ORFEO (῾Ορϕεύς, dorico ῎Ορϕης; Orpheus)
Mitico aedo di Tracia, considerato dalla tradizione greca figlio del re Eagro e della musa Calliope.
1. - L'origine della sua figura è difficilmente individuabile: mentre, secondo la leggenda, sarebbe vissuto anteriormente ad Omero, all'epoca favolosa degli altri cantori dell'Ellade, Lino, Tamiri, Museo, la menzione più antica e storicamente documentata del suo nome è in un frammento di Ibico di Reggio (metà del VII sec. a. C.). La figura di O. è legata all'impresa degli Argonauti da una lunga tradizione poetica, che dall'età arcaica discende fino a Valerio Flacco e all'ignoto autore delle Argonautiche Orfiche; la sua partecipazione all'impresa si spiega facilmente se si pensa al potere magico del suo canto, che è detto placare le tempeste e affascinare gli animali, e che si inquadra nell'alone di misteriosa poesia da cui scaturisce la figura della tracia Medea.
La sposa di O. (detta Argiope nella Leonzio di Ermesianatte), universalmente conosciuta col nome di Euridice, era una ninfa o una driade, che morì, secondo la tradizione poetica ellenistica, morsa da un serpente nell'atto di sfuggire a un suo pretendente, il pastore Euristeo. Per riconquistarla, O. scese nell'Ade e impietosì col suo canto i crudeli custodi, Cerbero e Plutone. Sarebbe riuscito nell'intento se Euridice, sulla via del ritorno, non si fosse rivolta indietro, trasgredendo il divieto di Plutone. Dopo averla perduta per sempre (da notare tuttavia che esiste un'altra versione, cui sembra alludere un passo dell'Alcesti euripidea, secondo la quale Euridice si sarebbe salvata), O. si ritirò nel suo dolore sulle rive dello Strimone, sfuggendo le donne (secondo Virgilio ed Ovidio) e dandosi ad amori contro natura. A quanto narra Pausania, invece, si sarebbe suicidato e a Dion, in Macedonia, si mostrava ancora la sua tomba. Tuttavia la versione più antica, che è già in Eschilo, lo fa vittima delle donne di Tracia, infuriate a causa della sua misoginia, o delle menadi che lo fecero a brani, come Penteo, sul Pangeo, giacché O. si era rifiutato di venerare Dioniso, essendo seguace di Apollo. Secondo una leggenda di cui sono portatori Filostrato e Fanocle, la testa e la lyra di O. furono gettate nell'Ebro e, attraverso il mare, approdarono a Lesbo. Quivi la testa fu seppellita e, poiché dava responsi facendo concorrenza ad Apollo, fu da questi fatta tacere per sempre.
Di tutti gli episodî connessi alla vita del cantore tracio, alcuni sono stati limitatamente sfruttati, mentre altri hanno goduto di immenso favore fino al periodo ellenistico, perpetuandosi poi nella nuova simbologia (ed iconografia) cristiana.
2. - A prescindere dalla tradizione letteraria, che ricorda numerose opere rappresentanti O. nelle varie località della Grecia (a detta di Pausania alcune erano sotto l'antichissima forma di xòana, come il simulacro nel tempio di Demetra a Thera), l'unica testimonianza figurativa dell'antichità che possiamo in certo qual modo ricostruire è il dipinto di Polignoto, la celebre Nèkyia nella Lesche degli Cnidî a Delfi. Pausania (x, 30, 6) si meraviglia che O. vi fosse effigiato in abbigliamento greco, e non alla maniera dei traci, onde ne abbiamo un prezioso indizio per l'iconografia del personaggio. Questi dovette essere inizialmente rappresentato in abito greco, con il chitone o, più raramente, la lunga veste del citaredo, ovvero nudo o seminudo, come si mostra ancora prevalentemente sui vasi attici del V-IV sec. a. C. Più tardi assume l'abito tracio, con berretto di pelle di volpe (ἀλωπεκῆ), alti calzari, veste ricamata e corto mantello; nell'età ellenistica, infine, predomina un costume ancora più sontuoso, di visibile origine orientale, con lungo chitone manicato cosparso di ricami, mantello e berretto frigio, che rimane la più costante caratteristica di O. anche nell'arte cristiana, nella quale spesso si ritorna alla seminudità, con un semplice mantello drappeggiato sulle ginocchia.
