Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Forme di organizzazione centralizzata della ricerca, anche piuttosto complesse, sono note almeno dalla seconda metà del XIX secolo. Il modello odierno di organizzazione e finanziamento della ricerca scientifica, caratterizzato dall’impegno diretto dello Stato, dalla pianificazione generale dell’impresa scientifica in funzione delle esigenze nazionali e dallo sviluppo della cooperazione internazionale, si definisce però nel periodo a cavallo delle guerre mondiali, per trovare una diffusione amplissima nel secondo dopoguerra. Nei successivi decenni, la complessità crescente dei bisogni della società e lo sviluppo della ricerca hanno comportato una ridefinizione del modello organizzativo basato sul ruolo centrale dello Stato, aprendo all’ingresso di nuovi soggetti, come le industrie private o le associazioni di pazienti.
Il rapporto ormai consolidato fra scienza, tecnologia e produzione industriale ha segnato il Novecento in una misura che è persino difficile immaginare, se pensiamo a quante delle funzioni vitali e abitudini del moderno uomo della strada siano pesantemente e direttamente dipendenti dal progresso scientifico. Il caso più evidente è senz’altro l’alimentazione, enormemente migliorata in tutto il mondo grazie alle nuove tecniche e tecnologie al servizio dell’agricoltura (pesticidi e concimi chimici, nuove varietà d’ortaggi ottenute grazie alle tecniche di mutazione indotta con i raggi X, fino alle recenti biotecnologie agricole al centro della cosiddetta “rivoluzione verde”) e della zootecnia (nuovi medicinali hanno debellato epizootie prima disastrose; l’utilizzo di mangimi arricchiti di sostanze che favoriscono la crescita ha reso possibile l’allevamento su larghissima scala; nuove tecniche di conservazione hanno allungato la vita dei prodotti). Anche la cura delle malattie ha saldamente affondato le proprie radici nella ricerca di base: novità come la penicillina, l’analisi del ruolo che hanno le vitamine nel corretto sviluppo dell’organismo, lo studio genetico e biochimico di importanti malattie ereditarie e infettive hanno contribuito all’allungamento della vita media in tutto il mondo, anche se con squilibri drammatici tra le zone più avanzate e quelle sottosviluppate. Se si aggiungono all’elenco lo sviluppo dell’informazione (internet è una fonte teoricamente accessibile da ogni angolo del globo), della produzione di energia, dei trasporti, della tecnologia militare si giunge alla sorprendente conclusione che non solo la nostra vita è radicalmente diversa da quella dell’uomo medio di soli 50 anni fa, ma che essa è quasi completamente dipendente dai risultati della ricerca scientifica.
La scienza del XX secolo presenta, in generale, alcune caratteristiche tipiche: la crescita imponente della popolazione impegnata nel settore della ricerca; la progressiva specializzazione delle discipline, che comporta una maggiore articolazione dell’insegnamento; lo sviluppo di un apparato tecnologico sempre più consistente, che implica una revisione dei bisogni logistici ed economici della ricerca. Sin dall’inizio del secolo, inoltre, cresce l’interesse dell’industria per i risultati della ricerca di base, specie nei settori trainanti della cosiddetta “seconda rivoluzione industriale”: elettricità ed energia, meccanizzazione, organizzazione industriale; ma anche in settori più tradizionali, come la medicina e l’agricoltura. Questo interesse è catalizzato dalla diffusa convinzione (mai comprovata ma fortemente condivisa ed abilmente sfruttata dagli scienziati) che il potenziamento della ricerca di base conduca a un accorciamento dei tempi di attesa fra una scoperta e la sua applicazione pratica. Nei primi decenni del Novecento, le grandi industrie dei Paesi più avanzati cominciano a riconoscere il contributo che la ricerca di base può fornire alla produzione industriale, sia per il miglioramento e l’innovazione del prodotto, sia per l’elaborazione di nuove soluzioni tecniche e organizzative (in questo senso è indicativa la fioritura della psicologia del lavoro, che nella prima metà del secolo rivoluziona i metodi di reclutamento e gestione del personale). Si consolidano così, soprattutto negli Stati Uniti, in Germania e in Gran Bretagna, i rapporti tra alcune università, o anche singoli dipartimenti o gruppi di ricerca, e gruppi di interesse, che si impegnano a finanziare determinate attività nella speranza di poterne sfruttare commercialmente i risultati.
