ORGANO (fr. orgue; sp. órgano; ted. Orgel; ingl. organ)
Strumento musicale ad aria, di varia mole, i cui timbri e la cui estensione della gamma, nella loro possibilità di indefinite variazioni, non sono legati a un comune piano costruttivo.
Gli elementi costitutivi dell'organo sono le canne, i mantici e i congegni che regolano l'accesso della colonna d'aria (vento) alle canne, secondo la volontà del suonatore. Le canne impiegate nell'organo appartengono a due grandi famiglie: canne ad anima, o labiali, e canne a lingua. Nelle prime il suono è prodotto dall'aria vibrante entro il tubo, nelle seconde il suono è prodotto dalla linguetta vibrante, collocata in diretto contatto con l'aria. A seconda della forma, del diametro e della lunghezza, le canne labiali diversificano nel timbro e nell'altezza del suono. Quanto più largo è il diametro, tanto più emerge la nota fondamentale. Le canne larghe si avvicinano al timbro rotondo dei flauti, le canne strette assumono sonorità mordenti, simili a quelle degli strumenti ad arco. La forma della bocca costituisce un elemento di capitale importanza. La tuba applicata alle canne a lingua non può influire sull'altezza del suono, serve tuttavia a modificarne il timbro. Se attualmente l'aria è prodotta da mantici perfezionati o da macchine soffianti, in maniera che la corrente abbia una costante pressione, per giungere a questo risultato si dovette seguire un'evoluzione secolare. Gli altri congegni essenziali che regolano l'emissione del suono, sono: il somiere, in cui l'aria trova un sistemato adito alle canne, detto anche pancone (scuola veneta), segreto (influssi spagnoli), o canone (imitazione della terminologia dell'organo antico); le tastiere (per le mani, dette perciò anche manuali) e i pedali, o la pedaliera, per i piedi; le catenacciature, o riduzioni, che congiungono i tasti col somiere (sostituite ora dalle tubazioni nel sistema tubolare ad aria compressa, o dai fili in quello elettrico). L'evoluzione storica dell'organo, che s'inizia in epoca antichissima, è più complessa di quella di qualsiasi altro strumento musicale.
Il primo strumento musicale di cui ci sia giunta notizia, che possegga tutti i requisiti dell'organo, è l'hydraulis (organum hydraulicum) noto fino dall'antichità classica. Filone, a cui si deve la più antica citazione di tale strumento, lo definisce "una siringa da suonarsi con le mani, chiamata hydraulis".
Ad eccezione di Tertulliano, che fa il nome di Archimede, l'invenzione dell'organo idraulico è comunemente attribuita a Ctesibio d'Alessandria (v.), il quale pare abbia descritto tale strumento nei Commentaria, a cui attinsero Erone Alessandrino e Vitruvio per le descrizioni conservateci nelle loro opere, che costituiscono a questo proposito una delle fonti più importanti. Il carattere nuovo e capitale di tale strumento consiste nel produrre una costante corrente d'aria mediante la pressione dell'acqua.
Con uno stantuffo l'aria viene spinta, attraverso un tubo, nell'interno di una specie di campana immersa in un recipiente pieno d'acqua. La campana all'estremità superiore è munita di un tubo, che porta alle canne il vento, spinto dalla pressione dell'acqua. Nelle canne dell'organo idraulico, derivanti dalla siringa, veniva eliminata l'azione del labbro umano, necessaria nelle imperfette canne dell'antico strumento. Sembra naturale che per logica evoluzione venissero così introdotte le prime canne labiali. Ma, studiando l'etimologia della parola hydraulis, detto anche hydraulos, in cui spicca il vocabolo aulos, si volle avanzare l'ipotesi che le canne dell'organo dell'antichità classica fossero formate da una serie di auloi, strumenti a linguetta.
Osservando poi come nella siringa le canne, all'estremità inferiore, fossero chiuse, non è infondato credere, che le canne tappate, già usate nella siringa, abbiano preceduto nell'organo le canne aperte. Vario era il numero e l'intonazione delle stesse; l'hydraulis primitivo portava una serie di 7 tubi sonori; in seguito si costruirono strumenti con 19 tasti; sulla testimonianza di Vitruvio, l'organo classico possedeva fino a 8 registri. Il somiere dell'hydraulis raggiunse un notevole grado di perfezione; esso possedeva le caratteristiche di un somiere a doppie stecche, ma con l'inversione delle coordinate, come nel somiere moderno a pistoni. I tasti, chiamati pinae, con un congegno indovinato mettevano in azione una stecca forata posta nel somiere immediatamente sotto le canne, mentre i manubrî dei registri azionavano altre stecche pure forate e collocate nel somiere trasversalmente alle stecche dei tasti e sotto le stesse. Se i fori delle stecche dei tasti. combaciavano con i fori del somiere e con quelli della tavola soprastante sulla quale erano collocate le canne, l'aria poteva passare e farle suonare, ammesso che in precedenza si fosse spostata la stecca sottostante, collegata col registro, in maniera che combinassero anche i fori in essa praticati. Questo sistema consentiva un maggior risparmio d'aria, in confronto di quelli che poi si svilupparono nel Medioevo. Se è accertata l'esistenza dei registri nell'organo antico, incerta è la loro funzione. Secondo la testimonianza di un anonimo, sull'organo antico si potevano eseguire i toni iperlidio, iperiastio, lidio, frigio, ipolidio e ipofrigio. Da ciò sembra che i registri corrispondessero ai singoli modi. La differente dimensione nell'altezza delle canne suonanti su un tasto è giustificata dai modi che differivano esattamente di un'ottava. È stata anche fatta la supposizione che l'hydraulis, dato l'uso in uno stesso strumento di canne labiali aperte e chiuse e di canne a lingua, come vuole A. Gastoué, abbia pure posseduto sonorità di timbro differenti.
Alla conoscenza dell'organo idraulico, oltre alla descrizione di Vitruvio, ai disegni che accompagnano la descrizione di Erone e ai molti accenni in scrittori greci, latini e orientali, portano non lieve contributo le rappresentazioni plastiche tramandateci in monumenti dell'antichità classica. Fra queste fu di grande aiuto la terracotta scoperta nel 1885 a Cartagine, risalente agl'inizî del secolo II d. C. e ora nel Museo Lavigerie di Saint-Louis, a Cartagine. Secondo tale modello lo strumento doveva avere 3 metri di altezza e 1,40 di larghezza. La tastiera conteneva 19 tasti di 20 cm. di lunghezza e di 5 cm. di larghezza; a ogni tasto corrispondevano tre canne labiali, la prima, per il suono fondamentale, chiusa, la seconda della stessa lunghezza, ma aperta e perciò suonante all'ottava alta, la terza anche aperta e accordata alla decimaquinta. Le tre serie di canne costituenti i registri dell'organo erano governate da manubrî collocati da parte. Sono anche da ricordare i resti di hydraulis rinvenuti a Pompei nel 1897 e 1899, benché, per l'infelice stato di conservazione, essi non portino un contributo notevole alla conoscenza dell'organo antico. Il primo di essi conserva 9 canne, il secondo 2. Ma la fonte migliore per conoscere l'organo idraulico antico è senza dubbio lo strumento originale trovato nel 1931 ad Aquinco (v.), risalente all'anno 228 d. C., le cui parti in bronzo sono ancora parzialmente in buono stato. Con la scoperta di questo strumento vengono confermate in modo indubbio le ipotesi che l'organo dell'antichità classica possedesse parecchi registri da potersi suonare separatamente a volontà dell'esecutore e una tastiera comoda e leggiera.
Accanto all'ingegnoso sistema per produrre una corrente costante d'aria, adottato nell'organo idraulico, cominciò a trovare uso il mantice, il cui impiego nell'organo risale certamente all'evo antico. Polluce, vivente al tempo di Adriano (Onomasticon, IV, 70), dopo avere ricordato l'organo idraulico, che chiama flauto tirrenico descrive uno strumento più piccolo dell'idraulico, ma della stessa natura e fornito di mantice.
L'introduzione in Roma di tali strumenti si può far risalire all'epoca neroniana, se a queste innovazioni nel sistema di produrre l'aria si riferiscono i novi et ignoti generis organa hydraulica dei quali si dilettava Nerone (Svetonio, Nerone, 54).
È nota la descrizione dell'organo a mantice di Giuliano l'Apostata; anche il bassorilievo, quasi contemporaneo, dell'obelisco di Costantinopoli, eretto da Teodosio il Grande (v. costantinopoli, XI, p. 617), porta due riproduzioni dell'organo a mantice. L'invenzione del mantice soppianta a poco a poco, specialmente nei paesi settentrionali, l'organo ad acqua. Gli scrittori latini dopo il sec. IV menzionano solo l'organo a mantice e scompare altresì la parola hydraulis, che fino a quel tempo aveva servito anche per l'organo a mantice; mentre l'Oriente conserva il vecchio nome, pure avendo abbandonato l'organo idraulico. Già dopo il sec. III d. C. la parola organum, di derivazione greca, comincia ad acquistare il significato di un determinato strumento musicale, pur non perdendo il suo originario significato generico, che dapprima indicava utensile, poi, più particolarmente, qualsiasi strumento musicale.
