Vedi OREFICERIA dell'anno: 1963 - 1996
OREFICERIA
Una storia della o. antica manca ancora, né è ancora possibile tracciarla nonostante che, da un decennio circa a questa parte, gli studî si vadano intensificando e soprattutto vadano acquistando, con una più acuta problematica, una maggiore rigorosità scientifica. Gli studî precedenti infatti, in gran parte raggruppati cronologicamente agli inizî di questo secolo, risultano molto spesso superati, oltre che per le necessità di aggiornamento che i rinvenimenti nuovi di continuo impongono all'archeologo, anche e soprattutto, per un difetto intrinseco essenziale. Essi infatti sono nati per lo più come edizione di rinvenimenti specifici o di collezioni, raramente risalendo dagli oggetti esaminati a ricostruzioni sintetiche di nuclei stilistici definiti; e ancora peggio, lì dove tali nuclei per la stessa omogeneità del materiale si imponevano, sono spesso giunti, per tesi preconcette, ad affermare incontrollate influenze di fabbriche di o. differenti, a loro volta non sufficientemente indagate e documentate. Su tale impostazione, fondamentalmente acritica, influivano particolari condizioni: la difficoltà di rintracciare per un gioiello, tanto spesso filtrato attraverso le intricate maglie del commercio antiquario, più ancora che per altri oggetti, dati precisi di provenienza, ove esso non pervenga direttamente dallo scavo; la facilità con cui un oggetto aureo può esser stato tramandato da una generazione all'altra, già nell'antichità, per cui lo stesso dato del rinvenimento, una volta controllato, ha un valore relativo; la caratteristica infine, che appare peculiare dell'o., più che di altre classi di monumenti, del risorgere di modelli analoghi e tipi di decorazioni similari in età ed ambienti molto differenti. Né l'esame tecnico del materiale soccorreva perché, a ben vedere, l'oreficeria antica appare sin da età antichissima in possesso di tutti, o quasi, i procedimenti tecnici che ritroveremo nelle successive età; la laminatura del metallo (v. brattea), la stampigliatura e il lavoro a sbalzo delle lamine, la cesellatura, la saldatura e lo smalto, anche se taluno di essi, ad esempio la filigrana (v.), o la granulazione, compare saltuariamente ora in un ambiente, ora in un altro, indipendentemente dalle età.
Considerazioni, come si vede, di particolare difficoltà, aggravate dal fatto che mentre per alcuni gruppi la documentazione del materiale è ricca, o comunque già sufficiente a una classificazione, per altri invece essa non solo è scarsissima e dispersa, ma anche, proprio per questa sua maggiore povertà, è ancora meno nota di quel che potrebbe essere e male analizzata.
Così che allo stato attuale la nostra conoscenza della o. antica è del tutto saltuaria e irregolare con la conseguenza che mentre alcuni gruppi appaiono ormai noti nei loro caratteri e nelle loro incognite, altri si vanno chiarendo appena ora, mentre esistono fra gli uni e gli altri larghe zone d'ombra nelle quali il rinvenimento isolato di un "tesoro" a volte porta luce, a volte crea nuove, impreviste, e per ora insolubili, incognite in quanto ci presenta aspetti che sfuggono ad ogni inquadramento. È tuttavia già molto che, in tali condizioni, l'interesse si vada appuntando sulle o. e soprattutto si chiariscano alcune impostazioni metodologiche fondamentali.
Anzitutto infatti si fa strada l'esigenza di considerare le o., non solo alla luce delle associazioni di scavo, criterio di per sé ovvio, quanto in rapporto alla produzione artistica contemporanea, come aspetto quindi di visioni generali e di comuni ricerche d'arte; in secondo luogo, rinunziando alle costruzioni ipotetiche degli studî precedenti, si va affermando il principio di tener conto non tanto della somiglianza di elementi decorativi singoli fra gruppi e gruppi, coincidenza che può anche essere fortuita, quanto dell'esame formale dell'oggetto in sé, della sua sintassi decorativa, degli elementi imponderabili di gusto che ne costituiscono il particolare accento e pertanto lo inquadrano in un linguaggio definito.
Ma prescindendo da tali orientamenti teorici, che porteranno tra breve i loro frutti, per quanto riguarda le nostre attuali conoscenze si può dire che a queste condizioni generali in parte si sottraggono, per condizioni differenti le o. foggiate nell'ambito delle grandi civiltà che intorno al bacino del Mediterraneo precedettero quella classica. Per l'Oriente asiatico infatti le nostre cognizioni si basano soprattutto sulle testimonianze letterarie che ci parlano delle favolose ricchezze dei regni di Babilonia e Ninive e ce ne descrivono talora le fastose decorazioni e il prezioso splendore degli ornati: descrizioni la cui validità ci è peraltro confermata da quanto i monumenti ce ne lasciano ancora intravvedere, e basterà per tutti ricordare l'elmo aureo di Ur (Babilonia), la cui ricchezza è superata solo dalla perizia che gli orafi dimostrano nella bellissima "Capra" in lapislazzuli e conchiglie di Londra o nel vaso d'argento di Entemena al Louvre (III millennio a. C.).
1) Egitto. - Ben diversa è la conoscenza che è possibile avere della o. egiziana, sia per la dovizia della documentazione raccolta, sia per i caratteri stilistici chiaramente definiti che essa ci presenta, sia soprattutto per le condizioni in cui forti nuclei di o. sono stati recuperati; splendido corredo di sovrani, gli ori infatti sono stati raccolti nelle loro tombe, a documento della loro ricchezza favolosa, ne sono stati quindi storicamente illuminati in quanto si è potuto fissarli in chiari inquadramenti cronologici.
