Tempo, Organizzazione sociale del
L'eccezionale rilevanza teorica del problema del tempo è ben nota e presente nella cultura occidentale, a partire dalle analisi della filosofia greca classica e di quelle di un pensatore dei primi secoli dell'era volgare come Agostino. Nel Novecento, il tempo tende ad assumere lo statuto di problema fondamentale e trasversale della conoscenza, fino ad essere considerato da alcuni studiosi come il fulcro di una possibile riconciliazione o di una nuova alleanza tra scienze della natura e scienze umane (v. Prigogine e Stengers, 1980).
L'analisi sociologica del tempo, le cui prime isolate formulazioni risalgono agli inizi del XX secolo, risente così, per lo più in modo indiretto e collaterale, di elaborazioni che provengono da altre discipline: per un verso e anzitutto dalla filosofia e dalla psicologia, per l'altro dalla fisica e dalle scienze della vita.Inoltre, le forme attuali di organizzazione sociale del tempo sono legate, oltre che agli orientamenti teorici formulati nel corso dell'ultimo secolo, a pratiche sociali e ad elaborazioni culturali accumulatesi nei secoli precedenti: per la loro conoscenza e interpretazione si rivela quindi di primaria importanza il contributo fornito dalle discipline storiografiche e talora da quelle antropologiche.L'analisi della dimensione sociale del tempo rappresenta nella realtà attuale un punto di vista complementare rispetto ad altri approcci alla temporalità; essa appare peraltro imprescindibile per la comprensione di numerose dinamiche culturali, politiche ed economiche proprie dei sistemi contemporanei.
Le implicazioni sociali della temporalità sono diventate attualmente oggetto di analisi e considerazioni molteplici, che spaziano dagli orari di lavoro alla fruizione del tempo libero, dai tempi urbani ai 'bilanci-tempo' e agli stili di vita degli attori, per citare solo alcuni settori fra gli altri. In questa sede, per ovvi motivi di spazio, ci occupiamo prevalentemente degli aspetti connessi all'organizzazione sociale del tempo nei sistemi industrializzati (le società industriali e quelle cosiddette postindustriali), senza tralasciare le connesse coordinate teoriche. Rinviamo invece alla voce Mutamento socioculturale per la trattazione esplicita di tale tematica: essa infatti, pur avendo punti di contatto con la temporalità, ha sviluppato una propria consistente e autonoma tradizione di studi e di analisi.
La prima elaborazione esplicita sulle implicazioni sociali del tempo va fatta risalire, agli inizi del XX secolo, a Emile Durkheim e alla sua scuola. Nella sua ultima grande opera, Les formes élémentaires de la vie religieuse (1912), Durkheim affronta in poche ma dense pagine il problema del tempo, rivendicando alla sociologia - in polemica indiretta con la filosofia e il suo indiscusso maestro dell'epoca, Henri Bergson - il pieno diritto di occuparsi di una serie di "categorie dell'intelletto" quali sono "le nozioni di tempo, di spazio, di genere, di numero, di causa, di sostanza, di personalità ecc." (v. Durkheim, 1912; tr. it., p.11).
In particolare, afferma Durkheim, il tempo non può essere ridotto ad una espressione soggettiva: noi non saremmo in grado di rappresentarlo se non potessimo dividerlo, misurarlo, esprimerlo attraverso segni oggettivi come quelli che figurano sul calendario. Così, la categoria di tempo non è semplicemente riconducibile ai nostri stati di coscienza: essa "è uno schema astratto e impersonale che avvolge non soltanto la nostra esistenza individuale, ma quella dell'umanità" (ibid., p.12), dando luogo al "tempo sociale", inteso come un tempo comune al gruppo. In tal modo il tempo assume il carattere di un'autentica istituzione sociale, specifica dell'uomo.In queste formulazioni si può ravvisare il nucleo di gran parte delle elaborazioni successive sui rapporti tra tempo e società, così come dei problemi legati all'organizzazione sociale del tempo nei sistemi contemporanei. Durkheim stesso sottolinea che il tempo sociale, punto di incontro tra individuo e società, rappresenta uno degli elementi di base dell'organizzazione consapevole di una società, dove occorre che, per i diversi eventi, un tempo comune sia stabilito e da tutti conosciuto (ibid., pp. 483-4).
Le sintetiche affermazioni dello studioso francese poggiano almeno in parte sugli studi compiuti in precedenza dai suoi allievi, Henri Hubert e Marcel Mauss. È in effetti a Hubert (v., 1905) che dobbiamo il primo saggio di impostazione sociologica e antropologica sul tempo; esso verrà ripubblicato integralmente pochi anni dopo a firma di Hubert e Mauss (v., 1909). Questo testo, dedicato alle rappresentazioni del tempo nella religione e nella magia particolarmente nei popoli germanici antichi, è di grande interesse (v. Isambert, 1979; v. Gasparini, 1990), perché in esso si gettano le basi della distinzione tra tempo sacro e tempo profano (o "normale"), si sottolineano i caratteri e le funzioni essenziali svolte dal calendario, si pongono in evidenza le differenze tra tempo quantitativo e qualitativo. Il calendario svolge la funzione principale non tanto di misurare quanto di ritmare il tempo, assicurando il ritorno periodico dei riti e delle celebrazioni religiose: il tempo sacro è dunque un tempo al quale vengono convenzionalmente attribuite certe qualità, quelle che in un calendario distinguono appunto le fasce temporali dedicate collettivamente alla religione. Resta da spiegare tuttavia il nesso tra tempo-qualità e tempo-quantità: al riguardo, Hubert ipotizza che il tempo quantitativo sia stato originato dal processo di astrazione conseguente all'idea di tempo qualitativo, vale a dire che "il lavorìo di astrazione donde è nata la nozione del tempo obiettivo, quantitativo ed astratto, è forse la conseguenza di quel lavorìo che ha distaccato dalle cose il tempo qualitativo e semi-concreto" (v. Hubert e Mauss, 1909; tr. it, p. 127).
Queste considerazioni e ipotesi trovano consonanze nella riflessione filosofica dell'epoca: ci limitiamo a indicare in proposito l'opera di Jean-Marie Guyau (v., 1890) su La genèse de l'idée de temps - dove si sostiene che nelle nostre rappresentazioni il tempo procede anzitutto in modo discontinuo, a salti, mentre solo successivamente le lacune si colmano e il tempo viene concepito in termini continui - e i lavori di Bergson sulla rilevanza del tempo qualitativo in rapporto a quello quantativo delle scienze fisiche, ai quali Hubert fa esplicitamente cenno (v. Bergson, 1889).
