Organismi geneticamente modificati
Gli organismi geneticamente modificati (OGM) rappresentano una delle più dibattute innovazioni tecnologiche degli ultimi anni. Questo a causa della novità assoluta da essi rappresentata: per la prima volta, infatti, i caratteri genetici degli esseri viventi (siano essi piante, animali o microrganismi) vengono modificati direttamente e in modo mirato a livello del DNA (DeoxyriboNucleic Acid), anziché attraverso processi di incrocio, mutazione e selezione. L’adozione del nuovo paradigma di miglioramento genetico, che ha comportato il passaggio dalle basi empiriche ai modelli meccanicistici, ha sollevato un vivace dibattito, generando domande di natura etica, ambientale, sanitaria, economica e sociale. Molti di questi temi sono stati affrontati dalla scienza e dalla politica che hanno dato risposte rivelatesi più o meno esaustive e conclusive; a tutt’oggi, rimangono comunque aperte molte problematiche che meritano ulteriori approfondimenti.
Definizione
Gli OGM sono una delle innovazioni rese possibili dalle biotecnologie, ossia tutte quelle applicazioni tecnologiche che utilizzano organismi viventi, o parti di essi, al fine di ottenere beni o servizi. Questa ampia definizione di biotecnologie comprende le tecniche ‘tradizionali’ (agricoltura, allevamento, produzione di alimenti) alla base delle produzioni agroalimentari, i processi industriali che fanno uso di microrganismi fermentatori, fino alle tecnologie che applicano le conoscenze dell’‘ingegneria genetica’ e della biologia molecolare alla selezione di nuovi organismi e allo sviluppo di nuovi prodotti.
Le procedure di ingegneria genetica permettono di isolare, modificare e trasferire specifiche sequenze di DNA da un organismo a un altro. Tale processo è alla base dello sviluppo degli OGM così come indicato anche dalla direttiva 2001/18/CE che regola l’immissione degli OGM nell’ambiente e che definisce OGM un organismo il cui materiale genetico è stato modificato in modo diverso da quanto avviene in natura con l’incrocio e/o la ricombinazione genica naturale. In questa definizione dovrebbero rientrare anche altre tecniche, quali la mutagenesi indotta o la fusione di protoplasti, utilizzate nell’ambito dei programmi di miglioramento genetico convenzionale. Esse sono state però escluse dalla definizione di OGM, sebbene comportino modifiche del genoma piuttosto radicali.
Una storia recente
La storia delle tecnologie che hanno permesso la produzione di OGM è recente, anche se da sempre l’uomo ha modificato la natura per soddisfare le sue necessità. Le scoperte scientifiche alla base di questa storia sono rappresentate dalla descrizione della struttura del DNA da parte di James Watson e Francis Crick nel 1953 e dalla decifrazione del codice genetico negli anni Sessanta del 20° secolo. Successivamente, negli anni Settanta, vennero individuati e caratterizzati gli enzimi necessari a isolare da un organismo specifiche sequenze di DNA (enzimi di restrizione) e a inserirle in un nuovo organismo (grazie agli enzimi ligasi). Risale al 1972 l’esperimento che valse nel 1980 il premio Nobel per la chimica a Paul Berg della Stanford university, esperimento nel quale si riuscì a trasferire una sequenza di DNA tra due virus. Nel 1973, sempre a Stanford, Stanley Cohen e Herbert Boyer condussero l’esperimento con il quale misero a punto le tecniche del DNA ricombinante, ancora oggi utilizzate per trasferire materiale genetico tra cellule. Davanti a queste scoperte, che hanno aperto un mondo completamente nuovo in quanto a metodiche per studiare le funzioni dei geni e sviluppare nuovi organismi con specifiche caratteristiche, i ricercatori si sono autoimposti una moratoria per valutare appieno le implicazioni del nuovo avanzamento tecnologico. Fu così che, dopo la Conferenza del 1975 ad Asilomar (California) e la messa a punto, nel 1976, da parte dei National institutes of health (NIH) statunitensi, di un protocollo per la gestione in sicurezza della nuova tecnologia, la comunità scientifica riprese la ricerca con lo sviluppo dei primi microrganismi geneticamente modificati (MGM). Il primo è stato il batterio Escherichia coli, che fu reso capace di produrre insulina umana e molte altre molecole (per es., la chimosina, oggi usata nei processi di caseificazione). Il primo animale geneticamente modificato (AGM) risale al 1982, prodotto da Richard Palmiter e Ralph Brinster che riuscirono a trasferire un gene di altro animale in un embrione di topo. Le prime piante geneticamente modificate (PGM) fecero la loro comparsa nel 1983 quando quattro gruppi di ricerca indipendenti annunciarono di aver trasformato una pianta: la Washington university di St. Louis, Missouri (resistenza a un antibiotico in tabacco), la Rijksuniversiteit di Gand, Belgio (resistenza a un antibiotico e al metotrexato, un farmaco contro il cancro e l’artrite, in tabacco), la multinazionale Monsanto di St. Louis, Missouri (resistenza a un antibiotico in petunia) e la University of Wisconsin (un gene di fagiolo in girasole).
Da quei primi esperimenti le biotecnologie hanno compiuto innumerevoli e significativi progressi e in molti casi le loro applicazioni sono uscite dai laboratori per raggiungere il mercato. Contestualmente si è aperto un ampio dibattito pubblico sul loro utilizzo che, soprattutto nel caso delle PGM e in Europa, limita significativamente sia lo sviluppo sia l’applicazione di queste innovazioni.