La progressiva importanza della ricerca scientifica nel progresso economico e sociale, quindi il suo mutamento da attività “culturale” priva di scopo pratico e coltivata da un’élite di individui geniali e isolati, a motore dello sviluppo di un Paese, si è accompagnata a un crescente impegno degli Stati nazionali nel finanziamento e nella organizzazione della scienza. Questo impegno, a sua volta, ha avuto delle conseguenze importanti, come la creazione di figure professionali sostanzialmente nuove (il ricercatore, il manager della ricerca, il divulgatore scientifico), la selezione “dall’alto” dei settori di maggiore interesse, l’elaborazione di strumenti e metodi atti a valutare la produttività della ricerca e il ritorno dell’investimento nel settore. Questo ha comportato un incremento senza precedenti della categoria degli scienziati, ma anche una certa “svalutazione” della professione: il ricercatore contemporaneo somiglia sempre meno allo stereotipo ottocentesco dell’uomo curioso, libero dai più elementari bisogni, che si dedica alla conoscenza in quanto tale, e sempre più al dipendente dell’industria, semplice ingranaggio di un macchinario molto più grande di lui, che risponde a interessi e scopi i quali non necessariamente corrispondono ai suoi.
Non è un caso che la questione stessa dell’organizzazione e del finanziamento della scienza sia posta per la prima volta nei primi decenni del Novecento nell’impero germanico, uno degli Stati più potenti e avanzati dell’epoca ma anche dei più autoritari. Qui, nel 1911, è fondata la Kaiser Wilhelm Gesellschaft (KWG – Società Imperatore Guglielmo), un nuovo modello di organizzazione scientifica basato sulla separazione dell’attività di ricerca dall’insegnamento. Le principali caratteristiche del nuovo modello, destinato a imporsi in tutti i Paesi sviluppati, sono la distinzione tra insegnamento superiore e ricerca, la specializzazione dell’attività (la società è composta da diversi laboratori, ciascuno dedicato a un settore o problema specifico) e, soprattutto, l’impegno diretto dello Stato nel finanziamento, in base all’assunto che la scienza, insieme alla guerra, sia il maggiore strumento della potenza di una nazione. Gli istituti della KWG incarnano la bivalenza del rapporto tra scienza e potere: essi rappresentano al contempo i centri propulsivi dello straordinario sviluppo tecnico-scientifico della Germania nel primo quarantennio del secolo, ma anche uno dei più potenti strumenti politici del Reich, come risulta evidente dal rapido sviluppo scientifico che caratterizza gli anni del nazismo.
Un simile processo di organizzazione, per alcuni versi anche più avanzato, si osserva dagli anni Venti in Unione Sovietica, dove viene istituita una rete di accademie centrali dedicate a diverse discipline, separate dalla struttura universitaria e dedicate esclusivamente alla ricerca e alla formazione superiore. Il sistema sovietico prevede inoltre l’incremento progressivo e programmato del numero degli specialisti nei settori strategici (ingegneria e fisica, in particolare, ma anche matematica, scienze biologiche, chimica), grazie al rapido adeguamento del sistema formativo al mutare dei bisogni del Paese e alla selezione attenta e capillare degli elementi migliori e maggiormente versati nel settore della ricerca, una sorta di “leva scientifica” permanente.
Un modello analogo, anche se non coercitivo, sarà adottato nel secondo dopoguerra anche dai maggiori Paesi occidentali, in particolare gli USA, nel contesto di una competizione a tutto campo tra blocchi contrapposti, che investe non solo la potenza militare (già di per sé funzione dello sviluppo tecnico scientifico), ma le capacità di sviluppo e di produzione dell’intero sistema sociale. Ai primi decenni del Novecento risalgono anche le prime fondazioni filantropiche dedicate esclusivamente o principalmente alla promozione della ricerca e della cultura scientifiche, come la Rockefeller Foundation (1913), orientata alla ricerca biomedica e la Ford Foundation (1935), specializzata nella fisica e discipline affini. L’attività delle fondazioni influenza in misura rilevante il successivo sviluppo dell’organizzazione scientifica, per la selezione delle discipline (dagli anni Trenta, tanto la Rockefeller Foundation che la Ford Foundation si impegnano nella promozione della ricerca interdisciplinare e ad alto tasso di tecnologia), sia per gli strumenti di valutazione ed elargizione dei contributi. Prassi oggi correnti, come la peer review, la valutazione di progetti di ricerca da parte di commissioni di esperti nel settore (peer significa “collega”) o i programmi quinquennali, sono state introdotte ad inizio secolo proprio dalla Fondazione Rockefeller, e non senza reazioni scandalizzate da parte della comunità scientifica.