Essi ci permettono di ricostruire gli sviluppi dell'o. egiziana seguendoli fin da epoca antichissima; nel periodo dinastico ad esempio già la tomba del re Zer ad Abido (I dinastia, agli inizi del III millennio circa) ci restituisce i bracciali di una principessa (splendido fra essi un esemplare in cui l'oro si alterna alla faïence azzurra) che nella loro compiutezza già presuppongono una lunga tradizione d'orafi. Ma a tralasciare la pur continua produzione delle fasi intermedie la prima grande fioritura della oreficeria egiziana si ha nel periodo della XII e XIII dinastia (2000-1660) in cui per particolare interesse spiccano gli ori di Dahshùr.
L'o. egiziana ci presenta infatti in questa fase i suoi accenti più caratteristici e significativi, fondati sulla peculiarità di alcuni modelli e soprattutto sull'accentuato e particolare gusto del colore. Fra i gioielli tipici ricordiamo i pettorali spesso di forma trapezoidale, lavorati a giorno, con rappresentazioni figurate che includono gli animali sacri in un complesso simbolismo, cui ben si addice la composizione decorativamente elaborata. Una particolare tecnica, per cui le superfici auree appaiono interrotte da listelli d'oro che incorniciano paste vitree e lapislazzuli nei castoni risultanti, permette di arricchire il gioiello con la vivida policromia dai toni prevalentemente azzurri e verdi, che raggiungono per l'alternarsi con l'oro, effetti simili a quelli dello smalto cloisonnée.
Lo splendore di questa o. ed il persistere di una tradizione locale molto forte è documentata nella XVIII dinastia, a prescindere dai minori rinvenimenti, dai fastosi gioielli della tomba di Tutankhamon (Carter, The Tomb of Tut-Ankh Amen) in cui la ricchezza policroma ancora avviva ed esalta le complesse forme dei gioielli; larghi collari rotondi, che scendono fin sul petto e sulle spalle, pettorali di differenti forme, diademi elaborati. Interessante è anche la documentazione monumentale contemporanea, che mostra in atto l'effetto delle fastose acconciature; il dorsale del sontuoso trono dello stesso Tutankhamon, al museo del Cairo, ce ne dà esempio in una preziosa scena raffigurante la graziosa regina Ankhesenamen che dà gli ultimi tocchi all'abbigliamento del suo reale sposo. L'acconciatura dei due principi ed uno splendido pettorale tondeggiante, poggiato su di un tavolo, ci dànno nuovo e pieno esempio dello splendore delle oreficerie.
Ma se il filone delle o. egizie ci appare come si è visto ben documentato e dotato, come tutta la produzione artistica di questo popolo, di una propria ed inconfondibile fisionomia, è tuttavia interessante ricordare come, già dalla metà del Il millennio a. C., si facciano strada, accanto a questi aspetti tradizionali, voci nuove, testimonianze singolari di una visione artistica del tutto differente, espressione di un mondo e di una sensibilità diversa. Il contrasto è già evidente negli stessi ori di Dahshūr dove accanto alle o. tradizionali sono stati recuperati gioielli del tutto differenti (Ebert, Reallexicon der Vorgeschichte, s. v. Goidschmiedekunst); particolarmente sensibile è la diversità di ispirazione in un gruppo di collane (H. Th. Bossert, Altkreta, tav. 221), di un gusto particolarmente fresco, che è al di fuori del tempo e delle mode, e che particolare sapore acquista in Egitto nella chiusa cerchia della o. locale.
Delle collane una è costituita da una semplice catenina che porta al centro un solo pendente mobile in forma di farfalla, cui la tecnica - nuova in Egitto - della granulazione, aggiunge una nota di ricchezza discreta e raffinata; ma ancora più felice è una seconda collana - anche essa una catena - cui sono sospese numerose conchigliette di lamina d'oro, mentre al centro scendono due eleganti stelle di mare, cui il fine granulato aggiunge un singolare accento naturalistico. La singolare delicatezza di questi monili trova il suo raffronto nella corona di una principessa della XII dinastia (museo del Cairo; Ebert, op. cit., tav. 176 a) formata da un naturale ed aereo attorcersi di fili d'oro, che le paste vitree lumeggiano con fiorellini colorati; gioielli in cui l'orafo si è fatto artista e che raggiungono, col loro fascino sempre fresco ed attuale, i valori eterni e universali della espressione artistica compiuta.
2) Creta e Micene. - Ma a voler ricercare la giusta posizione storica di questo nuovo filone di o., nell'ambiente che le espresse come forme contingenti, dobbiamo spostarci fuori dell'Egitto, a Creta (v. minoico-micenea, arte). I rinvenimenti di Mochlos infatti ci hanno reso, tra altri, ori dallo stesso sapore e dagli stessi toni: uno spillo da capelli a forma di fiore ed un ramo di olivo dalla fresca grazia naturalistica trovano il loro ambiente di ispirazione a Creta, dove i principi si ornavano con ghirlande di fiori di gigli e l'amore per la natura ispirava decoratori e ceramisti con vena possente ed inesausta. Gli ori di Mochlos ci dànno però solo un aspetto della o. cretese, che nel suo complesso ancora non è chiara, sia perché studiata ancora insufficientemente, sia perché presenta nella sua produzione tonalità diverse, che palesano la penetrazione di influssi differenti: due elementi di collana ad esempio (P. Demargne, La Crète dédalique, pp. 127-28), l'uno in forma di falcone con le ali aperte, l'altro foggiato con due teste leonine che si affrontano, denotano chiari influssi orientali, sia che provengano, come vogliono alcuni dall'oreficeria fenicia (F. Poulsen, Der Orient, p. 61), sia che invece le influenze debbano attribuirsi, oltre che agli ori fenici anche a quelli egizî.
Accanto a questi influssi orientali, per di più, non bisogna dimenticare nella o. cretese, e negli stessi ori di Mochlos, l'affiorare della tradizione dell'o. preistorica dell'ambiente egeo, elemento che peraltro ha influito anche sulla produzione egiziana: il gruppo di ori rinvenuti ad Hissarlik nel secondo strato di Troia, meravigliosamente ricco, ci testimonia infatti, già nella seconda metà del III millennio, fra il 2350 e il 2100 una esperienza ben matura.