Tecniche
La tecnica del DNA ricombinante, messa a punto da Boyer e Cohen, è ancora il riferimento metodologico utilizzato per lo sviluppo degli OGM attualmente in commercio, sebbene siano a un avanzato stadio di sviluppo tecniche che permettono di modificare il DNA in modo mirato senza prevedere l’inserimento di nuovo materiale genetico (RTDS, Rapid Trait Development System).
Per modificare geneticamente i microrganismi vengono utilizzate essenzialmente tre tecniche: a) la trasformazione, che sfrutta la capacità delle cellule batteriche, in casi particolari, di acquisire sequenze di DNA; b) la coniugazione, che utilizza le strutture dedicate allo scambio di materiale genetico presenti in alcuni batteri; c) la trasduzione, che prevede l’inserimento nella cellula del materiale genetico attraverso un batteriofago appositamente disarmato, ovvero non più in grado di riprodursi una volta all’interno della cellula batterica.
Per gli animali, sono utilizzate tre tecniche di trasformazione o trasfezione: a) la microiniezione, che consiste nell’iniezione dei geni di interesse nel pronucleo di oociti fecondati; b) la microiniezione negli embrioni di cellule staminali embrionali (che possono essere trasformate prima di essere inserite nell’embrione ricevente); c) l’uso di retrovirus (ossia virus a RNA, RiboNucleic Acid) disarmati in grado di inserire i caratteri desiderati all’interno della cellula.
Le piante vengono trasformate ricorrendo a due metodi. Nel primo caso si usa un agrobatterio, un microrganismo ubiquitario e innocuo per l’uomo che possiede la capacità di trasferire alcuni dei suoi geni alle piante. Opportunamente disarmato è un vettore largamente utilizzato per la trasformazione delle piante. Il secondo metodo, la biolistica, permette di veicolare microproiettili di oro o tungsteno, ricoperti con il DNA da trasferire, all’interno delle cellule vegetali.
Una volta avvenuto l’inserimento del gene o dei geni di interesse, è importante poter selezionare le cellule trasformate dalle altre. A questo scopo, le sequenze di DNA da trasferire vengono affiancate da un gene reporter che ha lo scopo di facilitare il processo di selezione. Esistono diversi tipi di geni reporter, capaci di conferire resistenza ad antibiotici scarsamente usati in terapia umana (la normativa europea ne ha comunque previsto l’eliminazione entro il 2008), oppure a specifici erbicidi (per es., glifosato), o di fornire alle cellule trasformate specifiche caratteristiche (per es., fluorescenza, capacità di degradare zuccheri complessi ecc.). Sono stati messi a punto anche sistemi molecolari al fine di rimuovere i geni reporter dal genoma dell’OGM. Attualmente questi metodi sono in fase di valutazione.
Applicazioni
Le applicazioni commerciali o sperimentali degli OGM riguardano i settori industriali più diversi: dalla medicina alla scienza mineraria, dall’alimentazione alla bonifica ambientale. Senza dubbio gli MGM (batteri e funghi) hanno il più ampio spettro di applicazione. Grazie alla semplicità con cui è possibile trasformarli e alla duttilità nel loro utilizzo essi sono largamente usati in tutto il mondo, sia a scopo di ricerca sia a fini commerciali. Nel solo periodo 2003-2006 sono state notificate ai diversi Stati europei 6093 nuove richieste di utilizzo di MGM, alcune centinaia delle quali riguardanti scopi commerciali (70 circa quelle provenienti dall’Italia).
Le principali applicazioni riguardano la produzione di farmaci (quella di somatostatina risale al 1977, quella dell’insulina al 1978), ma non sono da dimenticare gli enzimi per il comparto della cosmetica (per es., le perossidasi), per l’industria alimentare (per es., la chimosina per il comparto caseario, l’amilasi per la birra e la panificazione), per l’industria (per es., l’amilasi per il tessile, la lipasi per le concerie e i detersivi). Sono stati sviluppati anche MGM in grado di degradare composti tossici (per es., dal tritolo, o trinitrotoluene, al petrolio) o in grado di facilitare le procedure di estrazione dei metalli, tanto che il biomining viene largamente usato per l’estrazione di oro (33% del totale), rame (25% del totale) e uranio.
Se l’uso di MGM è una prassi consolidata, non lo è invece quello di AGM. Sebbene esistano settori specifici che li richiedono, le notifiche di utilizzo e di brevetto sono di gran lunga inferiori a quelle degli MGM. L’applicazione principale degli AGM è nella ricerca medica. Grazie alla messa a punto di modelli animali con particolari configurazioni geniche, in particolare topi, ratti e suini, è stato possibile comprendere i meccanismi di formazione dei tumori, studiare malattie come anemia, talassemia, HIV (Human Immunodeficiency Virus) e CJD (Creutzfeldt-Jakob Disease, variante umana della BSE, Bovine Spongiform Encephalopathy). Una delle applicazioni più note e discusse riguarda la creazione di un oncotopo, ossia un topo dotato di un gene che attiva lo sviluppo di un tumore, largamente usato negli studi oncologici. Gli AGM sono necessari per selezionare nuovi farmaci, svolgere test tossicologici e per valutare l’efficacia delle terapie (per es., contro la distrofia muscolare). Un’ulteriore applicazione è la produzione di sostanze di interesse farmacologico, come nel caso di una capra in grado di produrre nel proprio latte l’antitrombina alfa, una proteina anticoagulante del sangue, che ha ricevuto nel 2006 parere positivo da parte dell’EMEA (European MEdicines Agency), o il caso di Tracy, la prima pecora geneticamente modificata (GM), in grado di produrre α-antitripsina. A oggi sono più di cinquanta le sostanze prodotte da AGM, in particolare da capre, pecore e, in parte, suini e bovini. Un tema molto dibattuto, anche se al momento ancora a uno stadio poco più che embrionale, è quello degli xenotrapianti. Il suino da sempre è considerato il modello ideale (attualmente le valvole cardiache utilizzate per il trapianto nell’uomo sono di origine suina) e sono stati già ottenuti i primi maiali privi degli antigeni responsabili del rigetto acuto. Nel medio termine sarà possibile sviluppare terapie, per es. contro il diabete di tipo 1, basate sul trapianto di cellule eterologhe nei malati, senza andare incontro a problemi di rigetto.
