Abstract
Viene esaminata la nozione di organismo di diritto pubblico, analizzando le difficoltà esegetiche in cui sono incorsi gli interpreti nel ricostruirne gli elementi essenziali e nel delimitarne la portata nei vari campi di applicazione, interrogandosi sulla possibilità di sussumere la stessa tra le nozioni di teoria generale.
La definizione di organismo di diritto pubblico, derivante dalle direttive comunitarie con fini ben precisati, ha acquisito nel corso del tempo funzioni differenziate, legate a nuovi interventi normativi e all’incessante lavoro degli interpreti, tanto da rendere indispensabile una riflessione per verificare se la stessa non sia assurta a nozione generale del diritto, in grado, come tale, di travalicare i confini del ramo del diritto in cui è sorta.
La definizione dell’istituto è contenuta nell’art. 3, n. 26 del d.lgs. 12.4.2006, n. 163 e nell’allegato III, dove sono elencati nominativamente, a titolo esemplificativo, molteplici enti rientranti nella categoria. Ai sensi dell’art. 3 l’organismo di diritto pubblico è qualsiasi organismo, anche in forma societaria, istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, che sia dotato di personalità giuridica e la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico; oppure la cui gestione sia soggetta al controllo di questi ultimi, oppure, da ultimo, il cui organo d’amministrazione, di direzione o di vigilanza sia costituito da membri dei quali più della metà sia designata dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. Per la qualificazione di organismo di diritto pubblico è necessario che i tre requisiti sopra enucleati sussistano in maniera cumulativa, come ribadito sia dalla giurisprudenza europea, sia da quella nazionale. La nozione è comparsa la prima volta nella direttiva comunitaria n. 89/440/CEE del 21.7.1989, con lo specifico intento di ricondurre nel raggio di applicazione della disciplina europea in tema di appalti quei soggetti operanti negli Stati membri i quali, se pure connotati da profili pubblicistici, perché controllati o sovvenzionati dallo Stato o da altri enti pubblici o in ragione dell’attività di natura pubblica esercitata, tuttavia non erano formalmente qualificabili come pubbliche amministrazioni, non essendo riconducibili nel novero delle persone giuridiche di diritto pubblico tassativamente elencate dal Legislatore europeo.
Proprio per evitare che soggetti sostanzialmente pubblici si potessero sottrarre all’applicazione delle direttive europee in tema di appalti ed eluderne così la stessa ratio – volta a garantire la stringente osservanza delle procedure ad evidenza pubblica per la scelta dei contraenti – il Legislatore è passato da una definizione di tipo chiuso di amministrazione aggiudicatrice ad una elastica, contraddistinta non dall’elencazione quanto piuttosto dalla presenza di una serie di indici di riconoscimento. L’intento era quello di evitare che una modifica della veste giuridica dell’ente esercitante una determinata attività potesse comportare una fuoriuscita dell’ente medesimo dal circuito dell’evidenza pubblica. È pacifico, e la migliore dottrina non ha mancato di sottolinearlo, che la nozione non è volta a creare una nuova figura giuridica pubblica, quanto piuttosto a delineare un mero criterio qualificatorio delle tradizionali persone giuridiche formalmente pubbliche o private, per evitare l’elusione alle regole della concorrenza da parte di soggetti che possono bandire appalti di fatto pubblici, ma che non rientrano in tassativi elenchi; nonché per evitare meccanismi di preferenza verso imprese nazionali nell’affidamento di pubblici appalti. Sul punto occorre segnalare, e se ne tratterà infra, che proprio per il carattere elastico della nozione e per la sua non sovrapponibilità rispetto alla nozione di amministrazione pubblica, giurisprudenza e dottrina nazionali hanno faticato e faticano tuttora non poco nell’attribuire ai vari organismi di volta in volta considerati la natura o meno di organismo di diritto pubblico. Va precisato che proprio per tale ragione si è aperto un dibattito attualissimo su un eventuale ampliamento, anche nel nostro ordinamento, della nozione di amministrazione pubblica, volta a ricomprendere figure fino a poco tempo fa certamente ad essa estranee. Infatti la nozione in esame prescinde completamente da un formale collocamento di un soggetto nel novero delle persone giuridiche pubbliche o private, ben potendo un ente con personalità di diritto privato essere riconosciuto quale organismo di diritto pubblico. E tale peculiarità si ritrova anche se si scorre l’elenco degli organismi di diritto pubblico di cui al già citato allegato III, in cui si trovano sia i c.d. enti pubblici economici, sia quelle che un tempo venivano definite quali aziende autonome, sia le società formalmente privatistiche ma in mano pubblica.
Appare pertanto condivisibile l’affermazione per cui la nozione di organismo di diritto pubblico sia nata per coprire situazioni c.d. di confine, in cui le caratteristiche sostanziali delle amministrazioni pubbliche (sotto varie forme si potrebbe aggiungere nel diritto nazionale) permangano pur sotto una veste giuridica diversa e che in sostanza la figura sia sorta per abbracciare situazioni caratterizzate da privatizzazioni solo formali, senza liberalizzazione dei relativi mercati.