Vi troviamo pendenti con catenelle, simili ad altri che ritroveremo in Egitto nell'epoca di Ramesses II, prototipi di orecchini (v.) che ritroveremo successivamente in ogni dove e, soprattutto, già pienamente matura, la tecnica della filigrana che compare per la prima volta ed è chiamata a decorare un bracciale (Ludwig, Schliemann, f. 8) ed uno spillo da capelli (Otto-Herbig, Handbuch der Arch., parte iv, tav. 17, n. 2) con motivi di spirali ricorrenti.
È in questo gruppo di o. un misto di elementi di cultura orientale, specie nella tecnica già raffinata: saldatura e granulazione, cui si affiancano elementi, come le spirali, proprie delle culture europee, così come nei vasi preziosi che ad esse si accompagnano, ricorrono forme della cultura cicladica e protoelladica accanto ad altre di origine centro-anatolica.
Ma per tornare all'o. cretese, la cui produzione è rintracciabile, naturalmente, con aspetti varî, fino al IX-VIII sec., la sua valutazione piena non è possibile, se si prescinde dai rinvenimenti fatti nel continente, a Micene, a Vaphiò e altrove.
Mentre a Vaphiò sono state rinvenute due splendide coppe auree con scene di animali, di forte accento naturalistico, riprodotte a sbalzo, che vanno considerate fra i migliori prodotti della toreutica di tutti i tempi, a Midea, in Argolide, è stata recuperata una coppa d'oro (v. voi. iv, fig. 1337) in cui l'orafo ha ripetuto con elegante sensibilità decorativa, un motivo frequente nel repertorio ornamentale dell'ambiente. Micene invece ci ha reso uno dei più importanti complessi di o. antica di cui siamo in possesso, lontana voce risorta ad attestarci, con la concreta realtà di un mitico mondo da epopea, la complessità di aspetti e la ricchezza di civiltà e di voci che vivono, già alla metà del Il millennio, nell'ambiente egeocretese.
La storia del rinvenimento a Micene e la sua importanza sono ben note: dal gruppo delle tombe incluse nel recinto funerario dell'acropoli, i fortunati scopritori poterono recuperare infatti un complesso di o. incomparabilmente ricco: 5 maschere auree, che serbano nel metallo la forza di un impressionante individualismo, vasi dalle forme più variate, complesse o semplici, la cui bellezza è affidata, ora all'eleganza della linea, ora alla decorazione fantasiosa, che ha vivificato la superficie liscia del metallo; gioielli di tutte le foggie: anelli incisi, con vivaci e spesso simboliche rappresentazioni figurate, bracciali, collane adoperate ora dagli uomini, come segno di distinzione, ora dalle donne come complemento della acconciatura, ed infine un numero straordinario (701 nella sola terza tomba) di lamine d'oro, diverse per forma, dimensioni ed uso, integrate da disegni stampigliati (v. brattea).
Con la varietà delle forme coincide nel rinvenimento la diversità di origine degli oggetti stessi, che son da ritenere in parte diretta produzione della o. cretese esportata sul continente, in parte produzione di fabbriche micenee nelle quali si fondono influssi di varia provenienza: egizî ed orientali (pervenuti direttamente o pel tramite di Creta) influssi cretesi veri e proprî ed influssi della metallotecnica continentale. Discordanze di elementi che meglio risultano per la incapacità della o. micenea di fonderli in una visione unica, ma che potranno esser giustamente valutati solo quando conosceremo esattamente i caratteri e lo stile della produzione, da cui furono detratti.
Fra i vasi tuttavia, fra cui più facile è la discriminazione, di impostazione cretese vanno considerati due rhytà, in forma l'uno di testa leonina, l'altro riproducente la protome di un toro (Museo Nazionale di Atene) e, caratteristico, un rhytòn d'argento, fortemente frammentato, in cui, tuttavia, è possibile riconoscere una rappresentazione di battaglia; in esso troviamo l'inconfondibile accento dell'arte cretese, nella vivacità grande delle figurette, quasi grottesche nei loro accentuati movimenti, nel naturalismo del paesaggio, nel forte senso pittorico con cui la scena è resa. Caratteri tutti che solo nella produzione cretese trovano il loro inquadramento. A Micene stessa ce ne ridanno esempio i ben noti pugnali ageminati della IV e V tomba con rappresentazioni di caccia o di animali. Nella stessa IV tomba un vaso di elettro incrostato d'oro esemplifica, invece, la straordinaria eleganza che l'arte cretese può raggiungere nella stilizzata riproduzione di elementi vegetali.
In confronto con questa più raffinata produzione ben più povera risulta la capacità degli orafi locali, esperti soprattutto nella semplice tecnica della stampigliatura, con la quale tuttavia riescono a raggiungere gradevoli effetti decorativi, sia che riproducano figure di animali, ora stilizzate, ora intese con toni naturalistici; sia che rappresentino figurette di culto più o meno ispirate dall'Oriente, o le caratteristiche rosette, che appaiono proprie dell'o. micenea; sia che traccino elaborati intrecci di spirali, motivo quest'ultimo che ci riporta alla metallotecnica europea dell' Età del Bronzo. In questo periodo infatti la spirale trionfa nella decorazione dei vasi metallici mentre la lavorazione dei metalli preziosi, in genere, è documentata nella intera cerchia nordica, dall'Europa centrale alla Irlanda e alla penisola scandinava; nel disco aureo del "carro del sole" rinvenuto a Trundholm, così gustoso nel suo sapore ingenuo, motivi di spirali disposti a giri concentrici, spezzano infatti la superficie uguale, creando una maggiore vibrazione luminosa.