Un’applicazione degli AGM riguarda il sostegno alle produzioni zootecniche. Il primo tentativo ha considerato il gene dell’ormone della crescita, con l’obiettivo di migliorare le prestazioni produttive degli animali. I risultati di questo approccio non sempre sono stati soddisfacenti; sono state inoltre sollevate da più parti perplessità riguardo i possibili effetti che il consumo di carni o prodotti derivati da questi AGM potrebbe avere sulla salute umana (è opportuno ricordare che l’Europa ha tuttora attivo un embargo sulle importazioni di carne dagli Stati Uniti perché trattate con ormoni). Sono comunque in corso di valutazione organismi trasformati con altri geni, collegati in particolare alla resistenza alle principali patologie (per es., mastite) o alla qualità delle produzioni.
Nel caso delle PGM si è assistito, dopo il lancio commerciale nel 1994 del pomodoro Flav savr che presentava un processo di maturazione rallentato, a un forte sviluppo della tecnologia e all’esplorazione di nuove combinazioni geniche che potessero rispondere ai bisogni di produttori e consumatori. All’inizio, tali ricerche sono state condotte principalmente da parte delle università e dei centri di ricerca pubblici. Con il complicarsi dei sistemi normativi e dei relativi costi di autorizzazione, e con la concomitante riduzione dei fondi per la ricerca, anche a causa delle pressioni esercitate dai gruppi ambientalisti, si è verificata una decisa inversione di rotta con una drastica diminuzione delle prove sperimentali in Europa e una contrazione della ricerca pubblica del settore. Attualmente la maggior parte della ricerca viene svolta dai grandi gruppi multinazionali. Nonostante ciò le PGM rappresentano oggi l’applicazione più pervasiva degli OGM, sebbene siano presenti sul mercato solo due tipologie di caratteri trasferiti. Sono circa 200 le autorizzazioni concesse a livello mondiale in 14 anni (dal 1996 al 2010). Nel 2009 oltre 14 milioni di agricoltori ne hanno fatto uso per una superficie complessiva superiore ai 134 milioni di ettari, quasi dieci volte la superficie agricola italiana. Questo rende le PGM l’innovazione agricola con il più rapido tasso di adozione della storia (fig. 1).
Le due tipologie di caratteri maggiormente presenti nelle PGM autorizzate alla coltivazione sono resistenza alle avversità biotiche (virus e insetti) e tolleranza agli erbicidi. La causa principale del loro successo risiede in due fattori: la facilità di gestione del carattere (che dipende da singoli geni contraddistinti da eredità mendeliana); l’aiuto fornito agli agricoltori nel fronteggiare problematiche croniche che limitano e complicano le produzioni agricole, quali gli attacchi di insetti, virus e batteri o le malerbe.
Tra le PGM appartenenti alla prima tipologia vi sono la papaya e la zucchina resistenti a virosi, ma soprattutto il cotone, il mais e la patata Bt resistenti agli insetti. In queste varietà sono stati utilizzati geni in grado di produrre proteine insetticide provenienti dal batterio Bacillus thuringiensis (da qui l’acronimo Bt). Questo batterio, largamente utilizzato fin dal 1920 anche in agricoltura biologica, produce svariate tossine specifiche contro determinati insetti, innocue per gli organismi a digestione acida, come gli animali, tra cui l’uomo. Le PGM Bt sono quindi in grado di autoproteggersi producendo tossine naturali e al contempo richiedendo un minor numero di trattamenti insetticidi. Attualmente larga parte del mais e del cotone GM sul mercato sono Bt, mentre la patata, nonostante le ottime risposte agronomiche e ambientali, è stata ritirata dal mercato.
Alla seconda categoria di PGM oggi in commercio appartengono le piante che tollerano specifici erbicidi (da qui l’acronimo HT, Herbicide Tolerant). Una delle principali cause di perdita di produzione nelle coltivazioni è dovuta alle piante infestanti che competono con la coltura sottraendole acqua, luce e risorse nutritive. Esistono diversi metodi per il controllo delle infestanti, quali sarchiatura, eliminazione manuale e applicazione di erbicidi. Questi ultimi, tuttavia, non sono generalmente in grado di distinguere la coltura dalle infestanti e quindi devono essere applicati in momenti specifici per non danneggiare il raccolto. La loro modalità di azione biochimica consiste nell’inibire una funzione (un enzima) fondamentale per la vita della pianta. Le PGM HT hanno nel genoma un gene che codifica per un’isoforma dell’enzima obiettivo dell’erbicida, la quale risulta insensibile all’erbicida o in grado di tollerarlo. A oggi sono disponibili sul mercato piante resistenti al glifosato e al glufosinato d’ammonio, entrambi erbicidi ad ampio spettro d’azione e con una scarsa persistenza nel suolo. La tecnologia consente di utilizzare l’erbicida anche dopo la semina, quando le piante sono già presenti sul campo (postemergenza). Si ottengono così un migliore controllo delle infestanti e una significativa riduzione dei trattamenti. La tecnologia HT è stata applicata a diverse specie di interesse agrario come soia, mais, colza e cotone, raggiungendo una diffusione molto elevata a livello mondiale, in particolare nel caso della soia HT, che nel 2009 ha rappresentato il 77% della soia coltivata nel mondo (fig. 2).