Due sono le più antiche rappresentazioni di O., entrambe risalenti al VI sec. a. C.; una metopa del Tesoro dei Sicioni in Delfi, in cui O. è eretto, con la lyra in mano tutto chiuso nella lunga veste del citaredo, solenne figura barbata, accanto alla nave Argo e ad un argonauta; e un piatto beotico, che è il più antico esemplare di un motivo che godrà enorme favore nei tempi successivi: O., rozza figurina dipinta di nero, è seduto in atto di suonare la lyra, attorniato da cinque uccelli e da una cerva. A queste due testimonianze può aggiungersi un frammento vascolare attico a figure nere del V sec., in cui il cantore con lunga veste e i capelli fluenti cinti da una benda, suona la lyra con un piede appoggiato a una sorta di altare o di basamento a gradini: è identificato dall'iscrizione: Χαῖρε ᾿Ορϕεῦ. O. insieme alle Muse e alle ninfe era raffigurato sulle metope del tempio di Apollo a Figalia.
3. - Le rappresentazioni più classiche della discesa di O. all'Ade sono date dalle tre copie di età romana (Villa Albani, Louvre, museo di Napoli, più due frammenti da Tarquinia e dal Palatino) del bassorilievo attico con O., Euridice e Hermes, non dedica coregica, come si credeva un tempo, ma stele funeraria eseguita intorno al 410 a. C.; il pàthos trattenuto delle tre figure, che riecheggiano quelle dei rilievi del Partenone, ed altre chiare movenze fidiache hanno fatto attribuire questo rilievo alla scuola di Alkamenes di Paro (v.). I due soggetti maggiormente diffusi nella pittura vascolare attica a figure rosse, a partire dal V sec. a. C., sono O. fra i traci, e la morte del cantore per mano delle menadi infuriate. In tutte queste rappresentazioni O. è un giovane efebo, nudo o seminudo, ovvero con corto chitone o mantello, i capelli cinti da una benda o coronati d'alloro. Solo in un vaso del Museo Nazionale di Napoli ha il lungo chitone manicato orientale e il berretto frigio, che diverranno canonici nelle sue raffigurazioni sui vasi italioti. O. è di solito seduto su una rupe, in atto di suonare la lyra con aria assorta e malinconica: attorno a lui donne ed uomini traci, quest'ultimi in piedi o seduti, oppure presso i loro cavalli, con le lance doppie in pugno. Talora compaiono fra gli uditori anche dei satiri, come in un discusso vaso del Louvre (già Collezione Durand), in cui O. suona la lyra fra un satiro e una ninfa in gruppo osceno, e un altro satiro itifallico; sarebbe qui espresso, con accenti lievemente caricaturali, il dolore disperato di O., insensibile agli spettacoli amorosi che si svolgono davanti ai suoi occhi. Anche la scena della sua morte si articola secondo uno schema fisso: il giovane è rappresentato nell'atto di cadere sotto l'impeto delle donne, che lo assalgono con lance, spade, tirsi, pietre o doppie asce; già piega un ginocchio non reggendo alla furia che lo travolge; con una mano cerca un punto di appoggio sulla roccia, mentre con l'altra alza la lyra al di sopra del capo, quasi a farsene scudo. Da notare che molto spesso le donne hanno tatuaggi che mostrano la loro appartenenza al tiaso bacchico, e che talora O. è rappresentato con grande crudezza, sanguinante per le molte ferite, con una lancia o un tirso infissi nel petto.
4. - Una pittura pompeiana lo mostra nell'atto di suonare la lyra, avvolto in una lunga tunica, e seduto su una roccia, alla presenza di Eracle e delle Muse. Altre due pitture illustrano invece la sua impresa nel mondo infernale. La katàbasis all'Ade è effigiata su un frammentario dipinto di età preangustea, ora al Louvre, che il Devambez crede derivato dai cartoni di una pantomima, illustrante uno di quegli erotikà pathémata cari al gusto ellenistico; fra Euridice seduta su una rupe, che fa un gesto di sorpresa e di speranza, e O. che si avvicina suonando la lyra, tutto nudo, con un mantello svolazzante sulle spalle, è Cerbero con le tre teste spalancate. Una scena affrescata sulla parete di un sepolcro del I sec. d. C., scoperto sulla via da Ostia a Laurento, evoca il mondo infernale mediante una porta ad arco, presso cui sono Cerbero e il portinaio dello Ade: seguono O., suonante la lyra, con lunga veste e anassiridi, il quale volge il capo verso una donna che un'iscrizione identifica con Euridice, Ocno con l'asino e, sullo sfondo, Plutone e Proserpina assisi. Sui vasi àpuli del III e Il sec. a. C., i sovrani infernali compaiono entro un'edicola, presso la quale è eretto O. con la lyra in mano; egli indossa qui il sontuoso chitone ricamato con lunghe maniche, una clamide affibbiata sulla spalla e il berretto frigio con le tenie svolazzanti; solo raramente compare accanto a lui Euridice, seduta su una roccia. Queste scene sui crateri àpuli, che variano solo per particolari insignificanti, derivano certo da un unico prototipo, quale potrebbe essere la Nèkyia polignotea.
