitudine tra le proposte regolari emerse tra XII e XIII secolo. Questo problema costituirà un argomento importante nel riordino della vita religiosa promosso agli inizi del Duecento.
Il tratto principale di questa stagione spirituale è costituito dal riferimento alla Chiesa primitiva e ai suoi caratteri pauperistico-comunitari. A tale statuto ideale rinvia l’insieme delle religiones novae originatesi nella prima metà del XIII secolo e comprese nella – per molti versi ambigua – definizione di “ordini mendicanti”.
Essi si caratterizzano per la rinuncia al possesso sia a livello personale sia comunitario (con la conseguente scelta della mendicità o del lavoro occasionale), per la conciliazione della vita regolare col ministero sacerdotale, per una pastorale di segno missionario e caritativo-sociale (condotto per lo più nelle città in concorrenza con la propaganda ereticale), per l’esenzione rispetto all’autorità ecclesiastica locale, per la forte centralizzazione di una struttura organizzativa in grado di coordinare la distribuzione territoriale dei conventi. Particolarmente versati nella predicazione e nella guida delle coscienze, e quindi in grado di mobilitare efficacemente il consenso ortodosso, i Mendicanti sono attori importanti del processo di depotenziamento delle autonomie ecclesiastiche locali e di centralizzazione romana avviato dal papato fin dall’età gregoriana e perseguito con successo da Innocenzo III. Nel lungo periodo del suo pontificato, pur avendo egli autorizzato la nascita di numerosi ordini nuovi (come i Trinitari, gli Umiliati, i Valdesi convertiti, i cavalieri di san Giacomo), si evidenzia la tendenza a limitare la proliferazione regolare che aveva caratterizzato la fine del XII secolo. Questo obiettivo, sancito dalle restrizioni della XIII costituzione del concilio lateranense IV (1215) in materia di nuove religioni, non riuscirà tuttavia a contenere la “creatività” spirituale del tempo: nei decenni successivi una serie di deroghe pontificie consentono, ad esempio, la progressiva normalizzazione canonica dei Minori e dei Predicatori grazie anche al ricorso a una prassi di riconoscimento ampiamente sperimentata – ad esempio coi Premostatensi o con i Cistercensi – che non prevede necessariamente la formulazione di una nuova regola ma semplicemente l’adattamento, attraverso l’adozione di specifiche costituzioni, di una di quelle approvate.
Con questa procedura, nel 1235, Gregorio IX riconosce i Mercedari di Barcellona, inquadrandoli nel grande lignum della regola di sant’Agostino, così come fa poco più tardi, nel 1255, Alessandro IV con i milites dell’ospedale di San Lazzaro di Gerusalemme. Nonostante la frequenza di questo escamotage, che aveva dimostrato anche in passato la sua versatilità – consentendo ad esempio la proliferazione nel XII secolo di un numero impressionante di fondazioni ospedaliere o militari assimilate all’ordo canonicus con l’imposizione della regola agostiniana – già nel decennio successivo al concilio lateranense Roma riconosce formalmente altre esperienze religiose: nel 1226, Onorio III approva la regola degli eremiti del monte Carmelo, consentendo loro una straordinaria diffusione dalla Palestina all’Occidente.
Nel 1256 Alessandro IV accoglie sotto la protezione pontificia la nuova comunità regolare dei Servi di Maria, ratificando, nello stesso anno, l’unificazione di una serie di comunità monastiche ed eremitiche (gli eremiti neri di Toscana, i Guglielmiti, i Giamboniti, gli eremiti di Brettino e di Montefavale, i Poveri cattolici di Lombardia) in vista della costituzione del nuovo ordine degli Eremiti di sant’Agostino (o Agostiniani). A più di 30 anni di distanza dalle decisioni del concilio lateranense resta così irrisolto non solo il nodo costituito dalla eccessiva varietà delle morfologie regolari, ma anche quello del riconoscimento di specifici statuti pauperistici, con l’implicito corollario di una crescente attitudine religiosa alla mendicità e all’itineranza eremitica.
