ORIENTE CRISTIANO
. Con questa espressione, che nel suo senso più lato comprende tutte le manifestazioni della cristianità d'Oriente, si indica più specialmente nell'uso concreto del linguaggio orientalistico (v. orientalismo), l'insieme delle culture e letterature cristiane nazionali che si affermarono, con caratteri analoghi, nell'Oriente vicino fin dai primi secoli del cristianesimo.
L'Oriente bizantino e slavo, le cui condizioni di sviluppo e i cui problemi sono di natura differente, non è compreso in questa definizione, né è considerato qui (v. bizantina, civiltà; slavi); ma le relazioni fra cristianità greca e bizantina da un lato, e orientale dall'altro, sono essenziali e strettissime (le letterature orientali cristiane consistono per una loro parte notevole in versioni dal greco), sicché il continuo riferimento ad esse è indispensabile per lo studio dell'Oriente cristiano. Anche per questo, alcune opere d'insieme, raccolte o riviste che concernono gli studî dell'Oriente cristiano fanno larga parte agli studî bizantini e anche slavi.
Le principali culture e letterature dell'Oriente cristiano, nel senso in cui esso è qui inteso, sono dunque l'aramaica (vale a dire principalmente la siriaca), l'egiziana o copta, l'etiopica, l'armena, la georgiana, l'araba. Le cristianità dell'India, dell'Asia centrale e della Cina, sorte per l'opera missionaria dei nestoriani (v.), sono naturalmente comprese nello studio dell'Oriente cristiano quale è qui definito; non così le comunità sorte più tardi per opera delle missioni occidentali.
Analizzando le singole manifestazioni del cristianesimo orientale, in modo speciale l'aramaica e la copta, vi si scorge un originale aspetto delle relazioni tra ellenismo e Oriente. Esse rappresentano cioè una reazione all'azione livellatrice dell'ellenismo, e un'affermazione della tradizione e dello spirito orientale, i quali, pur avendo ispirato per più modi il cristianesimo primitivo, pur riaffiorando nelle espressioni di questo in lingua greca, trovarono, quando la nuova religione universale destò l'Oriente a nuova vita, una nuova affermazione più matura e più netta in quelle letterature. Ciò non solo per quanto concerne la lingua, che è per ognuna di esse la nazionale, ma anche per la materia; se esse infatti consistono per grande parte di versioni di originali greci, non mancano, anzitutto, di reazioni tipiche ad essi, contano poi autori originali che trattano originalmente materia di essenziale valore (come ascesi e mistica) per la vita cristiana, e generi letterarî, che poi tornano a ispirare la cristianità greco-bizantina e occidentale: come nella letteratura siriaca alcune forme di poesia sacra, come nella copta (o nella greca sorta in Egitto in modo direttamente collegato alla tradizione del paese) altre espressioni ispirate alla commovente semplicità della vita monacale (gli apophtegmata, per es.) o al terrore per la vita futura o alla fantasia narrativa propria dell'Egitto, tutte impregnate di spirito e di poesia originale. Ciò che è assai notevole si è che le energie e le tradizioni dell'Oriente che, già così attive nella formazione del cristianesimo primitivo, sono nutrite e sviluppate in modo esemplare ed efficace nel crogiuolo delle letterature nazionali, da esse ritornano, arricchite e approfondite, nel comune tesoro della vita cristiana. Ascesi e mistica vivono nell'Oriente cristiano in tutta la loro profondità e sincerità e il monachismo sorto in Egitto, diffuso in Palestina e in Siria, riinterpreta e ravviva i valori cristiani e dà all'Occidente gli strumenti più efficaci di vita religiosa.
Appare facilmente da queste considerazioni quale grande interesse abbia l'Oriente cristiano, sia quale valore attivo nell'economia della vita cristiana, sia quale elemento di giudizio e quale ammonimento nella meditazione sulla storia religiosa e culturale.