5. - Alla leggenda della testa vaticinante di O. si riferisce una kölix attica a figure rosse del V sec., che mostra la testa del cantore appoggiata sul terreno, mentre un efebo è intento a scrivere il magico responso, e un'altra figura giovanile, in cui è stato visto Apollo, appoggiato ad un olivo, sembra imporre il silenzio con un gesto. In parte analogo a questa scena è uno specchio inciso da Chiusi della fine del IV sec. a. C., che reca in basso la testa del cantore, contraddistinta dalla versione etrusca del nome (urphe); all'intorno altri personaggi, fra cui quello detto aliunea, che reca il dittico cerato sul quale ha scritto l'oracolo, presenta delle caratteristiche androgine che richiamano alla mente le tarde leggende sulla omosessualità di Orfeo.
6. - Un altro specchio etrusco della stessa epoca, della Collezione Tyszkiewicz, presenta O. fra gli animali. È questa l'iconografia diffusa su una numerosissima serie di mosaici pavimentali, provenienti soprattutto dall'Africa, dall'Italia e dalla Gallia, in cui predomina il tipo di O. imberbe, seduto su una roccia, nell'atto di suonare col plettro la lyra che tiene sulle ginocchia (v. Tavola a colori). All'intorno gli animali incantati dalla sua melodia si dispongono in riquadri o in più ariosi paesaggi.
Sono state avanzate varie ipotesi per spiegare l'enorme favore goduto da questa rappresentazione, che trova il suo equivalente su alcune serie monetali delle città tracie, di Lesbo e di Alessandria d'Egitto (da notare che ad Adrianopoli di Tracia compaiono invece O. ed Euridice), ma nessuna può dirsi soddisfacente; al più si potrà discutere sulla teoria del Pace che vede, nella caratteristica di raffigurare gli animali su una sorta di zoccolo erboso l'eco di composizioni popolaresche con figurine plastiche movibili (specie di "presepio": si veda il mosaico di piazza Vittoria a Palermo, Tav. a colori. Per il tipo di composizione v. paesaggio). Il Guidi raggruppò questi mosaici in quattro tipi, a seconda che mostrino una scena con animali ben equilibrati attorno ad O. (in questo caso possono meglio rintracciarsi alcuni eventuali modelli pittorici), ovvero la figura di O. circondata da animali isolati ma convergenti verso il centro, ovvero da animali isolati posti in direzioni diverse; questo terzo gruppo degenera in scene in cui gli animali, completamente separati l'uno dall'altro e dallo stesso O., sono chiusi in emblèmata rettangolari o romboidali; talora la rappresentazione diviene pretesto per la generica illustrazione di paràdeisoi di animali, e il riquadro centrale con O. scompare.
Questo schema di O. che ammansa le fiere si trova già nel I sec. a. C. in una statua del Museo Capitolino, ove il cantore ignudo è coronato d'alloro, e in una serie di curiosi monumenti lavorati a traforo, con O. seduto su una roccia, seminudo e con berretto frigio, circondato dagli animali che formano una specie di nicchia intorno a lui. Queste opere, che si scaglionano fra la seconda metà del III e il V-VI sec. d. C., e nelle più antiche delle quali è stata vista una eco delle soluzioni tecniche e stilistiche della scuola di Afrodisiade, sono state considerate dei candelabri, con base e un bocciolo in alto, dalla Squarciapino; il Picard, invece, basandosi su un epigramma di Marziale (Liber spectaculorum, x, 20, 6 ss.), vi ha visto degli ornamenti acroteriali per fontane monumentali, dominanti la chiave di vòlta dell'abside.
L'iconografia di O. fra gli animali viene presa a prestito dall'arte cristiana: in primo tempo si copia senza varianti il prototipo pagano; in seguito O. viene identificato col Buon Pastore (v.) e si circonda solo di animali pacifici (pecore, colombe).
