Organizzazione e uffici giudiziari. Organizzazione e osservatori
Il buon funzionamento del processo non dipende soltanto dalla qualità delle norme, dall’esistenza di mezzi idonei e di risorse adeguate, ma anche dalla bontà dell’organizzazione e dalla capacità degli operatori di cooperare in una logica di condivisione dei problemi e di impegno comune per il loro superamento. Gli «Osservatorii sulla giustizia civile» sono stati interpreti specifici di quest’esigenza ed hanno costituito un motore importante di innovazione e di trasformazione.
Tra le principali novità normative intervenute o preannunciate nel corso del 2011 – a prescindere dagli estemporanei progetti di «processo breve» o di «processo lungo» e dagli ancor più pericolosi disegni di modifica dell’assetto anche costituzionale della magistratura – vanno menzionate quelle contenute nell’art. 37 del d.l. n. 98 del 2011 (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria)1, convertito, con modificazioni, nella legge 15.7.2011, n. 111, il d.lgs. sulla semplificazione dei riti approvato dal Consiglio dei Ministri il 1.9.2011 e la delega al Governo «per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari» inserita nel d.l. n. 138 del 2011 convertito, con modificazioni, nella legge 14.9.2011, n. 148, che ha tra l’altro modificato l’art. 81 bis disp. att. c.p.c. sul “calendario” del processo. A decorrere dal 21.3.2011 è inoltre entrato in vigore, con esclusione delle controversie in materia di condominio e di risarcimento del danno derivante dalla circolazione di veicoli e natanti, il d.lgs. n. 28 del 2010 con il quale si è inteso dare attuazione alla delega contenuta nell’art. 60 della legge n. 69 del 2009 sulla mediazione e conciliazione delle controversie civili e commerciali2. Sebbene anche tali misure restino al di sotto dei bisogni reali della giustizia e non riesca a intravedersi rispetto ad esse una visione unitaria ed organica del processo civile italiano3, sullo sfondo di ciascuna può cogliersi l’effetto di sollecitazioni da tempo messe in campo, tra gli altri, dagli organismi istituzionali ed associativi della magistratura e dell’avvocatura nel senso che al buon funzionamento della giustizia non servono soltanto la qualità delle leggi e la bontà delle norme processuali, ma anche e soprattutto risorse adeguate e strumenti idonei a far sì che gli uffici giudiziari siani messi in condizione di effettiva capacità di funzionamento. Revisione della geografia giudiziaria; informatizzazione degli uffici giudiziari ed introduzione del processo civile telematico4; costituzione di una struttura di supporto al lavoro del giudice; riordino della statistica giudiziaria, affinché diventi uno strumento di conoscenza veridico, completo e dinamico del lavoro giudiziario e della situazione organizzativa degli uffici; piena copertura e potenziamento dell’organico del personale amministrativo e degli ufficiali giudiziari; valorizzazione del ruolo della magistratura onoraria, di cui anche i principi del «giusto» processo e della sua ragionevole durata avrebbero imposto di rimodellare compiti e attribuzioni nel senso della funzionalità complessiva del servizio giudiziario, sono alcune delle questioni da tempo sul tappeto e che ancora oggi restano in gran parte inappagate.
Se tutto ciò è vero, è indubbio che il funzionamento del processo dipende anche dalla qualità dell’organizzazione e dall’impegno dei suoi attori. Sotto il primo profilo, appartiene ormai alla esperienza radicata del governo autonomo della magistratura – tradottasi anche in una serie imponente di circolari in tema di organizzazione degli uffici giudiziari, valutazioni di professionalità conferimenti di incarichi direttivi e semidirettivi, incontri di formazione professionale ed altro5 – che l’organizzazione degli uffici giudiziari deve essere il frutto di veri e propri progetti capaci di perseguire la migliore risposta possibile, nel contesto dato ed in rapporto alle risorse disponibili, alla domanda di giustizia presente sul territorio. Questa consapevolezza è venuta maturando nel contesto di una più generale riflessione in ordine all’importanza strategica della questione organizzativa, ed è stata favorita dalla presa d’atto che per migliorare il funzionamento della giustizia, a parte l’orientamento degli istituti e dei poteri processuali in direzione del canone costituzionale del giusto processo, occorre anche una forte capacità di autoriforma. Di questa presa di coscienza hanno saputo farsi interpreti particolari gli Osservatorii sulla giustizia civile la cui storia è iniziata nei primi anni ’90 a Bologna, con l’esperienza di Prassi Comune6 cui ha fatto seguito negli anni successivi una grande fioritura, che ha contaminato positivamente gli uffici, le associazioni delle diverse categorie professionali, gli organismi istituzionali, le Università e, per certi aspetti, anche il legislatore7. Strumento essenziale dell’azione degli Osservatorii sono stati i protocolli per le udienze elaborati in diverse sedi giudiziarie e progressivamente estesi anche ad ambiti diversi da quello originario. Ai primi protocolli per il processo di cognizione, cui fu dedicata una parte rilevante della prima assemblea generale degli Osservatorii tenutasi a Firenze