Origini e attributi degli eroi
Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
Una definizione univoca rischia di ridurre la grande varietà di attributi e di funzioni degli eroi greci, personaggi del mito consacrati dalla tradizione poetica ed epica ma anche persone realmente esistite ed eroizzate. Spesso di origine divina, ma mortali, gli eroi hanno una storia, ricevono un culto, sfuggono il più delle volte all’anonimato della gente comune e conservano nell’oltretomba le prerogative e le competenze che li hanno contraddistinti in vita. Il loro numero non cessa di crescere nel corso dei secoli.
Nella cultura degli antichi Greci il mondo soprannaturale comprende diversi tipi di potenze divine, tra cui gli dèi (theoi) e gli eroi (heroes).
Tuttavia i tratti distintivi di ciascuna categoria religiosa non sono sempre individuabili in maniera netta nella tradizione letteraria e nella pratica cultuale.
Si riscontrano infatti interferenze e sovrapposizioni, come dimostra la figura emblematica di Eracle, eroe e al tempo stesso dio: un heros theos, secondo il poeta Pindaro che ne canta l’apoteosi (Nemee, III, 22).
Questa constatazione però non esclude affatto l’opportunità di un’analisi degli aspetti e delle funzioni peculiari della figura eroica. Induce piuttosto a una precauzione metodologica, indispensabile per comprendere la complessità di un mondo divino che si esprime in forme molteplici, non sempre pienamente riconducibili ai modelli interpretativi contemporanei.
I numerosi lavori consacrati allo statuto degli eroi e delle eroine (heroinai, heroissai, heroides) della Grecia testimoniano quanto sia difficile esibire un’interpretazione soddisfacente e adeguata di queste figure, soprattutto quando si tenta di ricostruire una tipologia idonea a comprenderne tutta la varietà in un quadro coerente e sistematizzato. Sono state stabilite molteplici tassonomie sulla base di criteri diversi: non solo le origini degli eroi (divinità decadute o umani promossi a un rango divino, in quanto onorati con culti dopo la morte), ma anche la loro natura (epica, mitica, storica) o la loro funzione, legata al campo di intervento privilegiato (guerra, guarigione, mantica, agonistica, iniziazione ecc.).
Il limite più evidente di queste liste è che i diversi criteri finiscono per confondersi o per escludere alcuni eroi, rendendo in definitiva arbitraria l’attribuzione di un eroe a una categoria anziché a un’altra.
Del resto, piuttosto che preoccuparsi di dividere i loro eroi in gruppi coerenti e omogenei sulla base di tratti specifici, gli antichi Greci si limitano a distinguerli dagli dèi e dagli uomini, secondo una gerarchia ricorrente nei testi di poeti, oratori e filosofi. Pindaro la formula in questi termini: “Inni sovrani della lira / quale dio, quale eroe, quale uomo canteremo?” (Olimpiche, II, 1-2).
Le ricerche più recenti mostrano che il mondo degli eroi non è chiuso in se stesso, impermeabile, fissato una volta per tutte in un elenco definitivo, quanto piuttosto una realtà flessibile, viva e multiforme, soggetta a revisioni e rivalutazioni. I tratti costitutivi degli eroi, presenti sia nel mito sia nel culto, dipendono inoltre dall’immagine veicolata dalla documentazione disponibile, letteraria, iconografica, epigrafica e archeologica. Tuttavia, nonostante la fisionomia particolare di ciascun eroe, si possono individuare alcuni aspetti comuni che fanno del mondo eroico non “un’accozzaglia di figure di varia natura, ma qualcosa di fondamentalmente omogeneo” (Angelo Brelich, Gli eroi greci, 1958, p. 222), strutturato da un insieme di molteplici affinità che lo rendono lungi dall’essere amorfo.
L’etimologia non è chiara e non risolve la polisemia del termine heros, che resta ambiguo anche in ragione del moltiplicarsi del fenomeno delle eroizzazioni, estese nel corso del V e del IV secolo a.C. alla massa dei comuni mortali. Piuttosto che cercarne un’essenza semantica, heros, di origine greca e già attestato in miceneo (sulle tavolette in lineare B si legge tiriseroe), va contestualizzato nei suoi diversi impieghi.