3) Egina. - Tralasciando il gruppo di o. di Enkomi (Cipro), di poco posteriore (1300-1100, Brit. Mus. Cat., p. xviii), più che dagli ori di Micene, un caso tipico di questa mistione di elementi, che il lontano artefice ha accozzati senza fondere e che, tuttavia, l'archeologo non riesce a dipanare, è costituito dal Tesoro rinvenuto ad Egina, che rappresenta un problema stilisticamente ancora aperto (Journ. Hell. Stud., xiii, 1892-93, p. 221 ss.; P. Demargne, La Crète dédalique, pp. 127-28); prodotto probabile di una tuttora ignota fabbrica locale, riunisce infatti nei vari gioielli elementi di origine orientale ad altri micenei e ad altri infine che ricorrono su fibule del tipo Hallstatt a Tarquinia. Ignota è pertanto la fisionomia complessiva che il Tesoro ci presenta e, quindi, incerta la sua attribuzione, che oscilla fra il Miceneo (F. H. Marshall, op. cit.: 1200-1000) e il geometrico orientalizzante (A. Evans, in Journ. Hell. Stud., 1892-3: 800), mentre di particolare interesse è il carattere, del complesso (cfr. R. A. Higgins; C. Hopkins, cit. in bibl.).
4) Grecia. - Tentativi di ricerca approfondita sono stati fatti di recente (W. Reichel, Griech. Goldreliefs, e gli studî dell'Ohly, 1953) per raccogliere e classificare i nastri aurei con rappresentazioni figurate a stampo, rinvenuti di frequente nelle tombe di età geometrica, soprattutto della Grecia continentale; materiale tanto più interessante da esaminare in quanto costituisce la prima produzione di o. elleniche. Ma anche tale complesso che il Reichel cerca di dividere in quattro gruppi: attico, corinzio, cretese e rodio, e che comunque è certamente contemporaneo alle ceramiche di puro stile geometrico con cui risulta associato nei rinvenimenti del Dipylon, conserva ancora alcune fondamentali incognite. Produzione, comunque, interessante che, a quanto è stato detto (Matz, Geschichte d. gr. Kunst, p. 92), rappresenta il più antico rilievo greco e che, ciò nonostante, sta ad attestare quanto semplici e povere siano le o. elleniche di questo periodo, in confronto con la ricchezza e la consumata perizia documentata dalla o. orientale.
A partire da questa produzione e ad allontanarsi da essa nel tempo e nello spazio, i problemi della o. antica, per un complesso di motivi diversi, in parte si semplificano, in parte mutano e comunque più facile si fa il compito dello studioso. Accanto a qualche gruppo infatti, la cui fisionomia precisa ancora non è stata chiarita a sufficienza, altri se ne identificano ricchi di materiale, di modelli caratteristici e soprattutto di un proprio "stile" in cui gli elementi di importazione risultano sommersi e assorbiti da una visione unitaria nuova. Nella prima categoria dobbiamo includere per quanto possa sembrare strano, dopo che per anni si è voluto vederne influssi in tanti gruppi di ori, l'intero gruppo della o. fenicia; si verifica per essa infatti, quanto si è detto precedentemente a proposito delle non accertate provenienze. Il materiale cioè raccolto dal Perrot (Hist. de l'Art, iii, p. 385) in questo gruppo, è stato messo insieme senza tener conto delle provenienze, diversissime, e che, comunque, escludono il territorio fenicio, e senza una classificazione cronologica; di conseguenza il carattere eclettico che il Marshall vi notava ed il tono industriale più che artistico degli ori, esatti come valutazione dell'intera produzione fenicia, non possono essere affermati criticamente per le o. in quanto mancano gli elementi diretti di giudizio. Il Demargne (La Crète dédalique, p. 125 ss.) nota che una "reale consistenza" gli ori fenici possono acquistare solo nel VII-VI sec. in cui appaiono influenzati da forti influssi egizi: la ricerca resta quindi da fare per le fasi precedenti.
aBen altra chiarezza ed importanza ha invece per noi il gruppo delle o. ioniche documentato dai rinvenimenti di Efeso, di Aidin (Tralles) e soprattutto dalle varie necropoli di Rodi. Il gruppo, che ha una comune facies orientalizzante, con sfumature diverse tra le differenti località, è caratterizzato, nella tecnica, dall'uso abbondante della granulazione chiamata a sottolineare i contorni delle figure impresse a stampo; nella tipologia, in cui abbonda il repertorio figurativo dell'Oriente: dea fra i leoni, sfingi ecc., dalla frequenza di teste col klaft; nei modelli da una particolare forma di orecchino (v.) e di collana-pettorale (v. collana). Esame analitico degli elementi che non basta a rendere il tono generale degli ori, molto ricco pur nella concezione monocroma, in cui solo l'ornato lumeggia le superfici uguali e crea effetti di colore, e tuttavia elegante e raffinato, soprattutto nella tecnica consumata ed espertissima. Interessante è soprattutto la produzione di Rodi, di cui ignoriamo la localizzazione nella isola, ma che ha arricchito le varie necropoli, specie a Camiro, dove le o. sono documentate dalla fase geometrica (diadema del sepolcreto arcaicissimo presso il tempio A) fino a tutta quella orientalizzante.
5) Etruria. - Un altro ambiente in cui, in questo periodo, si afferma una produzione di o. dotata di proprî caratteri ben delineati è quello etrusco (v. etrusca, arte). In Etruria anche è accertata, da un lato la lavorazione di fabbriche diverse con tonalità proprie, specie nel periodo più antico, dall'altro una continuità di produzione che va dal VII fino al III sec., d'età in età mutando il repertorio dei modelli, le tecniche e lo stile. Già il corredo tombale della sola Tomba Regolini-Galassi (L. Pareti, La tomba Regolini-Galassi, Città del Vaticano 1947, pp. 249; 524) ci presenta ori di due differenti gruppi: il più antico rispondente a forme e decorazioni tradizionali etrusche, "preorientalizzanti geometriche", il secondo in cui tipi e motivi decorativi appaiono fortemente influenzati dal gusto orientalizzante. È da notare inoltre, per quanto non sia esclusivo, che la filigrana prevale negli ori di tipo geometrico (bracciali a corpo elastico di Vetulonia, v. filigrana) mentre la granulazione giunge in Etruria inizialmente insieme al repertorio orientalizzante e vi è spesso adoperata nello stesso modo, per sottolineare cioè, gli elementi stampigliati (v. granulazione).