Sono però le guerre mondiali ad apportare un cambiamento radicale al rapporto tra scienza, economia e politica, e solo nel secondo dopoguerra si sviluppa il concetto di “politica scientifica” che oggi ci è familiare. L’asse scienza-guerra-economia-potere politico non è in sé una caratteristica esclusiva del secolo XX, ma in questi 100 anni ha prodotto risultati epocali.
In occasione della prima guerra mondiale, e ancor più della seconda, in tutti i Paesi maggiormente sviluppati (Francia, Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti d’America) si stabilizza un sistema di rapporti che diverrà in tempo di pace il modello di organizzazione e finanziamento della ricerca. I governanti di questi Paesi e i loro consiglieri comprendono rapidamente l’importanza del contributo scientifico-tecnologico alla macchina bellica e si impegnano a favorirlo e, per quanto possibile, a indirizzarlo. Si passa così dagli uffici per le invenzioni e i brevetti, istituiti nel corso della Grande Guerra per facilitare il contributo di singoli inventori alla causa nazionale, a un’organizzazione ampia e complessa, come quella elaborata dagli Stati Uniti nel corso della seconda guerra mondiale e che pone in stretto rapporto università, grandi industrie, l’esercito e il governo centrale e porta alla creazione di un piccolo numero di centri d’eccellenza, organizzati in base a problemi da risolvere più che a singole discipline.
Questo sistema di relazioni, passato alla storia con il nome poco complimentoso di “complesso militar-industriale”, secondo la definizione del presidente americano Dwight G. Eisenhower, è divenuto uno dei pilastri dell’impresa scientifica mondiale in tempo di pace, pur subendo significative mutazioni, soprattutto una massiccia iniezione di democrazia interna e un’altrettanto sostanziale rimozione dei vincoli di segretezza imposti dall’emergenza bellica sui progetti finanziati. Questo sviluppo ha portato alla nascita di organi di programmazione e finanziamento della ricerca pura, come la National Science Foundation (erede del National Research Council, organo di pianificazione della ricerca bellica) o all’espansione di enti specializzati, come la Atomic Energy Commission (la commissione nazionale per l’energia atomica, poi divenuta NASA – National Aeronautics and Space Agency) in settori estranei alle proprie competenze specifiche, come la ricerca medica e le biotecnologie. La Gran Bretagna si è data nello stesso periodo un’organizzazione simile, basata su un numero di council (“consigli”) specializzati in diverse branche della scienza e conservati dopo la guerra. Non vanno poi trascurati i laboratori di ricerca di proprietà di grandi aziende private o di consorzi, alcuni dei quali ospitano, accanto alla ricerca “orientata”, anche linee di ricerca di base ritenute interessanti dal punto di vista commerciale.
In Paesi, come l’Italia, caratterizzati da un sistema economico-industriale più arretrato e da una concezione meno utilitaristica della scienza, l’esperienza degli uffici centrali per i brevetti in tempo di guerra si è concretizzata nella creazione di enti centrali di promozione e sostegno della ricerca, come il Consiglio Nazionale delle Ricerche (CNR), fondato nel 1921 come sezione italiana del Consiglio Internazionale delle Ricerche di Bruxelles. Enti di questo tipo sono presenti in quasi tutti i Paesi avanzati, seppure con caratteristiche diverse, e in generale sono stati concepiti come luogo d’incontro tra politica e scienza, di elaborazione di piani di sviluppo e di distribuzione razionale delle risorse. Essi sono quasi sempre composti quasi esclusivamente di scienziati. Alcuni Paesi, come la Francia e l’Olanda, hanno adottato col tempo una strategia più flessibile, distinguendo la ricerca pura da quella con prospettive applicative e creando organi distinti (come la francese Délegation Générale à la Recherche Scientifique et Technique, che è un organo del Ministero dell’Industria ed è stato per lungo tempo il primo finanziatore della ricerca nel Paese).