Le PGM fino a ora autorizzate al commercio e alla coltivazione appartengono alla prima generazione di piante geneticamente modificate, la cui caratteristica è di rappresentare un’innovazione di processo che interessa produttori e trasformatori e soltanto marginalmente i consumatori.
Al momento, sono in uno stadio avanzato di sviluppo piante di seconda e terza generazione (fig. 3), che migliorano la qualità e le caratteristiche nutrizionali del prodotto o che producono e accumulano composti di interesse industriale o farmaceutico (molecular farming). Il loro costo contenuto permette di utilizzarle anche come strumenti per la bonifica ambientale (bioremediation) o come biosensori per l’inquinamento (per es., piante rivelatrici di esplosivi o radiazioni). Nel marzo 2010 è stata autorizzata dalla Commissione europea la coltivazione della prima pianta di questo tipo, la patata Amflora, che, invece di una miscela di amilopectina e amilosio, presenta solo amilopectina e si presta a una più facile lavorazione e a un migliore utilizzo nei processi industriali.
Il dibattito in corso
L’avvento di nuove metodiche ad alto contenuto tecnico-scientifico ha sempre generato forti reazioni a livello sociale. Questo si è verificato anche per gli OGM, così come in passato per l’energia nucleare. Non sono mancate perciò riserve e perplessità sull’applicazione degli OGM, quando non vere e proprie crociate contro di essi. Il dibattito si è di volta in volta concentrato sui più svariati temi. A volte limitandosi a singoli utilizzi o a interi campi di applicazione, altre volte assumendo un respiro più generale e abbracciando tutta la tecnologia in sé oppure le politiche del suo utilizzo.
Gli argomenti del dibattito possono essere suddivisi nelle seguenti macroaree tematiche riguardanti diversi tipi di impatto: a) sulla salute umana; b) sull’ambiente; c) sui sistemi agricoli; d) sociale. Le quattro tematiche vengono però spesso presentate come un unicum inseparabile.
Per quanto riguarda l’impatto sulla salute umana, la possibilità di trasferire materiale genetico tra specie anche molto distanti filogeneticamente ha introdotto un tema molto importante nel dibattito pubblico, che riguarda la sicurezza intrinseca delle tecnologie utilizzate e soprattutto dei prodotti da esse derivati. Sebbene dalla Conferenza di Asilomar del 1975 siano stati fatti progressi rilevanti e numerose domande abbiano trovato risposta, il tema dell’impatto sulla salute umana riemerge ancora, spesso legato ad allarmi lanciati dai media, quali il caso del triptofano prodotto utilizzando un MGM o il caso del mais GM Starlink. È inoltre credenza diffusa che gli OGM possano generare effetti a lungo termine difficili da identificare e da stimare.
Da più parti sono state sollevate perplessità sulla possibilità di misurare e controllare l’impatto derivante dall’introduzione nell’ambiente di nuovi organismi con un corredo genetico modificato. Essi potrebbero assumere comportamenti imprevisti o diffondere in modo incontrollato i nuovi geni nell’ecosistema, andando così a minare la biodiversità preesistente, analogamente a quanto è avvenuto con l’introduzione nei nostri ambienti di talune specie esotiche.
Un tema di discussione molto sentito è il destino delle agricolture e delle produzioni di nicchia, qualora si decidesse di introdurre gli OGM negli agroecosistemi, ovvero se sia possibile mantenere separate le filiere produttive, convenzionali e con OGM, evitando il flusso genetico tra le diverse specie di coltivazione e la commistione tra i diversi tipi di produzione.
Infine, per quanto riguarda l’impatto sociale, le preoccupazioni nascono principalmente dal fatto che gli OGM sono brevettabili e che si presentano come un prodotto industriale a tutti gli effetti. Essi sono per lo più controllati da poche aziende multinazionali che detengono gran parte del mercato mondiale. Questa visione si contrappone a una percezione largamente diffusa, soprattutto per il settore agroalimentare, che vede le produzioni come frutto di specifici territori e culture, quindi non solo portatrici di istanze industriali, ma anche di valori sociali, di identità e di integrazione ambientale. Non vanno inoltre dimenticati i temi bioetici sollevati dal trasferimento di geni tra organismi appartenenti a regni diversi, così come quelli legati alla costituzione di organismi geneticamente programmati per sviluppare patologie letali.