il 17 e 18 giugno 2006, ma che hanno costituito oggetto di aggiornamento anche nelle assemblee successive (in particolare, a seguito delle modifiche introdotte con la ricordata legge n. 69 del 20098), se ne sono aggiunti altri con riguardo al processo del lavoro, al diritto di famiglia, alla materia delle locazioni, alle procedure concorsuali ed alle esecuzioni individuali, all’attività conciliativa; e da qualche anno hanno cominciato a prender vita anche protocolli per il settore penale, l’attività del giudice di pace e le corti d’appello. I protocolli adottati nei diversi distretti, oltre ad essere inseriti nei siti di ciascun Osservatorio e su un sito più generale in cui confluiscono le diverse elaborazioni, i materiali di studio, le iniziative e le esperienze comuni9, sono stati assemblati in una prima raccolta curata dall’Avv. Giovanni Berti Arnoaldi Veli del Foro di Bologna e presentata all’assemblea nazionale tenutasi a Verona il 2 ed il 3 giugno 2007. La raccolta è stata successivamente aggiornata con la pubblicazione di un volume della Fondazione Carlo Maria Verardi10, curato dallo stesso Avv. Giovanni Berti e dedicato, più in generale, all’esperienza degli Osservatorii, volume di cui è stato dato l’annuncio all’assemblea nazionale tenutasi a Torino il 28 ed il 29 maggio 201111. La lettura dei protocolli, pur riflettendo la diversità dei contesti da cui ciascuno di essi è scaturito, mette in luce, in primo luogo, l’originaria funzione che è alla base della nascita degli Osservatorii. Le indicazioni relative alla fasce orarie delle udienze; la programmazione di esse in modo da renderle concretamente gestibili e da evitare sovrapposizioni di incombenti; la previsione di idonee modalità di informazione quanto all’organizzazione dei ruoli, ai magistrati innanzi ai quali le udienze saranno tenute, agli orari di assunzione delle prove; gli oneri reciproci di informazione e le segnalazioni di cortesia verso gli utenti, tra giudici ed avvocati, dei difensori tra loro, tra difensori e cancelleria o viceversa per tutti gli eventi che possono influire sulla programmazione dell’udienza; le raccomandazioni volte a far sì che la sostituzione del giudice, quando necessaria, avvenga in modo da garantire l’effettiva trattazione della causa; le regole relative alla verbalizzazione, alle modalità di consultazione dei fascicoli ed al deposito degli atti; quelle inerenti alla esigenza di sinteticità e di non ripetitività degli atti difensivi, ed altre ancora, costituiscono espressione di una generale esigenza di razionalità organizzativa, di effettività di svolgimento delle attività processuali, di dignità e decoro professionale facendo in modo che le udienze tornino ad essere un luogo di contraddittorio autentico e vero. La convinzione che l’adattabilità del processo deve essere affidata non alla moltiplicazione delle norme, ma alla duttilità dei suoi strumenti ed al ruolo direttivo del giudice esercitato nel contraddittorio e nel costante controllo delle parti, spiegano poi perchè una parte importante dell’attività degli Osservatorii sia stata dedicata a come configurare in concreto la funzione direttiva del giudice, facendo del dialogo interno al processo e del coordinamento tra le diverse attività che vi si svolgono il perno ed il filo conduttore della sua esplicazione. Di qui, tra l’altro, l’accentuazione – che si coglie con particolare nettezza in alcuni protocolli – dell’oralità quale carattere costitutivo del processo, con tutti i corollari che ne derivano quanto a valorizzazione dell’interrogatorio libero delle parti anche come tramite di conoscenza, a rivitalizzazione della conciliazione giudiziale, a concezione della sentenza come frutto di una costruzione progressiva a cui collaborano giudice e parti: collaborazione che non altera né in alcun modo sovrappone i diversi ruoli professionali e le distinte posizioni processuali, ma le coordina e le riconduce tutte, in una sintesi inedita, al canone costituzionale della ragionevole durata. In tale prospettiva, la riflessione sui rimedi per traghettare verso il recupero della funzionalità fisiologica del processo, che soffre nella stesura della sentenza uno dei momenti di maggiore incrinatura, e che ha visto formulare suggerimenti di varia natura (oltre che continue modifiche della disciplina legislativa volta ad una maggiore semplificazione delle forme decisorie: cfr. da ultimo, la ricordata legge n. 69 del 2009) si è arricchito nell’esperienza degli Osservatorii di una nuova proposta, elaborata nella convinzione che solo gli atti difensivi dotati dei requisiti di chiarezza, univocità e sintesi consentono motivazioni concentrate nel ragionamento decisorio e quindi redatte anche soltanto per punti o «per relationem». Di qui l’individuazione di uno schema logico costante che, tenendo conto della struttura delle varie fasi del processo ed utilizzando minimi adattamenti, può incanalare la redazione degli atti difensivi nella prospettiva culturale e funzionale della ragionevole durata del processo, uno schema che, in quanto abitualmente adottato dalle difese, appare idoneo per ciò stesso a favorire uno studio della causa ed una stesura della motivazione effettivamente concentrati sui punti nodali della controversia.