In altri aspetti ancora appare l'importanza dell'Oriente cristiano: così per esempio nella crisi cristologica (v. monofisiti; nestoriani), nella quale il suo atteggiamento ne conferma, da un lato, la natura di reazione nazionale (la ribellione monofisita, la separazione nestoriana, sono ispirate, oltre che ad altri motivi, allo spirito di autonomia), e costituisce, dall'altro, un elemento fondamentale nello sviluppo della controversia, la storia della quale non può costruirsi senza la diretta profonda conoscenza dell'azione dell'Oriente cristiano.
Il complesso fenomeno dello gnosticismo (v.) trova nell'Oriente cristiano il terreno più favorevole per il suo sviluppo, per la naturale prevalenza che hanno in esso i valori orientali, i quali ne hanno determinato la formazione; quindi, alcuni tra i principali autori gnostici appartengono agli ambienti cristiani orientali (si pensi alla gnosi egiziana e siriaca, senza dimenticare tuttavia il largo uso del greco in tale letteratura), autori ortodossi cristiani che avevano conoscenza diretta di quelle dottrine, come S. Efrem, ce ne dànno assai interessanti confutazioni. E si dica lo stesso per il manicheismo e sette da esso dipendenti.
La missione fa delle Chiese orientali avanguardia di civiltà in Asia (v. nestorio e nestoriani; siria); singolarmente importante è la missione di Arabia, che ha dato all'Islām nascente qualche ispirazione, trasmettendo ad esso, insieme con altri fattori, quell'elemento cristiano che gli conferisce tanta parte del suo valore.
Per le cristianità e letterature siriaca, copta, etiopica, armena, georgiana v.: siria; copti; etiopia; armenia; georgia; ivi sono esposte le relazioni che corrono tra di esse e le cause della loro decadenza. Tra queste è principale la conquista musulmana, specialmente per quanto concerne la Palestina, l'Egitto, la Siria. Sebbene l'Islām non abbia mai perseguitato sistematicamente i cristiani, esso ha corroso lentamente le comunità; e per quanto concerne le letterature nazionali, ha tolto loro la ragion di vita con la graduale sostituzione dell'arabo all'uso delle antiche lingue, facendo così sorgere una nuova letteratura cristiana, quella araba. Di essa si erano disegnate già le prime manifestazioni nel periodo preislamico, tra le comunità arabe di Arabia, Palestina e Siria, l'importanza delle quali è assai limitata, se non per quanto concerne la loro azione sull'Islām (v. per esse arabi; islamismo). La nuova letteratura araba è per l'unità di lingua e per l'unità culturale che collega i paesi, ove essa fiorisce, entro l'impero arabo, di natura sopranazionale, come la musulmana; è opportuno pertanto trattarne qui dove si considera il complesso dell'Oriente cristiano.
La letteratura araba cristiana. - L'impulso decisivo alla formazione della letteratura araba cristiana è venuto dunque senza dubbio dalla conquista musulmana che ha imposto la lingua araba non solo ai convertiti, ma anche alle popolazioni rimaste cristiane, per le quali l'uso delle lingue nazionali si limitò man mano alla liturgia.
Forse da alcuni indizî si può dedurre che nei numerosi centri cristiani di Arabia e di Siria sia sorto, anche prima dell'Islām, qualche monumento letterario, come versioni di parti della Bibbia; ma è solo con il confluire delle energie maturate nelle cristianità di Palestina, Siria e d'Egitto, greche, siriache, copte, che nascono le condizioni per un vero sviluppo letterario. Naturalmente non vanno considerati in un'esposizione della letteratura araba cristiana gli autori che hanno contribuito allo sviluppo della letteratura araba classica, con opere alle quali la loro confessione cristiana non abbia conferito carattere religioso (come poeti profani preislamici e del periodo islamico, come grammatici, scienziati e filosofi, in quanto tali).
I centri principali della letteratura araba cristiana sono la Palestina, la Siria e l'Egitto; ad essa prendono parte le comunità melchite, monofisite e nestoriane, che hanno ognuna una propria letteratura; ma l'unità di lingua e di cultura assicurata dalla dominazione araba fa attivo lo scambio dei prodotti letterarî, non solo tra le varie regioni, ma anche tra le varie confessioni, pur separate da aspre polemiche; e si delinea così sempre meglio il carattere sopranazionale della letteratura araba cristiana, il quale naturalmente non giunge a cancellare alcune particolarità regionali, proprie alla produzione dei singoli paesi.
