ORECCHINO (ἐνώτιον, inauris)
Risale come oggetto di ornamento a fasi antichissime di civiltà, anche se, rientrando negli elementi del costume, può essere più o meno usato nei diversi ambienti e, a seconda dei tempi e della moda, oggetto di ornamento maschile o femminile, legato a forme e tipi determinati, o molto vario nella materia e negli aspetti. In rapporto con questo quindi, mentre alcuni tipi risalgono ad epoche antichissime, si ripetono d'ambiente in ambiente e ricompaiono dall'una all'altra età, pur mutando nella forma e soprattutto nei particolari e nello stile secondo gli orientamenti generali dell'oreficeria, altri tipi invece sorgono in ambienti particolari e restano proprî di determinati periodi e località. Legati direttamente alle foggie del costume, questi tipi ne seguono evidentemente a loro volta gli aspetti caratteristici, documentando per di più industrie e fabbriche locali dotate di modelli proprî e di proprie possibilità creative. In altri casi infine, tipi di o. analoghi si presentano in ambienti topograficamente e cronologicamente diversissimi; ed è disgraziatamente impossibile dire se tali ritorni son dovuti a fortuiti incontri creativi degli orafi o a riprese volontarie di antichi modelli esotici. Comunque, per quanto riguarda la tipologia degli o., è possibile dire che il tipo di o. con numerosi pendenti sospesi ad un disco o ornamento superiore compare, già nel III millennio, nel Il e III strato di Troia e che molto affini sono nella stessa epoca gli o. di Ramesses Il (1300-1233) ora al Louvre (cfr. Perrot-Chipiez, Hist. de l'Art, I, fig. 474) con altri dello stesso ambiente. In Egitto infatti, dove però sono usati in periodo piuttosto tardo, gli o., come in Assiria e per breve periodo a Cipro, appaiono oggetto di ornamento maschile.
A sistema rigido, ossia senza pendenti mobili, appare il tipo di o. che nella sua forma più essenziale, realizzata in età classica, è indicato col nome di o. "a navicella". Esso consta di un baccello semilunato ai cui capi si innesta l'ardiglione, e intorno a questo elemento base, con infinita varietà, ha lavorato la fantasia dell'orafo nelle diverse civiltà. Già dei precedenti è possibile forse riconoscerne nell'o. assiro (E. Fontenay, Les bijoux anciens et modernes, Parigi 1867, p. 86) in cui però al baccello centrale si aggiungono in corpo rigido due globetti laterali ed un pendaglio centrale dello stesso metallo; anche allo stesso tipo fondamentale possono essere riportati gli esemplari da Farshut nell'alto Egitto (B. Segall, Museo Benaki, tav. 4, n. 3) in cui dal baccello centrale scende una piramide rovesciata di granuli d'oro, e o. ciprioti del tardo miceneo (XII sec. a. C.) costituiti da un ardiglione di filo cui si innesta in basso una capsula trapezoidale di lamina aurea (B. Segall, Museo Benaki, tav. 4, n. 3). Nella oreficeria greca l'o. "a navicella" appare semplice nella forma, ma si arricchisce per la decorazione in filigrana (v.), ed è in uso fra il VI e il IV sec.; una sua ultima trasformazione è probabilmente infine il "crescente" che si conserva fino al Il sec. d. C. mentre nell'XI-XII sec. d. C. l'oreficeria bizantina ce ne dà una interessantissima ripresa.
L'oreficeria della fase "orientalizzante" ci dà due forme caratteristiche di o.: la prima nell'ambiente egeo frequente fra gli ori di Camiro è costituita da un disco superiore da cui scendono due lunghi e spessi fili aurei che si ripiegano all'estremità per sorreggere altri due dischi disposti a guisa di piattelli e spesso decotati in filigrana (Clara Rhodos, VI-VII, 1929, figg. 252-258); la seconda, propria dell'ambiente etrusco, è nota col nome di o. "a baule" ed è costituita da una lamina rettangolare ricurva chiusa da uno squillo di agganciatura. Caratteristica ne è anche la decorazione in filigrana e granulato, molto fitta, specie nelle parti più visibili del gioiello che si arricchisce talora di elementi accessori (pannello superiore - disco laterale) ugualmente decorati (L. Breglia, Cat. Oref. del Museo Nazionale di Napoli, Tav. vii, nn.