Nell'Occidente si trovano tracce dell'uso di organi fino al sec. VI. La nota descrizione di Cassiodoro è una delle ultime testimonianze, con cognizione di causa, dell'esistenza dell'organo in Occidente. Giona, monaco di Bobbio del sec. VI, nomina l'organo nella prefazione alla vita di S. Colombano e così Venanzio Fortunato, poeta del sec. VI. Ma questi accenni possono ritenersi un riverbero di erudizione, come avvenne con la descrizione d'Isidoro di Siviglia, che riporta i passi di S. Agostino e Cassiodoro, senza alcuna conoscenza personale. Giova ritenere che in Occidente l'organo abbia avuto un periodo di decadenza, altrimenti difficilmente si riesce a comprendere come l'organo medievale sia divenuto così rozzo, mentre l'organo dell'antichità classica può ritenersi perfetto nel suo genere, e in che modo abbia saputo affermarsi relativamente presto come strumento liturgico ammesso dalla Chiesa. In Oriente, dove ebbe una continuità storica di evoluzione, sia pure con periodi di stasi, l'organo non riuscì ad affermarsi come strumento liturgico. Dall'Oriente, dove continuò ad aver vita, l'organo venne riportato nei paesi occidentali, agl'inizî della nuova potenza carolingia. Tutti gli annali francesi ricordano all'anno 757 venit organum in Franciam. In tale anno l'imperatore Costantino Copronimo inviò a re Pipino un organo del quale manca qualsiasi altro particolare. Si può supporre, seguendo gli Annales di Eginardo (v.), che tale strumento sia stato posto a Compiègne, dove allora Pipino aveva sede. Non sembra attendibile, che nell'812 Carlomagno abbia fatto costruire un organo in Aquisgrana, copiando gli strumenti dell'ambasciata dell'imperatore Michele, come narra il monaco Sangallense nelle sue Gesta Karoli (Mon. Germ., II, p. 751). Più importante è invece la notizia riferentesi all'anno 826, riportata in varie fonti, come nella Vita Ludovici imperatoris, negli Annales sopra ricordati. In tale anno il conte Baldrico del Friuli condusse all'imperatore un prete di nome Giorgio di Venezia, che affermava di poter costruire un organo secondo la maniera dei Greci. Lodovico il Pio lo inviò ad Aquisgrana, ordinando che gli fosse fornito tutto l'occorrente. L'organo fu ultimato, come testifica Eginardo nella Historia translationis Ss. Marcellini et Petri. Anche Ermoldo Nigello, nella poesia in lode di Lodovico il Pio, dice che lo strumento, di cui vantavano l'esclusività i Greci e del quale erano così fieri e che prima non era mai stato portato in Francia, ora ornava la corte di Aquisgrana. La stessa cosa è ripetuta da Walafrido Strabone nel suo Carmen de imagine Tetrici. Degering ritiene che Giorgio, nella costruzione del suo organo, abbia seguito Vitruvio, mentre è probabile possedesse diretta conoscenza dell'arte greca, date le molteplici relazioni d'affari di Venezia con l'Oriente. Sembra perciò più logico, che Giorgio abbia costruito uno strumento, che solo di nome si chiamava hydraulis, ma che in realtà era un organo a mantice. È probabile che Giorgio abbia creato scolari, i quali diffusero in Germania la conoseenza di un organo relativamente sviluppato. Così si spiega la richiesta di papa Giovanni VIII (872-880) al vescovo di Frisinga, dell'invio di un organo, unitamente a un esperto organaro e organista.
A quest'epoca pare però che l'organo non avesse ancora un uso liturgico ben definito. Ma il secolo seguente ci ricorda gli esperimenti di Gerberto d'Aurillac, che fu poi il papa Silvestro II. Nel sec. XI troviamo testimonianze sicure dell'uso dell'organo durante le sacre funzioni. Lo stesso è ricordato nelle cronache della dedicazione della chiesa del monastero di Cava (1088-1099) e nella leggenda di S. Chiara, scritta fra il 1233 e il 1255, si accenna al suono dell'organo. Nascono anche i primi scritti teorici sulla sua costruzione. Il più vecchio trattato sulle canne d'organo risale al sec. IX (De mensura fistularum, Parigi, Bibl. Nat., ms. cat. 12949, c. 43) e si trova riportato in altri scritti posteriori, con qualche variante, sotto il nome di Hucbaldo, Bernelino, Gerlando. Successivamente troviamo i trattati del monaco Notkero Labeone (in tedesco antico) e dell'Anonimo bobbiense, che contiene un interessante Incipit ordo fistularum (Bibl. Ambrosiana, Milano). Durante i sec. XI e XII, oltre ai brevi scritti di Aribone scolastico, di Eberardo di Frisinga, dell'Anonimo bernese (Schubinger), abbiamo le Schedulae diversarum artium del monaco Teofilo, in cui i capitoli 80-83 del libro terzo trattano della costruzione degli organi. In questi secoli fino a tutto il Medioevo l'arte organaria diventa, si può dire, un dominio di monaci e gli organari sono contemporaneamente organisti. Questa consuetudine si protrae fino al Cinquecento inoltrato.
Dal complesso delle fonti letterarie menzionate, con l'aiuto delle miniature del tempo rappresentanti organi, ci si può fare un'idea sufficientemente chiara della loro forma. Anche a quei tempi l'organo era diviso nelle tre parti essenziali, chiamate conflatorium (la manticeria), domus organaria (il complesso delle meccaniche dell'organo, con la cassa) e fistulae (le canne).
I mantici erano in tutto simili ai mantici usati dai fabbri. In seguito si distinsero mantici da azionare coi piedi e con le mani, la quale ultima specie si introdusse nel sec. XIII. La manticeria era distinta nei mantici propriamente detti folles, nel conflatorium dove veniva raccolto il vento, e nella fistula maxima, che univa la manticeria col resto dell'organo. La domus organaria constava del somiere, della tastiera con annesso meccanismo per aprire l'accesso dell'aria alle canne e delle tavole per fissare le canne. Il somiere è l'ordigno che riceve l'aria dal mantice e la trasmette alle canne. Esso si presenta come una grande cassa di legno di quercia. L'aria compressa ch'esso riceve dal mantice non viene però immessa dal somiere nelle canne dei vari registri (canne che si trovano poste nella parte superiore della cassa), se non mediante valvole. Per dare una quantità d'aria maggiore del consueto, si adattano all'organo più somieri; talvolta, anzi, due o tre per i registri della stessa tastiera. Del resto, qualunque organo a più tastiere è provvisto di proporzionale numero di somieri. A seconda dell'epoca o dell'importanza dello strumento si avevano somieri ottenuti incavando i necessarî fori in due tavole di legno sufficientemente grosse, che venivano poi sovrapposte; lasciando lo spazio per l'introduzione di stecche di legno mobili, chiamate linguae. Le stesse dovevano otturare i fori verso le canne e servivano contemporaneamente da ventilabro e da tasto. Sopra il somiere si fissava una tavola sottile con tanti fori quante erano le canne che doveva contenere. Assai più progredito e nel tempo stesso più vicino all'antico organo classico è l'altro modo di preparare la domus organaria. Il somiere, più razionalmente disposto per la divisione del vento, era fuso completamente in rame. Le stecche sotto il somiere non servivano da tasti, ma erano congiunte con tante lamine, secondo la descrizione dell'anonimo bernese (il quale lascia intuire di essere stato a conoscenza degli scritti sull'organo nell'antichità classica), e queste lamine agivano da leva, mentre una molla permetteva l'automatico ritorno del congegno allo stato di riposo. Le miniature del sec. XII lasciano intravvedere una tastiera abbastanza sviluppata. I tasti hanno la forma ricordata da Praetorius. In ogni modo queste tastiere dovevano essere dure al tocco, poiché da tale epoca data l'espressione pulsantur organa. In ogni caso esisteva un progresso sul primitivo movimento delle lingue. L'ulteriore sviluppo di una tastiera leggiera da toccarsi con le dita è dovuto all'affermarsi dell'organo portatile. Numerose sono le regole per determinare la lunghezza delle canne, date senza mutamenti notevoli, dai trattati teorici medievali, dal sec. IX al XIII. Il fatto più caratteristico è che il diametro era costantemente uniforme per tutte le canne di qualsiasi lunghezza, il che importava un passaggio dal taglio violeggiante dei bassi, al taglio largo flautato dei soprani. Il materiale usato era il rame o una lega di varî metalli. La forma poteva essere cilindrica su piedi conici o conica (Psalterium di Belvoi Castelle. L'anonimo bobbiense scrive: in summitate grossiores, in inferiori parte graciliores semper sint). L'estensione era dalle due alle tre ottave senza semitoni; per riconoscere i tasti, tutti uguali, si contrassegnavano col nome delle note o con le lettere alfabetiche.
Nessuna traccia di registri si trova in questi organi medievali: ogni tasto poteva avere parecchie canne, anche di identica altezza, oppure accordate all'ottava. Verso il sec. X la parola organo per opera di Ucbaldo passò a significare la primitiva forma di canto polifonico. Però si vuole che assai prima fosse in uso tale forma musicale: il monaco d'Angoulême, Ademaro (sec. XI), scrive, riferendosi all'anno 754: similiter erudierunt Romani cantores supradicti cantores Francorum in arte organandi, la quale notizia cerca di creare una tradizione romana antica dell'ars organandi, che pare non trovi serio fondamento storico. Evidentemente questo genere di canto imitava qualcuna delle caratteristiche salienti dell'organo, o che almeno da poco tempo avevano trovato impiego in tale strumento. Non si riesce altrimenti a spiegare l'identità di nome per due cose differenti. Tale caratteristica è data dalla simultaneità di suoni di diversa altezza e consonanti. Quando l'organo medievale ebbe accesso nelle chiese, si affacciò per primo il problema dell'intensità sonora. Nelle immense cattedrali romaniche non era logico collocare uno strumento di così modeste risorse. Sorse naturale la necessità d'ingrandire lo strumento con l'aggiungere nuove serie di canne, affinché la sua voce divenisse più potente. In principio vennero aggiunte canne della stessa grandezza, ma di differente diametro, in seguito invece intonate all'ottava e, successivamente, alla quinta. Ebbe così origine il complesso sonoro conosciuto sotto il nome di ripieno. Il famoso organo di Winchester, della prima metà del sec. X, descritto da Wolstano, di fronte a 00 canne possedeva solo 40 tasti senza alcuna suddivisione di registri. Come fossero accordate queste canne e se per ogni tasto ne risuonasse lo stesso numero non si può stabilire. G. Zarlino, che aveva avuto la ventura di possedere il somiere di un'organo di Grado, risalente al tempo della distruzione di quella città per opera di Popone d'Aquileia (1024), non era riuscito a conoscere il rapporto d'altezza esistente fra le due canne suonanti su un solo tasto. Dai teorici medievali sappiamo che si usavano i rinforzi di ottava, e se per l'altezza non era possibile continuare le serie di canne aggiunte, invece delle canne acute si collocavano canne all'ottava bassa delle note fondamentali. "Deficientibus itaque minoribus fistulis, sicut in praesente loco decimoquinto faciunt, qui C litteram notantur, veniat ad prioris C mensuram et maioris illius mensura unam fistulam loco vacuo reddat". Troviamo qui un primo esempio di ritornello, che testimonia della derivazione dei ripieni e dei registri di mutazione da questo primo tentativo di aumento di canne su un solo tasto. È indubbio che attorno a quest'epoca l'organo acquista le caratteristiche di massa sonora formata di file sempre più numerose di canne di differente altezza, regolate fra loro in rapporti di ottave ascendenti. Non è nota l'epoca in cui cominciarono a introdursi rinforzi intonati alle quinte acute.