I requisiti sopra indicati devono essere posseduti cumulativamente e già rispetto al primo di essi sono sorte interessanti questioni, sfociate in un articolato dibattito comunitario ed interno, con il formarsi di una giurisprudenza non univoca. La definizione di organismo «istituito per soddisfare bisogni di interesse generale non aventi carattere industriale o commerciale» (l’espressione è di diretta derivazione francese) è stata oggetto di particolare attenzione da parte della giurisprudenza europea, che ha stabilito che l’esistenza o l’assenza di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale deve essere valutata tenendo conto del contesto in cui la disposizione opera e dell’obiettivo perseguito dalla normativa di cui trattasi.
V’è da dire che la Corte di Giustizia ha originariamente rivolto l’attenzione alla sussistenza dei bisogni di interesse generale più che al carattere non industriale o commerciale dell’attività, consentendo così un ampliamento della nozione. Ci si riferisce in particolare ad una pronuncia (C. giust. CE, 15.1.1998, C-44/96, Mannesmann c. Anlagenbau Austria e a.), che costituisce pilastro fondamentale per l’individuazione e delimitazione della nozione.
Si trattava di individuare la natura giuridica della Tipografia di Stato Austriaca, ente economico che, oltre a poter esercitare altre attività di natura certamente commerciale – quale la edizione e distribuzione di libri e giornali e la produzione di stampati di vario genere – era preposto per legge alla produzione di stampati in favore dell’amministrazione federale (passaporti, carte d’identità etc.). La Corte di Giustizia ha esaminato la natura dei bisogni di interesse generale istituzionalmente soddisfatti dalla Tipografia Austriaca, per verificare la sussistenza del requisito negativo, ovvero il carattere non industriale o commerciale di tali bisogni, rilevando che l’ente in questione (i) è stato specificamente istituito per provvedere in esclusiva alla produzione di documenti ufficiali alcuni dei quali soggetti al segreto di Stato o all’osservanza di norme di sicurezza (patenti, passaporti, carte di identità), (ii) con prezzi fissati da un organo pubblico che esercita i poteri di vigilanza e (iii) i documenti suindicati sono strettamente collegati all’ordine pubblico ed al funzionamento istituzionale dello Stato, con garanzie di approvvigionamento e condizioni di produzione che rispettano specifiche norme di riservatezza. Da tali circostanze si è dedotta la natura non industriale o commerciale dei bisogni istituzionalmente soddisfatti dalla Tipografia di Stato.
La Corte ha poi ammesso che l’ente possa esercitare altre attività di natura commerciale o industriale e perciò non rispondenti al fine istituzionale proprio del medesimo, ma non ha escluso anche in tal caso la riconducibilità di quest’ultimo alla nozione di organismo di diritto pubblico, precisando che una volta qualificato un tale ente “a configurazione mista” come organismo di diritto pubblico, esso è comunque tenuto all’osservanza delle procedure ad evidenza pubblica, anche qualora intenda realizzare opere o usufruire di servizi per le attività di natura commerciale o industriale. Si tratta della c.d. teoria del contagio, su cui si tornerà (v. infra).
Il punto fondamentale affrontato dalla pronuncia è proprio la rilevanza centrale del carattere non industriale o commerciale dei bisogni generali perseguiti dall’ente in esame o, comunque, il fatto che l’ente eserciti in concreto una attività caratterizzata da tale requisito negativo.
Ed è parimenti essenziale evidenziare che, nell’accezione della giurisprudenza europea, per bisogni di carattere commerciale o industriale debbano intendersi quelli che trovano la loro soddisfazione mediante la prestazione diretta di servizi al cittadino-consumatore dietro corrispettivo e che siano caratterizzati da una attività imprenditoriale. E ciò perché i bisogni di natura non industriale o commerciale vengono definiti dalla sentenza in questione come bisogni che non vengono generalmente soddisfatti mediante la prestazione di servizi direttamente ai consumatori o mediante la fornitura di beni.
In altre parole, mentre i bisogni di interesse generale di carattere industriale o commerciale vengono generalmente soddisfatti dal mercato, invece i bisogni privi di tale ultimo carattere non trovano una adeguata risposta nel mercato (anche perché non ne viene assicurata la remuneratività), ma comunque si reputa necessario il loro perseguimento in relazione ad imprescindibili esigenze della collettività.
Dunque, rientrerebbero nella nozione di organismo di diritto pubblico tutti quegli enti la cui attività è diretta al soddisfacimento di interessi generali non suscettibili di essere soddisfatti mediante la produzione di beni o la fornitura diretta di servizi alla collettività; così come quegli enti che, anche se teoricamente preposti all’espletamento di attività di tipo commerciale, perseguono il soddisfacimento non già di bisogni diffusi ma esigenze di singoli enti.
Un passaggio rilevante nella precisazione della nozione di organismo di diritto pubblico è stato poi segnato dalla sentenza della C. giust. CE, 10.11.1998, C-360/96, BFI Holding c. BV, che, come la precedente, ha consentito una estensione della nozione medesima.
Essa ribadisce due principi già evidenziati, che confermano peraltro il criterio teleologico seguito dalla Corte, ovvero la necessità che l’indagine venga effettuata sulle finalità per le quali l’ente è stato istituito: 1) in primo luogo precisa ulteriormente che all’interno della categoria dei bisogni di interesse generale devono essere individuati quelli di natura non industriale o commerciale, ovvero quelli per la cui soddisfazione non debbano essere esercitate attività di produzione di beni o forniture di servizi direttamente alla collettività dietro corrispettivo; 2) in secondo luogo, evidenza che non ha alcuna rilevanza ai fini della qualificazione la circostanza che l’ente possa esercitare ulteriori attività, anche se queste rappresentino la parte fondamentale di tutte quelle espletate dall’ente stesso.