Risposte della scienza
Sebbene alla scienza non debbano essere demandate decisioni di natura sociopolitica, per temi ad alto contenuto scientifico è indispensabile disporre di una visione e conoscenza tecnica più complete possibile di ciò di cui si dibatte. Questo lavoro di raccolta e analisi dei dati sugli OGM è compito del mondo scientifico, che ha svolto ricerche sugli organismi geneticamente modificati a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, iniziando dalla Conferenza di Asilomar. Va aggiunto che, se le prime PGM sono entrate sul mercato nel 1994-1996, i primi studi per valutarne la sicurezza sono cominciati circa dieci anni prima, nel 1985. In particolare, la Commissione europea ha sviluppato un programma della durata di quindici anni (1985-2000) che ha coinvolto oltre 400 centri di ricerca pubblici per un investimento complessivo di 70 milioni di euro, con l’obiettivo di valutare, attraverso 81 progetti, le possibili implicazioni sanitarie, ambientali, economiche e sociali connesse all’introduzione degli OGM. A questo macroprogetto si sono aggiunti nel tempo progetti di diversi Paesi, nonché i nuovi programmi quadro europei che, nel 2009, hanno consentito di disporre di oltre 8500 pubblicazioni scientifiche che affrontano il tema della sicurezza degli OGM dai vari punti di vista (figg. 4-5).
OGM e salute
Le circa 1700 pubblicazioni disponibili sul rapporto OGM e salute si concentrano su tre aspetti: la possibilità che gli OGM possano avere effetti tossici se introdotti nella dieta umana o animale, il rischio di allergenicità e il rischio che i geni, per la resistenza agli antibiotici presenti negli OGM, si diffondano nell’ambiente vanificando le attuali terapie che utilizzano tali farmaci. Queste pubblicazioni sono state valutate dalla comunità scientifica italiana, che ha rilasciato nel 2004 un consensus document in cui sottolinea come gli OGM in commercio abbiano superato tutte le analisi tossicologiche e allergologiche, obbligatorie per legge, e come non esistano elementi per ritenerli pericolosi per la salute umana o animale. In merito alla resistenza agli antibiotici, il documento mette in evidenza come i geni utilizzati riguardino molecole scarsamente usate in terapia perché tossiche anche per l’uomo oppure siano già largamente diffusi tra i microrganismi. Inoltre, la probabilità che un agente patogeno acquisisca il gene di resistenza dai batteri presenti nell’intestino o nel suolo è di gran lunga superiore alla probabilità di acquisirlo dal DNA delle piante transgeniche. La ricerca ha approfondito anche i casi che hanno suscitato clamore nell’opinione pubblica, come quello del mais GM Starlink, ritirato dal mercato in quanto sospettato di poter generare allergie. Analisi in doppio cieco condotte sui pazienti che dichiaravano di aver avuto shock anafilattici in seguito al suo consumo non hanno evidenziato un collegamento tra queste reazioni e il mais GM. In conclusione, oggi è parere largamente condiviso dalla comunità scientifica che la tecnologia utilizzata per produrre gli OGM non presenti rischi in sé, ma che nella valutazione di questi organismi debba essere adottato un approccio caso per caso basato sul bilancio tra i rischi e i benefici. A oggi l’EFSA (European Food Safety Authority) l’Autorità europea per la sicurezza alimentare con sede a Parma, non ha riscontrato alcun problema sanitario legato all’uso degli OGM autorizzati.
OGM e ambiente
L’ipotesi secondo cui l’introduzione di transgeni nell’ambiente porti di per sé a nuovi rischi è stata approfondita da circa 2400 studi, principalmente legati alle PGM. Mick J. Crawley (M.J. Crawley, S.L. Brown, R.S. Hails et al., Biotechnology. Transgenic crops in natural habitats, «Nature», 2001, 409, 6821, pp. 682-83) ha valutato, su un arco temporale di dieci anni, l’adattabilità ambientale di colza, mais, bietola e patata GM negli habitat naturali. Lo studio ha evidenziato che il comportamento delle varietà GM era paragonabile a quello delle varietà convenzionali: dopo tre anni le piante coltivate, GM e non, scomparivano dagli ambienti naturali non agricoli. Sebbene le PGM non siano in grado di sopravvivere negli habitat naturali, questo non esclude la possibilità che, a causa di un’ibridazione con le specie selvatiche presenti sul territorio, vi possa essere un’introgressione del DNA transgenico nei sistemi naturali. Tale possibilità dipende dalle caratteristiche riproduttive della specie (per es., la soia è autogama e si autofeconda rendendo la possibilità di introgressione remota) e dalla presenza nell’ambiente di progenitori selvatici (per es., il mais è allogamo, ma presenta progenitori solo in America Centrale). Anche se sussistessero tutte le condizioni favorevoli allo scambio genetico, non avverrebbe automaticamente e non sarebbe necessariamente un processo irreversibile, come evidenziato nel caso del Messico dove, a seguito di alcune segnalazioni di possibili introgressioni di transgeni nelle varietà locali, sono state condotte analisi estensive che hanno smentito queste ipotesi. Nel caso del mais Starlink inoltre, dopo il suo ritiro dal mercato nel 2001, la presenza accidentale del transgene nelle partite alimentari si è ridotta fino a giungere a zero nel 2005. Va anche rilevato che la diversità genetica in natura è molto alta. Michele Morgante (M. Morgante, S. Brunner, G. Pea et al., Gene duplication and exon shuffling by helitron-like transposons generate intraspecies diversity in maize, «Nature genetics», 2005, 37, 9, pp. 997-1002), per es., ha riportato il confronto tra due linee commerciali di mais, dal quale risulta che circa il 20% dei geni (circa 4000) non è condiviso tra le due linee. Questo sottolinea l’esistenza di un’estesa variabilità genetica anche all’interno della stessa specie.