L’esperienza dei protocolli ha costituito, tra le altre cose, un modo di ripensare le abitudini nell’ottica del principio della ragionevole durata del processo, avendo come obiettivo la finalità di coniugare efficienza e qualità della giustizia, e per le stesse modalità di svolgimento della loro attività si è manifestata per se stessa quale veicolo di vera e propria formazione professionale comune, contribuendo a ricondurre ad un quadro unitario la molteplicità delle funzioni che concorrono – pur nella specificità di ciascuna – all’attività giurisdizionale. Sotto altro profilo i protocolli, contribuendo a delineare, con le varianti suggerite dai singoli contesti e dalle diverse realtà, modelli ‘virtuosi’ di organizzazione e di gestione dell’attività processuale, valgono certamente ad individuare un insieme di regole di condotta che, in quanto espressive di un impegno rivolto a migliorare il funzionamento della giustizia e della professionalità degli operatori, finiscono inevitabilmente per costituire criteri di riferimento sia per l’organizzazione della giustizia sia per la valutazione della professionalità, per tutti gli operatori e non soltanto per i magistrati. Esse inoltre, in quanto legittimate dal miglioramento del servizio che siano capaci di produrre, ed in quanto sostenute dall’organo di autogoverno sul terreno dell’organizzazione e delle valutazioni di professionalità, potranno manifestarsi anche come vincolo deontologico indiretto e dimostrarsi capaci di realizzare aggregazioni conseguite per vie dialogiche, e non autoritarie. L’azione degli Osservatorii non ha valore soltanto per la tensione, che vi è sottesa, verso il recupero di una concezione unitaria del processo, la cui mancanza costituisce uno dei limiti più evidenti della legislazione in materia processuale (limiti cui in realtà non hanno posto rimedio né la delega sulla riduzione e semplificazione dei riti e quella in materia di mediazione e di conciliazione delle controversie civili e commerciali, né i rispettivi decreti legislativi di attuazione), ma anche per il forte impulso verso i nodi dell’organizzazione come questione centrale dell’amministrazione della giustizia. L’essenzialità di tale questione, come ha fatto emergere che la ragionevole durata del processo deve costituire specifico obiettivo anche dei programmi organizzativi che i dirigenti degli uffici giudiziari hanno il compito di elaborare, e come ha portato a valorizzare, simmetricamente, il dovere di ogni giudice di gestire efficacemente il singolo processo e il proprio ruolo, conferendo alla funzione direttiva del giudice il significato di una vera e propria regola deontologica di autoorganizzazione preordinata al corretto, leale e sollecito svolgimento del processo, allo stesso modo ha conferito impulso ad un’idea dell’organizzazione giudiziaria intesa non come insieme di scelte tutte interne all’apparato giudiziario, ma come partecipazione a progetti condivisi in cui coinvolgere la molteplicità dei soggetti che a vario titolo concorrono all’esercizio della giurisdizione nel suo quotidiano trasformarsi in processo, in un contesto di cui sono parte integrante la creazione e la valorizzazione degli strumenti informatici, l’impiego del Processo civile telematico, la predisposizione di appositi uffici di assistenza all’attività giurisdizionale: in una parola, tutto ciò che è stata riassunto con la formula «ufficio per il processo» sfociato nella scorsa legislatura in uno specifico disegno di legge di cui purtroppo a livello politico sembra essersi perduta ormai ogni traccia12. La durata ragionevole del processo e l’esito possibilmente giusto di esso vengono così affidate non solo alle regole preposte alla disciplina del rito, ma anche ad un raccordo dei poteri del giudice con il principio del contraddittorio e, più in generale, ad una concezione del processo quale scansione di attività fondata non sugli antagonismi e le distanze ma – pur nel rispetto rigoroso dei diversi ruoli professionali – sul metodo del dialogo e della collaborazione.