È comunque interessante evocare alcune delle ipotesi emerse al riguardo. La linguistica storica moderna riconduce il termine heros al sanscrito vir-a, la cui radice si ritrova nel latino vir: l’eroe è dunque il "forte", l’"uomo vigoroso". Un’altra interpretazione (riferita dal linguista Pierre Chantraine nel suo Dictionnaire étymologique de la langue grecque, 1968-1980) stabilisce un rapporto con la radice *ser-, da cui il latino servare, "salvare, custodire, sorvegliare", sottolineando in tal modo una delle funzioni principali dell’eroe, onorato nel culto in cambio della sua protezione. Anche gli antichi hanno proposto diverse etimologie, spesso infondate e dettate da intenti speculativi.
Risale al teologo latino Agostino il riconoscimento di un nesso con il nome di Era (Hera), con il merito di mettere in rilievo il legame della figura eroica con la sfera divina: l’eroe è considerato come il giovane consorte della dea del matrimonio e delle stagioni. Il filosofo greco Platone pensa invece che gli "eroi" si chiamino così perché nati dall’eros di divinità unitesi a mortali (Platone, Cratilo, 398de).
Platone
Gli eroi nascono dall’eros divino
Cratilo
SOCRATE: Tutti dunque son nati o da un dio innamorato d’una mortale, o da un mortale innamorato d’una dea. Se perciò tu consideri anche questo secondo la lingua attica, quella antica, lo capirai anche meglio, perché ti chiarirà che dal nome dell’eros, dell’"amore", donde son nati gli eroi, con una lieve alterazione, per farne un appellativo, costoro furono denominati heroes. E così, o è questo che ha dato origine al nome, o il fatto che erano sapienti e retori [e] abilissimi e dialettici, capacissimi di erotan, cioè di "interrogare", giacché [erotan è affine ad] eirein [che] vale "parlare". Come dunque dicevamo, quelli che in lingua attica sono detti eroi, ci risultano de’ retori e degli esseri capaci d’interrogare, sicché la stirpe eroica (to heroikon phylon) diventa una genia di retori e sofisti.
Platone, Cratilo, trad. it. di E. Martini, Milano, BUR, 1989
Anche se falsa, questa etimologia coglie un aspetto ricorrente della biografia degli eroi greci, spesso di ascendenza divina o frutto di unioni ibride, che permettono loro di ereditare dal genitore divino una superiorità incontestabile senza tuttavia affrancarli dalla morte.
Omero
Ettore sceglie la guerra, la morte e la gloria eterna
Iliade, Libro IX; Libro VI Iliade IX, 410-416
La madre Teti, la dea dai piedi d’argento, mi disse
che due sorti mi portano al termine di morte;
se, rimanendo, combatto intorno a Troia,
perirà il mio ritorno, la gloria però sarà eterna (kleos aphthiton);
se invece torno a casa, alla mia patria terra,
perirà la nobile gloria (kleos esthlon), ma a lungo la vita
godrò, non verrà subito a me destino di morte.
Iliade VI, 440-446
E allora Ettore grande, elmo abbagliante, le disse:
"Donna, anch’io sì, penso a tutto questo; ma ho troppo
rossore (aideomai) dei Teucri, delle Troiane lungo peplo,
se resto come un vile lontano dalla guerra.
Né lo vuole il mio cuore, perché ho appreso a essere forte
sempre, a combattere in mezzo ai primi Troiani,
al padre procurando grande gloria e a me stesso".
Omero, Iliade, trad. it. di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 1977
Alcuni di questi eroi semidivini sono i protagonisti dell’Iliade e dell’Odissea, i documenti letterari più antichi della civiltà greca, generalmente attribuiti a Omero e datati all’VIII secolo a.C. È in questi poemi che il mondo eroico trova per noi la sua prima configurazione.
Vi incontriamo celebri rampolli divini, più spesso nati da unioni tra un dio e una mortale, ma talvolta anche tra una dea e un mortale (come Sarpedone, figlio di Zeus e Laodamia, Achille, figlio di Teti e Peleo, ed Enea, figlio di Afrodite e Anchise). In Omero tuttavia gli eroi non sono solo quanti contano tra i loro antenati un’ascendenza divina o quanti si illustrano come guerrieri servitori di Ares.