Per stimare l’impatto dell’introduzione delle PGM sulla biodiversità, nel 2003 la Royal society inglese ha condotto uno studio di grandi dimensioni (FSE, Farm Scale Evaluation). La ricerca ha concluso che la scelta della specie da coltivare ha un effetto molto più significativo sulla biodiversità rispetto all’adozione di una varietà transgenica o della sua controparte convenzionale (per es., la densità media di api per km2 sul mais è di 1 mentre sulla colza è di 37). Lo studio aveva considerato PGM HT dimostrando come l’efficacia del diserbo, più che la natura GM delle piante, influenzi la biodiversità presente nelle aree coltivate. Studi recenti hanno inoltre indicato che la tutela della biodiversità è maggiore con un’agricoltura intensiva mitigata da aree a incolto, piuttosto che con l’adozione di agricolture estensive che comparativamente richiedano la messa a coltura di più estese superfici agrarie.
OGM e sistemi agricoli
La questione principale riguarda da un lato la possibilità degli agricoltori di poter scegliere in libertà cosa coltivare (coesistenza) e dall’altro l’immissione sul mercato di prodotti conformi alle esigenze dei consumatori e dei produttori (tracciabilità). Desta anche preoccupazione la possibilità che emergano, nelle colture GM, infestanti, insetti e virus divenuti resistenti per l’uso delle biotecnologie e in grado di rendere inefficaci gli attuali metodi di controllo.
Attraverso l’impollinazione incrociata è possibile che il transgene venga trasferito a coltivazioni convenzionali o biologiche adiacenti che, nel caso presentassero alla raccolta percentuali significative di OGM, non potrebbero più certificarsi come prodotti non OGM, generando perdite economiche oltre a possibili contenziosi legali. Secondo la normativa europea, un prodotto, anche biologico, può essere venduto come non OGM solo se presenta una quantità di materiale geneticamente modificato al di sotto dello 0,9%.
Diversi studi, anche italiani, consentono di identificare le migliori pratiche agricole in grado di mantenere separate le colture e le filiere di processamento dei prodotti. Essi concludono che circa 20 m di aree ‘cuscinetto’ siano sufficienti a mantenere il contenuto di mais GM nei campi adiacenti al di sotto dello 0,9%. Se si adottano soglie più basse, le distanze richieste aumentano (30 m per rispettare lo 0,5%, che salgono a più di 100 m se si vuole rispettare lo 0,1%). Per mantenere separate le filiere sono efficaci anche le sfasature nell’epoca di fioritura e le barriere fisiche. Importante è inoltre la pulizia delle macchine di raccolta. Nel 2006 le società scientifiche italiane hanno presentato un consensus document proprio sul tema della coesistenza, in cui hanno sottolineato che sono già disponibili, non solo per il mais, pratiche agricole che consentono di rispettare la soglia dello 0,9% imposta dalla normativa per i prodotti non OGM. Sono contestualmente disponibili metodi di diagnostica molecolare in grado di rivelare la presenza di tutti gli OGM in commercio e in fase sperimentale. Un’incognita è relativa ai transgenici in corso di valutazione in Cina.
Sono stati condotti molti studi sul rischio che si possano sviluppare specie superinfestanti, ossia insetti resistenti alle tossine Bt. Sebbene il fenomeno sia del tutto naturale, dopo oltre quattordici anni di utilizzo degli OGM sono stati riportati solo sporadici casi di insorgenza di resistenze negli insetti. Questo perché, per prevenire il fenomeno, è obbligatorio seminare parte dell’area coltivata con varietà convenzionali, nonché seguire specifiche pratiche agronomiche che riducano la pressione selettiva sulla popolazione di insetti.
OGM e società
Sono disponibili i dati di numerosi studi che hanno analizzato la diffusione e le implicazioni economiche e sociali degli OGM, in particolare per quanto riguarda le PGM. Secondo l’International service for the acquisition of agri-biotech applications (ISAAA), che rilascia ogni anno un rapporto sulla diffusione mondiale degli OGM, la maggior parte degli utilizzatori delle PGM è costituita da piccoli coltivatori dei Paesi in via di sviluppo (nel 2009, su 14 milioni di agricoltori che hanno coltivato OGM, 13 erano piccoli agricoltori di Repubblica Sudafricana, Argentina, Brasile, Cina, Filippine e India). Nel dicembre 2006 il Joint research center (JRC, il Centro di ricerca congiunta europeo) ha rilasciato una rassegna ragionata degli studi economici pubblicati sul tema degli OGM, riguardanti le tre coltivazioni con PGM più diffuse a livello mondiale (soia HT, mais e cotone Bt). Il rapido incremento nell’utilizzo di OGM a livello mondiale nella decade 1996-2005 (da 1,6 a 90 milioni di ettari) risulta spiegabile non tanto in termini di aumentata resa, non sempre garantita dagli OGM, ma soprattutto per una diminuzione dei costi di produzione e per la facilitazione delle pratiche colturali. Secondo il JRC, gli agricoltori (in particolare quelli che conducono aziende di piccole dimensioni) sono coloro che hanno beneficiato in grado maggiore dei vantaggi economici derivati dall’introduzione delle PGM, seguiti dalle aziende del seme e dai consumatori (grazie alla riduzione del prezzo dei prodotti). Il rapporto mette in luce che, a seguito dell’introduzione di cotone e mais Bt, è significativamente diminuito l’uso di insetticidi, mentre per la soia HT non si è osservata una riduzione in termini assoluti nell’uso di erbicidi, ma piuttosto, accanto a una forte semplificazione colturale, la possibilità di utilizzo di molecole meno tossiche e con minor permanenza ambientale. Va sottolineato che il brevetto del glifosato, l’erbicida usato con la soia Roundup ready, è scaduto nel 2001. Oggi, pertanto, chiunque può produrlo e venderlo liberamente. Questo ha portato a un dimezzamento dei suoi costi, con notevoli risparmi per gli agricoltori, i quali non sono più costretti a comprare il seme e il diserbante da un unico produttore che ne detiene il monopolio.