Mentre in Francia i semi gettati dalla scuola durkheimiana non conseguiranno esiti particolari per decenni, se si esclude il campo settoriale della memoria collettiva che venne coltivato da Maurice Halbwachs (v., 1925 e 1950), un esplicito riscontro alle tesi del caposcuola francese si rintraccia in uno studio svolto oltreoceano negli anni trenta dal giovane Robert K.Merton insieme a Pitirim A. Sorokin: si tratta appunto di un'analisi che tende a tratteggiare il significato del tempo sociale e a sottolinearne la valenza qualitativa e non puramente quantitativa, in contrapposizione al tempo astronomico (v. Sorokin e Merton, 1937). Successivamente, in un'opera scritta durante la seconda guerra mondiale, Sorokin svilupperà una serie di considerazioni sul tempo "socioculturale" e sulle sue funzioni, nonchè sui ritmi dei sistemi sociali (v. Sorokin, 1943).
È singolare, in un certo senso, l'assenza di espliciti riferimenti al carattere sociale del tempo in un autore come Max Weber, contemporaneo di Durkheim e autore di fondamentali studi di carattere storico-sociologico; di fatto, anche quando interpreta la problematica dello sviluppo capitalistico in Europa, Weber non ricorre esplicitamente alla categoria della temporalità (v. Weber, 1922).Nel mondo tedesco, sempre nel periodo classico degli studi sociologici tra fine Ottocento e inizio Novecento, sono degne di nota alcune estemporanee osservazioni di Georg Simmel riguardo all'organizzazione sociale del tempo nelle grandi città, di cui Berlino rappresentava all'epoca un caso fra i più significativi: lo studioso tedesco nota l'importanza essenziale per la vita metropolitana della puntualità, dell'esattezza e del coordinamento temporale di tutte le attività che in essa si svolgono (v. Simmel, 1903). Un'osservazione analoga verrà compiuta più tardi dallo storico e sociologo americano Lewis Mumford, che analizzando la società industriale sottolineerà l'importanza eccezionale dell'orologio, strumento-chiave a motivo del coordinamento che esso consente nell'organizzazione della vita contemporanea (v. Mumford, 1934).
In seguito, dopo il periodo dei classici, la riflessione sociologica sul tempo procede a sbalzi, con contributi occasionali e isolati anche se di indubbia rilevanza. La prospettiva delle scienze sociali viene sviluppata talvolta a stretto contatto con quella filosofica: come nel caso del filosofo e sociologo americano George Herbert Mead e della sua teorizzazione sulla natura sociale del presente (v. Mead, 1932), e come nell'opera di Alfred Schutz e nella sua tematizzazione del mondo vitale (v. Schutz, 1932; v. Schutz e Luckmann, 1979). È alla scuola fenomenologica di Schutz che si devono sviluppi teorici tra i più fecondi anche per l'analisi sociologica attuale: si tratta in particolare dell'idea che il tempo viene costruito socialmente, nell'ambito di un più ampio processo di costruzione sociale della realtà (v. Berger e Luckmann, 1966). Il tempo come costruzione sociale o socioculturale rappresenta così un complemento sinergico rispetto alla concezione durkheimiana del tempo come istituzione di una società, oltre che una prospettiva utilmente declinabile nel processo effettivo di organizzazione sociale del tempo.In Francia Georges Gurvitch, richiamandosi esplicitamente al tempo come fenomeno sociale totale secondo la formulazione di Mauss (v., 1950), sviluppa l'idea secondo cui la vita sociale "scorre in tempi multipli, sempre divergenti, spesso contraddittori" e ogni raggruppamento e ciascuna attività sociale tende a muoversi in un tempo che le è proprio: di qui la proposta di una dettagliata tipologia di "tempi sociali" (come il tempo di lunga durata, il tempo trompe-l'oeil, il tempo dei battiti irregolari ecc.), che risulta d'altronde piuttosto formale e di difficile applicazione (v. Gurvitch, 1958), anche se non ne va sottovalutato l'interesse in termini di attenzione alla molteplicità e all'intreccio dei diversi tempi sociali. Tale pluralità dei tempi sarà in seguito al centro della riflessione teorica ed empirica di un altro autore francese, William Grossin (v., 1974, 1988 e 1996).
Negli Stati Uniti, appaiono nel dopoguerra alcuni contributi di autori funzionalisti che affrontano incidentalmente problematiche legate alla tematica temporale: in particolare, i coniugi Coser trattano il problema della prospettiva temporale e dell'orientamento al futuro degli attori di società diverse (v. Coser e Coser, 1963), mentre Wilbert E. Moore (v., 1963) compie una delle prime ricognizioni sulle dimensioni temporali della vita sociale. In Germania, Niklas Luhmann concentra l'attenzione su temi specifici che verranno ripresi nella riflessione successiva: la scarsità del tempo, il carattere vincolante della scadenza, la programmazione del futuro (v. Luhmann, 1975 e 1976).
A partire dagli anni ottanta, si infittiscono in Europa e oltreoceano le analisi teoriche, le messe a punto concettuali, le rassegne e gli studi empirici sui tempi sociali. La tematica del tempo conosce una nuova stagione di interesse, legata anche al concomitante venir meno di alcuni importanti orientamenti ideologici (caduta del marxismo) e alle stesse caratteristiche dei sistemi postindustriali contemporanei, nei cui attori si fa acuta la percezione della scarsità del tempo e l'esigenza di un'organizzazione sociale del tempo efficace e rispettosa dei valori condivisi.
Tra i contributi teorici più significativi apparsi in questo periodo, si segnalano quelli di Norbert Elias e di Eviatar Zerubavel. Il primo, in un saggio specificamente dedicato al tempo, cerca di elaborarne una delle rare definizioni coniate in ambito sociologico, affermando che esso è "il simbolo di un rapporto che un gruppo umano [...] crea tra due o più serie di avvenimenti, di cui una viene da esso standardizzata come quadro di riferimento o metro di misura dell'altra o delle altre" (v. Elias, 1984; tr. it., p.59): il tempo viene così legato a sequenze plurime di cambiamenti. Elias sostiene inoltre l'idea che il tempo, meccanismo regolativo dotato di forza coercitiva, rappresenti una sorta di sintesi sociale che viene appresa dai membri di una certa società. Assai diverse sono l'impostazione e le preoccupazioni di Zerubavel (v., 1981), il quale studia la regolarità temporale dei sistemi sociali individuandone le componenti nella struttura di successione, nella durata, nella collocazione temporale e nella frequenza della ricorrenza: il sociologo americano mette in luce l'importanza dei calendari e degli orari nell'organizzazione sociale del tempo, sottolineando la necessità di sviluppare una "sociologia del tempo". Questa proposta, ripresa anche da altri studiosi (v. in particolare Pronovost, 1989), appare probabilmente eccessiva, dal momento che l'analisi sociologica della temporalità si inscrive già nella sociologia generale e in quella della conoscenza, oltre a stabilire collegamenti e ad offrire contributi che a seconda dei casi interessano branche specifiche quali la sociologia del lavoro e dell'industria, la sociologia dell'organizzazione, la sociologia urbana e rurale, la sociologia del tempo libero, la sociologia dell'educazione, ecc.