Il vero punto di partenza, per l'evoluzione dell'organo medievale verso il moderno, fu l'invenzione del ventilabro, comandato dal tasto, che apriva l'aria a un canale, sul quale erano collocate tutte le canne suonanti su un tasto solo. Il ventilabro, potendo dare o chiudere il transito all'aria destinata alle canne, e funzionare automaticamente per effetto della quantità d'aria ricevuta, o per un meccanismo a comando, ha lo scopo di correggere ogni eventuale eccedenza d'aria. Per quanto numerose e notevoli siano state le innovazioni apportate durante i tempi alla meccanica dell'organo, resta nondimeno immutato, in sostanza, il funzionamento di tale ordigno. Con tale nuovo elemento l'organo finalmente progredisce dal punto ove era stato lasciato dall'antichità classica. Il ventilabro portava con sé l'impiego delle catenacciature, e così la meccanica dell'organo si pone su una via completamente nuova. Non si sa quando sia avvenuta tale innovazione, che intanto riuscì ben presto a trasformare l'organo: 1. in un piccolo strumento portatile, che l'organista portava a tracolla, mentre alzava i mantici con la sinistra e toccava i tasti con la destra, chiamato portativo o ninfale; 2. in uno strumento di medie proporzioni, che poteva anche trasportarsi da un luogo all'altro, ma che doveva essere collocato, posato su qualche mobile (positivo); 3. nell'organo d'ampie proporzioni, con canne grandi e altre caratteristiche a seconda dell'epoca e della scuola seguita dall'organaro. Sul positivo di regola si suonava a due voci, sull'organo a tre voci. Questi strumenti però non conoscevano ancora la divisione dei registri; Zarlino scrive: " ...nella chiesa del Santo di Padova ne vi era un antico di grandezza assai conveniente, del quale il sommiere avea molti ordini de suoni, che contenevano molte canne, nè perciò havea registro alcuno; le quali canne come fussero accordate, non si può sapere". Però gli organi di piccole proporzioni, nei quali la perfezione era in ragione inversa della grandezza, erano gli strumenti preferiti dall'antichissima arte organaria italiana e solo lentamente cominciarono a venire in voga gli organi costruiti in maiori forma qua fieri posset, come prometteva fare nel 1378 frate Filippino a Orvieto. I portativi i positivi e i regali (piccoli strumentini nei quali il suono era prodotto da una ancia rudimentale senza tuba o con tuba cortissima) erano le forme d'organo più comuni. Il rigabellum della chiesa di S. Raffaele di Venezia, di cui parla il Sansovino e risalente al 1312, non era che un regale, mentre il torcello, ricordato dallo stesso autore, rimane ancora uno strumento enigmatico. Con frequenza troviamo riprodotti questi organi piccoli nelle antiche pitture, tarsie e terrecotte italiane. Il più tipico rappresentante di quest'epoca è Francesco Landino, il cieco degli organi, che era anche un abile costruttore. M. Praetorius afferma che le prime tastiere cromatiche vennero introdotte nell'organo di S. Salvatore a Venezia verso la metà del sec. XIII.
È questo il tempo della costruzione d'importanti strumenti per le grandi cattedrali italiane. Maestro Zucchetto nel 1316 e Iacobello nel 1364 rinnovano gli organi di S. Marco a Venezia. Un maestro Laurentio ab Organis lavora a Padova nel 1361 e a Treviso nel 1363-64; frate Domenico da Siena nel 1388 costruisce gli organi per la cattedrale di Firenze e Martino de Stremidi di Concorezzo nel 1359 fa il primo organo del duomo di Milano. Forse a quest'epoca appartiene lo strumento antico ricordato dallo Zarlino, la cui tastiera aveva tasti decrescenti di larghezza dal basso verso l'alto.
All'estero, dove si dava la preferenza a strumenti di proporzioni grandi, gli organari, conquisi dalla scoperta del ventilabro, cercarono nel successivo sviluppo di questo, un mezzo per perfezionare l'organo. In un primo tempo si aumentarono i somieri contenenti le canne, dividendo il somiere del principale (Praestant) dal somiere del ripieno (Hintersatz, Nachsatz).
Nell'organo del duomo di Halberstadt, costruito nel 1361 da N. Faber, si erano disposte in modo ingegnoso le sonorità, aumentando il numero delle tastiere. Una prima di 22 tasti cromatici conteneva le sonorità del prestante (ottava) con il ripieno, una tastiera sottostante, delle stesse dimensioni, conteneva il solo principale, una terza di 14 tasti serviva per i bassi, in più esisteva una pedaliera di 12 note. Con questo sistema, suonando alternativamente sull'una o l'altra tastiera, si era riusciti a ottenere una modificazione dell'intensità sonora dell'organo. Un istrumento affine può ritenersi l'organo della cattedrale di S. Ciro di Nevers descritto da Arnaud de Zivolle nella prima metà del sec. XV. Sotto la tastiera normale esisteva una seconda tastiera, limitata alle 12 note più basse sulla quale suonavano solo le 12 canne più grandi dell'organo. Inoltre la stessa mediante un congegno poteva essere collegata alla tastiera soprastante.
Dopo tentativi e studî si pensò di applicare, oltre al ventilabro del tasto, un ventilabrino a ogni canna, congiungendo fra loro i ventilabrini appartenenti a un dato ordine di canne; nacque così il somiere a vento. Olandesi e Brabantini diffusero tale somiere nella loro patria, secondo Praetorius, verso il 1400. A Delft in Olanda si scoprì un somiere in cui sotto ogni canna esisteva un ventilabrino.
Nel noto positivo dell'altare di Gand, terminato nel 1432, è chiaramente segnato un manubrio di registro fissato con un gancio, particolare che accerta l'uso del somiere a vento. Gli organari latini invece, sfruttando la nuova invenzione del ventilabro, seppero associarvi quanto era già noto nell'organo classico: il semplice regolo forato, incassato fra le tavole del somiere, il cui spostamento ostruiva o apriva l'accesso dell'aria a una determinata serie di canne, al registro. Per la facilità del maneggio, questi regoli introdotti negli organi medievali dovevano essere piccoli: perciò ogni singola fila di canne ebbe il suo regolo separato, comandato da un registro. Tale innovazione è già conosciuta in Italia verso la metà del sec. XIV. Nell'allegoria della Musica, di Andrea da Firenze (Cappellone degli Spagnoli a S. Maria Novella, del 1355 circa) è riprodotto un organo, nel cui fianco destro si scorgono quattro manubrî per muovere i regoli dei registri. Anche il dipinto del 1375 di Marco Catarino (Maria Incoronata) dell'Accademia di Venezia rappresenta, in alto, un portativo con 3 registri. Il somiere a stecche (a tiro), nato dal puro sviluppo evolutivo della tecnica italiana, favorì l'impiego frazionato, non solo dei varî registri, ma delle singole file di canne costituenti il ripieno, dando così origine a una delle più belle e invidiate caratteristiche dell'antica organaria nostra, mentre il Settentrione, che conobbe prima il somiere a ventilabrini, non seppe più liberarsi dai registri di mutazione raggruppati per cori.
Con l'introduzione dei registri venne inoltre definitivamente abbandonata la consuetudine dell'uniformità di diametro delle canne. Giorgio Anselmi da Parma (sec. XV) ci fa noto che a quel tempo si praticava una diminuzione dei diametri, ma in proporzione minore di quanto si usa attualmente; mentre per ambienti più vasti si assegnavano dimensioni più larghe. I primi registri, che in Italia rappresentano il frazionamento del ripieno, nelle sue singole file, venivano denominati in base all'intervallo esistente col registro più basso, il principale. Nacquero così i nomi di ottava, duodecima, decimaquinta, decimanona, vigesimaseconda, vigesimasesta, vigesimanona, trigesimaterza, trigesimasesta, in parte tuttora in vigore. All'estero invece prevalse la consuetudine di aggiungere al nome del registro - che non sempre esprimeva la sua grandezza, come nelle denominazioni italiane - il numero, esprimente, in piedi, la grandezza della canna più bassa (p. es. 16 piedi, 8 piedi, 4 piedi; per i registri in quinta s'usava erroneamente l'espressione 12, 6, 3 invece di 10 2/3, 5 1/3, 2 2/3).
Vanno qui ricordati per l'Italia i maestri d'organo Ottone de Vocsalia (a Orvieto), 1400; Frate Giacomo (a Gemona), 1402-15; Nicolao de Alemanna (a Treviso), 1403; L. Leuber (a Brescia), 1420; Stefano di Cherso (a Venezia), 1423; Francesco da Montalto (a Orvieto), 1426; Paolo Ingegniero d'Atria (a Fano), 1427; e il famoso Tomaso Ingegniero (a Venezia). Attorno a quest'epoca si fanno numerosi i documenti riferentisi all'arte organaria toscana, della quale il più tipico rappresentante è Matteo da Prato (1391-1465), che svolse un'attività prodigiosa. Tutta l'opera di questo insigne maestro d'organi si deve inquadrare nell'ultimo periodo dell'organo medievale, considerandola come una conseguenza e un'evoluzione finale degl'indirizzi dell'Ars nova fiorentina. Il problema capitale, per questi strumenti, consisteva nel raggiungere un equilibrio fonico, disponendo in vario numero le canne nei bassi e negli acuti con prevalenza della parte soprana. Per via di confronto possiamo ritenere che questi organi italiani del primo Quattrocento abbiano avuto una composizione affine agli organi descritti da Arnaud de Zwolle. Diamo qui, in riassunto, lo schema di uno di questi organi.
L'organo di S. Pietro Martire in Parma costruito nel 1438 doveva contenere 400 canne. Negli organi italiani però non troviamo uno squilibrio così forte fra il numero delle canne delle parti basse e delle parti alte della tastiera: invece quest'ultima era più estesa.
Nel 1436 a Treviso lavora un Nicolao de Alemanna, che abbisognava di filo di ferro "ad infingenda (sic) regisiros et tastos". Pietro Albus di Allemania, abitante in Venezia nel 1464 s'impegnava a costruire per la pieve di Gemona un ottimo organo "registratum cum quatuor registris". Così Domenico di Lorenzo (Ravani) costruiva per la chiesa di S. Martino di Lucca nel 1480 un organo con 5 registri, la cui canna maggiore doveva misurare braccia 6 e mezzo e in più doveva avere "ne tinòri canne 6 per tasto et in li sovrani... canne 11 ... et ancora ... li contrabassi facti gli pedali dove sarà bisogno secondo lo modo consueto al modo dytalia" (sic).
Va ricordata la scuola pratese, che oltre Matteo diede numerosi organari, fra cui emerse sopra tutti Lorenzo di Giacomo Ugolini, del quale esiste ancora l'organo di 24 piedi in San Petronio a Bologna, del 1471, e che fondò una fiorente bottega organaria a Napoli.