Sono eroi, in un’accezione più ampia, tutti i personaggi mortali che hanno una nobiltà superiore, per nascita, coraggio o talento, e di cui il poeta ricorda il nome, la genealogia e il patronimico: il cantore Demodoco, il re Alcinoo, l’araldo Mulio, i pretendenti o più generalmente gli anziani di Itaca, ossia quanti hanno un ruolo significativo nella narrazione e sono personaggi illustri del passato.
I poemi omerici ricordano inoltre le gesta di eroi appartenenti a un passato ancora più antico e lontano (palai, prosthen) di quello dei guerrieri aristocratici che combattono a Troia: "uomini dei tempi antichi" (proteroi andres), "potentissimi" (kartistoi), che si distinguono per aver combattuto contro mostri giganteschi come i Centauri e per aver osato affrontare gli dèi. Eracle, Sisifo, Tantalo, Orione, Minosse, Teseo, Piritoo sono i più celebri di questi eroi. Le loro gesta sono probabilmente al centro di altre narrazioni epiche di cui però non abbiamo traccia. Odisseo li incontra tutti, antichi e meno antichi, nel regno dei morti (nella scena della Nekyia dell’Odissea), perché questi eroi sono comunque mortali, anche quanti, rari, accedono all’immortalità post mortem , come Eracle, i Dioscuri o Menelao. Gli epiteti che qualificano gli eroi come divini (isotheos, "degno di un dio", antitheos "pari a un dio", dios "divino", diogenes "discendente da Zeus", "divino", semnos "nobile", "degno di onore") possono rivelare la loro origine, ma traducono soprattutto un titolo onorifico di rispetto, applicato a quanti si distinguono dai comuni mortali per il loro aspetto fisico forte e possente (megas, "grande", dynatos, "possente", ischyros, "forte"), oltre che per le imprese eccezionali in cui si esibiscono. Achille ed Ettore incarnano più di tutti gli altri l’ideale eroico. I due protagonisti dell’Iliade sanno di dover scegliere tra un’esistenza lunga, ma anonima, e una vita breve coronata da gloria imperitura, ricompensa per chi si afferma e si distingue come il primo, il migliore, l’aristos (Iliade, IX, 410-416 e VI, 440-446). Entrambi scelgono la seconda: è questo il loro "eroismo", il sacrificio di sé in nome di qualcosa che solo il canto poetico può conferire. L’eroe omerico combatte perché la sua "gloria" (kleos) si imprima nella memoria degli uomini a venire e soddisfa se stesso con una morte eroica, nel fiore della giovinezza. Questa belle mort (kalos thanatos, come la designano le orazioni funebri ateniesi dell’epoca classica), cui lo storico e antropologo Jean-Pierre Vernant ha dedicato pagine illuminanti, è il culmine e il coronamento dell’ideale aristocratico dell’"onore" (time), dell’eccellenza e della gloria imperitura (Iliade, XXII, 304-305).
Omero
Combattere per la gloria eterna
Iliade, Libro XXII
"Ebbene, non senza lotta, non senza gloria (akleios) morrò,
ma compiuto gran fatto, che anche i futuri lo sappiano".
Omero, Iliade, trad. it. di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 1977
Guerrieri terribili e infaticabili, gli eroi omerici sono ricordati anche per altre qualità. Quando la splendida Elena, dall’alto delle mura di Troia (scena della Teichoskopia), indica al re Priamo gli eroi che si battono per lei nella pianura sottostante, non individua solo il "maestoso" (geraros) re Agamennone e l’"imponente" (pelorios) Aiace, rocca degli Achei, ma anche Odisseo, l’uomo "dalle mille astuzie" (polymetis), il primo per scaltrezza, prudenza ed esperienza del mondo (Iliade, III, 162 sq.).
Omero
Elena indica a Priamo gli eroi greci
Iliade, Libro III
Vieni qui, figlia mia, siedi vicino a me,
a vedere il tuo primo marito, e gli alleati e gli amici
[…]
vieni a dirmi il nome di quel guerriero mirabile;
chi è colui, quell’eroe acheo forte e grande?
Certo, ve ne sono altri più alti della testa,
ma uno così bello non l’ho mai colto con gli occhi,
né così maestoso; ha l’aspetto di un re!"
Ed Elena lo ricambiò con parole, la donna gloriosa
[…]
"Io ti dirò quello che chiedi e ricerchi:
è il figlio di Atreo, il molto potente Agamennone,
sovrano nobile e guerriero gagliardo:
era cognato mio, di me cagna, se mai questo fu".