Ed infine, la Corte precisa che le direttive comunitarie non richiedono affatto che l’organismo di diritto pubblico agisca in una situazione di assenza di concorrenza e che quindi i bisogni soddisfatti dal medesimo organismo non possano essere parimenti soddisfatti anche da imprese private: la circostanza che esista una concorrenza nel settore considerato «non è sufficiente ad escludere la possibilità che un ente finanziato dallo Stato, dagli enti territoriali o da altri organismi di diritto pubblico si lasci guidare da considerazioni di carattere non economico. Così, ad esempio, un ente di tal genere potrebbe essere indotto a perseguire perdite economiche al fine di perseguire una determinata politica di acquisti dell’ente da cui dipende strettamente. Inoltre, essendo difficile immaginare attività che non possano essere in alcun caso svolte da imprese private, la condizione che non vi siano imprese private che possano provvedere a soddisfare bisogni per i quali l’ente di cui trattasi sia stato creato rischierebbe di svuotare di sostanza la nozione di organismo di diritto pubblico di cui all’art. 1 lett. b) della direttiva n. 92/50/CEE».
In altri termini, se è vero che in linea generale i bisogni non aventi carattere industriale o commerciale si caratterizzano per il fatto di non trovare una adeguata “risposta” nell’offerta degli operatori sul mercato, ben può accadere che in alcuni casi tali bisogni possano presentare una qualche rilevanza economica, tale da indurre anche operatori economici privati a collocarsi nel settore (contra Libertini, M., Organismo di Diritto pubblico, rischio di impresa e concorrenza: una relazione ancora incerta, in Contr. e impr., 2008, 1202 ss.).
In tal modo si ammette espressamente da un lato l’assoluta non incompatibilità tra lo svolgimento di attività di impresa e la qualificabilità dell’ente come organismo di diritto pubblico e dall’altro la sovrapponibilità tra nozione di organismo di diritto pubblico e impresa pubblica.
Così operando si sono però prodotti risultati contrastanti nel nostro ordinamento, atteso che da un lato l’ampliamento della nozione ha prodotto il parallelo ampliamento della nozione di amministrazione aggiudicatrice e, d’altro canto, si è in tal modo dilatato anche l’ambito di applicazione della possibile deroga alla normativa pubblicistica sugli appalti in ragione dell’eventuale affidamento tra amministrazioni aggiudicatrici (si veda anche C. giust. UE, 9.6.2009, C-480/06, Commissione c. Germania).
La pronuncia della C. giust. CE, 10.5.2001, C-223/99 e C-260/99 Agorà S.r.l. c. Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano, ed Excelsior S.n.c di Pedrotti Bruna & C. c. Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano, Ciftat s.c.a.r.l, che ha costituito un punto fermo nel dibattito sulla figura dell’organismo di diritto pubblico, ha invece ridimensionato la categoria dell’organismo di diritto pubblico, attribuendo carattere fondamentale alla assenza del rischio di impresa nella gestione dell’attività. La pronuncia ha concluso per la negazione della qualifica dell’ente come organismo di diritto pubblico, sulla base da un lato di una situazione di concorrenza effettiva e, dall’altro, in considerazione del fatto che l’ente operasse secondo criteri di economicità (orientamento peraltro confermato e rafforzato nell’anno successivo con la sentenza della C. giust. CE, 15.1.2002, C-439/99, Commissione c. Italia, che ha dichiarato incompatibile con i principi del diritto comunitario in materia di libertà di stabilimento e libertà di impresa una normativa regionale italiana che prevedeva un penetrante controllo pubblicistico su una società avente come oggetto sociale l’organizzazione di fiere, l’Ente Autonomo Fiera Internazionale di Milano).
Questo è stato infatti istituito per svolgere l’attività nel campo della organizzazione di manifestazioni fieristiche, attività congressuali ed ogni altra attività volta alla promozione della presentazione di beni e servizi, ivi compresa la loro eventuale vendita.
Attraverso l’organizzazione di fiere e mercati si beneficiano da un lato i commercianti che possono usufruire di spazi per la promozione dei loro prodotti e, d’altro canto, come rilevato dalla Corte, si sostengono «parimenti i consumatori che frequentano tali manifestazioni garantendo loro un’informazione che consente di effettuare le proprie scelte in condizioni ottimali»: e tutto ciò non può che essere ricondotto all’interesse generale.
L’Ente Fiera esercita la propria attività in regime di concorrenza, atteso che essa può essere svolta in egual misura da altri operatori internazionali stabiliti nei vari Stati membri; opera inoltre secondo criteri di rendimento, efficacia e redditività, sopportando direttamente il rischio economico della propria attività, atteso che non v’è alcun meccanismo per compensare eventuali perdite finanziarie.
Dunque la questione verte esclusivamente sulla natura dei bisogni soddisfatti dall’Ente Fiera, se essi, pur essendo indubbiamente di interesse generale, possano essere definiti di carattere non commerciale o industriale, così superando i limiti delle precedenti pronunce.