Per una buona parte la letteratura araba cristiana consiste in versioni dal greco, dal copto e dal siriaco; e per questa parte, vale a dire per la maggioranza dei generi di scritture sacre, essa manca naturalmente di ogni originalità.
Ma le nuove condizioni creano nuove ragioni di vita e nuove possibilità di originalità. Lo sviluppo della cultura scientifica e filosofica araba, al quale gli scrittori cristiani prendono parte essenziale, il bisogno della polemica religiosa nato dalla stretta convivenza con i musulmani, così decisi nella difesa della propria religione e nell'attacco delle altre, favoriscono una ricca fioritura di letteratura teologica e di controversia, la quale può dirsi parte veramente originale della letteratura araba cristiana. È anche notevole in essa, e risalente agli stessi motivi culturali, una ricca produzione storica.
La maggior fioritura della letteratura araba cristiana cade nei singoli centri di essa dal sec. X al XIV. La decadenza, della quale è inizio la conquista mongola, si pronunzia sempre più sotto i Turchi. Se dal sec. XVIII, anche per il contatto con l'Occidente, si notano i segni di un risveglio, la moderna letteratura arabo-cristiana, come la musulmana, come tutta la cultura del vicino Oriente, non è che un pallido riflesso di un più glorioso passato.
La lingua dei monumenti della letteratura araba cristiana non è uniforme; da un lato gli antichi testi di versione e parte della letteratura di natura più popolare sono redatti in lingua che sente il volgare, colorata secondo le particolarità idiomatiche delle rispettive regioni; mentre esistono generi di letteratura più elevati (per esempio la polemica, la teologia, la storia ecc.) che si accostano, più o meno fedelmente, ai canoni della lingua letteraria.
Va infine notato che i monofisiti di Siria usarono anche per i testi arabi i caratteri siriaci giacobiti (v. siri) che prendono in questo caso il nome di garshūnī.
Versioni della Bibbia. - Si è trovato a Damasco in antiche pergamene, che rimontano al più tardi alla fine del sec. VIII, qualche resto di un'antica traduzione araba del Salterio con il testo greco a fronte. Le più antiche versioni dell'Antico Testamento non furono probabilmente che parziali (ci sono conservati alcuni frammenti di esse), e solamente in un codice damasceno del 1238 si trova un testo arabo completo dell'Antico Testamento, messo insieme da varie traduzioni; questo codice, però, risale certamente (secondo il Kračkowskij) per tutto il suo contenuto, e, secondo il Vaccari, per una sola parte) a un archetipo antiocheno del 1021-22 d. C. Su tale testo si basa la Bibbia araba stampata nel 1671 in Roma. Altra versione completa dell'Antico Testamento, e direttamente fatta dall'ebraico, è quella del famoso ebreo Sa‛adyāh Gā'ōn (morto nel 942 d. C.), diffusa anche tra i cristiani e conservataci solo in parte.