Poco invece può fare la scienza per rispondere ai problemi etici sollevati dall’attuale dibattito sugli OGM e legati alla brevettabilità della vita, all’oligopolio sulla tecnologia da parte di poche aziende multinazionali, all’uso di geni di origine animale in piante o di geni umani in animali, sebbene, almeno nel caso delle PGM, possa sottolineare come le tecniche di trasformazione genica siano di per sé meno invasive per la pianta rispetto a metodi di miglioramento genetico tradizionale come la mutagenesi.
Risposte della politica
L’innovazione biotecnologica ha una natura profondamente sociale per le sue ricadute sulla salute, sull’alimentazione umana, sull’industria, sul mondo della produzione e sul modo in cui vengono condivise le risorse a livello globale. Per queste ragioni la politica ha voluto o dovuto occuparsi di OGM prendendo posizione nei non pochi contrasti legati a interessi commerciali e diverse visioni del mondo.
Contesto mondiale
Il contesto mondiale in cui si colloca l’innovazione legata agli OGM presenta due punti di riferimento internazionali: la WTO (World Trade Organization) e il Protocollo di Cartagena del 2000. La prima, attraverso tre strumenti: SPS, ossia misure sanitarie e fitosanitarie; TBT, ovvero accordo sulle barriere tecniche al commercio; GATT, ossia accordo generale sulle tariffe e il commercio (norma il commercio tra Paesi con l’obiettivo di evitare distorsioni sui mercati internazionali). Il secondo ha lo scopo di tutelare, applicando un approccio precauzionale, la diversità biologica attraverso adeguate procedure di sicurezza per l’utilizzo degli OGM.
Contesto europeo
Le prime direttive europee in tema di OGM risalgono al 1990, sei anni prima dell’inizio della loro commercializzazione. La direttiva 1990/219/CEE riguardava l’uso dei MGM e la ricerca in ambiente confinato, mentre la direttiva 1990/220/CEE considerava più in generale l’immissione nell’ambiente e la sicurezza d’uso degli OGM. A completamento della 1990/220 era stato sviluppato anche il regolamento attuativo n. 258/1997 rivolto ai nuovi prodotti e agli ingredienti alimentari. Questo impianto normativo di apertura alla sperimentazione e all’utilizzo degli OGM in Europa si è scontrato con la crescente impopolarità di questi prodotti. Tra il 1997 e il 2000 diversi Stati membri, tra cui l’Italia, si sono appellati alla ‘clausola di salvaguardia’, prevista nelle normative, per bloccare l’ingresso sul proprio territorio di specifici OGM, anche se già approvati. La maggioranza dei Paesi membri ha votato nel 1998 a favore di una moratoria di fatto sull’approvazione di nuovi OGM in vista di una riscrittura delle norme comunitarie in materia. Fino al 2004 nessun nuovo OGM è stato autorizzato nell’Unione Europea. Ciò ha avuto un profondo impatto sulla ricerca pubblica del settore. Fino al 1999, infatti, erano in corso in Europa oltre 200 prove sperimentali su OGM, equamente distribuite tra istituzioni pubbliche e aziende private, mentre nel 2007 le sperimentazioni sono scese a meno della metà (fig. 6) e, nella quasi totalità dei casi, si tratta di sperimentazioni effettuate dai grandi gruppi multinazionali.
Per superare la fase di stallo, l’Europa ha intrapreso la difficile strada della riscrittura della normativa di riferimento. Due gli elementi di novità introdotti: il principio di precauzione come elemento fondante delle valutazioni sulla sicurezza degli OGM e le norme sulla tracciabilità ed etichettatura dei prodotti derivati da OGM. Il processo è terminato nel 2003 dopo l’approvazione della direttiva 2001/18/CE che sostituisce la 1990/220/CEE e fissa i punti basilari per l’immissione di nuovi OGM nell’ambiente e sul mercato; dei regolamenti n. 1829 e n. 1830 del 2003, che disciplinano l’autorizzazione e l’etichettatura/tracciabilità degli alimenti e dei mangimi costituiti o derivati da OGM, fissando la soglia di presenza accidentale di materiale geneticamente modificato in prodotti non OGM allo 0,9%; della raccomandazione n. 556 del 2003, che indica i criteri di fondo per la coesistenza tra colture GM e convenzionali, con i quali le norme nazionali e regionali dovrebbero armonizzarsi.