Monumenti considerati. - Piatto beota: O. Kern, Der Kitharode Orpeus, in Ath. Mitt., lxiii-lxiv, 1938-39, pp. 107-10 e fig. Metopa del Tesoro dei Sicioni: T. Homolle, Les sculptures du trésor de Sicyone, in Bull. Corr. Hell., xx, 1896, p. 665, tav. xi, 1. Bassorilievi con O., Euridice ed Hermes: M. Collignon, Histoire de la sculpture grecque, ii, Parigi 1897, pp. 142-3, fig. 69; A. M. Robinson, A New Fifth Roman Copy of the Orpheus Relief, in Hommages à Joseph Bidez et a Franz Cumont (= Collection Latomus, ii), 1949, pp. 303-11, tavv. xxiii-xxv; L. Curtius, Interpretationen von sechs griechischen Bildwerken, Berna 1947, pp. 83-105, tavv. 5, 6. Pittura pompeiana: W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., p. 33, fig. 3. Pittura ostiense: B. Nogara, Le nozze Aldobrandine, Milano 1907, pp. 68-9, tav. xliii. Pittura del Louvre: P. Devambez, Un fragment de fresque antique au Louvre, in Mon. Piot, xlv, 1951, pp. 67-76, tav. ix. Statuetta del Museo dei Conservatori: D. Mustilli, Il museo Mussolini, Roma 1939, pp. 10-11, n. 20, tav. xiii, 44-46. Specchi etruschi: R. Bianchi Bandinelli, Clusium, in Mon. Ant. Lincei, xxx, 1925, coll. 542-551, fig. 10; W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., pp. 47-8, fig. 6; p. 79, fig. 9; W. Froehner, La collection Tyszkiewicz, Monaco 1892, tav. iv; R. Eisler, Orpheus, op. cit. in bibl., p. 95, fig. 34. Monete: B. V. Head, Historia numorum, Oxford 1911, pp. 287-8, 530, 558, 862; W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., p. 31, fig. 2 a-b. Gruppi plastici di Biblo e di Sabratha: M. Floriani Squarciapino, Un gruppo di Orfeo tra le fiere del Museo di Sabratha, in Bull. del Museo dell'Impero Romano, xii, 1941, pp. 61-79; id., A proposito del candelabro di Byblos, in Bull. della Commissione Arch. Comunale, lxxii, 1946-1948, pp. 9-15; Ch. Picard, Sur l'Orphée de la fontaine monumentale de Byblos, in Orientalia Christiana Periodica, xiii, 1947, pp. 266-81; id., L'Orphée de Byblos et les acrotères de fontaines, in Rev. Arch., xxxvii, 1951, pp. 233-4. Vaso a figure nere con O. citaredo: P. Hartwig, Neue Unterwelt-Darstellungen auf griechischen Vasen, in Arch. Zeit., xlii, 1884, fig. alla col. 272; W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., p. 31, fig. I. Rappresentazioni vascolari con O. e satiri: O. Jahn, Sur les représentations d'Adonis, in Ann. Inst., xvii, 1845, pp. 360-1, tav. M; pp. 425 ss. (Ch. Lenormant). O. fra i traci: K. Dilthey, Orfeo in Tracia. Vaso del Museo di Napoli, in Ann. Inst., xxxix, 1867, pp. 167-83: illustrazione in Monumenti inediti dell'Instituto, viii, 1864-1868, tav. xliii, 1; C. H. Smith, Cat. of the Greek and Etruscan Vases in the British Museum, iii, Londra 1896, n. E. 390; F. Hauser, Orpheus und Aigisthos, in Jahrbuch, xxix, 1914, pp. 26-30, fig. 2 (si combinano in questo cratere del museo di Napoli l'episodio di O. cantore fra i traci e quello della sua morte); G. M. A. Richter-L. F. Hall, Red-Figured Athenian Vases in the Metropolitan Museum of Art, New Haven 1936, pp. 165-6, tavv. cxxx, clxxi. Morte di O. per mano delle donne tracie: E. Gerhard, Auserlesene Oriechische Vasenbilder, iii, Heroenbilder, Berlino 1847, pp. 26-8, tav. clvi; H. Heydemann, Tod des Orpheus, in Arch. Zeit., xxvi, 1868, pp. 3-5, tav. iii; C. H. Smith, op. cit., nn. E. 2522, E. 301; E. Pottier, Vases antiques du Louvre, iii, Parigi 1922, nn. G. 416, G. 436 (anfora da Nola, già Collezione Durand); W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., p. 45, fig. S. Vaso con la testa di O. che dà oracoli: W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., pp. 49-50, fig. 7. O. nell'Oltretomba sulle anfore àpule: F. G. Welcker, Die griechische Unterwelt, in Arch. Zeit., 1, 1843, c. 177-190, tav. xi; E. Gerhard, Die Unterwelt auf Gefässbildern, ibid., c. 193-202, tav. xii, i; E. Braun, Vaso ruvese dall'Orfeo e Bellerofonte, in Ann. Inst., ix, 1837, pp. 219-42, tav. d'agg., 1; K. Schumacher, Zu der älteren Karlsruher Unterwelts-Vase, in Jahrbuch, iv, 1889, pp. 227-8, tav. vii; H. B. Walters, Catalogue of the Greek and Etruscan Vases in the British Museum, iv Londra 1896, n. F. 270; P. Hartwig, art. cit., coll. 253-272, tav. xviii; W. K. C. Guthrie, op. cit. in bibl., pp. 210-11, figg. 16-17.
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