Innocenzo III
Proibizione di nuovi ordini religiosi
Concilio lateranense IV
Perché l’eccessiva varietà degli ordini religiosi non sia causa di grave confusione nella chiesa di Dio, proibiamo rigorosamente che in futuro si fondino nuovi ordini.
Chi quindi volesse abbracciare una forma religiosa di vita, scelga una di quelle già approvate. Ugualmente chi volesse fondare una nuova casa religiosa faccia sua la regola e le istituzioni degli ordini religiosi già approvati.
Proibiamo anche che uno sia monaco in diversi monasteri, e che un solo abate possa presiedere a più monasteri.
Testo originale:
Ne nimia religionum diversitas gravem in Ecclesia Dei confusionem inducat firmiter prohibemus ne quis de cætero novam religionem inveniat sed quicumque voluerit ad religionem converti unam de approbatis assumat.
Similiter qui voluerit religiosam domum fundare de novo regulam et institutionem accipiat de religionibus approbatis.
Illud etiam prohibemus ne quis in diversis monasteriis locum monachi habere præsumat nec unus abbas pluribus monasteriis præsidere
I tentativi di razionalizzazione
A fronte del persistere di questo problema – specie nel quadro della ormai insanabile conflittualità tra regolari e secolari di cui sarà cassa di risonanza l’Università di Parigi – il concilio di Lione II (1274) ribadisce le restrizioni del Lateranense IV intervenendo pesantemente sia sulla questione della povertà sia sul problema delle particolari esenzioni concesse ai Mendicanti. In virtù delle disposizioni adottate, tutte le religiones novae di ispirazione pauperistica sorte all’indomani del 1215 sono obbligate a ricollocarsi nel solco delle regole approvate, con la sola eccezione dei Predicatori e dei Minori; gli Agostiniani e i Carmelitani sopravvivono solo con riserva – riserva che sarà sciolta, dopo una serie di interventi di Onorio IV e di Niccolò IV, solo da Bonifacio VIII –, mentre i Serviti, i Celestini, i Frati della penitenza di Gesù Cristo (o Saccati, terza grande famiglia mendicante dopo i Minori e i Predicatori), sono cancellati dalla storia, assieme ai loro rami femminili: sorte che, invece, risparmia gli Umiliati, la cui articolazione normativa, avviata in epoca innocenziana e confermata da Gregorio IX, non esula, pur con le specificità di una consuetudine propria, dalla tradizione benedettina e canonicale. Subiscono il medesimo destino altre esperienze minori ma di grande fortuna europea, come i marsigliesi Servi della beata Maria Madre di Cristo, i romani Frati della penitenza dei Beati Martiri – ordine nella cui definizione, “canonici regolari mendicanti”, ben si sintetizza la trasversalità della sperimentazione mendicante all’interno dell’ordinamento canonico – e anche i poco noti Crocigeri (o “della Crocetta”), forse assimilabili al diversificato mondo ospedaliero degli ordini militari. Altre consimili esperienze regolari – come quella degli Apostolici – sono definitivamente cassate, lasciando ai loro adepti la scelta tra la morte istituzionale o la radicalizzazione eterodossa della scelta pauperistica.
Assecondata la domanda di riequilibrio della proliferazione mendicante emersa dalle dure contestazioni dei secolari, la reductio lionese, confermando lo statuto speciale dei Minori e dei Predicatori rispetto alla “sfrenata moltitudine” dei loro omologhi e concorrenti, sana prima di tutto il problema costituito dalla “ nimia similitudo” tra questi ordini, affrontando anche, con la drastica eliminazione di tante famiglie religiose, il problema mai sopito della loro conflittualità col clero diocesano. Pressato dall’episcopato da una parte e dal potere culturale e spirituale dei Minori e dei Predicatori dall’altra, il papato non riesce a perseguire i suoi obiettivi sul fronte delle riforme regolari che pure gli stanno a cuore – in particolare quella degli ordini militari – ma deve accontentarsi di aver raggiunto il non secondario risultato di una ridefinizione del concetto canonico di regulares personas all’insegna di una effettiva repressione del disordine pauperistico e dell’incontrollata itineranza religiosa.