[…]
Per la seconda volta, vedendo Odisseo, chiese il vecchio:
"E dimmi anche quello, figlia mia: chi è colui?
Più piccolo della testa di Agamennone Atride,
ma più largo di spalle e di petto a vederlo.
L’armi sue posano sopra la terra nutrice di molti,
ma egli come un ariete si aggira tra le file degli uomini:
lo paragono a un ariete dal vello folto,
che s’aggira fra un gregge grande di pecore bianche".
Allora lo ricambiò Elena, figlia di Zeus:
"Quello è il figlio di Laerte, Odisseo abilissimo,
che crebbe fra il popolo d’Itaca, la ricca di rocce,
e conosce ogni sorta d’inganni e di acuti pensieri".
[…]
La terza volta ancora, vedendo Aiace, domandò il vecchio:
"Chi è dunque quell’altro eroe acheo forte e grande,
alto sopra gli Argivi della testa e delle larghe spalle?"
Ed Elena lungo peplo lo ricambiò, la donna gloriosa:
"Quello è Aiace gigante, rocca degli Achei.
Dall’altra parte Idomeneo fra i Cretesi come un dio
sta ritto; intorno a lui si raccolgono i capi dei Cretesi;
spesso l’ospitava Menelao caro ad Ares
in casa nostra, quando veniva da Creta.
Omero, Iliade, trad. it. di R. Calzecchi Onesti, Torino, Einaudi, 1977
Qualunque sia l’aretè (parola quasi intraducibile, generalmente resa con "virtù") che fa di loro degli aristoi, "i migliori", questi personaggi dell’epica appartengono a un’epoca mitica, in cui dèi e mortali figurano gli uni accanto agli altri: un passato glorioso, in cui i Greci dei tempi storici immaginano abbia vissuto una stirpe di uomini e di donne più belli, più potenti e più valorosi di quanto "sono ora i mortali", secondo un’espressione ricorrente nell’Iliade. Gli eventi che hanno luogo durante questa età eroica, con le guerre di Tebe e di Troia, costituiscono la materia privilegiata della poesia epica arcaica, in cui emerge soprattutto il contenuto guerriero dell’eroismo.
Anche per Esiodo gli eroi sono personaggi del passato, i guerrieri morti combattendo nei conflitti tebano e troiano. Nel celebre mito delle cinque stirpi raccontato nelle Opere e i giorni (vv. 109-201), destinato a spiegare come gli uomini siano passati dall’età aurea originaria alla triste condizione della presente età del ferro, dominata dal male e dall’ingiustizia, il poeta fa degli eroi una "stirpe divina" (theion genos), che interrompe il processo di decadenza dell’umanità.
Questi "uomini-eroi" (andres heroes), che grazie alla loro forza brutale e sovrumana creano le condizioni di una civiltà organizzata, sono chiamati "semidei" (hemitheoi), designazione presente un’unica volta anche in Omero (Iliade, XII23: hemitheon genos andron), poi sviluppata da Platone nel Cratilo (398e: to heroikon phylon). Esiodo, che si interessa ai destini postumi di ognuna delle cinque stirpi, precisa che questi esseri semidivini dopo la morte raggiungono le Isole dei Beati, dove conducono una vita simile a quella degli dèi.
Giusti e valorosi durante la loro esistenza terrestre, gli eroi si vedono dunque attribuire prerogative divine e vivono "felici" (olbioi) in condizioni di serenità e di abbondanza, sfuggendo così alle vicissitudini dei mortali: lavoro, sofferenza, vecchiaia e morte.
Anche se Omero non conosce un aldilà beato riservato ai suoi guerrieri, l’idea di immortalità poetica conferita dal canto ha un indubbio legame con il privilegio immaginato da Esiodo per i suoi eroi.
Del resto alcuni eroi omerici sono resi immortali nella tradizione letteraria successiva. Il caso più emblematico è quello di Achille, presentato defunto nell’Odissea, ma poi costantemente associato all’immortalità, in un luogo ai confini del mondo (Pindaro, Olimpiche, II, 75-88).
Sullo sfondo della conquista dell’immortalità si profila l’immagine cultuale dell’eroe. Gli onori tributati agli eroi dalla poesia in termini di gloria si traducono nella realtà in un vero e proprio culto.