La moratoria sull’approvazione di nuovi eventi GM applicata durante il processo di riscrittura normativa ha avuto ripercussioni non solo sulla ricerca, ma anche sugli scambi internazionali. Nel maggio 2003 Stati Uniti, Canada e Argentina si sono appellati alla WTO sostenendo che la moratoria europea non era giustificata da alcuna evidenza scientifica e che violava l’articolo 8 delle misure SPS, secondo il quale le procedure di autorizzazione di nuovi prodotti debbono essere avviate e portate a termine senza eccessivo ritardo. I tre Paesi contestavano anche l’applicazione ingiustificata, da parte dei Paesi membri della Comunità europea, delle clausole di salvaguardia che bloccavano prodotti GM già autorizzati in sede comunitaria. Il panel WTO, nel settembre 2006, pur non entrando nel merito scientifico, ha riconosciuto i ritardi dell’Europa, invitandola a riavviare, entro il 2007, i processi autorizzativi ed evidenziando l’inconsistenza dei blocchi nazionali adottati sulla base della clausola di salvaguardia. L’Europa ha scelto di non appellarsi alla decisione, ma di impostare piuttosto con i tre Paesi americani un dialogo e un confronto sui tempi di attuazione delle richieste della WTO. Nel 2008 i processi di autorizzazione, congelati durante la moratoria, sono stati ripresi: 12 OGM sono stati approvati secondo la direttiva 2001/18/CE e altri 24 secondo il regolamento n. 1829/2003. Come detto, nel 2010 è stato autorizzato anche un OGM per la coltivazione. L’ultima autorizzazione europea a tale fine risaliva al 1998.
Contesto italiano
Come membro dell’Unione Europea anche il nostro Paese deve obbligatoriamente recepire le direttive e adeguarsi ai regolamenti europei. L’applicazione della normativa presenta però margini di discrezionalità e, in generale, l’adozione e l’applicazione delle norme europee in Italia sono state rallentate dai ministri sia delle Politiche agricole e forestali sia dell’Ambiente. In particolare, la direttiva 2001/18/CE è stata recepita in Italia solo nel 2003 con il d. legisl. dell’8 luglio n. 224, prevedendo per i richiedenti informazioni aggiuntive rispetto a quelle inserite nella norma UE. La direttiva 1998/44/CE, che regola la concessione di brevetti sui ritrovati biotecnologici (OGM inclusi), è stata recepita solo nel 2006, con otto anni di ritardo e imponendo limiti più severi rispetto a quanto previsto dagli altri Paesi comunitari (d.l. 10 genn. 2006 n. 3).
Le decisioni politiche italiane non si sono limitate a recepire e applicare norme europee. Sono stati posti in essere altri dispositivi, il primo dei quali risale al governo Amato (2000), che decise di bloccare per decreto l’uso di prodotti alimentari derivati da quattro mais GM, invocando la clausola di salvaguardia prevista dal regolamento n. 258/1997. Nel 2004 il TAR del Lazio ha annullato il provvedimento, ritenendo che non fossero state prodotte prove di pericolosità connessa ai quattro prodotti.
Nel 2001 l’allora ministro dell’Agricoltura chiese di interrompere le sperimentazioni in campo aperto degli OGM. Tale fermo, nonostante la proteste degli scienziati, fu riproposto nel 2002 dal suo successore, che dispose la sospensione delle pratiche sperimentali in atto negli Istituti direttamente dipendenti dal Ministero delle Politiche agricole, alimentari e forestali, anche se regolarmente approvate. Nel 2010 queste sperimentazioni risultano ancora bloccate.
Nel 2003, la politica di tolleranza zero adottata dallo stesso Ministero sulla presenza accidentale di OGM nelle sementi, portò il governatore del Piemonte a distruggere 181 ettari di mais per presenze accidentali comprese tra lo 0,02 e lo 0,1%. Ne seguì un processo che si è concluso nel 2007 stabilendo che la presenza di OGM riscontrata era accidentale e tecnicamente inevitabile, assolvendo l’azienda implicata.
Nel 2004 il ministro delle Politiche agricole, alimentari e forestali emanò un decreto legislativo (poi convertito nella l. 28 genn. 2005 n. 5) con l’obiettivo di stabilire criteri di coesistenza tra coltivazioni convenzionali, biologiche e GM. Il dispositivo rispondeva all’esigenza di normare la coltivazione sul territorio nazionale di eventuali OGM autorizzati e imponeva distanze di separazione tra i diversi tipi di coltivazione tali da impedire la commistione tra le diverse produzioni. Questo approccio, legato alla tolleranza zero, si discostava in modo significativo da quello europeo che invitava all’adozione di pratiche di coesistenza trasparenti, scientifiche, proporzionali e specifiche per il rispetto della soglia dello 0,9% di presenza accidentale. Il provvedimento è stato annullato in quanto incostituzionale (il tema della coesistenza è di competenza delle Regioni). Non esistono al febbraio 2010 norme regionali di coesistenza che consentano la coltivazione di OGM in Italia. Tredici Regioni si sono dichiarate OGM free. Nel gennaio e febbraio 2010 si sono rispettivamente espressi sul tema sia il Consiglio di Stato sia il TAR, sentenziando che non è possibile impedire agli agricoltori di coltivare OGM se non esistono pericoli per l’uomo o per l’ambiente. Il Ministero dell’Agricoltura, per ora, ha deciso di non ottemperare a tali sentenze.
Conclusioni
Gli OGM ancora oggi, a più di trent’anni dal loro ingresso sulla scena mondiale, fanno discutere. Se le applicazioni nel settore farmaceutico e industriale sollevano a volte perplessità, esse comunque godono di un ampio favore alla luce dei benefici sulla salute che apportano. Molto meno accettate sono le applicazioni agroalimentari, soprattutto perché i benefici per i consumatori risultano poco evidenti e il relativo dibattito è guidato da motivazioni di carattere commerciale e politico, più che scientifico. È pur vero che rimangono irrisolte alcune questioni di natura scientifica, ma il problema dell’accettazione degli OGM è sicuramente e solo nelle mani della politica, che non ha ancora saputo o voluto affrontare il tema in modo organico e legalmente sostenibile.
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Tutte le pagine web si intendono visitate per l’ultima volta il 30 marzo 2010.