organismo
Concetto tradizionalmente impiegato in relazione alla connessione delle parti in un tutto organizzato finalisticamente, ossia in relazione al «corpo organico» (ὀργανικὸν σῶμα; corpus organicum). A partire da una teoria spirituale della sostanza e della forza come attività, sarà poi definito da Leibniz in chiave biologica e finalistica.
Nel senso tradizionale il concetto di o. è evocato già negli scritti naturali di Aristotele (De partibus animalium, I, 1, 642 a 10); esso si presta a un trattamento meccanico, essendo appunto la disposizione reciproca e interconnessa dei vari organi (ossia ‘strumenti’: «tutti i corpi naturali sono strumenti dell’anima, così degli animali, come delle piante: questo dimostra che esistono in vista dell’anima», De anima, II, 4, 415 b 18-20) riconducibile a quella degli ‘automi’ (De motu animalium, 7, 701 b). Il corpo organico è un tutto, una sostanza unitaria, in cui le parti sono ‘strumenti’; da ciò deriva un’idea di finalità che è però immanente alla sostanza, o tutt’al più alla specie (De partibus animalium, I, 1, 642 a 22-29), cioè alla necessaria conservazione della specie, pur attraverso la generazione e la corruzione. Nel pensiero antico biologico e medico quale è espresso negli scritti di Galeno (De usu partium), il concetto di o. emerge dallo studio delle disposizioni delle parti del corpo e dalle funzioni che adempiono i singoli organi, che vi concorrono finalisticamente in quanto ‘adeguati’ al compimento di tali funzioni. Il modello della macchina viene ad assorbire compiutamente la finalità, intesa come coordinazione delle parti, nella fisiologia meccanicistica di Descartes, con la riduzione dei processi animali a meccanismi (Il discorso sul metodo, 1637, V). Di contro al ruolo dell’anima nelle filosofie aristoteliche o platoniche, secondo Descartes è la fermentazione che a partire dall’attività meccanica del sangue permette di spiegare le funzioni e il formarsi degli organi nell’animale: «Suppongo che il corpo non sia altro che una statua o macchina di terra che Dio forma espressamente», tutte le funzioni vitali procedono «dalla materia e non dipendono che dalla disposizione degli organi» (Trattato sull’uomo). Nel proporre la spiegazione meccanica dell’o. (movimento del cuore, dei muscoli, percezioni sensoriali, embriologia) Descartes richiama espressamente il modello dell’automa: «Vediamo orologi, fontane artificiali, mulini e altre macchine simili le quali, pur non essendo fatte che da uomini, nondimeno hanno la forza di muoversi da sé in parecchie maniere diverse» (ibidem). Tale concezione evolverà nelle tesi della medicina iatrochimica o nel materialismo di La Mettrie (L’homme machine, 1748). In Leibniz invece l’assimilazione fra o. e macchina viene decisamente rifiutata. La tecnica artificiale impiegata dall’uomo nell’assemblare pezzi per costruire una macchina è distinta da quella dell’«artefice divino» che assembla parti, ciascuna delle quali è a sua volta una macchina: «ogni corpo organico è una specie di macchina divina […] i corpi viventi sono ancora macchine nelle loro minime parti, sino all’infinito» (La monadologia, 1714, 64). L’o. trova il suo principio nell’attività spirituale della sostanza e non nell’assemblaggio meccanico che ne consegue. Si ridefiniscono in tal modo i termini del confronto fra ipotesi preformiste, secondo le quali lo sviluppo delle parti degli o. vi è già contenuto fin dalla loro origine, e ipotesi epigenetiche, secondo le quali tale sviluppo è invece successivo.
Secondo Kant l’o. studiato dalle scienze biologiche non può essere oggetto di conoscenza scientifica in senso proprio, esso riposa sull’applicazione dell’idea ‘regolativa’ di finalità, che non è sussumibile all’interno della conoscenza causale dell’intelletto. La concezione kantiana è esposta nella seconda parte della Critica del giudizio (1790, § 65). L’interrelazione fra parti che si legano reciprocamente «a formare l’unità del tutto» comporta il ricorso al «fine», ossia una teleologia, poiché: «la cosa stessa è un fine, e quindi è compresa sotto un concetto o un’idea, che deve determinare a priori tutto ciò che in essa è contenuto». Ciò comporta però, relativamente all’o., l’emergere di un concetto di finalità interna relativa all’unitarietà del singolo «prodotto della natura», ossia «deve essere possibile soltanto come fine della natura e senza la causalità dei concetti di esseri ragionevoli ad essa esterni». La differenza fra un tale prodotto della natura e un prodotto artificiale riposa nel fatto che esso sia «un essere organizzato e che si organizza da sé», ossia che possiede una «forza formatrice» e che «rigorosamente parlando […] non ha alcuna analogia con quella causalità che noi conosciamo». Nel successivo sviluppo delle teorie romantiche, e in partic. in Schelling (Sistema dell’idealismo trascendentale, 1800, V), l’accento si sposta più marcatamente sul concetto dell’insieme della natura come organismo. Diversamente da Kant, dove era preso in conto l’o. in sé, in Hegel tutta la natura, nel suo insieme, è un o.: l’«idea» riconduce i singoli soggetti e o., che presi «in sé stessi» sono «o. soggettivi» a «una sola vita, un unico sistema organico di vita» (Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio, III, Fisica organica, § 337). Nelle filosofie romantiche si impone una visione organicistica che trova sviluppi ulteriori e distinti nelle concezioni politiche di De Maistre e Comte, come in Spencer (Principi di sociologia, 1876) o ancora in Whitehead (Il concetto di natura, 1920; Principi della conoscenza naturale, 1922). In Bergson (L’evoluzione creatrice, 1911) il concetto di o. viene rielaborato nella prospettiva spiritualista dello «slancio vitale» governato dall’«istinto» che produce da sé i propri strumenti organici. Una visione dell’o. come totalità, ma al di fuori di una visione finalistica, è proposta nella psicologia della Gestalt da Kurt Goldstein, in Die Aufbau der Organismus (1934; trad. it. La struttura dell’organismo). Il dibattito novecentesco e contemporaneo sull’o. è incentrato sulle discussioni in merito all’evoluzione e sull’evolversi delle conoscenza biologiche, soprattutto successivamente all’identificazione della struttura del DNA (F. Jacob-J.L. Monod, Le hasard et la nécéssité, 1970; trad. it. Il caso e la necessità), della mappatura del genoma umano (il Progetto genoma umano) e dello studio delle funzioni delle cellule staminali, che ridefiniscono temi della riflessione sulla riducibilità della biologia entro modelli meccanicistici complessi.