Pur ammettendo pertanto gli elementi importati è tuttavia ormai chiaro che la o. etrusca acquista ben presto un suo carattere, che assume nelle diverse fabbriche - Vetulonia probabilmente in questa fase ed altre nella Etruria meridionale e nella zona laziale - differenti toni: è quindi da escludere ormai definitivamente la vecchia tesi di una importazione dalla Fenicia, sia per quanto si è detto della attuale inconsistenza di una o. fenicia, sia perché gli ulteriori studî assicurano che il commercio fenicio nel VII sec. era esercitato sulle coste etrusche dai Cartaginesi. Forme tipiche in questa fase sono i fermagli "a pettine", gli orecchini "a teca" e "a balsamario".
Alla fine del VII sec. l'o. etrusca muta sostanzialmente, sia per un cambiamento di modelli, che includono molte forme nuove, sia per alcuni mutamenti nella tecnica e soprattutto per un sostanziale cambiamento di repertorio decorativo che risente di influenze ioniche, dovute però piuttosto a un influsso generico dell'arte ionica, che non a diretto influsso delle oreficerie. Constatazione tanto più interessante in quanto ancora una volta viene a confermare l'autonomia conseguita dalla produzione etrusca in questo campo.
Forma tipica di questa fase è l'orecchino "a baule" (v. orecchino) che si distingue anche per la sua caratteristica decorazione, ottenuta con elementi di riporto (filigrana e lamina) addensati gli uni agli altri per ricoprire tutto il campo; tale decorazione non è limitata agli orecchini ma ritorna spesso negli ori contemporanei, che ormai l'industria etrusca esporta in tutta Italia a quanto ce ne dicono i rinvenimenti, di cui fra altri un forte gruppo si localizza a Ruvo. A questo stesso gruppo, ancora non studiato a sufficienza e di cui pertanto non si individuano le diverse fabbriche, appartengono anche alcuni tipi di collane (v. collana) ed un gruppo molto interessante di anelli aurei con castone ovale, in cui l'orafo riproduce, sbalzando od incidendo, scene del repertorio orientalizzante o ionico arcaico, prodotti di tecnica e gusto raffinati che solo nella glittica minoica possono trovare i loro prototipi lontani. Dal punto di vista tecnico importante è lo sviluppo della granulazione non solo perché raggiunge una finezza straordinaria, che resta unica nella storia delle o., ma anche per la particolarità che a un certo punto gli orafi ne invertono il criterio di applicazione; se ne servono cioè spesso non più per sottolineare o segnare figure coprendone la sagoma, ma per riempire i fondi così che esse risultino lisce sul campo granulato; problema interessante sarebbe poter determinare se l'inversione rappresenta un ritrovato spontaneo o se invece si verifica per influsso del trapasso che constatiamo nella tecnica della ceramica attica coeva.
Agli inizî del IV sec. le o. etrusche che abbiamo ricordato, dopo una serie di lenti e graduali cambiamenti sono ormai scomparse per dar luogo ad una nuova produzione, tecnicamente deteriore e tuttavia dotata anche essa di una fisionomia propria; riconosciamo in queste o. nuove, che appaiono ormai sganciate da ogni influsso esterno e che introducono ancora modelli differenti e nuovi ricchi tipi di collana, il gusto della produzione etrusca contemporanea. Lo stesso amore per il lusso che fa moltiplicare sulla persona i gioielli in sfarzosa pompa, ne ispira le forme e la decorazione, foggiandoli, grossi, pomposi, ricchi di effetti di colore nei contrapposti degli sbalzi, nei contrasti fra le parti lisce e i fondi punteggiati, che hanno sostituito la granulazione. Caratteristico è anche il modo di comporre le rappresentazioni e le figure affollandole e quasi distorcendole nelle superfici convesse delle bulle. Ma questi gioielli, che vanno dagli inizî del IV fino a tutto il III sec., successivamente perdendosi nella produzione di età romana, rappresentano l'ultimo fiore della o. etrusca, che ormai non solo ha perduto i mercati italici ma, in Etruria stessa, a quanto ce ne dicono i monumenti figurati, subisce la forte concorrenza della produzione dell'Italia meridionale e di Campania, orientata secondo i gusti e le tendenze della o. greca ed ellenistica più nettamente la prima, con risonanze etrusche e sotto la influenza del pomposo gusto campano la seconda.
Nel mondo greco infatti una tradizione di o. deve esserci e si è formata nonostante che molto scarsa ne sia la documentazione e scarsissimi, nella Grecia propria, i rinvenimenti sicuramente localizzati, specie nei periodi più antichi fino a tutto il V secolo. Dai pochi ritrovamenti e dalle rappresentazioni figurate, sappiamo tuttavia che in età classica i Greci portarono pochi e semplici gioielli; qualche semplice tipo di collana (v.), di orecchino (v.), di anello, tanto a castone aureo con rappresentazioni figurate, quanto con gemme incise.
6) Russia meridionale. - Una ben più ricca fisionomia ci è offerta invece dalle o. raccolte nelle necropoli della Russia meridionale, dalla Crimea (v.) al Kuban, o. che, sorte per spontanea produzione fin da età preistorica, hanno successivamente risentito delle varie civiltà presenti nella regione o delle correnti di commercio che vi confluivano. La documentazione quindi si estende dal 2000 circa a. C., epoca in cui la cultura del Kuban ci ha dato i vasi argentei di Maikop nel Caucaso settentrionale fin giù all'età ellenistica, con aspetti sempre varî ed interessantissimi.