Il secondo dopoguerra è caratterizzato da un’ulteriore articolazione delle strutture di finanziamento e organizzazione della ricerca, in risposta a esigenze particolari, come la ricostruzione di apparati produttivi distrutti dal conflitto o la promozione di ricerche particolarmente costose o interdisciplinari. Il caso più evidente è rappresentato dalla fisica nucleare, che in tutti i Paesi occidentali ha richiesto la fondazione di enti distinti e particolarmente ben finanziati.
Il caso del nucleare è particolarmente adatto a illustrare un’altra tendenza che si consolida negli anni Quaranta e Cinquanta: la cooperazione internazionale, che risponde a una serie di esigenze diverse, come il superamento del dislivello scientifico e tecnologico che separa i diversi Paesi; la messa in comune degli oneri derivanti da discipline costose (questa è la molla che porta alla costituzione del Counseil Européen de la Recherche Nucleare – CERN, il primo laboratorio comune europeo); la conduzione di studi su fenomeni di una ampiezza tale da superare i confini di uno Stato (come l’Anno Geofisico Internazionale, un programma vastissimo di osservazione di vari aspetti della terra e dell’atmosfera, cui partecipano decine di nazioni per tutto l’anno 1956); la necessità di concentrare una massa critica di specialisti in settori diversi che supera le possibilità di un singolo Paese (è in parte il caso della cooperazione in biologia molecolare o in cibernetica). La promozione della comunicazione scientifica è oggetto delle innumerevoli associazioni internazionali di categoria come la Unione Internazionale delle Scienze Biologiche o il suo corrispettivo per le scienze mediche, e di strutture regionali come la Federation of European Biochemical Societies (FEBS) o la European Molecular Biology Organisation (EMBO). Infine, diverse importanti organizzazioni della famiglia ONU (UNESCO, World Health Organisation, FAO) promuovono o sostengono direttamente progetti di cooperazione internazionale nella ricerca di base o l’attacco concertato a problemi specifici, sempre nell’intento primario (dichiarato nella Carta fondativa dell’ONU) di favorire il dialogo pacifico fra gli Stati e la rimozione dei limiti a un pacifico sviluppo dei Paesi meno sviluppati.
Dalla metà degli anni Sessanta, un’altra categoria di finanziatori della ricerca si è affacciata sulla scena: le associazioni di malati (come l’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro – AIRC o l’Assocation Française contre les Myopathies – AFM), che s’impegnano con diversi mezzi a sensibilizzare l’opinione pubblica per finanziare tramite donazioni settori specifici della ricerca. La celebre trasmissione Telethon (Television Marathon), introdotta per la prima volta negli Stati Uniti nel 1965, è forse l’esempio più chiaro della strategia utilizzata da queste organizzazioni per sensibilizzare il vasto pubblico.
In tempi più recenti, soprattutto a seguito del poderoso sviluppo delle biotecnologie dai primi anni Ottanta, nuovi soggetti sono entrati con prepotenza nel business della ricerca: si tratta delle cosiddette start-up companies, piccole e agili imprese che si impegnano nello sviluppo e nella diffusione di prodotti o processi innovativi, senza però necessariamente impegnarsi nella produzione in serie e nella commercializzazione del prodotto. Queste nuove società, dalla struttura assai più leggera rispetto ai tradizionali committenti degli scienziati, si pongono “a monte” del sistema produttivo, là dove nasce l’idea, e spesso sono create e dirette dalle università o da singoli scienziati che, portati per gli affari, collaborano con grossi sponsor o investono inizialmennte capitali propri. La possibilità di creare imprese molto redditizie con un investimento iniziale relativamente basso è un elemento rivoluzionario per l’economia mondiale, i cui risultati sono ancora una volta enormi e difficili da concepire a priori: si va dagli effetti virtuosi che l’applicazione di questo modello ha dato in alcuni Paesi in via di sviluppo (come l’India, la Thailandia e alcuni Stati dell’America Latina, che hanno messo in atto una strategia di specializzazione della forza lavoro in settori innovativi) a quelli nefasti evidenziati dallo scoppio della cosiddetta “bolla speculativa”, che a metà degli anni Novanta aveva visto le nuove imprese centrate sull’alta tecnologia aumentare il proprio valore in Borsa a velocità stratosferica, sull’onda di un entusiasmo completamente irrazionale per le prospettive di sviluppo del settore.