1 Relative all’obbligo dei capi degli uffici giudiziari di redigere il programma annuale per la gestione dei procedimenti civili, amministrativi e tributari pendenti, ed alla possibilità (cfr. infra, nota 10) di stipulare apposite convenzioni per consentire lo svolgimento presso gli uffici giudiziari del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato.
2 La disciplina della «mediazione finalizzata alla conciliazione delle controversie civili e commerciali», contenuta nel d.lgs. 24.3.2010, n. 28 ha dato luogo a numerose critiche della dottrina e degli organismi istituzionali dell’avvocatura e delle associazioni forensi; a prese di posizione dell’ANM e degli Osservatorii sulla giustizia civile; a questioni di legittimità costituzionale di cui la Corte costituzionale è stata già investita sotto diversi profili con ordinanza del TAR Lazio in data 12.4.2011. Oggetto delle critiche sono, principalmente, la configurazione del procedimento di mediazione quale condizione di procedibilità, non prevista dalla legge delega e non imposta dalla normativa comunitaria; l’ambito delle controversie che vi sono state assoggettate; la previsione della proposta conciliativa che il mediatore è facoltizzato a formulare pur in assenza di richiesta concorde delle parti, con effetti virtuali sul regime delle spese del processo in caso di insuccesso della mediazione; l’inadeguatezza della disciplina relativa ai requisiti di formazione, indipendenza ed imparzialità del mediatore, cui si è cercato in qualche modo di porre rimedio con il d.m. 18.10.2010, n. 180 (Registro degli organismi di mediazione e elenco dei formatori per la mediazione) successivamente modificato con il d.m. 6.7.2011, n. 145; la mancanza di prescrizioni per ciò che concerne la difesa tecnica; la dubbia efficacia deflattiva che la mediazione sarà in grado di svolgere con riguardo alla mole del contenzioso gravante sul nostro sistema giudiziario; il rischio che il relativo procedimento, anziché assicurare tale effetto, si risolva – per di più con i costi aggiuntivi inerenti alle indennità dovute al mediatore – in un ulteriore allungamento dei tempi necessari per ottenere una risposta di giustizia. Le numerose critiche hanno indotto maggioranza e opposizione a presentare proposte legislative di modifica (n. 2329 e 2534), cui è stata recentemente unificata quella sulla Procedura partecipativa di negoziazione assistita da un avvocato proveniente dall’Unione Triveneta del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, dall’AIAF e dall’Unione delle Camere Civili.
3 Mi permetto di rinviare, al riguardo, a Gilardi, Il processo civile italiano e l’esigenza di un ritorno all’unità del sistema, in Questione Giustizia, 1/2010, 91 ss. Per note critiche sulla semplificazione dei riti cfr. Carratta, La semplificazione dei riti civili: i limiti dello schema di decreto legislativo presentato dal governo, in www.treccani.it. Sulla proposta di delega al Governo in tema di revisione delle circoscrizioni giudiziarie cfr. il documento dell’Associazione nazionale magistrati del 5 settembre 2011 e le proposte dell’Anm in tema geografia giudiziaria, consultabili sul sito www.associazionemagistrati. it. In argomento vedi altresì, tra i documenti più recenti, la «Risoluzione concernente la revisione delle circoscrizioni giudiziarie» approvata dal Consiglio superiore della magistratura il 13.1.2010.
4 Con riguardo al lento e tortuoso percorso del processo civile telematico vanno segnalati, per il 2011, il Decreto del Ministro della giustizia 21.2.2011, n. 44 recante Regolamento concernente le regole tecniche per l’adozione nel processo civile e nel processo penale delle tecnologie dell’informazione e della comunicazione, in attuazione dei principi previsti dal decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, e successive modificazioni, ai sensi dell’articolo 4, commi 1 e 2, del decreto-legge 29 dicembre 2009, n. 193, convertito nella legge 22 febbraio 2010 n. 24, pubblicato nella G.U. n. 89 del 18.4.2011), ed il Provvedimento in data 18.7.2011 (pubblicato per estratto sulla Gazzetta Ufficiale n. 175 del 29.7.2011 e in forma integrale sul sito internet istituzionale del Ministero della giustizia) relativo alle «specifiche tecniche» previste dall’articolo 34, comma 1 del decreto del Ministro della giustizia appena citato.