Un vaso di Maikop (v.) in argento inciso, ci dà una scena di paesaggio in cui, su uno sfondo ondulato di colline si muovono fra gli intrecci degli alberi, animali tracciati con rozza ed ingenua mano; dallo stesso ambiente ricordiamo anche, fra altri animali a tutto tondo (Otto-Herbig, op. cit., n. 2) un gustoso torello dalle lunghe e ricurve corna interamente modellato in oro.
Passando ad età storica la stessa zona del Caucaso ci dà, a partire dal VI sec., una serie di ricchissime o., nucleo principale delle collezioni del Museo dell'Ermitage a Leningrado, in cui le voci più diverse si affiancano e si uniscono in una produzione originalissima nei suoi accenti, barbarici, classici e orientali. Talora i varî stili si differenziano negli oggetti singoli; così uno specchio incavato e inciso rinvenuto a Kelermes nel Kuban (M. Rostovzev, Iranians and Greeks, Oxford 1922, tav. v) si presenta affine ai prodotti greci e ci documenta con altri una importazione dall'Asia Minore e quindi improntata dal gusto della produzione ionica. Altri oggetti invece (M. Rostovzev, op. cit., tavv. vii-ix) ci rappresentano ora correnti di puro stile orientale, ora esempî dello stile "animalistico" tipico del gusto scita. Anche la produzione di Crimea porta, dal V sec. ad età ellenistica, il segno vario di queste visioni differenti, che si tradiscono ora nella particolarità del modello dettata dalla esigenza del costume (v. collana), ora nello stile della decorazione, particolarmente ricco di elementi sovrapposti e di colori.
Un esempio caratteristico della ricchezza decorativa e coloristica della o. scito-iranica può esser dato dal diadema del Museo Benaki (v. diadema), che, nonostante ci presenti nei particolari decorativi affinità con o. greche, è stato ricollegato ad un prototipo proveniente anche esso da Kelermes e caratterizzato da un forte accento barbarico nella testa aurea di grifo che ne segna il centro; a parte tale possibile derivazione, il diadema si inquadra con altri di provenienza varia: Russia meridionale, Tracia, Macedonia, Tessaglia, che datano a partire dagli inizî del V secolo. Forma, a quel che ne è stato detto, dell'ambiente scito-iranico, questo diadema troverebbe il suo riscontro (B. Segall, Museo Benaki, p. 34) solo in altro analogo portato, su una acconciatura alta, dalla sfinge che orna un orecchino aureo del museo di Berlino proveniente dal Pangiab (India) e attribuibile all'arte indo-iranica.
7) Ellenismo. - Con questo gruppo di diademi, tuttavia, siamo ormai in contatto con l'o. ellenistica, espressione generica, che abbraccia, a ben vedere, la produzione di ori che va dagli ultimi decenni del IV a tutto il III sec., indipendentemente dagli ambienti diversi e dalle fabbriche. Per quanto infatti accenti particolari affiorino qua e là nella frequenza con cui un tipo di gioiello o di decorazione torna di preferenza in un determinato ambiente, non siamo in condizioni di distinguere nella produzione, in genere uniforme di questa età, correnti diverse e particolarità di fabbriche. Invece è dato cogliere il gusto del periodo nella particolare minutezza della decorazione, ricca piuttosto per un affollarsi di elementi sovrapposti, in una visione graziosamente elaborata, che non ispirata dalla sobria semplicità del gusto classico, quale ci è nota attraverso alcuni gioielli del V-IV sec., in cui la sobrietà delle forme si abbina alla eleganza della decorazione in filigrana (v.). Analogamente manca alla o. ellenistica, i cui prodotti sono stati resi da località varie, Tessaglia, ambiente egeo, Italia meridionale, ecc., la pomposità barocca e la ricchezza coloristica di molti ori di Crimea o anche quella più moderata, e tuttavia sensibile, delle o. raccolte nelle necropoli campane.
L'o. ellenistica, che nessuna ragione intrinseca particolare ci induce a ritenere d'origine alessandrina, dalle graziose forme, dalla coloritura tenue e delicata, dalla decorazione quasi miniaturistica, si va perdendo negli ori del I-Il sec. in una produzione sempre più generica in cui i modelli stancamente si ripetono ed in cui, per quanto ci è possibile intuire, sempre maggiore deve farsi lo apporto, largamente diffuso, dell'artigianato.
8) Roma. - Ma con il nuovo equilibrio che nel mondo antico si costituisce nell'affermazione graduale e continua di Roma, è naturale che la produzione degli ori, industria di lusso e collegata in maniera diretta agli sviluppi di una vita fastosa ed elegante, venga a risentire del gusto degli ambienti che maggiormente la richiedono. Nasce così, accanto al persistere delle forme greche, una o. romana, di cui Pompei ci ha reso il più importante nucleo, ma i cui prodotti, tecnicamente meno fini di quegli ellenici, si ritrovano, nel mondo romano, un poco dappertutto.
In contrasto con l'elaborata minuzia degli ori ellenistici, questa produzione romana sembra piuttosto rifarsi, con una semplicità maggiore, agli ori etruschi dell'ultimo periodo; mentre infatti alcuni tipi di collane trovano il loro prototipo immediato in quelle di cui appaiono ornati, sui sarcofagi etruschi e sulle urne di Volterra, i defunti del III sec., altri gioielli come i caratteristici orecchini "a spicchio di sfera" e i bracciali analoghi, appaiono ispirati dalla stessa sensibilità coloristica dell'ultima o. etrusca, mirante a valorizzare il tono caldo dell'oro, sia che lo si adoperi in superfici lisce sia che lo si avvivi coi contrasti monocromi delle superfici sbalzate o stampigliate. Un autentico gusto del colore non è tuttavia estraneo alla o. romana, che ama le inserzioni frequenti delle paste vitree, delle pietre dure e delle perle, con particolare preferenza per l'unione dell'oro con i vividi toni del verde smeraldo e del bianco iridescente della perla.
