organo (Musica)
Due soli i luoghi in cui o. è impiegato con accezione musicale: quando a cantar con organi si stea (Pg IX 144), e dolce armonia da organo (Pd XVII 44): secondo una più rara lezione, non accolta dal Petrocchi, dolce armonia da organi. Lo strumento musicale più frequentemente collocato nelle chiese, e oggi chiamato o., è invece concordemente designato nei testi di lingua, sino al Rinascimento, col plurale ‛ organi ': cfr. le testimonianze raccolte dal Vocabolario degli Accademici della Crusca alle voci ‛ organista ' e ‛ organo '.
Anche la musicografia medievale ci fornisce un reperto analogo. L'Anonimo autore del Tractatus de musica (Coussemaker, I 251 ss.), fiorito in epoca franconiana (sec. XIII), elenca (p. 253a) alcuni strumenti musicali, nominati al singolare, tranne organa, al plurale. Il più importante teorico della polifonia perotiniana, il cosiddetto Anonimo IV (ediz. a c. di F. Rechow, Wiesbaden 1967) cita in più luoghi l'o., ma sempre al plurale (" prout in organis utitur ", 63, 22; " sive in fistulis organorum ", 65, 10; " ut patet in fistulis organorum ", 66, 4; " ut in burdone organorum ", 80, 4; " quamvis in communi usu se habeat in instrumento organorum ", 86, 10). E così in Simon Tunstede, vissuto fra il sec. XIII e il XIV (Coussemaker, IV 205a); così nell'Anonimo pubblicato dal Gerbert (Il 283 ss.), che intitola il suo trattatello De Mensura fistularum in organis. Ma è inutile moltiplicare le citazioni, data la concordanza dei testimoni. Naturalmente, esisteva anche il singolare organum, cui erano attribuite accezioni varie. Leggiamo ancora nel già citato Anonimo IV (Rechow, 70, 26-32; 71, 1-5): " Sciendum, quod organum verbum aequivocum est. Quandoque dicitur organum purum ut in Iudaea et Ierusalem in duplo vel Descendit de caelis vel Gaude Maria etc. Alio modo dicitur organum ut in instrumento organorum, sicut prophetia dicit ‛ in cordis et organo '. Quandoque dicitur alio modo ut in organo triplo, quamvis improprie ut in Posui adiutorium in triplo. Quandoque simplex organum dicitur ut in simplicibus conductis. Alio modo, prout clerici communes accipiunt, prout in duplicibus conductis, triplicibus, quadruplicibus etc. similia, quamvis improprie. Est et aliud organum, prout universales antiqui nominaverunt, et hoc est, prout concordaverunt sonos cum sonis. Et iste universalis modus omnium (exceptis simplicibus conductis) ‛ est ' cuiuslibet mensurae ‛ et ' cuiuslibet cantus etc. ". Chiaro il senso del discorso: solo eccezionalmente organum può designare l'instrumentum organorum, poiché abitualmente esso indica invece strutture varie di polifonia vocale. Non è il caso di chiarire, in questa sede, le differenze fra organum purum, duplum, triplum, quadruplum, in quanto si tratta di varie combinazioni polifoniche, sulla cui effettiva consistenza non sempre siamo informati con esattezza; in ogni caso, si allude al contrappunto praticato specialmente nella scuola di Notre Dame fra i secc. XII e XIII e che era composto di due, tre o più parti variamente concatenate fra loro secondo le formule ritmiche dette ‛ modali '.
Pertanto, l'espressione dantesca cantar con organi si riferisce certamente alla mescolanza di voci e di o., secondo un procedimento tutt'altro che infrequente. Johannes de Garlandia, musicografo forse della prima metà del sec. XIII, sembra non lasciare dubbi al riguardo: " Tale quadruplum [un organum a quattro voci] cum tribus sibi associatis ab aliquibus duplex cantus nuncupatur, quia duo invicem nunc cum uno, nunc cum reliquo audientibus, tamquam esset duplex discantus, percipitur, tantum instrumentis maxime completis " (Coussemaker, I 117a). Quanto all'altra citazione dolce armonia da organo, essa dovrebbe pertanto alludere non allo strumento, bensì all'organum, alla forma polifonica di cui si è detto, nonostante il dubbio che può nascere dalla lezione secondaria organi già ricordata più sopra. L'accezione dantesca di ‛ armonia ' (v.) rende maggiormente plausibile l'immagine di una ben dosata compagine sonora quale può essere più facilmente evocata dalla polivocalità corale che non da quella strumentale.
Dalle modeste origini bizantine dell'o. al grande strumento fabbricato nel 980 per il monastero di Winchester, si giunge al sec. XIII, epoca in cui nasce l'o. moderno, dotato di levette simili a tasti, azionate direttamente dalle dita dell'esecutore, e accordato cromaticamente, sebbene non possedesse tutti i semitoni, dal momento che era possibile suonare su esso la musica ficta, la quale impiegava altri semitoni oltre ai due propri della scala diatonica. Nell'alto Medioevo, l'o. di Winchester aveva costituito un'eccezione rispetto ai soliti strumenti, per lo più di dimensioni modeste, trasportabili, e perciò detti ‛ portativi '. Le trasformazioni sostanziali effettuate nel sec. XIII furono assai probabilmente influenzate dall'architettura gotica adottata per le cattedrali, che abbandonavano la convenzionale impostazione statica e tarchiata in favore di navate alte e slanciate, ornate da policrome vetrate, e in cui la modesta sonorità degli antichi ‛ portativi ' non era più sufficiente; occorrevano una nuova, più maestosa architettura anche dell'o., e una potenza di suono capace di diffondersi ovunque, e di soverchiare l'intrecciarsi degli echi che il gioco degli archi e delle volte faceva scaturire.
Bibl.-M. Gerbert, Scriptores ecclesiastici de musica sacra potissimum, 3 voll., St. Blasien 1784 (ristampa anastatica, Hildesheim 1963); E. De Coussemaker, Scriptorum de musica Medii Aevi..., 4 voll., Parigi 1864-1876 (ristampa anastatica, Hildesheim 1963); C. Sachs, The history of musical instruments, New York 1940; J. Perrot, L'orgue de ses origines hellénistiques à la fin du XIIIe siècle, Parigi 1955; N. Pirrotta, D. Musicus: Gothicism, scholasticism, and Music, in " Speculum " XLIII (1968) 245 ss.