In primo luogo la Corte si sofferma sull’elenco di organismi di diritto pubblico contenuto nell’allegato I della direttiva CEE 93/37 del 14.6.1993, per dedurre che si tratta, nella totalità dei casi, di enti che sono volti a soddisfare bisogni che non sono appagati mediante l’offerta di beni o servizi sul mercato (nel senso che lo Stato non se approvvigiona dal mercato), e di bisogni che, per motivi di interesse generale, o lo Stato preferisce soddisfare direttamente o nei confronti dei quali intende mantenere una influenza dominante.
Se è vero che tali bisogni possono essere astrattamente soddisfatti da imprese private, è nondimeno innegabile che l’esistenza di una condizione di concorrenza ed in particolare la circostanza che l’ente agisca in situazione di concorrenza di mercato può costituire indizio a sostegno che non si tratti di bisogni di interesse generale di natura non commerciale o industriale.
L’organizzazione di fiere, esposizioni ed iniziative analoghe costituisce attività economica consistente nell’offrire servizi sul mercato (l’Ente fiera fornisce servizi agli espositori dietro versamento di un corrispettivo) ed in tal modo l’Ente «soddisfa bisogni di natura commerciale, da un lato, degli espositori, che beneficiano così della promozione di beni o dei servizi che espongono e, dall’altro, dei visitatori che desiderano raccogliere informazioni ai fini di eventuali decisioni di acquisto».
Tali circostanze, se escludono la qualificabilità di organismo di diritto pubblico dell’Ente fiera, d’altro canto rendono altamente improbabile che il medesimo possa effettuare scelte che non siano aderenti a logiche di mercato.
E sono proprio questi i principi fondamentali che devono guidare l’interprete nella qualificazione giuridica dei vari enti di volta in volta esaminati, perché se è vero che l’esigenza è quella di imporre agli organismi di diritto pubblico l’osservanza della normativa europea in materia di pubbliche gare, è nondimeno vero che, ampliando il novero degli enti qualificabili come organismi di diritto pubblico, vi sia comunque l’eventualità di derogare alle norme che impongono procedure di evidenza pubblica nella scelta del contraente, mediante l’utilizzo di quelle disposizioni che consentono di evitare la gara negli affidamenti tra amministrazioni aggiudicatrici.
Si segnalano le sentenze successive della Corte di Giustizia che hanno provveduto a fornire talune precisazioni utili, anche se non hanno fornito chiarezza definitiva sul punto.
In particolare, preme ricordare la già citata sentenza C. giust. CE, 27.2.2003, C-373/00, GmbH v. Bestattung Wien GmbH, che ha precisato che la nozione di «bisogno non industriale o commerciale rientra nel diritto comunitario e non può essere modificata discrezionalmente dal legislatore nazionale; e che la nozione di organismo di diritto pubblico deve essere in ogni caso estensivamente intesa, essendo funzionale alla liberalizzazione dei mercati e della concorrenza, concludendo che servizi mortuari o di pompe funebri rispondono a bisogni di interesse generale ma l’eventuale esistenza di una concorrenza articolata consente di concludere per l’insussistenza di un bisogno di interesse generale avente carattere non industriale o commerciale». Vi sono poi: la pure citata sentenza C. giust. CE, 22.5.2003, C-18/01, che ha ribadito il seguente principio «se l’organismo opera in normali condizioni di mercato, persegue lo scopo di lucro e subisce le perdite connesse all’esercizio della sua attività, è poco probabile che i bisogni che esso mira a soddisfare abbiano carattere non industriale o commerciale (...) poiché un organismo che persegue uno scopo di lucro e che si assume i rischi connessi alla propria attività non si impegnerà di regola in un procedimento di aggiudicazione di un appalto a condizioni che non siano economicamente giustificate» (nel caso specifico invero si trattava di una società in mano pubblica olandese, costituita come promotore immobiliare per un’area di sviluppo industriale che la Corte ha ritenuto, con criterio sostanzialistico, strumento di attuazione di un programma politico di sviluppo di una parte del territorio e pertanto organismo di diritto pubblico); la sentenza della C. giust. CE, 16.10.2003, C-283/00, che ha qualificato quale organismo di diritto pubblico una società spagnola in mano pubblica con l’esclusivo compito di costruire e gestire stabilimenti carcerari che, pur avendo le caratteristiche formali di una società con scopo di lucro, non offriva beni o servizi sul mercato libero, in concorrenza con altri operatori, apparendo quindi poco probabile che la medesima società avrebbe dovuto sopportare i rischi economici connessi alla propria attività.
Una delle pronunce più recenti che ha affrontato complessivamente la questione si riferisce ad una società pubblica austriaca avente come compito pressoché esclusivo quello di fornire servizi di teleriscaldamento ad abitazioni private, ed è la pronuncia della C. giust. UE, 10.4.2008, C-393/06, Ing. Aigner – Fernwärme Wien GmbH; in questo caso la società è stata qualificata come organismo di diritto pubblico in ragione delle finalità di carattere generale cui è preposta, e perché risulta che operi come monopolista di fatto: in particolare la Corte precisa che il conseguente assoggettamento a procedure di evidenza pubblica riguarda l’insieme delle attività da esso svolte, anche nel caso in cui svolga attività miste (cioè svolge talune attività sul libero mercato), riconfermando la cd. teoria del contagio.
Per quanto concerne invero la personalità giuridica dell’organismo, non vi sono particolari rilievi da formulare, attesa l’estrema chiarezza della nozione e visto che essa può essere indifferentemente pubblica o privata ed anche le società di capitali a statuto privatistico possono possedere i requisiti per essere identificate come organismi di diritto pubblico.