Il repertorio dei modelli (v. collana; orecchino, ecc.) ancora ricco nel I sec. dell'Impero, si fa più povero in quelli successivi, per quanto a ben vedere anche questa fase dell'o. antica non sia sufficientemente conosciuta. In compenso si fa strada in quest'epoca la moda dei gioielli formati con monete o con esemplari monetiformi; il motivo che è adoperato dappertutto, ma specialmente per collane, ottiene un suo felice effetto decorativo, ma denota, ciò nonostante, una povertà creativa degli orafi contemporanei, incapaci evidentemente di rinnovare il loro repertorio. Si insinuano tuttavia, specie nella produzione periferica dell'Impero, echi di visioni differenti, ricordo di passate forme o preciso apporto di nuove e vitali civiltà. O. differenti quindi si vanno nuovamente profilando e ricostituendo, specie quando l'Impero si volge verso Oriente, la cui produzione è così intensa e così precisi e definiti appaiono i caratteri stilistici da rappresentare nuclei differenti dotati ognuno di una propria voce. Mentre in Oriente, quindi intorno alla corte di Costantinopoli, nasce e matura l'oreficeria bizantina, l'Europa e l'Italia stessa, cedono al gusto delle o. barbariche. È il periodo delle grandi fibule dalle forme varie, delle armi decorate, dei fermagli di cinturone, in cui l'oro si unisce alle pietre e soprattutto agli smalti colorati, mentre la filigrana è usata in funzione secondaria, specialmente per accentuare i vivaci effetti coloristici. È il periodo, ancora, in cui ritornano i lavori "a giorno" ottenuti con la filigrana, ma più frequentemente per intaglio, in cui all'effetto del colore contrapposto si sostituisce quello chiaroscurale del merletto. Ma l'o. di questa età è ormai dettata da una ricerca immediata dell'effetto, in cui si annullano i valori della decorazione delicata e in cui, pertanto, anche la compiutezza tecnica vien meno.
Nella rude, fantasiosa bellezza della o. barbarica (v. celtica, arte; nordico-germanica, arte) inutilmente cercheremo le larghe, sottili, eleganti volute della filigrana usata nell'o. greca o i miniaturistici effetti della meravigliosa granulazione etrusca. Tuttavia le tecniche stesse non scompaiono né cedono il posto ad altre, ove si eccettui l'affermarsi dello "smalto cloisonnée" (in cui, cioè, ogni tono di colore si distacca dall'altro a mezzo di una sottile striscia d'oro), solo si adattano alle esigenze del gusto nuovo. E tanto più interessante riesce quindi il fenomeno di strane affinità di modelli o di decorazione fra gioielli lontanissimi nel tempo, lavorati in ambienti del tutto differenti, fenomeno d'altronde che riscontriamo anche nella o. moderna, come cosciente ripresa di modelli antichi. Così che in molti casi del genere, ove non sussistano dati di natura estrinseca le attribuzioni possono fondarsi, più che su costituzionali differenze, su sfumature del gusto o della tecnica nonché su quel complesso di elementi imponderabili che in ogni espressione d'arte distingue l'originale dalla copia.
Bibl.: F. H. Marshall, Brit. Mus. Catalogue, Jewellery, Londra 1911 (introduzione); B. Segall, Museo Benaki, Atene 1938, commento ai pezzi; L. Breglia, Catalogo delle oreficerie del Mus. Naz. di Napoli, Roma 1942, parte II; saggio sull'oreficeria antica in Italia; E. Saglio, in Dict. Ant., I, 1877, pp. 778-809, s. v. Caelatura; id., in Ebert, Reallexicon der Vorgeschichte, s. v., Gold, Goldschmiederarbeiten; G. Becatti, Le oreficerie antiche, Roma 1955; R. A. Higgins, Greek and Roman Jewellery, Londra 1961; P. Ducati, in Enc. It., s. v., nonché le voci specifiche: orecchino; collana, ecc. in questa Enciclopedia.
Per la tecnica: H. Th. Bossert, Gescehichte des Kunstgewerbes, Berlino 1928, I, passim; C. Densmore Curtis, Ancient Granulated Jew. of the VII Century, B. C. and Earlier, in Mem. Amer. Ac. in Rome, I, 1917; M. Rosenberg, Geschichte der Goldschmiedekunst auf technische Grundlage, Francoforte sw. M. 1910-1925. Per i gruppi singoli di o. si consultino: per l'Egitto: E. Vernier, La bijouterie et la joaillerie égyptienne, in Mémoires de l'Inst. franç. du Caire, II, 1907; Schäfer-Möller, Aegyptische Goldschmiederarbeiten, Berlino 1910; G. Möller, Metallkunst der alten Aegypten, Berlino 1924.
Per la preistoria europea: Otto-Herbit, Handbuch der Archäologie, parte IV, 1950, passim.
Per Creta: D. Levi, in Amer. Journ. Arch., 1945, pp. 313-329; P. Demargne, La Crète dédalique, Parigi 1947, pp. 125-28.
Per gli ori di Micene: G. Karo, Die Schachtgräber von Mykenai, Berlino 1930; H. Th. Bossert, Altkreta, Berlino 1937, figg. 205 ss.; A. J. B. Wace, Mycenae, Princeton 1949 (sui rinvenimenti).
Per le o. orientalizzanti, si consiglia lo spoglio dei volumi di Clara Rhodos; R. A. Higgins, in Ann. Br. Sch. Ath., LII, 1957, p. 42 ss.; C. Hopkins, The Aegina Treasure, in Am. Journ. Arch., LXVI, 1962, p. 182 ss.
Per l'Etruria: G. Karo, in Milani, Studi e Mat. di Arch. e Numismat., II, 1902, p. 102 ss.; id., in Studi Etruschi, VIII, 1934, p. 54; oltre al Pinz, Materiali per la Etnologia antica Toscano-laziale, Milano 1914; L. Breglia, Cat. cit., pp. 103-115; L. Pareti, La tomba Regolini-Galassi, Città del Vaticano 1947, pp. 249; 524 ss.
