BIANCOLI, Oreste
Nato a Bagnacavallo (Ravenna) il 9 nov. 1806 dal conte Carlo e da Dorotea Sorboli, studiò legge a Bologna e all'età di venti anni conseguì il titolo di baccelliere. Partecipò ai moti del 1831 e fu incarcerato, indi confinato a Ferrara, donde ottenne, nel 1836, il trasferimento a Bologna pur rimanendo sempre sotto sorveglianza. Nel 1843 partecipò all'organizzazione di una rivolta scoppiata sulle colline bolognesi, nota col nome di "moto di Savigno"; ricercato dalla polizia pontificia, fuggì in tempo, travestito da muratore, e riparò in Francia, ove fu assegnato al deposito di Châteauroux, mentre il governo pontificio bandiva per il suo arresto una taglia di 300 scudi. Avuta notizia che nel 1845 si preparava un nuovo tentativo insurrezionale in Romagna, tornò in Italia, fermandosi in Toscana, dove si riunì con altri profughi e patrioti: proprio durante questo soggiorno si vuole che collaborasse con L. C. Farini alla stesura del "manifesto di Rimini", in realtà opera di questo solo. Scoppiata l'insurrezione, il B. prese parte all'episodio delle Balze di Scavignano quando vennero disarmati i finanzieri pontifici nella caserma delle Balze, e quando, fallito il moto di Rimini, gli insorti si scontrarono (28 settembre) coi pontifici e, sopraffatti, ripararono in Toscana.
Il B., insieme agli altri, s'imbarcò a Livorno sulla nave "Sesostri" per la Francia e proseguì poi per l'Algeria; ritornò a Bologna soltanto nel dicembre del 1847, non avendo voluto aderire alle condizioni dell'amnistia concessa da Pio IX l'anno precedente. Il suo nome figura fra i collaboratori del giornale bolognese Il Povero,foglio popolare, a partire dal febbraio di quell'anno. Nel 1848 fece parte della Guardia civica e partecipò all'adunanza di ufficiali tenutasi il 24 marzo al Circolo felsineo per organizzare la spedizione di reparti volontari alla prima guerra d'indipendenza; il 15 luglio, alla prima minaccia di una invasione austriaca su Bologna, intervenne a una riunione di ufficiali e autorità civili che deliberarono la costituzione di un Comitato di guerra per la difesa della città. Dopo lo scontro dell'8 agosto, quale addetto alla sezione di polizia, entrò nel Comitato di salute pubblica istituito dal prolegato C. Bianchetti e rimase in carica fino al 26 agosto; nei giorni successivi fece parte della missione recatasi presso il cardinale Amat per informarlo sulle pessime condizioni dell'ordine pubblico nella Legazione e per indurlo a rientrare presto in città. Il 5 settembre, su invito del Commissariato supremo di stato di difesa e d'ordine pubblico per le Quattro Legazioni, presieduto dall'Amat e spalleggiato da L. C. Farini, entrò nella commissione incaricata del riordinamento della polizia. Resse anche, gratuitamente, l'ufficio di direttore di polizia, carica che conservò anche dopo la cessazione del Commissariato e l'ingresso in Bologna del prolegato conte Spada. Rimase in tale ufficio pure dopo la proclamazione della Repubblica romana e la nomina di Carlo Berti Pichat a preside della provincia di Bologna. Chiamato a Roma il Berti Pichat in qualità di ministro dell'Interno, il B. fu designato a suo successore, ed ebbe confermata tale carica il 10 aprile. All'appressarsi della seconda invasione austriaca su Ferrara e Bologna, nella sua qualità di preside, predispose, come meglio poté, la difesa della città, ma, dopo il primo infelice scontro a Porta Galliera (8 maggio), per evitare le conseguenze di un assedio e di un prolungato bombardamento, ritenendo salvo l'onore di Bologna per quella prima difesa, rassegnò il potere nelle mani del municipio perché trattasse la capitolazione col nemico. Partì clandestinamente, dopo il 26 maggio, con l'intenzione di raggiungere Roma, alla volta di Firenze; ma qui fu fermato e trattenuto, e, il 2 luglio, espulso dal granducato. Riparò a Genova, dove immediatamente provvide a stendere una autodifesa per confutare le accuse mossegli nell'Assemblea romana, il 12 maggio, da R. Andreini che lo aveva proclamato traditore della patria (Sugli avvenimenti di Bologna del maggio 1849. Osservazioni dell'ex preside O. B., Genova 1849).
Il B. andò esule in Liguria, in Toscana, in Piemonte, dove contrasse o rinsaldò l'amicizia con parecchi uomini politici piemontesi o rifugiatisi in Piemonte. Nel suo soggiorno a Torino, pur vivendo da privato cittadino, fu sempre accanto al Farini condividendone le opinioni politiche. Nel 1859 tornò a Bologna, dove assecondò l'opera dell'amico per l'annessione dell'Emilia al Piemonte. Nel 1860 fu eletto, - per il collegio di Adro (Brescia) - deputato al Parlamento subalpino per la VII legislatura. Fu pure reintegrato nel grado di direttore di pubblica sicurezza per la provincia di Bologna e messo contemporaneamente a disposizione del ministero dell'Interno. In seguito alla spedizione sarda nell'Umbria fu incaricato, dal 1ºottobre al 31 dic. 1860, di reggere la provincia di Rieti quale regio commissario, e dai Reatini fu eletto deputato per l'VIII legislatura (1861-65); ma la sua elezione fu resa nulla per l'ufficio da lui ricoperto presso il ministero. Nel maggio 1863 fu inviato in missione in varie province della Sicilia, e nel settembre in Romagna e nelle Marche. Nominato nel '64 direttore capo e membro della Commissione per il riordinamento del servizio di pubblica sicurezza, si trovò coinvolto nella repressione dei gravi disordini avvenuti a Torino per la convenzione di settembre, e, allontanato dal servizio attivo, fu collocato in aspettativa per motivi di salute. Richiamato in attività di servizio nel 1866, fu, nel 1868, nominato conservatore delle ipoteche a Livorno e, in tale qualità, trasferito a Ravenna (1873), dove rimase sino alla morte, occupandosi anche di problemi didattici e culturali. Morì il 7 maggio 1886.
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