Quanto al terzo requisito, si tratta dell’influenza pubblica che può essere attuata sotto varie forme, tutte disgiuntamente idonee ad integrare il requisito, rappresentate dal sovvenzionamento pubblico in misura maggioritaria, dal controllo pubblico o dall’ingerenza dello stato o di altro ente pubblico nella nomina di un quorum qualificato di componenti degli organi di amministrazione, vigilanza o direzione; elementi tali da far presumere che le decisioni degli organismi considerati siano sotto l’influenza di un soggetto pubblico e che pertanto seguano logiche diverse da quelle degli imprenditori privati.
Sul punto va segnalata una pronuncia della C. giust. UE, 12.9.2013, C-526/11, IVD GmbH & Co. KG/ Ärztekammer Westfalen-Lippein, che affronta la questione se possa attribuirsi la natura di organismo di diritto pubblico ad un ordine professionale tedesco qualora sia concessa per legge all’organismo stesso la facoltà di riscuotere contributi dai membri, senza che la legge abbia stabilito l’importo dei medesimi contributi né l’entità delle prestazioni da finanziare con essi.
Occorre in questo caso stabilire se un ordine professionale soddisfi il criterio del finanziamento maggioritario da parte di una autorità pubblica, sebbene tale organismo sia finanziato in modo maggioritario dai contributi versati dai propri membri con un importo fisso e riscosso dal medesimo organismo e se soddisfi comunque il requisito relativo al controllo della gestione da parte dell’autorità pubblica solo perché la decisione con cui lo stesso organismo fissa l’importo dei contributi debba essere approvata da una autorità di controllo.
L’ordine professionale tedesco è caratterizzato da una rilevante autonomia nel determinare in concreto le attività da intraprendere nell’esercizio delle proprie funzioni ed anche l’entità dei contributi da richiedere ai propri membri per finanziare le attività; la Corte ha poi rilevato in concreto che l’Ente in questione viene assoggettato ad un controllo meramente a posteriori, non potendosi quindi ritenere che l’autorità pubblica eserciti un controllo sulle proprie decisioni.
Di conseguenza la Corte conclude per la non assoggettabilità dell’ordine alla disciplina in materia di appalti pubblici.
In Italia, invece, la cassa forense e l’ordine dei dottori commercialisti sono stati ritenuti organismi di diritto pubblico, in ragione del diverso regime giuridico che caratterizza il sistema domestico.
In definitiva, non sembra che la Corte di Giustizia abbia raggiunto un punto fermo nella individuazione della figura dell’organismo di diritto pubblico, che presenta tuttora contorni incerti e per certi versi opachi.
I punti centrali del ragionamento sembrano essere quelli del mercato concorrenziale e del concreto rischio di impresa. Cioè se un qualunque organismo produca beni o servizi in concorrenza con altri in un mercato contendibile allora si deve presumere una impresa vera e propria, senza alcuna ragione per assoggettarla a norme di evidenza pubblica; se invece un organismo, pur in ipotesi inserito in un mercato concorrenziale, sia tuttavia sottratto concretamente al rischio di impresa (ed è il caso del monopolista di fatto) allora esso potrà certamente essere qualificato quale organismo di diritto pubblico.
Appare tuttavia ancora incerta proprio la nozione di bisogni di carattere non industriale o commerciale che nella stessa giurisprudenza comunitaria appare legata indissolubilmente allo svolgimento delle attività in regime di concorrenza o meno, ovvero alla circostanza che l’organismo in questione assuma o meno il rischio di impresa.
La giurisprudenza nazionale, veramente sterminata, si è mossa nella medesima ottica “estensiva”, giungendo in taluni casi ad equiparare la nozione di organismo di diritto pubblico a quella di pubblica amministrazione, al fine di estendere all’organismo di diritto pubblico la disciplina pubblicistica in materie del tutto estranee alle procedure di evidenza pubblica, invece di limitarsi ad individuare gli organismi di diritto pubblico al solo fine dell’applicazione della normativa in tema di appalti pubblici.
In ogni caso in passato si sono qualificate quali organismi di diritto pubblico talune società in mano pubblica concessionarie di pubblici servizi quali: la RAI S.p.a. (Cass., S.U., 23.4.2008, n. 10443 e 22.12.2009, n. 27092; TAR Lazio, Roma, III ter, 9.6.2004, con un successivo parziale ripensamento da parte della medesima Corte di Cassazione con l’ordinanza 22.12.2011, n. 28330, che ne ha affermato la natura privatistica coerentemente con la volontà del legislatore); la Società Poste Italiane S.p.a. (Cons. St., VI, 2.3.2001 n. 1206 e 14.3.2002 n. 2855); la Soc. Ferrovie dello Stato S.p.a. (Cons. St., VI, 7.6.2001, n. 3090); Enel S.p.a. (TAR Lazio, Roma, III ter, 8.8.2006, n. 7110 e C. Conti, sez. giur. Lombardia, 9.2.2005, n. 32); Società pubbliche operanti in settori aperti alla concorrenza quale ad esempio la Cassa depositi e prestiti S.p.a. (Cons. St., VI, 12.2.2007, n. 550); imprese concessionarie di costruzione e gestione di infrastrutture in proprietà pubblica totale o prevalente quali, e.g., Viareggio Porto S.p.a., l’Acquedotto Pugliese S.p.a., il Consorzio Autostrade Siciliano S.p.a., la Società Interporto Toscano S.p.a, Rete Ferroviaria Italiana S.p.a. (come da ultimo ribadito anche da Cons. St., IV, 12.3.2015, n. 1299), la Società Autovie Venete S.p.a., la società Autostrade S.p.a. (cfr. TAR Lazio, Roma, III, 9.3.2009, n. 2369), l’Enpam (Ente nazionale di previdenza e assistenza dei medici, si veda TAR Lazio, Roma, III bis, 4.8.2010, n. 30034, che ha sollecitato un intervento normativo teso a chiarire la natura di organismo di diritto pubblico degli enti previdenziali privatizzati, mutando il dettato normativo di cui alla legge n. 162/2008 art. 1, co. 10-ter).