Per l'oreficeria dell'ambiente scito-sarmatico: Kondakoff, Tolstoi, Reinach, Antiquités de la Russie Méridionale, Parigi 1891, passim; M. Rostovzev, Iranians and Greeks in South Russia, Oxford 1922; id., Skythien und der Bosphorus (sullo stile policromo iranico e siriaco); M. Ebert, Reallex. Vorgesch., s. v. Südrusslande, pp. 68-69; B. Segall, op. cit. Per l'oreficeria ellenistica: B. Segall, Two Hellenistic Gold Medaillons from the Tessaly, in Record Mus. Hist. Art. Princeton, 1945, vol. IV, n. 2, con bibliografia; L. Breglia, Le oreficerie del Museo Naz. di Taranto, in Japigia, X, 1939, fasc. I; id., Cat. del Museo di Napoli, Roma 1941, pp. 115-129.
Per l'o. romana manca una bibliografia specifica; per gli ori barbarici in Italia: A. Venturi, Storia dell'Arte Italiana, II, p. i ss.; P. Toesca, Storia dell'Arte Italiana, Torino 1916, I, pp. 271-76; 324-36; R. Mengarleli, in Mon. Ant. Linc., XII, 1902, pp. 145-380, tv. I-XIV; R. Parieni, ibid., XXV, 1918, pp. 348-50 (con ampia bibl.); fuori d'Italia: F. Volbach, Germanischer Schmuck, Berlino 1933; M. Rostovzev, in Mon. Piot, XXVI, 1923, p. 155 ss. (con bibl.).
(L. Breglia)
Estremo Oriente: 10) India. - L'o. è stata in onore nell'Asia orientale fin dai tempi antichi. Ma essa si è sviluppata diversamente secondo le risorse in oro e argento di ogni paese; infatti l'estrazione dell'oro fu raramente organizzata su scala industriale e la fonte più abbondante a partire dall'èra cristiana, nell'India per esempio, fu l'utilizzazione di monete romane, molto ricercate come materia di scambio.
Nell'India (v. indiana, arte), l'o. è attestata fin dalla protostoria ed è fra la più bella: ornamenti, orecchini, collane, uniscono l'oro a paste colorate, alla giada e pietre semi-preziose; la tecnica è quella del metallo battuto. Nell'epoca storica è una delle arti più anticamente ricordate nei testi: d'oro e di pietre preziose erano i gioielli portati comunemente. Oltre alle figurazioni innumerevoli che ci sono pervenute, oggetti preziosi sono stati ritrovati negli scavi, in particolare a Taxila (N-O) e a Suttukheny (S). Reliquiari, tazze, patere in oro, argento o rame con rubini incastonati nel metallo per aumentarne lo splendore, soggetti scolpiti a sbalzo, costituiscono con i gioielli l'o. antica dell'India. L'oro vi è traforato, battuto, filigranato, granulato, incrostato di lacca, di maiolica, di perle e di cristallo; serve a incastonare intagli in corniola e pietre colorate; anche la tecnica "a reticolato" vi appare usata da un'epoca antica con i vuoti riempiti da paste colorate. Influenze ellenistiche vi si scoprono spesso ma la maggior parte dei particolari sono tuttavia tipicamente indiani.
L'o. dell'India antica raggiunse un meraviglioso grado di raffinatezza fra il IV e il IX sec. circa. Risalgono a quest'epoca alcune sculture a tutto tondo rappresentanti dei Buddha, fusi in oro o in argento. I gioielli si alleggeriscono e si affinano, le collane si adornano di medaglioni, i diademi si mischiano a fiori freschi e le perle diventano un elemento frequente dell'acconciatura. Allora si adoperarono anche i metalli preziosi per candelieri, specchi, manici di ventagli e di cacciamosche, recipienti (vasi per acqua, coppe, ecc.).
Nelle diverse contrade della penisola indocinese (v. indocinese, arte) l'abilità degli orefici è ormai ben conosciuta. I più antichi esempi sono stati trovati in Cocincina, a Oc-Eo: gioielli delicati, anelli arricchiti o no da pietre preziose, granuli di collane, orecchini con ripieno di piombo, pendagli o ciondoli, ecc. di grande finezza e semplicità. Vi si riconoscono influssi indiani abbastanza chiari (iscrizioni incise in sanscrito, Toro Nandim, ecc.) e si suppone che essi rappresentino l'o. del più antico regno storico del popolo Khmer, quello del Funan, di cui Oc-Eo sarebbe stato il porto principale. Il tesoro di Mo-so'n, nel Champa (Vietnam preannammita), attribuito al sec. VII, attesta l'abilità degli artigiani della regione: sono vasi rituali, tiare, braccialetti in oro.
11) Cina. - In Cina e nei paesi sotto la sua influenza, l'o. fu presto portata a un alto grado di perfezione: verso il III sec. a. C. il bronzo veniva incrostato d'oro, d'argento, di smalti, di pietre semipreziose (giada, turchese, malachite). Ornamenti di vestiario originarî delle steppe sono a volte tutti in oro. Ma solo nell'epoca seguente, sotto i T'ang (618-907), l'o. acquista una qualità veramente preziosa: coppe a piede, vasi ad ansa, piatti d'oro e d'argento verranno incisi con una libertà e una sicurezza sorprendenti, e i gioielli acquisteranno una deliziosa raffinatezza.
12) Giappone. - In Giappone l'o. ha lasciato rare testimonianze (il bronzo e il ferro vi hanno un passato molto più glorioso), se si eccettuino le celebri corone coreane scoperte negli scavi di Silla, di uno stile sorprendente e forse eccezionale.
Bibl.: Birdwood, The Industrial Arts of India, Londra 1880; A. K. Coomaraswamy, Art et métiers de l'Inde et de Ceylon, Parigi 1924; V. F. Weber, Ko-ji Hô-ten, Dictionnaire à l'usage des amateurs et collectionneurs d'objets d'art japonais et chinois, Parigi 1923.
(† R. Grousset - J. Auboyer)