La letteratura sociologica o di altra provenienza sulla tematica della temporalità in relazione alla società è ormai molto abbondante. Nelle pagine che seguono verranno individuate al suo interno alcune linee complessive di lettura, dedicando particolare attenzione ai processi e ai modi in cui si realizzano nei sistemi contemporanei le rappresentazioni collettive e l'organizzazione sociale del tempo.
In questo senso, appare utile ricorrere anzitutto all'idea sintetica di 'addomesticamento del tempo' (v. Leroi-Gourhan, 1964-1965), analoga e convergente rispetto a quella di 'costruzione sociale del tempo': essa sottolinea un processo che si compie fin dalle origini in tutti i sistemi sociali allo scopo di rendere il tempo accessibile e gestibile, conferendogli un senso collettivo. Si tratta, in altri termini, di dare al tempo una rappresentazione e un valore che siano legati alle credenze, alle norme e in genere alle elaborazioni socioculturali di un gruppo o di una collettività, a cavallo per così dire tra percezioni individuali del tempo e conoscenze empiriche o scientifiche sui tempi naturali, astronomici e biologici. Il tempo sociale media in effetti, in un certo senso, tra tempo individuale e tempo cosmico-naturale, in quanto s'interpone caratteristicamente tra la brevità e la limitatezza del primo e la lunghezza smisurata e non determinabile del secondo (v. Ricoeur, 1991).
L'emanazione di un calendario, con le sue alternanze anzitutto tra tempo sacro (straordinario) e tempo profano (ordinario), rappresenta l'esito tangibile dell'opera di addomesticamento e di costruzione sociale del tempo posta in atto da una data collettività, come già si può evincere dagli studi citati della scuola durkheimiana. Le scansioni del calendario sono legate solitamente ad eventi astronomici e naturali (come nel caso del giorno, del mese e dell'anno con le sue stagioni), ma possono anche prescinderne in misura più o meno rilevante, dal momento che esso agisce a livello simbolico e socioculturale. Così, la settimana rappresenta una scansione temporale acquisita dal mondo ebraico antico, in quanto presumibile espressione delle quattro fasi del ciclo lunare: ma la sua osservanza, e in particolare la fissazione di un giorno topico - che per gli ebrei è il sabato (shabbat) e per i cristiani diventa la domenica (così come il venerdì per gli islamici) - è frutto essenzialmente di elaborazioni socioculturali. Un processo analogo si verifica per certe feste: ad esempio, le principali festività annuali del calendario ebraico rielaborano in chiave di storia della salvezza di Israele una serie di eventi naturali quali le primizie primaverili (Pesah o Pasqua), le messi estive (Shavuot o Pentecoste) e il raccolto autunnale (Succot o festa delle Capanne). Il calendario svolge anche l'importante funzione di indicare l'anno zero, quello a partire dal quale viene computato il calcolo del tempo e che permette ad una collettività di costruire la propria memoria collettiva e di orientarsi nel trascorrere del tempo.
L'addomesticamento del tempo dà origine a rappresentazioni collettive più o meno pregnanti dal punto di vista concettuale. Fra esse, una delle più caratteristiche è quella che fa riferimento ad una giustapposizione tra tempo ciclico o circolare e tempo lineare, dove il primo - un tempo che ritorna sempre su se stesso - sarebbe tipico e dominante dei sistemi antichi e preindustriali (v. Eliade, 1949), il secondo delle società industrializzate. D'altra parte, il caso del calendario ebraico attesta la presenza anche nel mondo antico di una concezione lineare del tempo, che parte dall'evento della creazione del mondo ad opera di Jahvé e si protende nell'attesa della venuta del Messia. È questo orientamento lineare e progressivo che si trasmette alla concezione cristiana del tempo, sin dal Medioevo: la storia ha oramai un suo centro, l'incarnazione di Gesù, e procede dalla creazione fino all'evento finale della parusìa, la nuova venuta del Cristo alla fine dei tempi (v. Cullmann, 1947). Il calendario cristiano trova così il punto di riferimento nell'anno dell'incarnazione, al quale vengono rapportati tutti gli eventi precedenti e successivi; l'emanazione nel 1582 del calendario gregoriano e la sua successiva diffusione mondiale testimoniano appunto il radicamento di questa concezione, che peraltro convive nello stesso mondo cristiano con un calendario liturgico modellato invece in base ad una logica circolare di ripetizione annuale di feste e cicli.
Anche nelle società contemporanee i calendari continuano a rappresentare insostituibili strumenti e fattori di organizzazione sociale del tempo, segnalando norme e valori collettivi e nel contempo permettendo l'incontro e la sincronizzazione degli attori. Vanno rilevati comunque, al riguardo, alcuni aspetti di trasformazione: anzitutto, i calendari si sono moltiplicati all'interno dei nostri sistemi, non solo perché i calendari civili si sono affiancati a quelli religiosi originari o li hanno integrati in formulazioni politico-civili (che, ad esempio, recepiscono la domenica e le principali ricorrenze cristiane come festività anche civili), ma anche nel senso che al calendario ufficiale di uno Stato si sovrappone una varietà di calendari emanati da una serie di organizzazioni e istituzioni sociali, le quali programmano e influenzano così i comportamenti temporali dei singoli attori in funzione dei loro status/ruoli rispettivi.Inoltre, i calendari si sono trasformati nelle nostre società in un sistema complesso, multiforme e spesso non articolato e non organico di calendari-orari. Si vuole alludere al fatto che il tempo viene diviso e ripartito non solo in termini di giorni ma di loro sottomultipli quali sono le ore e i minuti, con un'attenzione sempre maggiore alla precisione temporale, oramai indispensabile per lo svolgimento delle molteplici attività presenti nella società e nella vita quotidiana degli attori. La stessa proliferazione dei ruoli a cui si assiste nei sistemi contemporanei si accompagna all'elaborazione di calendari e orari settoriali che riguardano lo svolgimento delle competenze e attività relative.
Il processo di misurazione del tempo è strettamente connesso sia all'addomesticamento e alla costruzione sociale del tempo che alla concreta elaborazione di sistemi di calendari-orari, distinti e specifici a seconda delle società e delle culture in esame.