È stata invero negata la natura di organismo di diritto pubblico al Casinò di Saint Vincent (TAR Valle d’Aosta, 15.11.2007, n. 140), all’Ente Autonomo Fiera del Levante (Cons. St., VI, 29.4.2008, n. 1913), alla SEA S.p.a. società che gestisce gli aeroporti milanesi (TAR Lombardia, III, 15.22007, n. 266, ma in senso contrario Cons. St., n. 1885/2000), al Comitato organizzatore dei giochi olimpici invernali di Torino (TAR Piemonte, II, 3.3.2004, n. 362) alla Società Porto Antico di Genova S.p.a., al Centro Argoalimentare di Napoli (Cass., S.U., 7.4.2010, n. 8225) ed anche, con una sentenza assai complessa ed interessante, la Società Grandi Stazioni S.p.a. (cfr. Cass., S.U., 4.5.2006, n. 10218, con nota critica di Rinaldi, in Giur. It., 2007, 1934), che certamente svolge una attività per così dire mista, avendo ad oggetto la gestione complessiva e manutenzione degli immobili delle grandi stazioni ferroviarie e che già era stata oggetto di un pronunciamento di tenore diverso da parte dei giudici amministrativi (Cons. St., A.P., 24.5.2004, n. 4).
Per quanto concerne le questioni affrontate più di recente si possono segnalare: quella delle fondazioni di natura privata, qualificate quali organismi di diritto pubblico anche a prescindere dalla circostanza che esse non siano state inserite nel conto economico consolidato dello Stato ex art. 1, co. 3, l. 31.12.2009, n. 196 e nell’elenco delle amministrazioni pubbliche formato dall’ISTAT, elenchi che non hanno funzione costitutiva della natura pubblica degli organismi, ma solo natura ricognitiva (Cons. St., 3.6.2014, n. 2843); la qualificazione quale natura di organismo di diritto pubblico della società Expo 2015 (Cons. St., IV, 4.2.2014, n. 552); la pronuncia Cons. St., III, 14.5.2015, n. 3025, relativa ad una Fondazione per l’Istruzione agraria in Perugia, mentre la sentenza Cons. St., V, 7.7.2015, n. 3380 ha escluso tale natura in capo all’Associazione Tecnostruttura delle regioni per il Fondo Sociale europeo, che è una associazione privata senza scopo di lucro che ha come compito esclusivo quello di fornire assistenza tecnica alla Regione Calabria in tema di formazione professionale.
Vanno quindi esaminate le implicazioni applicative connesse alla definizione di un organismo di diritto pubblico nell’ambito del nostro ordinamento, che suscitano incertezze e talune obiettive perplessità, tutte derivate dalla circostanza che la nozione è estranea alla nostra tradizione e non corrispondente con quella di pubblica amministrazione.
A prescindere quindi dalla rilevanza della nozione, v’è una prima implicazione di natura processuale, atteso che dalla qualificazione della stazione appaltante in termini di organismo di diritto pubblico deriva il radicarsi della giurisdizione esclusiva in capo al giudice amministrativo, quanto al contenzioso relativo alla fase precedente quella strettamente contrattuale. Ciò perché l’art. 133, n. 1 lett. e) del codice del processo amministrativo (richiamato dall’art. 244 del codice dei contratti pubblici) devolve alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative a procedure di affidamento di pubblici lavori, servizi e forniture, svolte da soggetti comunque tenuti, nella scelta del contraente o del socio, all’applicazione della normativa comunitaria, ovvero al rispetto dei procedimenti di evidenza pubblica previsti dalla normativa statale: la giurisdizione esclusiva del g.a. si presenta quindi mobile, destinata cioè ad espandersi o restringersi a seconda della individuazione o meno dei soggetti quali organismi di diritto pubblico (sul punto, si veda Cass., S.U., 20.7.2015, n. 15154, che ha qualificato una società di gestione dei servizi pubblici aeroportuali quale organismo di diritto pubblico ed ha conseguentemente dichiarato la controversia insorta con una società privata devoluta alla devoluta alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo).
Si può poi sommariamente indicare il tema del diritto all’accesso agli atti di cui alla l. 7.8.1990, n. 241, atteso che l’art. 22, alla lettera e), qualifica quale pubblica amministrazione tutti i soggetti di diritto pubblico e i soggetti di diritto privato limitatamente alla loro attività di pubblico interesse disciplinata dal diritto nazionale o comunitario: da ciò ne consegue che anche gli organismi di diritto pubblico sono assoggettati a tale disciplina, con riferimento alle attività che presentino le caratteristiche sopra indicate.