Anche in Germania si era diffusa la conoscenza del somiere a tiro. Nel 1442 l'organo della chiesa di S. Martino di Groninga venne costruito con tale sistema di somiere da Martino Agricola. Tale data venne rilevata nel restauro dell'organo eseguito nel 1694. Per la Francia troviamo nello Zwolle il seguente passo, che può comprovare l'esistenza dei registri: "Organum autem misse Domini habet simplicia principalia in duo divisa, et, quelibet principalis duas quintas et unam octavam habet, et sunt ibi 5 registra, ut tu scis".
Altra innovazione importante è l'introduzione definitiva della pedaliera, la quale può anche essere considerata una conseguenza del prolungamento in basso della tastiera. Già nel 1442, nel rifare l'organo della cattedrale di Lucca, si faceva obbligo a Matteo da Prato di aggiungere due note in basso al vecchio strumento esistente. Nel 1464 per la pieve di Gemona si dichiara, che le canne dovevano discendere "per ordinem usque ad vocem cefaut extra manum"; nel 1487 per l'organo di S. Agostino di Perugia si disponeva, che "dicto organo auerà tasti 47 contandovi cinque contrabassi, che auerà socto cefaut". Non potendo l'organista sfruttare con le mani questo prolungamento in basso della tastiera, si erano aggiunti i pedali, Come sappiamo per l'organo di S. Martino di Lucca. Così si spiega il formarsi d'una tradizione italiana esistente certo prima del 1470, anno in cui il Praetorius afferma che la pedaliera sia stata diffusa a Venezia da Bernardo il Tedesco. Nei paesi settentrionali, in armonia con il differente sviluppo dell'organo, l'introduzione della pedaliera assume altri caratteri. Al brabantino Louis van Verbecke, morto nel 1310, si attribuisce l'invenzione del pedale, secondo l'interpretazione data a un passo della cronaca di Nicolaus de Clerk, scritta fra il 1319 e il 1350. L'organo di S. Nicola di Utrecht, costruito prima del 1450, fra le altre particolarità possedeva una pedaliera, che metteva in funzione un solo registro proprio (tromba). La pedaliera con i registri indipendenti diverrà appunto una prerogativa dell'arte organaria settentrionale.
I primi tentativi di registrazione dell'organo tendevano unicamente al volume sonoro; in seguito si sviluppa anche il senso del timbro. Nascono così i registri imitanti il timbro di strumenti a fiato. Questo fenomeno ha maggiore sviluppo all'estero, mentre i flauti sono gli unici registri usati in Italia nel Quattrocento, che esorbitavano dal campo delle sonorità puramente organistiche.
L'unione del regale o del positivo all'organo grande non era ancora conosciuta in quel tempo. Il registro dei flauti s'incontra, per la prima volta in Italia, nel 1480, nell'organo di S. Martino di Lucca; dal modo come è menzionato, sembra un registro di nuova introduzione per quell'epoca. Questi nuovi registri in origine erano di dimensioni piccole. Nell'organo di S. Maria della Pace in Roma (del 1506) sono inclusi i flauti in quintadecima de li tenùri, cioè di due piedi. Il principale viene infatti chiamato a volte anche tenore, forse per diretto influsso dell'Ars nova fiorentina, che assegnava all'organo il compito di eseguire la parte del tenore nell'elaborazione strumentale dei mottetti polifonici.
Il ripieno (formato dalle file di canne dall'ottava fino alla trigesima sesta) assume la sua costituzione definitiva e vengono fissate le norme per i ritornelli.
Il diametro delle canne, che ha per conseguenza la determinazione del timbro acustico, acquista quelle misure caratteristiche che diverranno universalmente note col nome di misure italiane. La forma delle canne sarà limitata alle canne aperte cilindriche, mentre il materiale per la sua costruzione potrà variare dal metallo al legno e perfino dall'alabastro al cartone. L'estensione della tastiera raggiungerà i 53 o i 54 tasti. Se dal punto di vista delle diversità dei registri e della grandezza, gli organi esteri possono essere superiori agl'italiani, tecnicamente e fonicamente erano invece di gran lunga inferiori. Diversamente non si può spiegare il grande sviluppo, che ebbe la musica organistica in Italia, in confronto all'estero, all'epoca di un Merulo e di un Frescobaldi. L'organista pratico, in primo luogo, ha bisogno di uno strumento che ubbidisca prontamente alla sua fantasia: la complessità di voci è perciò affatto secondaria e da posporsi in ogni caso alla loro bontà. Perciò tutta la tecnica organaria italiana dei secoli XVI e XVII, il periodo del massimo fiore della letteratura organistica italiana, non sente grande bisogno di allargare le risorse foniche dell'organo italiano; ma invece cura la perfezione dei registri esistenti e la buona esecuzione tecnica, di cui ogni organaro coscienzioso sarà orgoglioso. La grande famiglia degli Antegnati, che sapeva infondere un alito di vita nei proprî strumenti, domina per più di un secolo l'arte organaria italiana. Costanzo, Graziadio, Bartolomeo sono gli organari più perfetti e meritamente più celebri del Cinquecento italiano. Sotto le abili mani di questi maestri l'organo si piega alle più morbide sfumature e le sue sonorità acquistano una bellezza che rimane tuttora insuperata.
Continuando lo sviluppo dell'organo quattrocentesco, l'organo italiano del Cinquecento aggiunge un nuovo genere di sonorità, certamente favorito dall'influsso della musica vocale (che si voleva imitare) e ottenuto mediante la produzione simultanea di suoni con due canne della stessa grandezza, ma accordate con una leggiera differenza. È questo il registro del fiffaro o della voce umana, basato sul tremolo acustico, registro che caratterizza i nuovi ideali della musica di quel tempo.
Costanzo Antegnati menziona parecchie volte questo registro. Secondo M. E. Bossi, fino dal sec. XVI si riscontra la "voce angelica" (Siena, Arezzo, 1536), ehe si può ritenere un registro analogo al fiffaro, forse all'ottava superiore. Nel contratto per l'organo di S. Crispolto in Bettona (Umbria) del 1564 si chiedeva la costruzione del tremolante, che anche l'Antegnati insegna di usare coi principali, con l'ottava e col flauto in VIIIª. Quantunque il Serassi identifichi il tremolante con la voce umana, evidentemente si tratta del vero tremolo prodotto dall'oscillazione dell'aria.
A quest'epoca cominciano a essere incorporate nell'organo le canne ad ancia finora usate per il regale. Nel contratto per l'organo del duomo di Milano, costruito nel 1552 da Giangiacomo Antegnati, era prospettata la possibilità di aggiungere un trigallo "qual farà voce de pifferi di tromboni, di cornamuse, di flauti, di tremolanti, de rossignoli, con tamburi et altre simili fantasie". Per trigallo si deve intendere regale. Se questo registro non poteva raggiungere tutte le sonorità sopramenzionate, tuttavia doveva fare "ottimo effetto negli organi" come afferma G. B. Doni, quantunque giudicasse il loro suono "squaquerato e crespo". Anche Onofrio Zeffirini nel restauro dell'organo di Santa Maria del Fiore in Firenze eseguito nel 1569 vi aggiunse i tremolanti e le sordine, le quali ultime si possono intendere come una nuova forma di regale, analogo probabilmente al tedesco Ranketregal, in cui un tubo chiuso copriva totalmente la piccola canna cilindrica sovrastante all'ancia. Alla famiglia dei regali apparteneva pure la cornamusa usata in Italia fin dal sec. XVI. Ma per gli Antegnati la parte essenziale, anzi si può dire tutto l'organo, consisteva nel ripieno con i principali, le cui canne erano eseguite con particolare studio nella giusta proporzione delle loro parti. Caratteristiche sono le misure dei diametri usate dagli Antegnati. Nell'organo di S. Giuseppe in Brescia, che conserva ancore le canne originali, l'organaro Armando Maccarinelli riscontrò i seguenti dati:
Da questi dati risulta una tendenza a diminuire i diametri sotto la misura normale nelle file acute dei ripieni. In complesso le dimensioni si mostrano strette, anche in confronto con le misure usate dalla scuola tedesca classica; fatto, questo, che certo contribuisce a dare il timbro argentino alle sonorità, e ad aumentare la chiarezza nelle esecuzioni polifoniche. I ripieni normali degli Antegnati si estendono fino alla vigesimanona della nota fondamentale, che poteva essere un principale di 8, 12 o 16 piedi. A volte vengono usati 2 principali, e da questo sdoppiamento del principale gli Antegnati fanno derivare il contrabbasso nell'organo. Il secondo principale dell'organo del duomo di Brescia (1536) venne diviso in bassi e in soprani, perché al do cominciano a suonarsi "li bassi col pedale e non con la tastiera come fanno li suddìti soprani". Nell'organo del duomo di Milano è fatta esplicita menzione dei contrabbassi, che dovevano essere di 24 piedi e perciò scendere più in basso della tastiera. Le canne coperte non sono normalmente usate dagli Antegnati; l'organaro Barcotto nel 1652 scrive: "Non è dubbio alcuno che le canne coconade non siano una bella invenzione per formare organi grossi, e di voce grave, acciò tengano poco luogo, e possino capire nelle chiese piccole e anguste". La disposizione degli organi Antegnati si mostra la più propizia, date le caratteristiche dei singoli registri che la compongono, per la formazione dei suoni sintetici. Da questo fatto si sviluppa tutta una tecnica speciale di combinare fra loro i singoli registri: la grande capacità di fusione dell'antico organo italiano giungeva non solo a dare un tono unitario alle singole file di canne suonanti su un tasto solo, ma ancora a produrre delle meravigliose fusioni negli stessi accordi, che venivano formandosi nel corso dell'esecuzione, in maniera che scaturivano certi effetti di sonorità di cui si vede fatto tesoro nelle composizioni dei grandi maestri italiani dell'organo. Su qualche dissonanza l'organo acquista ampiezza di voce, con effetto suggestivo, mentre in altri punti con accordi perfetti la sonorità sembra quasi rattrappita.