Un modello di lunga durata e ricorrente in ogni ambiente è invece la "spirale", che risale forse nella sua prima attuazione ad età micenea, mentre compare ad Efeso e in Etruria nella fase orientalizzante e si diffonde più o meno in ogni ambiente; in età classica essa costituisce probabilmente il modello della ἕλιξ che troviamo nel V e IV sec. e forse fino al III. In queste ultime applicazioni, che sono largamente documentate nella monetazione siracusana della seconda metà del V sec., il gioiello è di lamina aurea decorata nella parte centrale con palmette e motivi floreali in filigrana mentre termina ai due capi, assottigliati, con due testine umane o di animali in lamina sbalzata. In quanto al modo di portarle sappiamo dai monumenti che le spirali talora passavano direttamente nell'orecchio (F. H. Marshall, Brit. Mus. Cat., cfr. fig. 45) talora pendevano da un anello o da un disco, mentre altre volte, come a Cipro, si infilavano in un nastro che era posto sull'orecchio (F. H. Marshall, op. cit., fig. 56, n. 1635).
O. altrettanto diffuso è il tipo ad "anello", di cui si conoscono numerose varietà di età diverse a partire dal V sec., ma con prototipi già forse nell'orientalizzante; una di essa è costituita dall'arco fatto di fili aurei intrecciati o di lamina contorta, chiusa da una o due teste ferine: leoni molto spesso o altri animali, specie in età ellenistica. Altre varianti di questa età invece semplificano l'arco e vi inseriscono una testina umana, spesso di negroide. In altri casi infine, che potremmo anche considerare indipendenti dal tipo suindicato, da un semplice anello superiore si staccano pendenti di forma varia: eroti, figurette di lamina, elementi diversi, secondo la fantasia libera dell'orafo.
Il mondo greco fra il VI e V sec. ama soprattutto forme semplici e quindi, come ci è documentato dalla pittura vascolare, preferisce la forma a disco semplice o decorato in filigrana; successivamente però, e già nel V sec., si arricchisce il modello con pendenti di forma varia; piramidi rovesciate, frange di catenelle in filigrana terminate da piccole campanule di oro, spesso alternate a figurette di animali in pasta vitrea, pendenti figurati: Nikai, menadi ed eroti, lavori minuti, accuratissimi ed elaborati, rifiniti, specie nel periodo ellenistico, con una precisione tecnica pari soltanto alla ricchezza della fantasia.
Nella oreficeria greco-romana, tolti alcuni casi già indicati, i tipi precedenti appaiono tutti così profondamente trasformati da essere a ben vedere superati nella loro ispirazione prima, mentre si creano nuove forme. Strutturalmente, anzitutto, al sistema dell'o. chiuso con agganciatura, tende a sostituirsi il lungo gancio aperto che viene decorato sul davanti nei modi più diversi: con capsule di lamina aurea, o. "a spicchio di sfera" frequentissimi tra gli ori pompeiani che ricordano lontanamente tipi analoghi ma molto più ricchi della tarda oreficeria etrusca (IV sec.) con piastre di lamine in cui sono inserite pietre o paste vitree in colore; con canestri di filo aureo, a giorno, o intessuti con grosse perle o pietre colorate; con dischi formati da una pietra centrale circondata di perle disposte a raggiera. Un tipo più povero, che si distingue per la sua frequenza nel gruppo degli o. di questa età, lascia pendere invece dal gancio una barretta di oro dai cui capi scendono mobili due perle; in altri casi infine dal gancio scende un pendente; una perla o altro elemento decorativo. Siamo comunque in una fase di grande varietà di forme, in cui, accanto ai tipi indicati, compaiono di continuo modelli nuovi ed in cui può essere norma d'attribuzione più che la forma del gioiello, il suo stile (oltre agli elementi strutturali e tecnici) che lo lega più o meno chiaramente ad un gusto e quindi una moda e ad un ambiente. Lo stesso è da dirsi per le fasi più tarde che elaborano senza grande varietà vecchi e nuovi modelli. Tuttavia ricordiamo gli o. bizantini semilunati in filigrana e pietre che presentano strane analogie con esempî di età geometrica e gli o. a disco con rappresentazioni figurate a smalto ed altri tipi con pendenti di forme più o meno geometriche, in cui l'amore per lo smalto ed in genere per il colore così come la particolarità della decorazione in filigrana, denunziano l'età tarda e l'infiltrazione del gusto barbarico.
Bibl.: E. Pottier, in Dict. Ant., III, 1900, p. 434-47, s. v. Inaures; K. Hadaczeck, Der Ohrschmuck der gr. und Etr., Vienna 1903; F. H. Marshall, Brit. Mus. Catalogue, Jewellery, Londra 1911, Introduzione e passim; B. Segall, Museo Benaki, Atene 1938; H. Schlunk, Kunst der Spätantike im Mittelmeeraum (spätantike und byzantinische Kleinkunst aus Berliner Besitz), Berlino 1939, tavv. 14-17; L. Breglia, Le Oreficerie del Mus. di Taranto, in Iapigia, X, 1939, p. 12 ss.; id., Catalogo delle Oreficerie del Museo Naz. di Napoli, Roma 1941, passim; G. Becatti, Oreficerie antiche, Roma 1955, passim.