Per quanto concerne il Nuovo Testamento, che nella letteratura araba, come nelle altre cristiane, fu naturalmente il primo testo ad essere tradotto, recenti ricerche di A. Baumstark mostrano non improbabile che ne esistessero versioni parziali anche prima dell'Islām, tanto fra le cristianità arabe delle regioni dipendenti dal patriarcato di Antiochia, quanto fra quelle facenti capo a Gerusalemme. In ogni modo in epoca islamica esse si moltiplicano, e tra i più antichi manoscritti di esse sono quelli che risalgono al sec. VIII, trovati in Palestina con altri codici antichi (specialmente nei monasteri di S. Saba e del Sinai); se ne è concluso a ragione che la Palestina, come del resto è naturale per il primo paese conquistato dagli Arabi, fu il più antico centro di letteratura araba cristiana. I testi correnti in Palestina rimontano all'originale greco; quelli di Siria e di Egitto, di cui abbiamo anche molti monumenti, alle versioni proprie della Siria (e specialmente alla Peshiṭtā) e alla versione copta. Notevole, fra i testi della Mesopotamia, la versione del Diatessaron di Taziano che sembra dovuta al celebre autore nestoriano Abū'l-Faraǵ ibn aṭ-Ṭayyib (v. ibn aṭ-ṭayyib). Tutte queste più antiche versioni non avevano carattere canonico; questo era proprio del testo greco, siriaco o copto. In Egitto però, dove dal sec. X la lingua letteraria era quasi esclusivamente l'arabo, nacque un testo di natura più critica e corretto secondo i predetti testi canonici; e esso fu opera di Abū'l-Faraǵ ibn al-‛Assāl, celebre autore copto arabo del sec. XIII (v. appresso), il quale, con metodo in qualche modo simile a quello delle Esaple, compilò una recensione eclettica dei Vangeli, che ebbe moltissima importanza per la storia del testo sacro tra gli Arabi. Un'edizione più maneggevole di tale recensione, propria del patriarcato alessandrino, ebbe grande diffusione, e ad essa rimontano le edizioni dell'Erpenio (1616) e del Lagarde (1864). Lo stesso testo ricevette in Siria qualche modificazione, che appare nelle edizioni di esso fondate su manoscritti di Siria, come quella medicea del 1591, la romana del 1703, ecc. Vi sono infine alcuni manoscritti che contengono delle versioni redatte in prosa rimata e in arabo più elegante, tra cui una del famoso metropolita di Nisibi, Ebediesu (v.). Anche in Spagna nacque nel sec. X una versione araba dei Vangeli, dal testo latino, della volgata.
Apocrifi e agiografia. - La letteratura araba cristiana è anche ricca di apocrifi tradotti generalmente dal copto e dal siriaco, e che le ricerche nelle biblioteche orientali ci fanno conoscere in sempre maggior numero. Tra gli apocrifi più importanti dell'Antico Testamento è quello di Geremia, tra quelli del Nuovo Testamento un'Apocalisse di Pietro, due Vangeli dell'Infanzia, una storia del falegname Giuseppe tradotta dal copto, ecc.
I numerosi testi agiografici (in gran parte inediti) furono tradotti dal siriaco specialmente per opera di Siri giacobiti, dal copto per opera di Egiziani; il Sinassario arabo della chiesa alessandrina, compilato da Michele di Atripe, poi passato anche, con alcune modificazioni, ai Siri giacobiti, ha avuto recentemente due edizioni europee.
Esegesi, teologia. - Un commentario ai due Testamenti del famoso autore nestoriano, già menzionato, Abū'l-Faraǵ ibn aṭ-Ṭayyib (morto nel 1043), ebbe grande diffusione in tutto l'Oriente arabo. Altra opera esegetica è quella del melchita Abū'l-Fatḥ ibn al-Faḍl (che, fiorito in Siria nel sec. XI, fu anche metropolita di Antiochia), nella quale commentò le parti del Nuovo Testamento inserite nel rito melchita.
La letteratura araba cristiana è ricca di scritti teologici, e si può dire che nei testi di teologia e polemica religiosa, e inoltre nelle enciclopedie religiose, sia la parte più notevole della sua originalità. Anche dei principali autori teologici greci e orientali sono state tradotte in arabo varie opere: tali versioni, in gran parte inedite, non hanno soverchio interesse se non in quanto possano servire a una migliore conoscenza dei testi da cui derivano.