Sulle qualità meccaniche degli organi Antegnati sappiamo che la tastiera era di 50 tasti dal do al fa, con la prima ottava in sesta e con i tasti "che si possono tuore et mettere" e di tocco leggiero, come afferma Costanzo nell'Arte organica. La pedaliera poteva raggiungere i 20 tasti come nell'organo del duomo di Brescia. Il somiere era costruito con particolare perizia. Sembra che per opera degli Antegnati trovasse larga applicazione il somiere a ventilabrini, che dopo tale epoca cominciò a diventare il tipo preferito in Italia. Il Barcotto nella sua Regola (1652) ne fa i più grandi elogi, criticando il somiere a tiro, contrariamente a quanto avverrà in Germania. Il citato trattatello del Barcotto, quantunque direttamente non menzioni gli Antegnati, è una piena conferma delle caratteristiche dell'arte organaria, come era intesa dalla scuola bresciana. In 18 capitoli vengono esposte le nozioni più importanti, per chi voglia far costruire organi, le quali nozioni sono oggi, data la scarsità di particolari tecnici sull'antica organaria italiana, preziosissime. Il lavoro, tenuto in un'atmosfera meno elevata dell'Arte organica, sotto un altro aspetto, colma, in parte, le lacune tecniche lasciate da questa, dandoci importanti delucidazioni sullo stato dell'arte organaria italiana a quei tempi.
Sulle orme tracciate dagli Antegnati crearono le loro opere tutti i grandi organari cinquecenteschi, che fiorirono in ogni regione d'Italia. A Venezia il Colombo, il Colonna, Bastiano da Verona, G. B. Facchetti, il Torriano, il Trasuntino; a Roma il Blasi e il Cipria; in Toscana Onofrio Zeffirini, i Romani, Agostino Beni da Cortona, Benvenuti Domenico (1587), Bernardo d'Argentina domenicano (1556), Lucca di Bernardino da Cortona e Palmieri Francesco; a Napoli la famiglia dei Di Palma, e Tondo Francesco; in Lombardia i Valvassori, i Maineri, e in Sicilia Raffaele La Valle. Se questi artisti continuano le tradizioni degli organi italiani classici, tuttavia sulla fine del Cinquecento cominciarono a diffondersi, per opera di organari stranieri, strumenti con registri assai variati. A. Banchieri, nei primi decennî del Seicento, scrive (Organo suonarino): "L'organo musicale lo scorgiamo da dieci lustri in qua ridotto (per così dire) a perfezione; modernamente è stato un organaro Vincenzo Vulfangh Fiammingo qual'ha eretto due organi, l'uno nel duomo di Orvieto e l'altro in S. Pietro d'Ugubbio". Il contratto col Fulgenti per l'organo di Orvieto, stipulato nel 1591, conferma le particolarità date dal Banchieri. Dallo stesso risulta che quest'organo aveva 26 registri e precisamente "12 registri di ripieno, flauto coperto in XIIª, flauto a cannello in XVª, flauto a fuso in XIXª, piffero traverso, tromboni della duodecima, regali della quintadecima, voci umane della decimanona, ciamballetti (da unirsi coi flauti e traversi), e i registri di grilli, di rossignoli (nei quali ogni tasto farà l'effetto della sua voce appartata), del tremolante, di due tromboni, di voci di cuculi e di sonalini". Il complesso sonoro era diviso su due tastiere, disposte per due organisti; però un suonatore solo poteva suonare tutt'e due le tastiere (cioè i due organi), senza muoversi dalla tastiera principale. Una disposizione simile si riscontra nell'organo di Santa Maria in Aracoeli in Roma dove i due organi costruiti dal Benvenuti e dal Palmieri nel 1601 vennero ridotti in maniera "che la tastiera dell'organo grosso, quando l'organista voglia, abbia da far suonare la tastiera dell'organo positivo". Ma la pluralità delle tastiere sovrapposte fa capolino in Italia, per la prima volta, nell'organo di Santa Maria Maggiore in Trento costruito nel 1539 da un M° Caspar tedesco, il quale aveva pure introdotto in quest'organo registri fin'allora sconosciuti in Italia e dovuti ai progressi fatti nella Germania meridionale, che verso la fine del Quattrocento ebbe il primato nelle innovazioni della tecnica organaria. I tentativi di creare strumenti bizzarri in Italia trovano più facile campo nei positivi creati in via di massima sia per i concerti privati, sia per passatempo delle corti principesche.
Il Bottrigari fra gli strumenti del duca di Ferrara ricorda un "Organo a chiozzola, o diciamo a voluta, o vero a vite, con le canne tonde di legno di bosso di assai notevole grandezza e misura tutte di un pezzo a guisa di Flauti". A Milano Isacco Argiropulo nel 1473 fornisce la corte ducale di ottimi positivi, confermando la fama, che lo aveva preceduto di essere "il più singolare homo in questo mestiere che abbia in Italia". Un positivo del pavese Lorenzo Gusnasco passa a Venezia, in possesso di Caterino Zeno verso la fine del '400, altamente ammirato e conservato gelosamente dalla famiglia, finché dopo l'estinzione della stessa, trovò collocamento nel museo Correr. Sebastiano Gollino di Napoli aveva costruito un organo di alabastro. Comperato dal marchese Federico Gonzaga nel 1522, tanto lo apprezzava da scrivere che "ueramente no se potria sufficentemente laudar una tale opera". Nicolò Vicentino aveva ideato un arciorgano formato di un positivo, sul quale si potevano eseguire i tre generi antichi di musica: diatonica, cromatica, enarmonica, cui miravano tutti i teorici cinquecenteschi. Molti positivi erano muniti di numerosi e complicati congegni: si ricorda, a tal riguardo, un complesso positivo italiano descritto in documento del 1581 esistente fra gli atti della corte bavarese, e strumenti di Domenico Vani da Feltre lodati dal Banchieri.
Astraendo da queste complicazioni del puro tipo dell'organo, non si può negare l'importanza dei positivi nella vita musicale cinquecentesca. Infatti ad essi era affidato un compito non indifferente come strumento accompagnatore del canto e come elemento prezioso per fondere i disparati timbri dell'orchestra cinquecentesca. Lo studio delle sonorità dei positivi può portare un notevole contributo per l'interpretazione di quelle musiche. Fuori d'Italia, l'organo cinquecentesco presenta pure un quadro assai variopinto. La caratteristica più saliente dell'organo francese è data dallo sviluppo dei registri di taglio largo, con prevalenza del cornetto a più file, al quale si affidava l'esecuzione del cantus firmus; per contrario l'organaria tedesca del sec. XVI a tale scopo svilupperà i registri d'assolo, sia della famiglia delle ance, sia delle canne labiali di taglio stretto. Anche i principali e i registri di mutazione a più cori (misture) tenderanno verso una più spiccata individuazione. Arnold Schlick nel suo Spiegel ci dà un quadro esauriente dell'organaria tedesca agl'inizî del sec. XVI. In Spagna troviamo i registri metodicamente divisi in bassi e soprani, mentre il pedale assume grande importanza per l'esecuzione del cantus firmus. La vivacità di colore dell'organo spagnolo è ottenuta mediante il grande impiego di ance a tuba normale, per le quali, successivamente, si trova una collocazione originale in prospetto, con la tuba orizzontale rivolta verso l'esterno. Durante il sec. XV all'organo grande, collocato su vaste cantorie, viene unito un piccolo organo positivo, che trova posto nel parapetto della cantoria stessa, mentre si riesce a risolvere il problema meccanico di collocare la tastiera del positivo sotto quella dell'organo grande. L'organista sta fra i due corpi sonori. Questa forma d'organo nasce nella Germania meridionale e di là passa in Francia, in Olanda e nella Germania del N. In seguito sotto il somiere principale dell'organo grande si trova pure il posto per il regale. In Olanda, invece del regale, si preferisce includere ance a tuba normale, che naturalmente non possono trovar posto sotto il somiere grande, e perciò si collocano sopra di esso. Queste aggiunte determinano in via definitiva, al di là delle Alpi, l'uso di più tastiere.
Il Lobsinger introduce il mantice a piega unica, ma solo dopo la scoperta dell'anemometro, fatta nel 1667 da Cristiano Forner, fu possibile un razionale sfruttamento dell'aria. La scoperta non ebbe un pronto riconoscimento.
La frequente introduzione di nuovi registri aveva creato in Germania, alla fine del '500, un tipo d'organo nel quale le singole sonorità erano disposte senza alcuna preoccupazione di reciproca fusione e perciò senza il predominio di un gruppo speciale. Questo tipo d'organo è ampiamente documentato nel volume II dell'importantissima pubblicazione del Praetorius Syntagma musicum, che ha per sottotitolo De Organographia. Questo scrittore distingue otto gruppi di canne: I, la famiglia dei principali; II, i flauti di legno; III, la famiglia delle canne di forma conica; IV, quintadene, flauti traversi; V, bordoni; VI, flauti a camino; VII, ance aperte; VIII, ance chiuse.
H. Schrerer, G. Fritsche, E. Compenius, sono gli organari tipici di questo periodo, in cui trionfa l'arte organaria della Germania settentrionale. Julius Beck, Gilles (Masegiles) Brebos si affermano nei Paesi Bassi.
Dell'arte organaria francese di questo periodo veniamo edotti dall'opera di M. Mersenne, Harmonie universelle. Anche qui predomina una stilizzazione delle sonorità dei fiati, ma senza che siano mai perduti di vista i timbri prettamente organistici.
Successivamente in Germania, con le canne labiali di tipo largo, si forma un gruppo, disposto in forma ascendente piramidale, contrapposto al gruppo dei principali coi ripieni. Le ance, normalmente di 8 piedi, e i registri staccati d'assolo passano in seconda linea.
In Italia, di tutte queste innovazioni non si sente bisogno e perciò la diffusione di alcune caratteristiche per opera di organari stranieri non trovò consenso. I più noti organari italiani continuano perciò a lavorare secondo le norme degli Antegnati e dei Barcotto. Ricordiamo per questo secolo: Giacomo Andronico di Palermo, Bonifazio Cerricola e il Burzi di Roma, Antonio del Corno e Colonna, Armodio Maccioni di Cerreto, il Malanini, il Prati, i Ravani, i Traeri, il Virchi.
Una delle figure più notevoli per la diffusione dell'organo straniero in Italia è il gesuita laico W. Herman nativo di Maastricht (Olanda), sceso in Italia verso la metà del 1600. Costruì il grande organo della basilica di Carignano a Genova (1657-1660), il primo organo italiano a tre tastiere e pedaliera, e quello della cattedrale di Como (1630), di cui lasciò la descrizione per far conoscere le novità "non più udite in Italia". Lavorò anche a Pistoia (1660), a Palermo (1673), a Orvieto (1674), a Mantova e a Firenzuola. L'organo del Herman rispecchia fedelmente la tendenza dell'organaria barocca settentrionale. Basta riprodurre la disposizione della prima tastiera dell'organo del duomo di Como per comprendere come quest'organaro sia un precursore dei nuovi indirizzi verso i quali si orienterà l'arte organaria.
La seconda tastiera invece era pensata soprattutto per ottenere gli effetti di eco, ai quali mostrava particolare tendenza la musica di quel tempo.