Misurare il passaggio del tempo corrisponde anzitutto all'esigenza tipicamente umana (individuale e collettiva) di dare conto del suo trascorrere e del suo incedere nella storia dei singoli, dei gruppi sociali e della stessa natura. Non si può dimenticare, al riguardo, che alcuni approssimativi ma inequivocabili strumenti segnatempo sono rappresentati da fenomeni che si possono cogliere in certe manifestazioni del mondo naturale: si pensi ad esempio alle piante fanerogame che fioriscono e sfioriscono in determinate stagioni dell'anno e persino a seconda delle ore del giorno, come aveva notato Linneo nel Settecento, o agli alberi che nelle zone temperate alternano presenza e assenza di fronde, e diversi colori delle stesse, a seconda dei periodi nel ciclo annuale; si tratta tuttavia di orologi biologici che, come altri presenti nel mondo vegetale e animale, sono di scarsa o nessuna utilità per una misurazione del tempo nell'ambito della giornata.
Le società antiche elaborano i primi strumenti di misurazione del tempo come gli gnomoni e le meridiane solari: essi assumono come base la durata del giorno, calcolata come l'intervallo tra due passaggi consecutivi del sole in posizione zenitale, e operano una divisione tra sottomultipli del giorno, le ore della giornata, distinte in modo approssimativo e di durata diseguale a seconda delle stagioni, più corte in inverno e più lunghe in estate. Nel mondo occidentale, dall'epoca romana al Medioevo, si assumeva infatti che ogni giorno e ogni notte dell'anno constasse costantemente di dodici ore corrispondenti rispettivamente alle fasi di luce e di tenebra (v. Dohrn-van-Rossum, 1992). Altri strumenti tradizionali furono gli orologi ad acqua (inutilizzabili peraltro in aree e in stagioni in cui si verifica il fenomeno del gelo), le clessidre a sabbia, le candele segnatempo.
È in Occidente che l'attenzione ai processi di misurazione del tempo trova, sin dai primi secoli dell'era volgare, modalità di espressione singolari, che si possono collegare soprattutto alla presenza dei valori di cui è espressione la religione cristiana e che si traducono nell'elaborazione di peculiari forme di divisione del tempo. Al riguardo, la storiografia ha colto il ruolo svolto dal monachesimo occidentale e dalla regola di san Benedetto del VI secolo che, modellando per secoli l'attività dei monaci europei, influenzerà anche il mondo ad essi circostante: con la sua scansione dell'alternanza tra orazione e lavoro, e con la fissazione precisa dei tempi della preghiera comunitaria, la regola benedettina (v. Pricoco, 1995) rappresenta una prima autorevole indicazione concernente una efficace ed esplicita divisione e organizzazione dei tempi della giornata, dove tra l'altro si prevedono severe sanzioni nei confronti di coloro che mancano di puntualità al tempo della preghiera comune.
È molto probabile che questa specifica attenzione al tempo maturata nel mondo medievale cristiano - un tempo che è quantitativo, divisibile e in qualche modo già misurabile - abbia stimolato la costruzione di strumenti segnatempo più efficienti e regolari, quali furono a partire dalla fine del Duecento gli orologi meccanici. Si trattò di una invenzione anonima di grandissima importanza, non solo per i perfezionamenti che indusse nella misurazione del tempo, ma anche per gli effetti e le implicazioni ad essa legate. Con la messa in funzione degli orologi meccanici - collocati sui campanili delle chiese ma anche sulle torri comunali, a sottolineare accanto al tempo della Chiesa il tempo laico, quello del "mercante" (v. Le Goff, 1977) - si viene a determinare una progressiva separazione tra il tempo concreto delle cose e il tempo meccanico segnato dall'orologio stesso. In altri termini, le attività non vengono più connesse allo svolgersi di eventi naturali o sociali più o meno imprecisi nella loro durata e nella loro collocazione temporale, ma allo scorrere delle lancette su uno strumento chiamato orologio: esso indica le ore, ciascuna di eguale durata, e i loro sottomultipli, anzitutto i minuti.L'invenzione e lo sviluppo di nuovi strumenti di misurazione agisce così sulle stesse rappresentazioni collettive: è evidente in particolare l'influenza che la disponibilità e la diffusione degli orologi meccanici ha esercitato su una concezione quantitativa, lineare, omogenea e continua del tempo come è quella che rappresenta il substrato della cultura occidentale sin dal Medioevo e dal Rinascimento, e che trova piena espressione con l'avvento dell'industrializzazione, dal XIX secolo in poi (v. Alberti, 1969; v. Cipolla, 1967; v. Landes, 1983).
Di grande importanza si rivelano tre processi che accompagnano storicamente l'uso dell'orologio meccanico dal Medioevo ad oggi: si tratta della precisione, della personalizzazione e dell'unificazione temporale. Il primo processo, evidente se si considera lo sviluppo degli orologi meccanici in oltre sette secoli di vita, ha consentito misurazioni sempre più affidabili e ha permesso di dividere il tempo misurato in unità sempre più piccole, i minuti e i secondi nonché le loro frazioni: vanno ricordate qui, l'invenzione nel Seicento del pendolo da parte di Galileo Galilei e la sua realizzazione pratica nel bilanciere a molla da parte di Christiaan Huygens. Inoltre, è opportuno menzionare l'avanzamento decisivo che si realizza attorno alla metà del Settecento con la costruzione di orologi-cronometri da marina come quelli ottenuti in Inghilterra da John Harrison: grazie alla loro precisione, viene risolto il fondamentale problema della esatta determinazione della longitudine in mare, vitale a quei tempi per la navigazione e fattore primario per il dominio dei mari (v. Andrewes e altri, 1996). Successivamente, negli ultimi decenni del Novecento, l'orologio meccanico viene progressivamente sostituito da orologi elettronici al quarzo e affiancato da segnatempo atomici al cesio, la cui precisione raggiunge livelli sempre più avanzati, rispettivamente dai centesimi e millesimi sino ai miliardesimi di secondo e ai loro sottomultipli.
Il processo di personalizzazione degli orologi è anch'esso significativo di un'evoluzione che in una prima fase vede la misurazione del tempo vincolata a manufatti di grandi dimensioni e di dominio pubblico, come sono i campanili e i beffrois o torri comunali: essi cominciano ad assumere dimensioni ridotte nel Rinascimento, quando artisti e artigiani creano per una ristretta élite costosi e raffinati orologi-gioielli che vengono portati ed esibiti da singoli individui. Tuttavia, bisognerà attendere lo sviluppo dell'industria orologiera nell'Ottocento e soprattutto nel Novecento per assistere ad una produzione massiccia e ad una diffusione capillare di orologi personali, da taschino e poi - dai primi decenni del XX secolo - da portare al polso (con l'invenzione del montre-bracelet), come siamo soliti fare nelle nostre società. Portare l'orologio, un'esperienza oggi normale e banale al punto da passare inosservata, segnala nei membri delle società contemporanee un'attenzione caratteristica e molto elevata alla misurazione del tempo, così come un'implicita interiorizzazione del valore della puntualità e della esattezza temporale.