Tra gli scritti originali sono notevoli anzitutto quelli di Teodoro Abū Qurrah (morto nell'820 circa; v.) vissuto a lungo nel monastero di S. Saba presso Gerusalemme, poi vescovo di Ḥarrān. Fu in relazione con Giovanni Damasceno e scrisse di teologia e difese (oltre che il culto delle immagini) la dottrina ortodossa melchita sia contro i musulmani, sia contro avversarî di altre confessioni cristiane. La polemica religiosa assumeva un carattere sempre più dotto per la comunicazione che il mondo cristiano aveva con il musulmano, e lo sviluppo che per l'opera congiunta di musulmani e cristiani (che prestarono la loro preziosa opera di traduttori dal greco) prendeva la cultura scientifica e filosofica araba. In un'esposizione completa di tale interessantissimo movimento andrebbero naturalmente studiati anche i trattati di polemica scritti dai musulmani contro i cristiani. Il nestoriano Ḥunain ibn Isḥāq (morto nell'873; v.), il più famoso dei cristiani che attesero all'opera di versione dal greco e dal siriaco in arabo, scrisse un trattato apologetico e polemico (idrāk ḥaqīqat ad-dīn); più tardi (e si citano qui solo alcuni tra i principali scrittori), egualmente tra i nestoriani Elia di Nisibi, noto anche con il nome di Bar Shīnāyā (morto dopo il 1049), fecondissimo scrittore di storia, di teologia, ecc., redasse un'apologia della fede nestoriana contro giudei, musulmani o confessioni cristiane diverse; il predetto Abū'l-Faraǵ ibn aṭ-Ṭayyib, altro insigne poligrafo cristiano, comprese nella sua multiforme attività anche quella apologetica. Già del katholikos nestoriano Timoteo I (775-785) è poi conservata una famosa disputa con il califfo al-Mahdī, la quale può dirsi il più antico esempio d'un singolare tipo di scritti polemici e apologetici, che riferiscono, o addirittura fingono, dialoghi tra dignitarî cristiani e governanti musulmani. Anche del melchita Abū Qurrah (v. sopra) è riferita una disputa con dotti musulmani innanzi al califfo al-Ma'mūn. Di Abū'l-Faraǵ ibn aṭ-Ṭayyib è un finto dialogo tra un monaco cristiano e due dignitarî musulmani; e così all'altro grande scrittore nestoriano Elia Bar Shīnāyā è attribuito un notevole scritto di questo genere, cioè le sette sedute o discussioni con un visir musulmano (il Graf crede lo scritto genuino). Anche Ebediesu (morto nel 1318; v.) scrisse in arabo di teologia.
Da parte monofisita questa produzione fu assai abbondante. Yaḥyà ibn ‛Adī, morto nel 974, grande autorità nella logica, medico e filosofo, traduttore e commentatore di opere filosofiche, scrisse parecchi trattati apologetici, tra cui il più importante è la difesa del cristianesimo, contro il dotto e polemista musulmano Abū ‛Īsà al-Warāq (v.) redatto in forma di lettera. L'influenza di Yaḥyà ibn ‛Adī fu grandissima e si può parlare d'una sua scuola; il più famoso dei discepoli fu Ibn Zur‛ah (morto nel 1008), filosofo e dialettico di fama, traduttore di scritti filosofici e medici, e di trattati apologetici e polemici, tra cui una risposta agli attacchi contro il cristianesimo di al-Balkhī. Tra i Melchiti si distinguono in questo genere di letteratura, oltre Teodoro Abū Qurrah, il già citato Abū'l-Fatḥ ‛Abdallāh ibn al-Faḍl e più tardi, alla fine del sec. XIII, il metropolita di Antiochia, Būlos ar-Rāhib.
La polemica oltre che fra cristiani e musulmani s'intrecciava anche tra le varie confessioni cristiane. Tra i più noti autori di simili controversie citiamo il melchita Eutichio patriarca di Alessandria (in arabo Sa‛īd ibn Baṭrīq), che menzioneremo ancora come storico. Egli oltre ad altre opere teologiche scrisse una dissertazione contro i nestoriani; il suo celebre avversario monofisita Severo Ibn al-Muqaffa‛, vescovo di Ashmūnain fiorito verso il 1000, e anch'esso noto come storico, compose con il suo "Libro dei concilî" (Kitāb al-Magiāmi‛) una grande apologia del monofisismo contro gli attacchi del predetto Eutichio. Difesa del monofisismo può anche considerarsi il "Libro della Confessione dei Padri" (Kitāb i‛tir īf al-Ābā') attribuito ai monaci del monastero di Abū Maqār, specie di catena dogmatica, che giunge, nel citare le autorità, fino al patriarca Cristodulo (1047-1007 d. C.). E numerosissime sono le opere di altri autori, in difesa o d'una o dell'altra confessione.