Un altro organaro, contemporaneamente al Herman, era sceso in Italia: Eugenio Gasparini (1624-1706), il quale in oltre 50 anni di permanenza costrusse organi basati su una concezione organaria differente dalla consuetudine italiana. Anche il Gasparini, nella costruzione dei registri del ripieno, entra nell'orbita dell'organaria italiana, ma non tralascia d'introdurre nei suoi organi registri improntati, per diametro e intonazione, al gusto tedesco (S. Giustina di Padova, 1678-81; S. Giorgio Maggiore di Venezia; S. Maria di Trento, 1687). Ritornato in patria costruisce il suo capolavoro, l'organo di Görlitz. La sua tecnica organaria è fortemente modificata dall'influsso italiano subito (voce umana, ripieno). Gasparini, diffondendo registri e particolarità proprie nell'arte italiana, a sua volta influisce grandemente sull'organaria tedesca, che vede sorgere nello scolaro del Gasparini, G. Silbermann (nato il 14 gennaio 1683, morto il 4 agosto 1753), il più grande organaro della Germania. Il pregio maggiore degli organi Silbermann è dato dal timbro argentino, che costituisce pure il carattere tipico dei ripieni degli organi italiani antichi. Il geniale artista, che oltre al fascino delle sonorità italiane subisce gl'influssi della scuola francese, crea un organo che è conosciuto per il più perfetto tipo dell'organo bachiano. La Germania settentrionale aveva già dato un grande organaro, Arp Schnitger (9 luglio 1648-28 luglio 1718). Altri eminenti artisti del tempo sono Joachim Wagner (nato nel 1690, morto nel 1750 circa) e Zacharias Hildebrand, il migliore discepolo di Goffredo Silbermann. Indirizzi personali seguono Joseph Gabler, autore del noto organo dell'abbazia di Weingarten e Karl Riepp che per i contatti francesi subiti continua la tradizione degli organari che tentano di fondere le migliori caratteristiche delle varie scuole.
L'arte francese continua a frazionare in numerose tastiere i timbri coloristici. In Francia i Thierry, i Lépine, gl'Isnard, i Dallery e soprattutto i Cliquot si affermano per la superiorità delle loro ance.
Il Settecento francese, che s'era messo alla testa del movimento culturale, non dimenticava l'organo dal punto di vista teorico. A cura del benedettino don Bedos de Celles (1709-1779) viene pubblicato L'art du facteur d'orgues (1766-1778), che fa parte dei monumentali volumi della Description des arts et métiers, faite ou approuvée par MM. de l'Académie des Sciences, opera capitale, che ebbe grande influsso sullo sviluppo dell'organo e che conserva tuttora un alto valore.
In Inghilterra solo dopo la Restaurazione, nel 1660, l'organaria si pone su una via nuova, per opera di Bernard Smith venuto dalla Germania, e di John e Renatus Harris ritornati in patria dopo una lunga permanenza in Francia. Nella buona organaria inglese si notano: la famiglia Dallam, J. Snetzler, R. Bridges, S. Green, B. Flight, H. C. Lincoln, la ditta Gray e Ellison, la maestranza T. Elliott e Hill, J. Bishop e i nipoti del padre Smith. In Italia la persistenza, sia pure trasformata, dell'ideale vocale, ampliato con le preferenze per le sonorità violinistiche, limitò lo sviluppo nazionale dell'arte organaria. La registrazione dell'organo italiano si divide in due grandi famiglie, le quali trovano pure ben distinta collocazione nelle disposizioni dei manubrî, che vengono disposti in due file verticali a destra delle tastiere. L'uno serve per i registri delle famiglie dei principali con le file del ripieno, l'altra per i registri di concerto, divisi in bassi e soprani (derivati in parte dalla trasformazione della serie dei registri di diametro largo, che non vengono più disposti nel conseguente ordine piramidale dell'organo barocco tedesco); e intanto l'organo si fuorvia in tendenze orchestrali. In questa registrazione si comprendono la famiglia delle cornette (disposte nei soprani) a file semplici e composte, dei flauti, a cui si aggiungono, con modeste funzioni, alcuni registri delle famiglie dei registri mordenti: la viola di 8 piedi e la violetta di 4 nei bassi e qualche registro dal diametro larghissimo e dalla forma conica rovesciata: i corni dolci. Anche le ance a imitazione della scuola francese cominciano a diffondersi. La base dell'organo resta sempre la tastiera unica. Una seconda tastiera è usata per effetti di eco; ha perciò le stesse caratteristiche della prima, con proporzioni minori. Si sente il bisogno di richiamare collettivamente i registri di ripieno: nasce così il tiratutti, usato già nel 1701 dal Catarinozzi nell'organo della cattedrale di Anagni. Il problema di ridurre l'aria "ad una uniformità sempre uguale" è risolto con l'introduzione del mantice di compensazione, che troviamo applicato in un organo costruito in S. Antonio di Padova nel 1770. Si tentano altre innovazioni meccaniche, come il perfezionamento del ventilabro, proposto in Toscana nel 1775; ma questi progressi non riusciranno ad allontanare l'organo italiano dagl'indirizzi tradizionali, sui quali era ormai basato.
Vanno però segnalati alcuni organari d'eccezione: il primo di questi è Azzolino della Ciaia, che ideò un organo a numerose tastiere, derivante in parte dalla scuola francese. Verso la fine del Seicento la Toscana aveva ospitato un organaro francese, G. Billori. A Firenze l'organo di S. Gaetano, munito di 3 tastiere, conferma l'influsso francese. Azzolino della Ciaia, che conobbe certamente questo strumento, ricorda in una sua lettera, insieme con gli organi di Trento e Amburgo, anche quello di Marsiglia, che forse nei suoi viaggi giovanili poté visitare. L'organo ideato dal Della Ciaia per la chiesa dei cavalieri di S. Stefano in Pisa era a 4 tastiere. La prima, il positivo, contava 15 registri fra cui un nazardo, un cornetto e 4 registri ad ancia; la seconda, il grande organo con 32 registri; la terza tastiera, il recitativo, aveva 2 principali, la voce languente, il flauto a fuso di 4 piedi, un nazardone, un cornettone, i corni di caccia, la tromba, il flagioletto, la voce umana; la quarta tastiera; per l'eco, aveva 7 registri di ripieno, un nazardo e un regale. La pedaliera constava di bassi, bassetti e contrabbassi.
L'iniziativa del Della Ciaia non ebbe imitatori. Solo qualche registro particolare riuscì a incorporarsi al patrimonio della fonica italiana. Problemi di complicata meccanica più che di fonica si propone Donato Del Piano (nato nel 1698 a Nivano, Aversa, morto a Catania nel 1775). Il suo capolavoro è l'organo della chiesa di S. Nicolò dei benedettini in Catania. Quest'organaro usa molte tastiere, ma dispone le stesse in maniera insolita. Le tre tastiere centrali sono accompagnate da altre due collocate ai fianchi delle stesse, in modo che tre organisti possono sedere contemporaneamente all'organo. Il materiale fonico è pure disposto in modo completamente personale. Qualche particolarità meccanica riuscì però ad affermarsi in Sicilia, ove il Del Piano trovò un imitatore in Francesco La Grassa (1802-1867) che nell'organo di S. Pietro di Trapani dispose 7 tastiere, di cui 2 laterali.
Una posizione affatto particolare occupa l'arte organaria veneziana del Settecemo. La città, che fu il centro della vita strumentale italiana, in fatto d'organo si mostra d'un indirizzo conservativo: ancora verso il 1740 l'organo di S. Marco a Venezia aveva la disposizione, ricordataci dal Mattheson, di un organo quattrocentesco, senza ance e perfino senza la così tipica voce umana. Nel Settecento s'era intanto sviluppato un altro indirizzo, che ben presto prese il sopravvento. Dall'officina del Piaggia o Piazza uscì Pietro Nacchini (1694-1770) che, superato il proprio maestro, studia l'organo anche sotto l'aspetto scientifico, accettando le teorie del matematico padre Dechales, esposte in varî capitoli del vol. III della sua opera Mundus mathematicus, seu cursus scientiarum mathematicarum. Riesce così a creare un tipo d'organo che si allontana sotto qualche aspetto dalle consuetudini italiane. Allarga le dimensioni dei suoi principali e delle canne dei ripieni, che acquistano più pastosità. La ricerca dei suoni sintetici è maggiormente intensificata, ed anzi troviamo una tendenza a voler ottenere molti effetti con pochi registri, mediante opportune combinazioni; caratteristica criticata dal Serassi, maggiormente orientato verso l'organo romantico. Anche nelle disposizioni degli organi di questa scuola troviamo la netta distinzione fra registri di ripieno e registri di concerto. Il Nacchini crea ottimi discepoli, fra i quali gl'italiani Moscatello, Dazzi e Callido (v.). La corrente nuova ha il sopravvento. Nel 1760 G. A. Callido diventa organaro di S. Marco e il suo nome si fa celebre, tanto da impersonare tutta l'arte organaria veneziana. È doveroso accennare a un altro influsso esercitato da questa nuova corrente veneta. Fra gli allievi del Nacchini si devono ricordare alcuni stranieri Luka Teržić, I. Kačić e soprattutto F. S. Crisman di Rifembergo (Gorizia), nato il 22 ottobre 1729, morto a Rottenmann (Stiria) il 20 maggio 1795. Attraverso le opere di quest'artista le caratteristiche dell'arte italiana si diffondono, con successo, specialmente nell'Austria. Le disposizioni di molti organi del Crisman sono tipicamente veneziane, mentre l'uso di registri non comuni alla tecnica italiana (come anche l'introduzione di parecchie tastiere) è dovuta al criterio ottimo di voler conservare il materiale fonico esistente, in organi che doveva ricostruire. Fa uso della voce umana, che chiama onda di voce umana, Filomela (?), voce humana ital., e dei registri di flauti disposti in file diverse, decrescenti di grandezza e solo nella parte soprana. A volte introduce denominazioni italiane inusitate, per denominare registri assai noti: Maschiotti p. Tromboncini, Ciuffoli per cornetti (decimini). Il capolavoro del Crisman è l'organo di St. Florian nell'Austria superiore. Per tornare agli artisti italiani, oltre gli organari già menzionati, si ricordano ancora nel secolo XVIII i seguenti: il Barbini e il Merlini organari assai quotati a Venezia; il Biroldi fondatore della scuola organaria varesina; il Piantanida a Milano; il Bolognini di Brescia; a Roma la famiglia Alari, i Testa e il Verlé; in Toscana i Tronci e i Ramai; a Verona gli Amigazzi e il Zavarisè e la scuola bergamasca coi Bossi e coi Serassi, che riusciranno a dominare il campo organario italiano. Prima di abbandonare questo secolo è opportuno accennare al contributo che derivò, alla tecnica organaria, dallo sviluppo della meccanica.