La morte resta comunque il limite discriminante tra il divino e l’umano, perché anche quando è divinizzato l’eroe fa l’esperienza della morte, che sola ne consacra lo statuto eroico e gli conferisce il suo potere, nella poesia e nel culto (Nemee, X, 55-61).
Pindaro
La morte eroica
Nemea, Ode X
Polluce, figlio di Zeus e di Leda, rinuncia a una parte della sua immortalità per condividerla con il gemello mortale Castore, figlio di Tindaro e di Leda. I Dioscuri presiedono agli agoni di Sparta.
Mutando alterni scorrono i loro giorni,
uno a fianco del padre Giove,
l’altro nel grembo della terra,
nelle caverne di Terapne,
compiendo eguale destino;
ché volle tale vita Polluce
più che abitare eterno dio nel cielo,
perito Castore in guerra
lo trafisse, adirato pei bovi,
Ida con la cima dell’asta.
Pindaro, Odi e frammenti, trad. it. di L. Traverso, Firenze, Sansoni, 1956
Esattamente come il mondo degli dèi, il mondo degli eroi è popolato da figure maschili e femminili. La prima attestazione del termine "eroina" si trova però solo in Pindaro (Pitiche XI, 7), ossia all’inizio del V secolo a.C. Questa assenza nel panorama arcaico non significa che non vi compaiono figure femminili considerate eroiche, perché dalla documentazione ne emerge comunque un’immagine coerente.
Il destino delle eroine è generalmente legato a quello dei loro parenti uomini. La loro gloria risiede soprattutto nella bellezza e nel loro ruolo di mogli e madri di eroi, in quanto esse molto raramente hanno un genitore immortale o compiono azioni memorabili. Così, nei poemi omerici, Briseide, Andromaca, Ecuba e Penelope, per citare le più celebri, hanno un ruolo nell’azione principalmente in ragione dei vincoli di parentela che le legano rispettivamente ad Achille, Ettore e Odisseo. Figurano inoltre nomi di donne della generazione eroica precedente. Le loro biografie sono quasi sempre ridotte a qualche elemento essenziale. Zeus, che si vanta delle sue numerose conquiste, cita i nomi di diverse madri di eroi (Iliade, XIV): Danae (madre di Perseo), Europa (madre di Minosse e Radamante), Semele (madre di Dioniso), Alcmena (madre di Eracle). Nel catalogo delle navi (Iliade, II) incontriamo Alcesti, moglie di Admeto, "donna divina" (dia gunaikon) e "bellissima" (eidos ariste) figlia di Pelia, insieme ad altre donne che sembrano avere un ruolo significativo come madri degli eroi che combattono a Troia. È quanto emerge anche dal viaggio compiuto da Odisseo nell’oltretomba (Odissea, XI), dove l’eroe incontra le anime dei guerrieri, ma anche quelle di donne celebri, "spose e figlie di eroi" all’origine di stirpi eroiche: Antiope, che ha da Zeus i figli Anfione e Zeto; Arianna, figlia di Minosse; Epicasta, madre e moglie di Edipo; Leda, madre di Castore e Polluce. La lista non è esaustiva, ma le donne del mito che hanno un ruolo nella poesia eroica sono in numero di gran lunga inferiore a quello degli eroi. L’unico personaggio femminile che nei poemi omerici fa eccezione per il suo ruolo di primo piano è Elena, che ha uno statuto semidivino in quanto "figlia di Zeus" (Dios engegayia, koure Dios).
Isocrate
La bellezza di Elena
Encomio di Elena La bellezza è apprezzata dagli dèi in grado tanto superiore a noi, che essi perdonano le loro mogli quando se ne lasciano dominare. Si possono indicare molte fra le immortali che furono vinte da una bellezza mortale, e nessuna di esse cercò di nascondere l’accaduto come se comportasse vergogna ma, giudicando bello il proprio agire, vollero che fosse celebrato con inni piuttosto che passato sotto silenzio. Ed ecco la prova migliore delle mie affermazioni: possiamo trovare più esseri umani diventati immortali per la bellezza che per tutte le altre virtù.
E su questi Elena tanto più s’avvantaggiò quanto più li superò nella bellezza dell’aspetto: non solo ottenne l’immortalità ma, acquistata una potenza pari a quella divina, per prima cosa assunse fra gli dèi i suoi fratelli (…Castore e Polluce…), già oppressi dal fato e, volendo rendere degna di fede la loro trasformazione, diede loro prerogative così manifeste che, quando sono visti dai marinai in pericolo, li salvano se sono stati invocati piamente.