Il terzo processo riguarda l'unificazione nella misurazione del tempo, che si può collegare alle tendenze alla globalizzazione in atto, in particolar modo nei nostri sistemi, ma che trova espressione già verso la fine dell'Ottocento sotto l'impulso delle trasformazioni indotte nelle relazioni con lo spazio e il tempo da un nuovo mezzo di trasporto come il treno (v. Gasparini, 1997). È in particolare nel continente nordamericano, dove le ferrovie attraversano grandi spazi in senso longitudinale, che si fa strada l'esigenza di pervenire all'unificazione dei molteplici tempi locali a cui il treno deve adeguarsi continuamente nei suoi viaggi: di qui l'idea, elaborata dall'ingegnerecapo delle Ferrovie canadesi Sandford Fleming, di 24 fusi orari in cui suddividere il pianeta, con un meridiano base rappresentato da Greenwich. Le Conferenze di Washington del 1884 e di Parigi del 1912 sanciscono così la nascita dello standard time, il tempo universale e unificato del mondo, che verrà trasmesso via radio dalla Torre Eiffel a partire dal 1° luglio 1913 e della cui definizione e gestione si occuperà la Conferenza generale dei pesi e delle misure avente sede nella capitale francese.I successivi sviluppi di questa vera e propria operazione di costruzione sociale del tempo in termini unificati a livello mondiale vedranno tra l'altro l'elaborazione del 'tempo atomico internazionale' (International Atomic Time), la cui misurazione è fornita da ultraprecisi orologi atomici al cesio, e la nuova definizione del minuto secondo, concepito dalla Conferenza a partire dal 1967 non più come una parte del giorno o dell'anno ma come "la durata di 9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente ad una transizione dell'atomo di Cesio 133" (v. Observatoire de Paris, 1984). È interessante rilevare di passaggio che, accanto alle varie forme di misura (lunghezza, peso, capacità), quella del tempo è l'unica che abbia trovato una unità di riferimento che gode di una convergenza completa e totale tra i paesi del mondo.
Alla funzione di misurazione del tempo si lega per più aspetti quella di 'governo del tempo': essa allude in termini sintetici e simbolici alla complessa relazione che intercorre tra potere e temporalità.Le unità sociali, i ruoli e i singoli attori che detengono potere non lo esercitano solo, genericamente, 'nel tempo', ma attraverso decisioni e influenze che passano per l'elaborazione di parametri della temporalità e dell'organizzazione sociale del tempo all'interno dei sistemi. Si possono distinguere in particolare tre accezioni o livelli progressivi del potere 'sul tempo' (v. Gasparini, 1988 e 1990): il primo è quello che incide a livello della istituzione o della riforma del tempo in termini generali, come avviene essenzialmente nell'emanazione dei calendari o nella modificazione di loro parametri essenziali. È questo il caso, ad esempio, del calendario gregoriano del 1582, o del calendario inaugurato dai rivoluzionari francesi nel 1792, o anche dell'introduzione in Italia, nel periodo tra le due guerre, della sigla indicante l'Era Fascista (E.F.), che veniva apposta in caratteri romani a fianco della data del calendario cristiano.Il secondo livello del potere è rappresentato dal processo sopra indicato di misurazione del tempo: per quanto questo fenomeno sia oggi completamente superato - perché svuotato dal processo di democratizzazione nella misurazione del tempo -, non va dimenticato che in tutte le società tradizionali misurare il tempo costituiva un privilegio riservato ai detentori del potere politico-sociale e ad una ristretta élite di artigiani-costruttori al servizio dei primi. Si possono citare gli episodi riferiti dagli storici inglesi all'inizio della rivoluzione industriale, quando agli operai venivano confiscati i primi orologi da taschino che essi esibivano in fabbrica (v. Thompson, 1967), a significare che la misurazione del tempo era un compito e una facoltà riservata al solo imprenditore; e si può notare che, sorprendentemente, atteggiamenti analoghi sono stati rilevati circa due secoli più tardi, nei confronti di operai neoassunti in paesi latino-americani in via di sviluppo e di incipiente industrializzazione (v. Rezsohazy, 1970).
In effetti, oggi, essendo divenuto eccezionale l'intervento sul tempo al livello della sua istituzione o riforma ed essendosi al contrario banalizzato quello della misurazione, il nucleo del potere sociale relativo alla temporalità si attesta sul governo del tempo. Si tratta di un processo di indubbia complessità, dal momento che nei sistemi contemporanei non è possibile spiegare la realtà in termini di un unico e ipotetico 'signore del tempo' a cui imputare e attribuire tutte le decisioni e le dinamiche relative: a questa visione semplificata, forse applicabile ad alcune società del passato, se ne sostituisce un'altra che tiene conto della molteplicità e delle interdipendenze non necessariamente coordinate di una serie di istituzioni e unità sociali, fra le quali i pubblici poteri costituiscono solo un fattore o elemento, anche se di rilievo.
Le diverse organizzazioni e istituzioni rappresentano così, dal punto di vista degli attori dei nostri sistemi, degli Zeitgeber, cioè dei fattori che, riprendendo qui con valenza sociale un termine della cronobiologia, 'danno' il tempo, nel senso che lo segnano, lo ritmano e lo regolano. Tale è la funzione svolta di fatto dai numerosi e spesso contrastanti sistemi di calendari-orari tipici delle nostre società, ai quali si è già fatto cenno e che talora trascendono i singoli sistemi sociali. Ciascun calendario risponde alle elaborazioni e al potere espresso da un ambito che fa capo normalmente ad una istituzione, associazione, organizzazione, unità sociale più o meno influente, più o meno dotata di capacità di indirizzare i comportamenti temporali di masse o quantità di attori. Pensiamo alle aziende e alle organizzazioni lavorative, che unitamente alle organizzazioni sindacali dei lavoratori sono responsabili della determinazione di orari di lavoro che interessano una quota rilevante della popolazione di un paese industrializzato; alle scuole e alle organizzazioni formative, che con i loro calendari-orari svolgono un ruolo di primo piano nella socializzazione dei giovani; all'organizzazione sociale del tempo e nell'uso del tempo nelle famiglie; alle università, con l'articolazione dei loro calendari e delle caratteristiche sequenze temporali che regolano l'attività accademica; alle organizzazioni di servizio private e pubbliche, con i condizionamenti che i loro orari esercitano all'accesso ai rispettivi servizi; alle organizzazioni dei trasporti pubblici e in generale al sistema dei trasporti, per l'importanza dei tempi di percorrenza e della frequenza del servizio; alle comunicazioni di massa, in particolare radio e televisione, per l'elevata capacità di condizionare i comportamenti temporali di grandi quantità di attori.