I tentativi d'incorporare nell'organo complicati congegni meccanici si fanno palesi già nel Seicento. Atanasio Kircher nella sua Musurgia universalis descrive il funzionamento dell'organo automatico. L'automatismo s'infiltra pure nell'organo normale, in certi congegni che tentano di imitare le più svariate voci degli animali o che durante il suono devono produrre il movimento di figure. A questa categoria appartengono i registri degli uccelli: dei rossignoli, del cuculo, dell'anitra, ecc., nonché il tamburo, il sistro cinese e i campanelli. Solo spinto dal bisogno di creare ingegnose costruzioni meccaniche, Michele Todino, dopo parecchi anni di lavoro riesce a ultimare un complicato strumento che chiama "macchina maggiore" composto di 7 strumenti, "4 da penna, due da arco e uno da vento: cioè un organo situato in due facciate da suonarsi senza esser obbligato di levar le mani da una tastatura di cimbalo".
È anche da ricordare Lodovico Gavioli (5 agosto 1807, 21 giugno 1875) che, se divenne celebre per i suoi strumenti automatici, portò però anche notevoli innovazioni tecniche, che vennero adottate universalmente nell'organo normale: tra l'altro, un freno armonico applicato alla bocca delle canne, che porta ancora il suo nome.
Il Settecento vede nascere, del resto, anche altre due scoperte importantissime: nel 1755 J. S. Hausdörfer escogita il somiere a pistoni, nel quale s'inverte l'ordine delle coordinate, mantenuto costantemente dal Medioevo in poi, e si ritorna al principio, già sfruttato nell'antichità classica: non è il ventilabro del tasto che dá adito all'aria, ma il meccanismo del registro. La cassa espressiva scoperta, inventata dagli organari inglesi Jordan nel 1712 è tuttora il più fortunato mezzo per dare un colore dinamico alle sonorità dell'organo. Ma queste scoperte del secolo XVIII verranno valorizzate solo dal secolo seguente, il quale si trova sotto il diretto influsso di un altro indirizzo estetico: il romanticismo.
In Italia non troviamo forme nuove. Già l'organo settecentesco, con la duplice distinzione di registri di ripieno e registri di concerto, aveva aperto la porta allo sviluppo dell'organo romantico italiano, che si sbizzarrisce nell'ampliare la serie dei registri di concerto con sonorità sgargianti e con timbri imitanti le bande militari. Caratteristici di quest'epoca sono gli ottavini e i fischietti acutissimi nella parte bassa della tastiera. La famiglia Serassi (v.) diventa l'esponente di questo movimento, quantunque si fosse già affermata nel secolo precedente.
Non formati alla scuola del Serassi, ma imitanti le sue caratteristiche, si contano numerosi organari, che ebbero notorietà nel secolo scorso. Nella prima metà dell' '800 troviamo il Damiani a Bergamo, il Conconi a Torino, il Montesanti a Mantova, il Prestinari a Magenta. Nella Toscana s'afferma Michelangelo Paoli, ma superiori a tutti, per l'accuratezza con cui finiscono le loro opere, sono i Carrera, le cui canne superano in perfezione tutta la restante produzione italiana. A Vicenza acquista notorietà G. B. de Lorenzi, a cui sono dovuti interessanti tentativi di aumentare l'intensità del suono mediante un maggiore spostamento del tasto (organo fonocromico). Il Bianchi da Novi Ligure e il Locatelli da Bergamo si affermano dopo la seconda metà del secolo. Ma i Lingiardi di Pavia (v.) possono essere considerati i veri continuatori dell'opera serassiana. Il Morettini, i Bernasconi e l'Inzoli sentono la necessità, pur conservando il carattere italiano dell'organo, di una riforma delle consuetudini che avevano isolato il nostro tipo d'organo in maniera da rendere impossibile l'esecuzione di quasi tutta la letteratura organistica straniera. All'estero durante il secolo XIX si afferma l'esigenza dei contrasti d'intensità dal piano al fortissimo. Il colore viene sostituito dall'intensità, si introducono i registri dolcissimi, le tastiere acquistano lo schema di sonorità decrescenti. I registri di mutazione del gruppo largo si eliminano o si trasformano in misture e nell'organo pieno entrano in funzione tutti i registri. Riducendo le ance, si preferiscono i registri labiali stretti, i flauti grossi, con successivo predominio quasi assoluto degli 8 piedi per i registri di assolo. L'abate Vogler favorisce il grande uso della cassa espressiva, mentre abbandona le mutazioni a più file, che ritornellano, per sostituirvi registri strumentali di varie dimensioni, adibiti anche alla produzione degli armonici superiori, a colorire il suono per via sintetica e infine a sostituire nel complesso le misture. Le tastiere poi vengono divise per colori orchestrali. Questi principî sono la base della riforma organaria, chiamata sistema di semplificazione. Giova osservare, che non senza influsso sul Vogler fu la sua permanenza in Italia, anche in fatto di organo. L'abolizione dei registri di mutazione a più file e l'uso delle mutazioni semplici, per raggiungere, in unione con altri registri, nuove sonorità, deriva dalla tecnica italiana; la divisione dei registri in bassi e soprani, offre tutte le caratteristiche della consuetudine italiana, affermatasi durante il sec. XVIII. Su tutte le correnti romantiche domina imperante il principio dell'imitazione strumentale; l'organo romantico usa perciò i registri con concetto orchestrale, combinando registri che non si fondono: i registri sopra gli otto piedi sono considerati raddoppî e si impone di conseguenza la limitazione delle misture inorchestrali. L' organo americano moderno è un'amplificazione di questi principî. Entro quest'orbita va segnalata la comparsa di figure assai notevoli. A E. F. Walker di Ludwigsburg (morto nel I872) è dovuto il consolidamento di un'officina organaria più che centenaria. La prima opera, che diffuse la fama di questo costruttore, fu l'organo della chiesa di S. Paolo a Francoforte sul Meno (1833), nel quale per la prima volta ottenne il registro di 32 piedi di legno, aperto. Sensibilità artistica ancora più raffinata ebbe Aristide Cavaillé-Coll (1811-1899) le cui opere posseggono un equilibrio fonico meraviglioso, raggiunto mediante lo studio razionale delle proprietà acustiche di ogni singolo registro. In questo secolo si moltiplicarono pure le ricerche per trovare nuovi registri d'organo, imitanti i più svariati timbri, e soprattutto per rendere più perfezionate le canne di misura stretta, le cui sonorità imitano il timbro degli archi. Vengono usate le canne armoniche di lunghezza doppia del normale, con un foro praticato nel mezzo; inoltre si inizia la tendenza all'aumento della pressione dell'aria fino a raggiunrere gli effetti stentorei dei registri ad alta pressione. Si escogitano i varî sistemi per favorire l'emissione del suono delle canne grandi e soprattutto di quelle di taglio stretto. Il timbro dei registri, in generale, acquista più carattere, per mezzo dell'intaglio, del freno armonico e dei denti che si praticano nelle canne. I registri ad ancia libera sono a poco a poco abbandonati, per usare quelli ad ancia battente. Non mancano eccentricità come un'ancia di 64 piedi nell'organo di Sydney. Se queste innovazioni potevano considerarsi salutari, esse ebbero anche conseguenze poco felici, per la tendenza a voler negare il valore artistico di certe caratteristiche che non si riusciva più a comprendere. Nacque così l'avversione contro le mutazioni, che, con l'aumento esagerato dei registri di fondo, generò un impoverimento delle caratteristiche foniche dell'organo. È doveroso ricordare chi fece dell'organo oggetto di ricerche scientifiche. Una figura spicca in questo campo: Johann Gottlob Töpfer (nato il 4 dicembre 1791, morto l'8 settembre 1870), che col suo Lehrbuch der Orgelbaukunst (1ª ed. 1856) espone sistematicamente la vasta materia, già trattata da don Bedos, ma cercando di dare una ragione scientifica di ciò che prima si faceva empiricamente. Su una via rigorosamente scientifica, corroborata da ricerche sperimentali, si pose pure recentemente Johannes Biehle (nato nel 1870) a cui è dovuta l'erezione di un Istituto di tecnica organaria, annesso al politecnico di Berlino. Il progresso maggiore dell'organo durante il sec. XIX è dato dalle innovazioni nella sua meccanica, favorite dalle ricerche scientifiche.
Nel 1814 l'orologiaio inglese Cummins dispone le pieghe dei mantici in maniera da ottenere una costante uniformità di pressione. Nel 1819 il Marcussen e i figli di Oppenrade introducono il mantice a campana. Verso il 1835 il Barker inventa la leva pneumatica, che rivoluziona la meccanica dell'organo. Questo congegno, ideato per moltiplicare la forza fisica della pressione esercitata dall'organista, verrà poi sfruttato nelle più svariate forme. La prima applicazione della leva pneumatica fu fatta nel 1841 all'organo di Saint-Denis dal Cavaillé-Coll. Nel 1863 Friedrich Sauer inizia studî per sfruttare la nuova invenzione, eliminando la trasmissione a stecche e, nel 1867, presenta il modello di una meccanica tubolare. Anche il Moitessier nel 1866 aveva fatto brevettare una pneumatica tubolare, che espose nel 1869 all'esposizione di Parigi. L'organaro inglese Willis comperò il brevetto per l'Inghilterra e nel 1871 ne fece la prima grande applicazione all'organo dell'Albert Hall di Londra. Nonostante alcuni inconvenienti, il sistema trovò ben presto larghissima diffusione. In un primo tempo i difetti del ritardo e dell'imperfezione delle note ribattute furono tolti con l'aumentare la pressione. Buoni risultati si ebbero in seguito quando si adottò il somiere pneumatico diretto. Era naturale che sorgesse pure l'idea di sfruttare l'elettricità. I primi tentativi, dovuti al Barker (1867) e al Weigle (1873), sono rivolti ad aprire, con un'azione diretta, i ventilabri, mediante l'elettrocalamita. Ma il sistema non ebbe risultati pratici. Solo nel 1883 riuscì a Schmöle e Mols a Filadelfia di ideare un relais elettro-pneumatico, che si fondava pure sullo sfruttamento della leva Barker. Altri perfezionamenti alla meccanica elettrica sono dovuti alle ingegnose ricerche del Roosevelt, del Weigle e soprattutto, verso il 1890, del Hope-Jones.