Altro tema di interesse è costituito dalla eventuale applicazione delle norme in tema di prevenzione della corruzione nel settore pubblico agli organismi di diritto pubblico. La l. 6.11.2012, n. 190, impone a ogni amministrazione di adottare misure concrete per reprimere l’insorgenza di fenomeni corruttivi all’interno della propria organizzazione ed a tal fine il d.l. 24.6.2014, n. 90 (convertito in legge n. 114/2014) ha attribuito a un’apposita autorità indipendente – l’ANAC (Autorità nazionale anticorruzione) – le funzioni di vigilanza sull’attuazione della legge n. 190/2012; sebbene l’art. 24 bis del decreto legge citato non richiami espressamente la nozione di organismo di diritto pubblico, la ratio della norma nonché le finalità della medesima (di estendere le misure di prevenzione a soggetti che sono controllati dalle amministrazioni pubbliche, si avvalgono di risorse pubbliche e svolgono funzioni pubbliche o attività di pubblico interesse) sembrano consentire l’estensione a tali organismi dell’ambito di applicazione della medesima.
Si discute poi anche sulla assoggettabilità allo statuto penale della pubblica amministrazione di quei soggetti che operino all’interno di organismi di diritto pubblico e che quindi espletino attività di rilevo pubblicistico. Secondo l’art. 357 c.p. sono pubblici ufficiali (soggetti perseguibili ai sensi degli artt. 317 ss.) i soggetti abilitati a formare la volontà della p.a.: le problematiche connesse a tali ipotesi sono evidenti, visto che la normativa penale in primo luogo si applicherebbe a tali soggetti solo ed esclusivamente per la parte di rilievo pubblicistico dell’attività svolta, ed in secondo luogo si concretizzerebbe una aperta violazione del principio di riserva di legge statale in ambito penale, atteso che la norma non fa alcun riferimento all’organismo di diritto pubblico (Garofoli, R., L’organismo di diritto pubblico, in Trattato dei Contratti pubblici, diretto da M.A. Sandulli, R. De Nictolis e R. Garofoli, Milano, 2008, I, 572 ss.).
Al momento attuale, ai fini penali, viene ritenuto ente pubblico anche l’organismo di diritto pubblico (cfr. Cass. pen., II, 17.6.2015, n. 28085), con la conseguenza che qualora il soggetto danneggiato sia un organismo di diritto pubblico si ritiene integrata la fattispecie di truffa aggravata di cui all’art. 640, co. 2, n. 1, c.p. In tal modo la nozione di organismo di diritto pubblico diviene uno strumento di protezione dei soggetti pubblici (Medaglia, V.: Contributo per una ricostruzione unitaria della nozione di ente pubblico nella truffa aggravata in Cass. Pen., 2014, 3584 ss.), finendo per consentire un’estensione dell’ambito di applicazione della fattispecie incriminatrice.
In conclusione, possono proporsi talune considerazioni critiche in merito agli effetti prodotti nel nostro ordinamento dall’ampliamento della nozione di organismo di diritto pubblico, ampiamento che si è inserito in un più ampio processo di disgregazione della nozione di pubblica amministrazione.
Da un lato il deterioramento della nozione classica di pubblica amministrazione e dall’altro il moltiplicarsi di figure ibride producono inevitabilmente un “effetto domino” sui pilastri del regime pubblicistico del nostro ordinamento, saldamente ancorati alle specificità della persona giuridica pubblica.
Recuperare una nozione unitaria di pubblica amministrazione significherebbe arrestare questo processo di disgregazione e garantire la sopravvivenza dei meccanismi che finora hanno governato i rapporti interni tra i poteri dello Stato e i rapporti esterni tra i poteri pubblici e gli amministrati.
È quindi un intento “risorgimentale” quello che anima l’autorevole e raffinata dottrina che attribuisce alla figura dell’organismo di diritto pubblico la somma funzione di nuovo paradigma della soggettività pubblica in grado, mediante l’applicazione dei noti indici sintomatici, di discriminare il pubblico dal privato e di scorgere la “vera natura” dei soggetti, assoggettandoli al relativo regime di appartenenza (Merusi, F., La legalità amministrativa. Altri sentieri interrotti, Bologna, 2012, 52).
Il ragionamento che conduce all’elevazione della figura può essere sinteticamente schematizzato nei termini che seguono.
1) La qualifica comunitaria di organismo di diritto pubblico non rileverebbe ai soli fini dell’applicazione delle norme comunitarie in materia di appalti, ma avrebbe una validità generale nell’ambito dell’ordinamento comunitario;
2) se un ente è un organismo di diritto pubblico per il diritto comunitario è un ente pubblico anche per il diritto italiano: se vale l’indice sostanziale di identificazione, semel publica administratio, semper publica administratio.
Ciò premesso, si giunge all’approdo secondo cui se l’ente è pubblico (ovvero se sia stato possibile qualificarlo come organismo di diritto pubblico) l’uso del diritto amministrativo è la regola, l’uso del diritto privato una eccezione da prevedere normativamente.
Il disegno, pur affascinando per ordine e razionalità, presenta talune debolezze.
Già le premesse del ragionamento appaiono non completamente convincenti.
Con la prima si enuncia la seguente equazione: organismo di diritto pubblico = nozione comunitaria di pubblica amministrazione.