A tale vasto insieme di unità sociali che in diversi modi influenzano i tempi della vita quotidiana e i comportamenti temporali dei singoli attori e delle famiglie (tipico caso, quest'ultimo, di unità sociale debole da questo punto di vista) si aggiungono ovviamente tutti quegli enti e agenzie che impersonano i pubblici poteri, con la loro capacità e facoltà di emettere norme, disposizioni e orientamenti che incidono a vario titolo sulle rappresentazioni collettive e sull'organizzazione sociale del tempo. In primo luogo, i vertici del pubblico potere sono i depositari e i gestori del calendario politico-civile di un paese, che resta la cornice generale e l'elemento di riferimento in cui si muovono tutti gli altri calendari, da quello scolastico a quello del campionato di calcio: significativa in questo senso è l'alternanza tra giorni feriali e festivi a livello settimanale (con la domenica come giorno festivo) e annuale (con l'indicazione di festività civili e religiose, la cui determinazione può subire modifiche nel tempo, come avvenne ad esempio nel 1977 in Italia, in seguito ad un accordo fra il Governo italiano e la Santa Sede). Un altro elemento che ha assunto rilievo in questi anni è rappresentato dall'adozione dell'ora legale nei mesi primaverili-estivi, che oramai è normalmente praticata, in Europa oltre che in America e altrove, come strumento finalizzato al risparmio energetico e al miglioramento delle condizioni di visibilità diurna: si tratta di una misura che risponde a forme di regolazione del tempo ma che si avvale di una alterazione convenzionale (socialmente costruita) della misurazione del tempo.
Oltre a questo aspetto, i pubblici poteri gestiscono attraverso la legislazione sociale altri aspetti assai rilevanti della vita collettiva, come i limiti di orari delle prestazioni lavorative in generale e in condizioni particolari (notte, festività, lavoro minorile ecc.) e i diritti riguardanti le ferie, l'astensione dal lavoro in casi particolari come la gravidanza e il caso di genitori con bambini piccoli. Ancora, va ricordata la facoltà di fissare di scadenze imperative per certi adempimenti e incombenze (come ad esempio il pagamento delle tasse o l'accesso a certe posizioni), anche se questo aspetto è simile a quello presente in altri sistemi di calendari-orari, nei quali il mancato rispetto della scadenza prevede sanzioni a carico dell'inadempiente. Ultimo, ma non meno importante, è il ruolo che gli orari delle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici esercitano sui ritmi della vita quotidiana, in particolare nei casi in cui essi corrispondano a fasce temporali ristrette e non siano configurati in funzione delle esigenze degli utenti-cittadini.
Il problema di una concettualizzazione del tempo in rapporto alla sua dimensione sociale è già affiorato nelle pagine precedenti. Nell'ambito degli orientamenti teorici, si è fatto riferimento ai contributi della scuola durkheimiana, che considera il tempo una istituzione culturale, e alla distinzione tra tempo sacro e profano, così come tra tempo qualitativo e quantitativo; nell'ambito invece delle rappresentazioni collettive, sono stati tratteggiati i processi di costruzione sociale e di 'addomesticamento' del tempo, nonché le rappresentazioni di tipo lineare o ciclico del tempo a cui alludono i calendari.
Molto rari e isolati sono gli studi definitori esplicitamente dedicati dagli scienziati sociali al tempo: oltre a quello già citato di Elias (v., 1984) sul tempo come sintesi sociale appresa, si può citare quello di Elliott Jaques, secondo il quale il tempo è "l'organizzazione concettuale dell'esperienza di cambiamento, processo, movimento, trasformazione, oltre che di continuità dell'oggetto" (v. Jaques, 1982, p. 31): in questo caso, come si può notare, non siamo lontani da elaborazioni filosofiche sul tempo come quella di Guyau (v., 1890) e altre precedenti.Più fecondo e appropriato si rileva il contributo sociologico per quanto concerne la messa a punto di termini e concetti che declinano esplicitamente la dimensione sociale del tempo: è questo il caso in particolare di locuzioni come tempi sociali, cultura temporale, organizzazione sociale del tempo, quadri temporali. I tempi sociali rappresentano una categoria descrittiva elementare che indica la presenza, all'interno di un dato sistema, di porzioni di tempo specificamente finalizzate ad un determinato uso da parte di un gran numero o dalla totalità dei membri di tale sistema. Essi si possono definire anche come i blocchi di tempo che una società si dà per ritmare e coordinare quelle attività sociali cui attribuisce particolare importanza (v. Sue, 1994). In questo senso, i tempi sociali rappresentano l'esito di una costruzione sociale, come avviene tipicamente per il tempo di lavoro e per il tempo libero nelle società industrializzate. Ma si può alludere anche ai tempi sociali della formazione o della scuola, dell'attività domestica e di cura familiare, dei trasporti, del pensionamento, e così via.
Di primaria importanza è il tempo di lavoro, che nelle società investite dai processi di industrializzazione si viene configurando come un tempo separato e caratteristico. Esso esprime una nuova situazione del legame tra attività produttiva e temporalità: non solo perché la retribuzione del lavoro viene determinata in base al tempo (come già Marx aveva osservato; v. 1867-1894), ma soprattutto perché con la rivoluzione industriale il lavoro viene collegato al tempo di permanenza in fabbrica anzichè ad un determinato compito da svolgere, e tale collegamento rappresenta un fondamentale mezzo di espressione della disciplina richiesta dal lavoro industriale (v. Thompson, 1967). Il tempo di lavoro, particolarmente nelle società industrializzate dell'Ottocento e della prima parte del Novecento, è definito da una serie di attributi: si tratta di un tempo sociale oggettivamente lungo, specie nelle fasi iniziali, caratterizzato da uniformità e rigidità per tutti i lavoratori, misurato e controllato sempre più strettamente via via che si diffondono tecniche e pratiche come quelle del taylorismo e della cosiddetta 'organizzazione scientifica del lavoro'.