Oggi la meccanica elettrica si va affermando, con crescente successo. per le svariate risorse che offre, senza intaccare le caratteristiche di una disposizione tradizionale. La tecnica moderna produsse pure notevoli innovazioni nella costruzione dei somieri. Spettava al Walker il merito di diffondere il somiere a pistoni, che usò per la prima volta nel 1842. In generale tutti i somieri moderni si caratterizzano per l'inversione dell'uso delle coordinate, rimessa in onore col somiere a pistoni. Nascono così i varî tipi di somiere a membrane, tubolare, a manticetti, che assumono spesso il nome dello scopritore.
Friedrich Haas introduce per primo il crescendo, che troverà grande applicazione specialmente nell'arte organaria tedesca. La sintesi di tutte queste innovazioni diventa la consolle, dalla quale l'organista domina il grandioso strumento. Si moltiplicano i tentativi per una razionale disposizione dei numerosi congegni alla portata dell'esecutore. I registri vengono fatti funzionare mediante placchette. Vengono introdotti pratici congegni: i trasporti di registri all'ottava alta o bassa, gli accoppiamenti d'ottave, le combinazioni fisse di registri, da mettere in azione con pedaletti o con pistoncini sotto le tastiere, le combinazioni libere, per cui si rende necessaria la ripetizione della placchetta del registro, tante volte quante sono le combinazioni libere, e infine le combinazioni aggiustabili. denominazione che indica le semplificazioni introdotte nella preparazione a volontà di un determinato numero di registrazioni, senza bisogno di ripetere la placchetta del registro. Trova applicazione l'azione riversibile, per cui uno stesso movimento serve per montare o smontare una qualsiasi combinazione. In generale, in un primo tempo vi fu la corsa verso la complicazione della consolle, oggi si tende a semplificarla, pur ottenendo gli stessi risultati.
Verso la seconda metà del secolo XIX l'industria dell'organo assume proporzioni notevoli in tutte le nazioni.
L'organo italiano, che continuava sulla via serassiana, tenta anch'esso modifiche: si eliminano i registri di piccole dimensioni; si definisce inutile il registro della duodecima. Se sulla falsariga degli organi esteri si aggiunge qualche nuovo registro, non si vuole giustamente "rinunziare alla limpidezza e severità dei nostri ripieni, per il rombo di quei loro principaloni aperti ed in maggior parte tappati". Ma soprattutto si resta fedeli alla tradizionale forma e disposizione dell'organo italiano, incompleto nella pedaliera e col predominio della tastiera unica. Però nella seconda metà del secolo XIX comincia ad affermarsi un movimento di reazione. Sfortunatamente questa reazione nacque in un tempo in cui l'organo straniero aveva perduta la genuina sonorità dei timbri perfettamente organistici e perciò, con la giusta riforma meccanica e tecnica, si infiltrarono anche le tendenze foniche, che avevano appesantito specialmente l'organo tedesco dalla fine del secolo.
Qualche modello francese aveva trovato collocamento in Italia. A Genova G. Trice riusciva a fondare una fabbrica, che fece conoscere le migliori caratteristiche della scuola inglese, scuola che influì sui nuovi indirizzi della tecnica organaria italiana. Tuttavia la maggiore spinta venne dalla corrente tedesca, sia per gli organi collocati in Italia, sia per il materiale fornito agli organari italiani. Gli organari italiani, prima incerti, si videro poi costretti a seguire il movimento riformatore. Alla testa degli stessi va posto Carlo Vegezzi-Bossi (nato l'11 febbraio 1858, morto il 5 ottobre 1927), artista intelligente, intonatore finissimo, che rivolse la massima attenzione alla parte fonica dell'organo. I suoi strumenti conservano le caratteristiche dell'arte italiana, pur avvicinandosi al gusto dominante, senza mai spostare l'equilibrio fonico complessivo dello strumento. La stessa predilezione per le viole è fatta con tale sobrietà d'intonazione da riscuotere l'unanime consenso. Praticamente il Bossi aveva raggiunto l'equilibrio fonico, fra le correnti organarie dei vari paesi. Questo equilibrio verrà reclamato all'estero dal movimento alsaziano, promosso da Alberto Schweitzer e da Emilio Rupp, movimento che avrà inoltre il merito di richiamare l'attenzione sulle caratteristiche foniche dell'arte organaria antica, specialmente dell'epoca bachiana, che si erano abbandonate. Queste idee, riprese nel dopo guerra nei congressi di Amburgo (1925), Friburgo (1926), Freiberg (1927), creano in Germania una nuova corrente favorevole alla riabilitazione dell'organo barocco. In Francia l'organo antico viene pure rimesso in onore, si riabilitano molti registri antichi di mutazione eliminati, dei quali si riconosce l'importanza estetica. D'altro canto le tendenze imitative trovano ancora largo impiego in una nuova forma di strumento, che però si deve ritenere non abbia più il diritto di chiamarsi organo, quantunque sia conosciuto con il nome di organo da cinema, e nel quale abbondano, oltre i registri imitanti gli strumenti orchestrali, in sostituzione dei timbri organistici, i registri accessorî imitanti non più le voci degli animali, come nell'epoca barocca, ma i rumori caratteristici della vita moderna, dell'industria, delle macchine.
In Italia la ripresa del dopoguerra segnò un grande progresso per l'arte organaria. Se sotto l'aspetto fonico l'indirizzo non si può dire così reazionario, come in altri paesi, tuttavia si nota una maggior comprensione del nostro passato storico.
Per quanto riguarda la parte meccanica, i progressi oggi conseguiti sono veramente assai notevoli. Alcune case sanno creare strumenti perfetti, aggiornati con gli ultimi ritrovati tecnici.
La consolle elettrica e mobile dell'organo della Pontificia scuola di musica sacra in Roma, costruita nel 1933 da organari italiani (come quella riuscitissima fatta nel 1929 per la chiesa del Gesù in Roma) è munita dei più perfetti e svariati congegni, che l'organista possa desiderare, come 42 combinazioni aggiustabili e 14 generali; il tenore recitativo al pedale, che divide la pedaliera in due parti (dal si 12 in giù suonano i soli registri del pedale, dal 13 in su i soli registri del recitativo), il prolungamento del suono dei tasti.
Di un movimento reazionario non si sentiva così fortemente la necessità in Italia, poiché il Vegezzi-Bossi aveva saputo porre un freno alla tendenza verso l'impoverimento della fonica organistica. Giustamente osserva il Rupp, analizzando la disposizione dell'organo di Caravaggio, costruito nel 1906 dal Vegezzi-Bossi, che essa, col suo grande numero di registri di 4 piedi alle tastiere e di 8 piedi al pedale, dimostra con evidenza come gl'Italiani abbiano saputo evitare gli errori dell'organo a base di fondi. Dal prudente uso dei timbri mordenti il Bossi aveva tratto un nuovo impasto fonico, in tutto intonato alla tradizione italiana che aveva creato la voce umana. Ora col concerto viole dava vita a un nuovo timbro indovinato di voce d'assolo, da escludersi, come l'antica voce umana dalla rimanente fonica dell'organo. L'arte organaria italiana del dopoguerra vide chiariti molti punti d'indole pratica nella prima adunanza organistica italiana tenuta a Trento nel 1930, dove tra l'altro vennero fissate le modalità inerenti all'unificazione della consolle.
L'ultima metamorfosi dell'organo è data dalla totale sostituzione delle canne suonanti con circuiti oscillanti accordati nella frequenza dell'onda da emettere.
In seguito agli studî compiuti da M. Givelet in collaborazione con i fratelli Coupleux, organari di Lilla, nacque l'organo a onde. Questo strumento è attualmente ancora bambino, ma non è escluso che esso possa avere un avvenire, se saprà trovare una sua propria via, senza tentare di imitare il vero organo.
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Architettura.
Non si hanno documenti precisi per quello che riguarda la forma degli organi nell'antichità; di quelli medievali invece sono giunte fino a noi figurazioni che ne dànno un'idea abbastanza chiara.
Gli organi fino a tutto il Rinascimento furono delicate costruzioni in legno intagliato e dipinto con fregi e figure; una breve tastiera ne occupava la base, donde si elevava una fila di canne metalliche disposte a scala.
Gli organi di tale forma non furono soltanto di piccole dimensioni e portatili, ché già nell'età gotica se ne costruirono di molto ampî, come quello che un angelo è intento a suonare nel quadro dei Van Eyck a Gand. In quest' organo, dalle sottili elegantissime canne argentee, la base appare decorata da fini intagli lignei e un fregio a traforo corre poco sopra la tastiera.
Anche nel Rinascimento gli organi portatili, o comunque di piccole dimensioni, ebbero belle decorazioni pittoriche e linee architettoniche rispondenti al gusto dell'epoca in cui vennero creati.
Ma è soltanto con lo sviluppo della cantoria propriamente detta che l'organo viene ad acquistare un valore architettonico sempre maggiore, specie nelle chiese gotiche, ove lo slancio delle vòlte sembra commentato ed esaltato dalle linee ascensionali delle canne metalliche; e più tardi nelle costruzioni del Rinascimento e dell'età barocca. Fu durante il Rinascimento che la decorazione delle portelle giunse alla massima ricchezza: basti qui ricordare, le portelle dipinte da Cosimo Tura per la cattedrale di Ferrara. Nell'età barocca gli organi tornarono ad acquistare valore di elemento dominante nella decorazione; infatti per il loro verticalismo e per il fatto che le cantorie che li contengono sono quasi sempre disposte al centro delle pareti, essi finiscono col divenire una sorta di punto d'appoggio alle più sbrigliate fantasticherie degli architetti di quell'età. Fu allora che gli allineamenti di queste canne divennero i più varî; non più contenute nella logica struttura d'una costruzione rinascimentale, si disposero con le ondulazioni più diverse, s'incurvarono agli angoli, s'arretrarono al centro, seguirono le sinuosità dei più strani prospetti, fino a divenire, come nella cantoria che Gian Lorenzo Bernini ideò in S. Maria del Popolo a Roma, l'unico elemento che possiamo dire statico della costruzione. Qui infatti, mentre la loggia è sorretta da un angelo in volo, attorno alle canne dell'organo s'intrecciano percossi dal vento, i rami frondosi della quercia chigiana.
Nelle modernissime chiese e nelle grandi sale da concerto, che oggi si costruiscono secondo i principî della logica razionalistica e che acquistano bellezza per il ritmo semplice e chiaro delle linee e delle masse, la selva argentea delle canne dell'organo è tornata ad avere un dominante valore decorativo.