Si può dunque sostenere che se col termine generico di ordini mendicanti ci si riferisce alla differenziata morfologia istituzionale prodottasi nei decenni centrali del Duecento, sia mediante il riconoscimento pontificio di nuove regole, sia grazie all’adozione di particolari consuetudini pauperistico-organizzative all’interno di quelle antiche, all’indomani del lionese entro questa categoria sono compresi solo i Predicatori e in subordine i Minori: legittimazione discesa non tanto dai caratteri specifici della loro fisionomia religiosa – poco distinguibile dalle esperienze coeve sia nel caso dei Francescani sia in quello dei Domenicani – quanto dall’acquisita capacità di autorappresentarsi e imporsi all’attenzione curiale e pontificia.
La progressiva visibilità successivamente acquisita da altre comunità regolari – come evidente nel caso dei Serviti o anche degli Olivetani – avrebbe portato, assieme alla condivisione dei privilegi e delle esenzioni originariamente previste per gli eredi di Domenico e di Francesco d’Assisi, a una assimilazione de facto se non de iure alla loro condizione; orientamento che sarà poi sanzionato in età moderna, quando una serie di interventi pontifici aggregarono al novero dei Mendicanti (Predicatori, Minori, Agostiniani, Carmelitani) sia ordini antichi, come i Trinitari o i Mercedari (entrambi nati in età crociata con lo scopo di riscattare i cristiani prigionieri dei musulmani), sia più recenti, come i Servi di Maria o i Gesuati, o più tardi, nel Quattrocento, i Minimi.
A questo lungo processo di revisione si aggiungono i radicali interventi di rinnovamento del mondo monastico tradizionale che, indipendentemente dallo statuto mendicante, avevano nel tempo prodotto altre disaggregazioni nella rete territoriale della Chiesa secolare, mantenendo quelle condizioni di esenzione e di privilegio contro le quali inutilmente avevano tuonato maestri secolari dell’Università di Parigi.
Gli anni Trenta del Trecento sono profondamente segnati dalla raffica di riforme monastiche promosse dal cistercense Benedetto XII che, elevato al pontificato nel 1334, inizia l’anno dopo con il proprio ordine, prosegue nel 1336 con i Benedettini, senza peraltro trascurare né i Minori né i Canonici regolari agostiniani (1339). Questa generale riorganizzazione del tessuto regolare della Chiesa non si esaurisce col suo pontificato ma continua, nel quarto decennio del secolo, durante quello di Clemente VI, che nel 1346 porta a compimento la riforma dei Servi di Maria – ai quali Urbano VI avrebbe poi (1380) concesso la piena esenzione dall’autorità ordinaria e l’immediata soggezione alla sede apostolica. Nel frattempo l’approvazione pontificia ha autorizzato l’esistenza di altre comunità regolari – come i Frati di san Paolo primo eremita o quelli di san Gerolamo, fondati a Fiesole dal beato Carlo da Montegranelli – o formalizzato l’aggiornamento dei sistemi di governo interno degli ordini – come nel 1374 Gregorio XI con i Predicatori – o legittimato la prassi con cui essi avevano promulgato costituzioni particolari per promuovere la vita regolare del loro terz’ordine. Il tutto mentre la turbolenza mendicante, tutt’altro che sopita, continua a stimolare nuove sperimentazioni, come quella dei Frati apostoli della vita povera (Apostolini), laici di vita comunitaria caratterizzati da un forte impianto pauperistico e presenti in molte città italiane ai quali Innocenzo VIII concede un abito proprio e che Alessandro VI) sottomette, pur se con qualche riserva interna, alla regola di san Agostino.