Il tempo di lavoro si rivela tale da condizionare fortemente i restanti tempi individuali e sociali degli interessati e da influenzare i comportamenti temporali di altri soggetti che vivono a contatto con i lavoratori (i familiari anzitutto), così come gli stessi ritmi della collettività, in particolare quelli legati ai trasporti, alla prestazione dei servizi, alla fruizione del tempo libero. Questa situazione di preminenza del tempo di lavoro si attenua ma non si capovolge neppure nella fase attuale di sviluppo delle società postindustriali, con il superamento del modello taylorista e fordista del lavoro. Al riguardo, è opportuno considerare il tempo di lavoro attraverso un'ottica pluridimensionale, che tenga conto non solo del fattore primario rappresentato dalla durata, ma anche di altre due basilari coordinate o dimensioni date dal ritmo di lavoro e dalla sua collocazione temporale nell'arco della giornata, della settimana e dell'anno. Se si adotta questa prospettiva, si nota che si è determinata nel corso del Novecento una riduzione consistente della durata (particolarmente nei paesi europei), che il ritmo è stato oggetto di rivendicazioni e negoziazioni - specialmente in una certa fase dello sviluppo tecnologico e della meccanizzazione (quella corrispondente al predominio della produzione di massa) -, e che la collocazione temporale del lavoro ha conosciuto un forte processo di ampliamento in questi ultimi anni, attraverso forme di lavoro con orari atipici, che tendono ad estendere la prestazione lavorativa (tanto nell'industria come nei servizi) anche a fasce temporali serali-notturne e corrispondenti ai giorni festivi o del fine settimana. Nelle relazioni industriali degli ultimi decenni in Europa, un leit-motiv della contrattazione collettiva e delle negoziazioni con i governi è rappresentato appunto dallo scambio (trade off) tra diminuzione dell'orario e aumento della flessibilità del tempo di lavoro, vale a dire dello spettro della collocazione temporale della prestazione lavorativa.
La 'cultura temporale' è una locuzione sintetica di uso non frequente nella letteratura, che ha il vantaggio di offrire prospettive trasversali sui modelli tipici e relativamente definiti adottati da gruppi e sistemi sociali. Essa si può intendere come un insieme di atteggiamenti e comportamenti condivisi, riguardanti le concezioni e rappresentazioni del tempo, ivi compresi gli orientamenti verso il passatopresente-futuro, e inoltre le esperienze tipiche della temporalità realizzate dagli attori di un certo sistema (v. Gasparini, 1990, p. 60). Si tratta di un concetto che può essere applicato in senso sincronico e diacronico: nel primo caso esso si presta ad esplorare le differenze tra rappresentazioni e modelli della temporalità propri di sistemi sociali diversi nell'ambito di un confronto interculturale. Nel secondo caso ci può mostrare i passaggi e le mutazioni che in certe fasi cruciali si verificano riguardo alle rappresentazioni temporali: un esempio eloquente è fornito dal periodo che va dal 1880 alla prima guerra mondiale, in cui lo sviluppo di nuove tecnologie della comunicazione e dei trasporti modifica profondamente la cultura temporale della società, attribuendo una preminenza caratteristica al senso del presente e alla sua fruizione (v. Kern, 1983). Per quanto riguarda i sistemi industrializzati contemporanei, si può ritenere che la cultura temporale in essi dominante sia centrata su una serie di aspetti di fondo, così sintetizzabili: una concezione e rappresentazione del tempo quantitativa e lineare, l'enfasi sulla velocità come valore (da cui anche l'apprezzamento per la 'simultaneizzazione' delle comunicazioni), la considerazione efficientistica ed economicistica del tempo, l'orientamento verso una precisa programmazione del tempo (v. Gasparini, 1990).
Connessa alla cultura temporale e non sempre agevole da distinguere concettualmente da essa è l'organizzazione sociale del tempo. Si tratta in effetti di una locuzione assai ampia e comprensiva, che in senso lato si potrebbe persino far coincidere con la problematica della dimensione sociale del tempo tout court. L'organizzazione sociale del tempo viene indicata come una necessità legata all'esistenza stessa di ogni sistema sociale: in essa, secondo Jack Goody (v., 1968), confluiscono gli aspetti rappresentati dalla misurazione del tempo, dalla sua ripartizione e programmazione, dagli atteggiamenti verso passato, presente e futuro.In un senso proprio e più specifico, l'organizzazione sociale del tempo sottolinea soprattutto certe dimensioni strutturali dei sistemi sociali, come la divisione sociale del lavoro, le relazioni di potere, i fenomeni di stratificazione sociale coinvolti nella dimensione temporale: le forme di calendari-orari di cui si è discusso in precedenza si possono considerare una basilare espressione dell'organizzazione sociale del tempo che si dà una certa collettività o società o sistema.
Il quadro temporale, infine, è una locuzione che si presta ad inglobare al suo interno sia la cultura temporale che l'organizzazione sociale del tempo, due termini che come si è visto presentano aree più o meno ampie di sovrapposizione. L'utilità di questa categoria (v. Gasparini, 1994 e 1994a) risiede non solo nel grado elevato di generalità con cui essa si presta a contraddistinguere la dimensione sociale del tempo in termini sincronici e diacronici, ma anche nel fatto che essa può rendere conto in misura maggiore e più perspicua della complessità e della compresenza in un medesimo sistema di modelli, rappresentazioni e pratiche sociali differenti e non necessariamente coerenti riguardo alla temporalità. È questo, in particolare, il caso delle società contemporanee, in cui lo sforzo definitorio teso a individuarne i caratteri tipici si scontra con la difficoltà di dare ordine a fenomeni come la polisemia del tempo, la molteplicità e la contaminazione tra i modelli culturali esistenti, la dialettica tra persistenza e mutamento sociale (v. Mutamento socioculturale). In questo senso, si può ritenere che i quadri temporali ci parlino di una certa architettura temporale di un sistema (v. Pomian, 1984), quella che accoglie al suo interno strati differenti e al limite contraddittori di rappresentazioni e di pratiche sociali concernenti la temporalità.
Le considerazioni che precedono alludono alla complessità dei sistemi contemporanei, nei quali la dimensione sociale del tempo si rivela sia come un'area analitica di grande interesse, sia come un nodo cruciale della stessa convivenza, specie all'interno delle società postindustriali. In questa linea, vengono posti qui in evidenza in termini conclusivi e necessariamente concisi alcuni nuclei problematici con cui attori e sistemi sociali attuali si stanno confrontando e sui quali sono chiamati ad elaborare soluzioni nel breve e medio termine.