5 Una elencazione sarebbe qui impossibile: si rinvia, per la consultazione, al sito del Consiglio superiore della magistratura (www.csm.it). Tra gli atti più recenti si richiamano la circolare sulla formazione delle tabelle di organizzazione degli uffici giudiziari per il triennio 2012-2014 approvata con delibera del 27.7.2011 e le modifiche al testo unico sulla dirigenza giudiziaria approvate con delibera del 7.7.2011. Amplius, Ordinanento giudiziario. Leggi, regolamenti e procedimenti, a cura di Albamonte e Filippi, Milano, 2009, e ivi Gilardi, Le tabelle degli uffici giudiziari, 169 ss.
6 Gli «Osservatorii sulla giustizia civile » costituiscono uno dei tanti frutti della straordinaria immaginazione creativa di un giovane magistrato prematuramente scomparso, Carlo Maria Verardi, della sua infaticabile attività culturale e professionale e del suo impegno per migliorare la giustizia. Grazie soprattutto al suo impulso, presero corpo proprio nei primi anni ’90, due idee fondamentali: quella che le riforme del processo, anche quando necessarie, non bastano a migliorare le cose se mancano risorse adeguate ed uomini che si impegnano a farle funzionare; e l’idea, che cominciò presto a tradursi in un grande e coinvolgente fermento, fondata sulla consapevolezza che i problemi della giustizia non possono essere compresi e risolti senza la capacità di guardare oltre il proprio specifico orizzonte professionale, trasformando anche il processo in una occasione di dialogo e di discussione comune.
7 Dopo Prassi comune, gli Osservatorii si sono progressivamente diffusi prendendo vita a Bari, Milano, Salerno, Avellino, Reggio Calabria, Firenze, Roma, Pescara, Verona e tanti altre sedi ancora. Cfr., per maggiori indicazioni, il sito degli Osservatorii (osservatori_giustiziacivile@yahoogroups. com).
8 Con l’elaborazione, ad esempio, dei protocolli sul procedimento sommario di cognizione e sulla responsabilità aggravata, elaborati, tra gli altri, all’Osservatorio «Valore Prassi» di Verona.
9 Cfr. la nota che precede.
10 La Fondazione è stata costituita il 18.1.2002 con lo scopo di portare avanti l’impegno di Carlo Maria Verardi, proponendosi quale «nucleo di resistenza e aggregazione per saldare i valori di solidarietà e di uguaglianza ed accrescere la tutela dei soggetti più deboli e indifesi» (così il documento costitutivo della Fondazione); e fu tra l’altro in attuazione di quest’idea – che ha avuto modo di esprimersi con alcune borse di studio, convegni e altre iniziative culturali – che in occasione del convegno nazionale su «Giustizia civile tra legalità ed efficienza», tenutosi a Reggio Calabria nei giorni 15 e 16 novembre 2003 e promosso dall’Osservatorio sulla giustizia civile di Reggio Calabria proprio per ricordare Carlo, che venne tra l’altro varata l’idea di istituire un collegamento organico e duraturo tra la Fondazione e l’attività degli Osservatorii.
11 Gli Osservatori sulla giustizia civile e i Protocolli di udienza, Bologna, 2011.
12 Del tutto insufficiente appare al riguardo la pur assai utile previsione contenuta al quarto comma del richiamato art. 37 d.l. n. 98 del 2011 ove è stabilito – recependosi prassi già in parte anticipate in alcuni uffici grazie all’impulso degli Ossevatorii e sulla base di specifiche deliberazioni del Consiglio superiore della magistratura – che i capi degli uffici giudiziari, «in relazione alle concrete esigenze organizzative dell’ufficio», possano «stipulare apposite convenzioni, senza oneri a carico della finanza pubblica, con le facoltà universitarie di giurisprudenza, con le scuole di specializzazione per le professioni legali di cui all’articolo 16 del decreto legislativo 17 novembre 1997, n. 398, e successive modificazioni, e con i consigli dell’ordine degli avvocati per consentire ai più meritevoli, su richiesta dell’interessato e previo parere favorevole del Consiglio giudiziario per la magistratura ordinaria, del Consiglio di presidenza della giustizia amministrativa per quella amministrativa e del Consiglio di presidenza della giustizia tributaria per quella tributaria, lo svolgimento presso i medesimi uffici giudiziari del primo anno del corso di dottorato di ricerca, del corso di specializzazione per le professioni legali o della pratica forense per l’ammissione all’esame di avvocato». In base al quinto comma del medesimo articolo, «coloro che sono ammessi alla formazione professionale negli uffici giudiziari assistono e coadiuvano i magistrati che ne fanno richiesta nel compimento delle loro ordinarie attività, anche con compiti di studio ...».