La stragrande maggioranza della dottrina ha respinto questa giustapposizione; taluni hanno parlato di un “fraintendimento” che non considera l’esistenza di molteplici nozioni comunitarie di pubblica amministrazione, differenziate a seconda dell’ambito di elezione e quindi “a geometria variabile” (Cassese, S., L’Ente Fiera di Milano e il regime degli appalti, in Giorn. dir. amm., 2000, 549). La complessità del quadro delle nozioni comunitarie di pubblica amministrazione, articolato in diversi livelli e diversificato ratione materiae, non si presta quindi a essere ridotto a unità.
Respinta la prima equazione può ora passarsi all’ulteriore equazione con cui si postula la sovrapponibilità della nozione comunitaria di pubblica amministrazione (erroneamente identificata con l’organismo di diritto pubblico) alla nozione di ente pubblico nell’ordinamento domestico.
La sovrapposizione è viziata per l’eterogeneità degli oggetti su cui si innestano le due qualificazioni.
L’organismo di diritto pubblico è una qualifica che si riferisce a un soggetto già munito di personalità giuridica; nella tradizione domestica, al contrario, l’attribuzione della qualifica privatistica o pubblicistica viene apposta contestualmente alla genesi della personalità giuridica.
Ma soprattutto, ciò che rende insostenibile la tesi dell’identità sono il contesto e le finalità per cui è sorta la figura dell’organismo di diritto pubblico, in nessun modo assimilabili all’esperienza domestica, dove l’esercizio di poteri autoritativi rappresenta la ragione e l’essenza della persona giuridica di diritto pubblico.
L’organismo di diritto pubblico nasce, invece, per assicurare l’applicazione di una disciplina che non determina l’attribuzione di poteri autoritativi (o comunque speciali) alla stazione appaltante, regolandone l’esercizio, bensì limita facoltà che ordinariamente spettano a qualsiasi soggetto privato, cui l’ordinamento riconosce il diritto di scegliere liberamente la propria controparte contrattuale senza essere tenuto all’osservanza di alcuna specifica cautela che non sia dettata dal perseguimento dei propri interessi “egoistici”.
Gli incombenti di carattere procedimentale posti a presidio della legittimità degli atti che s’inseriscono nella procedura di evidenza pubblica rappresentano niente di più che delle limitazioni all’esercizio di una facoltà di diritto privato e non il frutto della procedimentalizzazione di un potere autoritativo/pubblicistico.
E l’analisi funzionale di questi limiti porta a identificare l’amministrazione, o chi per essa, come il soggetto forte, capace e al tempo stesso obbligato ad assicurare la concorrenza – quale valore supremo, di derivazione comunitaria e costituzionale, destinato a colmare capillarmente ogni spazio residuo lasciato dalla ramificata disciplina domestica – e a esercitare la propria autonomia negoziale con l’unico ma penetrante limite del dover assicurare obiettivi e scongiurare distorsioni.
È una disciplina in definitiva che non prevede l’attribuzione di privilegi e prerogative (derogations en plus), bensì limiti e restrizioni (derogations en moins) alle ordinarie facoltà di diritto comune spettanti ai privati.
Le suggestioni dottrinali, le tendenze “sostanzialistiche” e panpubblicistiche, hanno travisato il contenuto e il senso della qualificazione dell’organismo di diritto pubblico, traslando logiche e istituti sorti in contesti diversi e per finalità specifiche, con risultati che non sempre hanno determinato un rafforzamento dell’effettività della tutela degli operatori del mercato.
L’errata equazione organismo di diritto pubblico = ente pubblico ha favorito l’estensione in favore del primo di privilegi riconosciuti ai secondi, in assenza di una qualsivoglia base normativa.
Si pensi, ad esempio, ai noti limiti del sindacato giurisdizionale del giudice amministrativo al cospetto di valutazioni tecniche o di opportunità.
Tali limiti sono da sempre stati visti come corollari del principio di separazione dei poteri e della riserva in favore di soggetti pubblici dotati di una speciale legittimazione democratica o, quantomeno, di una peculiare competenza tecnica, derivante dalle specificità dell’organizzazione di volta in volta considerata. In sintesi, l’estensione in favore degli organismi di diritto pubblico di prerogative non positivamente codificate è il risultato di un’applicazione analogica di deroghe eccezionali al principio dell’effettività del controllo giurisdizionale in assenza del requisito della eadem ratio. Si continuano a sovrapporre concetti tra loro eterogenei per le diverse tradizioni giuridiche da cui provengono, per le diverse finalità cui sono preposti e, soprattutto, per la loro struttura.
L’aggettivo pubblico ha un significato differente a seconda dei contesti in cui lo si impiega e le giustapposizioni operate dalla scienza giuridica, oltre a trasgredire taluni canoni epistemologici, appaiono talvolta improprie e pericolose, come si è notato anche nel capo del diritto penale, ove l’impiego della nozione di organismo di diritto pubblico ha determinato un’estensione dell’ambito di applicazione delle fattispecie penali e delle circostanze aggravanti, in spregio alle esigenze di tassatività proprie di quel sistema sanzionatorio.
D.lgs. 12.4.2006, n. 163; l. 7.8.1990, n. 241; l. 6.11.2012, n. 190; d.l. 24.6.2014, n. 90 (conv. in l. n. 114/2014); 357 c.p.; dir. n. 89/440/CEE del 21.7.1989; dir. n. 93/37/CEE del 14.6.1993.
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