Un primo nodo, a cui la stessa locuzione di quadri temporali può dare evidenza e spessore, è rappresentato dalla compresenza di modelli culturali e di pratiche sociali differenti. Si è parlato di cultura temporale dominante, contrassegnata dal monopolio di una concezione quantitativa ed economicistica del tempo; ma accanto ad essa va rilevata la presenza di elementi di altri modelli culturali o subculturali, come quelli che sottolineano la dimensione qualitativa del tempo o che valorizzano le sue componenti cicliche, legate ai tempi naturali e a prospettive ecologiche o cronobiologiche, o ancora che enfatizzano, di contro all'imperante istanza della velocità, il perseguimento della lentezza nello svolgimento di certi processi e pratiche sociali. Si tratta di elementi che provengano frequentemente ma non esclusivamente dalle elaborazioni di studiose interessate alle tematiche relative al genere e alla messa a punto dei caratteri del cosiddetto 'tempo delle donne' nella società contemporanea (v. Young, 1988; v. Balbo, 1991; v. Leccardi, 1998); tali elementi sono configurabili inoltre, più che in termini di rigida contrapposizione o di presunte 'guerre del tempo' (v. Rifkin, 1987), in modi prevalentemente sinergici e complementari (v. Le Goff, 1981), in linea con quelle forme di recupero in chiave di modernità di elementi tradizionali tipici di sistemi precedenti.In questo, un secondo nodo problematico cruciale è rappresentato da quello che sinteticamente si può definire il rapporto tra 'sincronizzazione' e 'desincronizzazione' degli attori, o anche tra società sincrone e società flessibili dal punto di vista temporale. Si vuole alludere alla dialettica tra due forme di temporalità: le prime comportano la standardizzazione dei cicli di vita degli attori (v. Cicli e percorsi di vita) secondo moduli tendenzialmente uguali per tutti e l'uniformità degli schemi riguardanti i tempi che si susseguono nella vita quotidiana, a partire dal tempo di lavoro inteso come un ambito che ha durata e collocazione temporale quasi identica per l'insieme degli interessati; le seconde alludono invece alla possibilità e alla legittimità sociale per gli attori di alterare i tipici percorsi di vita consolidati nelle società industrializzate (quelli che prevedono il succedersi di formazione, lavoro e pensionamento) e di realizzare nuovi stili di vita, con l'adozione ad esempio di orari di lavoro atipici e con una collocazione delle attività sia professionali che di altro tipo in qualunque fascia temporale della giornata o dell'anno. A quest'ultimo aspetto corrisponde il progetto e l'idea di una società permanentemente attiva, in cui cioè tutte le attività economiche e sociali in genere siano praticate continuativamente e accessibili 24 ore su 24, 365 giorni all'anno (v. Martinoli, 1989).Il fenomeno di cui si alimenta la desincronizzazione è rappresentato dalla flessibilità o flessibilizzazione temporale, intesa come la possibilità, per il singolo attore, di variare le norme e le pratiche relative ai ritmi collettivi prevalenti, e questo per quanto riguarda lo svolgimento di un'attività, di un ruolo professionale, di una situazione sociale in genere. Si tratta in effetti di un fenomeno innovativo e pregno di grandi conseguenze e implicazioni, consentito dalle stesse tecnologie oggi disponibili: si pensi ad esempio alle potenzialità desincronizzanti legate all'uso personalizzato del computer, all'accesso a Internet, alla disponibilità del telefono cellulare, vale a dire di strumenti che operano d'altro lato nel senso di una simultaneizzazione della comunicazione e dell'informazione, favorendo effetti tipici dei nostri sistemi come la compressione spazio-temporale (v. Harvey, 1990) e il cosiddetto disembedding, vale a dire il disinserimento delle relazioni sociali da contesti locali di interazione (v. Giddens, 1990). D'altra parte, una flessibilità che si riveli governata esclusivamente in funzione delle esigenze del sistema economico può rivelarsi particolarmente dirompente in campo professionale, come dimostrano alcune tendenze in atto in modo particolare negli Stati Uniti (v. Sennett, 1998).
I processi di desincronizzazione, pur essendo specularmente e formalmente opposti a quelli di sincronizzazione, tendono a trovare con essi elementi di composizione ed integrazione. Un caso significativo al riguardo è rappresentato dai tempi della città e dalle politiche locali sui tempi urbani, in particolare in Italia dopo l'entrata in vigore della legge 192/1990 che attribuisce al sindaco la facoltà di coordinamento degli orari urbani e da cui hanno preso avvio i cosiddetti piani regolatori o di coordinamento degli orari urbani. In effetti, il problema cruciale che sta a monte qui non è tanto quello di arrivare ad una concertazione efficace dei tempi di funzionamento dei servizi, tale da garantire ai cittadini una migliore qualità della vita, quanto quello di trovare i modi e gli incentivi per far sì che l'invocata desincronizzazione nell'accesso ai servizi si contemperi con l'ineliminabile sincronizzazione di una quantità di attori che proprio nella realtà urbana trovano, appunto, occasioni e motivi di incontro in un tempo-spazio comune.I nuclei problematici indicati puntano ad un elemento che si può considerare conclusivo e finale, quello dei valori legati alla temporalità e specialmente del valore del tempo nei sistemi contemporanei. La messa a fuoco dell'organizzazione sociale del tempo consente in effetti di sviluppare un'analisi nella quale l'indagine sociologica tende a trovare punti di contatto e di proficuo scambio per un verso con la dimensione etica, vale a dire con i fondamenti culturali più pregnanti su cui poggiano i quadri temporali, per l'altro con la tematica politica, alla quale allude l'elaborazione di misure dei pubblici poteri (a livello centrale e locale) in tema di tempi sociali, come è avvenuto in questi anni ad esempio nel campo del lavoro e della condizione urbana.
Si tratta di una tematica nella quale affiorano alcuni tra gli elementi di fondo delle società moderne. Si possono sottolineare qui in particolare il valore della libertà, a cui richiama l'enfasi attuale sul tempo libero e sul tempo per sé, sulla libera scelta nella partecipazione ai diversi tempi sociali e negli impegni relativi; il valore dell'eguaglianza, che tende oggi a confrontarsi con politiche delle pari opportunità rivolte anche alla diminuzione delle sperequazioni nella fruizione del tempo, da cui potrà venire nuova linfa alla tematica classica della stratificazione sociale; il valore della qualità della vita, a cui si riferiscono le prospettive e i progetti di concezione ed uso del tempo improntati ad una dimensione qualitativa, che contemperi le potenzialità offerte dall'adesione ad una concezione quantitativa del tempo. Di quest'ultima appaiono irrinunciabili le opportunità in termini di efficienza, velocità, benessere economico e ampliamento delle esperienze di vita dell'attore; ma ne emergono con evidenza anche i disagi e le conseguenze negative, in particolare la sindrome collettiva della cronica scarsità di tempo che affligge i membri dei sistemi postindustriali e le forme di tensione e stress legate ai molteplici vincoli che trovano espressione nei quadri temporali e nell'organizzazione sociale del tempo. (V. anche Mutamento socioculturale; Tempo libero; Cicli e percorsi di vita).
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