Tutto questo lavorio teologico in lingua araba venne più tardi riassunto per opera di compilatori che in scritti di natura enciclopedica riunirono la trattazione delle varie scienze ecclesiastiche, come teologia, storia, liturgia, morale, disciplina. Questo genere fiorì molto in Egitto: la chiesa alessandrina, dopo aver preso parte assai attiva alla letteratura araba cristiana con versioni e con scritti originali (come quelli, ad esempio, dei già citati Eutichio e Severo), ebbe nel sec. XIII un periodo di intensa attività letteraria, una specie di rinascenza promossa dalla necessità di riforma del patriarcato, dopo il cattivo governo del patriarca Cirillo III. Tra le personalità più distinte di questo periodo sono i tre fratelli Ibn al-‛Assāl, dei quali Abū'l-Faraǵ Hibat Allāh è l'autore della recensione araba della Bibbia, della quale abbiamo parlato sopra, aṣ-Ṣafī Abū'l-Faḍā'il è il raccoglitore d'un famoso nomocanone di cui è versione il Fetḥa Nagast etiopico; e infine al-Mu'taman Abū Isḥāq compilò una delle citate opere d'insieme sulla dottrina cristiana, il Maǵmu‛ uṣūl ad-dīn. Non sarebbe qui possibile elencare gli altri numerosi scritti degli Ibn al-‛Assāl e degli altri numerosi autori che fiorirono con loro in questo periodo o in quello immediatamente seguente. È però opportuno accennare al movimento filologico e grammaticale che è proprio di essi e che produsse grammatiche e glossarî arabo-copti (essi giovarono molto agli studî europei di copto).
La più importante delle opere di natura encidopedica è la Lampada delle tenebre del monofisita egiziano Abū'l-Barakāt fiorito nel secolo seguente a quello degli Ibn al-‛Assāl, essa contiene tra l'altro un prezioso catalogo degli scrittori arabi cristiani. Ebbe grande favore in Egitto anche la Perla preziosa delle scienze ecclesiastiche di Ibn as-Sabbā‛ (sec. XIII).
Anche in altre regioni e presso altre confessioni sorsero opere d'insieme analoghe; notiamo qui quella del nestoriano mesopotamico ‛Amr ibn Mattà, del sec. XIV, intitolata Libro della torre.
Numerose sono anche nella letteratura araba cristiana le trattazioni di ascetica e di morale.
La decadenze della letteratura cristiana araba si accentuò sempre più sotto i Mongoli e sotto i Turchi, e la produzione teologica si ridusse a poca cosa; nei secoli XIV-XVI si può dire che ogni attività languisca. Nel sec. XVII si nota un qualche risveglio, mentre nel seguente l'attività letteraria e teologica fu più notevole. Citiamo tra i Melchiti il diacono ‛Abdallāh Zākhir (morto nel 1722) e il prete Yu'ākīm Muṭrān (morto nel 1772), autore di prediche, di scritti edificanti, polemici, ecc. In questo periodo è anche notevole l'opera di missionarî, come il padre gesuita Fromage che fu in relazione con il Zākhir il quale lo assisteva nella redazione dei suoi scritti. Tra i Maroniti hanno buona fama Buṭros at-Tūlāwī (morto nel 1745), autore di parecchie opere, tra cui un trattato di filosofia scolastica, e Germānūs Farḥāt arcivescovo di Aleppo (morto nel 1732), che fu anche ammirato poeta sacro (v. appresso). Nel sec. XIX possono citarsi il monaco melchita Nicola aṣ-Ṣā'igh (che morì al principio del secolo) e i maroniti Būlos Mas‛ad (morto nel 1889) e Yūsuf Dibs (morto nel 1907). I noti scrittori appartenenti alle famiglie al-Yāziǵī e al-Bustānī appartengono piuttosto alla storia della letteratura profana (v. arabi: Letteratura, III, p. 865).
Nestoriani e giacobiti non ebbero in questo ultimo periodo scrittori importanti; ma la chiesa copta, per impulso dato dalla rinascenza dell'Egitto, ha da alcuni decennî ravvivato la sua attività e conta una qualche fioritura di letteratura sacra e storica. Alcune riviste moderne, tra melchiti e copti, e anche tra giacobiti di Siria, dànno importanti contributi sia alla teologia sia alle ricerche erudite sulle loro chiese.
Storia. - Nella letteratura araba cristiana è assai notevole la produzione storica. Il predetto patriarca melchita d'Egitto Eutichio scrisse una cronaca dalla creazione fino al 938, imitata da modelli bizantini; essa fu continuata un secolo più tardi dal melchita Yaḥyà ibn Sa‛īd.
Altre storie generali son quelle di Agapio di Manbiǵ, della metà del sec. X, e quella dei due copti Buṭrus ibn ar-Rāhib, autore di una cronaca che giunge sino all'anno 1259, e Giorgio al-Makīn (morto nel 1273). Il celebre scrittore siriaco Barhebreo (v.) scrisse in arabo la sua Storia delle dinastie.
Di natura meno generale sono le vere e proprie storie ecclesiastiche, come la storia dei patriarchi di Alessandria del predetto vescovo egiziano monofisita Severo di Ashmūnain, compilata in parte da fonti copte; di parte nestoriana è notevole la cronaca, in arabo e in siriaco, di Elia Bar Shīnāyā, la cronaca patriarcale di Mārī ibn Sulaimān (morto nel 1147), e la parte di storia ecclesiastica contenuta nel già citato Libro della torre di ‛Amr ibn Mattà. Del sec. XIII è poi l'anonima Storia nestoriana che, sebbene mutila, è assai importante, ed ha carattere prevalentemente di storia ecclesiastica. Sulla storia dei monasteri e delle Chiese dell'Egitto cristiano dà preziose notizie una compilazione del monofisita egiziano di origine armena, Abū Sāliḥ (sec. XII).
Nel sec. XVII il patriarca melchita di Antiochia, Macario, scrisse un'interessante descrizione del suo viaggio in Georgia, mentre suo nipote, Paolo di Aleppo, descrisse i lunghi viaggi del patriarca stesso.
L'attività storico-scientifica delle attuali comunità cristiane non è molto notevole; ma già qui sopra, parlando della teologia, è stata rilevata l'attività di alcune riviste arabe moderne, che ha portato anche qualche frutto negli studî storici. Indefessa è l'attività che per la rinascenza degli studî arabo-cristiani ha spiegato l'università cattolica di Beirut, con le sue pubblicazioni e specialmente con la rivista al-Mashriq. Ha dato il più importante contributo a quest'opera il padre gesuita L. Cheikho (Shaikhū), di origine caldea, morto nel 1927.
È infine necessario notare che la letteratura araba cristiana antica non conta una produzione poetica originale; le poesie di poeti cristiani preislamici o del periodo islamico hanno carattere profano; e mentre la letteratura siriaca, per esempio, è così ricca di poesia religiosa, non troviamo in quella araba che qualche esempio di essa. Le poesie religiose dell'arcivescovo maronita d'Aleppo Germānūs Farḥāt (morto nel 1732) e del predetto Nicola aṣ-Ṣā'igh tentano d'inserire la materia cristiana negli schemi dell'antica poesia araba classica.
Bibl.: G. Graf, Die christlich-arabische Literatur bis zur fränkischen Zeit, Friburgo in B. 1905; A. Baumstark, Die christlichen Literaturen des Orients, voll. 2, Lipsia 1911; C. Brockelmann, Die christlich-arabische Literatur, in Die Literaturen des Ostens in Einzeldarstellungen, Lipsia 1907. - Sui grandissimi progressi dello studio della letteratura arabo-cristiana dopo queste pubblicazioni dànno ottima informazione i bollettini bibliografici della rivista Oriens christianus. Altre riviste essenziali per lo studio dell'Oriente cristiano sono la Revue de l'Orient Chrétien e la russa Christanskii Vostok. Importantissime raccolte di testi sono la Patrologia Orientalis, e il Corpus scriptorum christianorum orientalium, ove sono pubblicati e tradotti molti degli scritti sopra citati. Numerosi sono i testi pubblicati in Europa (fin dal sec. XVII) ed in Oriente.