Poi, fu tanto riconoscente a Menelao per i travagli e i pericoli che aveva affrontato per lei, che, mentre l’intera stirpe dei Pelopidi era perita vittima di mali irreparabili, non solo lo preservò da queste sventure, ma anche lo rese dio da mortale che era e lo prese per suo sposo e compagno per l’eternità.
Di ciò posso in realtà portare a testimone la città degli Spartani, che più di ogni altra conserva i ricordi del passato: ancor oggi a Terapne nella Laconia si offrono sacri e solenni sacrifici ad entrambi loro, considerati non come eroi ma come dèi.
Isocrate, Encomio di Elena, trad. di M. Marzi, Torino, Utet, 1991
Anche nel Catalogo delle donne eroiche (Gynaikon heroinon katalogos), falsamente attribuito a Esiodo ma probabilmente databile al VI secolo a.C., si ricordano i nomi di eroine celebri. L’opera, che non ci è giunta integralmente, fa una lista di figure femminili presentate come la stirpe delle "migliori" (aristai) donne che si sono unite a dèi, dando così origine a diverse genealogie eroiche fino alla guerra di Troia. Vi figurano per esempio Io, da cui discendono Danao ed Europa, e Callisto, ninfa cacciatrice che si unisce a Zeus dando alla luce Arcade, re dell’Arcadia. Il titolo tramandato dalle fonti bizantine presenta il termine "eroina", ma il catalogo è noto anche come Eoie o Eee, che deriva dalla formula che introduce le varie donne e le loro unioni (e oie, "o quale").
Nelle tragedie del V secolo a.C., di cui sono spesso protagoniste (l’unica tragedia in cui non figurano personaggi femminili è il Filottete di Sofocle), le azioni delle eroine del mito gravitano ugualmente intorno alla sfera familiare: criminali inesorabili (come Medea, che uccide i figli per vendicarsi del marito Giasone), seduttrici fiere (come Fedra, che si innamora di Ippolito, figlio di suo marito Teseo), ma anche madri devote che si sacrificano per i figli (come Andromaca, che protegge il figlioletto avuto da Neottolemo) o cercano di vendicarli perseguitando chi li ha uccisi (come Ecuba, cagna feroce straziata dalla morte di Polissena e di Polidoro), sorelle, mogli e figlie temerarie (come Antigone, che sfida il potente Creonte per dare una degna sepoltura al fratello Polinice; Alcesti, che accetta di morire al posto del marito Admeto; o Elettra, che vendica il padre Agamennone uccidendo la madre). Spesso l’universo femminile si presenta dunque come una minaccia all’affermazione dell’eroe. La lista di amori che l’eroe fugge per continuare il suo cammino è lunga: basti pensare a Circe e Calipso, abbandonate da Odisseo, ma anche a Didone, abbandonata da Enea, o ad Arianna, abbandonata da Teseo.
Anche nel culto le eroine sono spesso associate agli eroi, come Elena, onorata come moglie di Menelao in due località vicino a Sparta (Isocrate, Elena, 60-63). La mitologia e il culto eroici conoscono non solo figure di eroine che agiscono nei ruoli canonici assegnati alle donne nella società greca, ma anche personalità che vivono ai margini e ignorano i lavori femminili, come le Amazzoni, che si consacrano alla guerra, e Atalanta, che si dedica alla caccia e alla corsa, o vergini offerte in sacrificio per il bene della comunità, come Ifigenia, che il padre Agamennone sacrifica ad Artemide per ottenere che la flotta achea possa partire per la spedizione contro Troia. Vi sono diversi casi di eroine che assurgono a uno statuto divino, come Arianna, figlia di Minosse e moglie di Dioniso, o Ino, figlia di Cadmo e moglie d’Atamante, che dopo la sua trasformazione in dea marina riceve il nome di Leucotea , la "Dea Bianca" (Odissea, V, 333-353).
Al contempo sovrumani, smisurati e imperfetti, gli eroi appartengono a un passato in cui fondano città, danno origine a istituzioni, stirpi e famiglie, e intervengono quasi sempre come civilizzatori, salvatori, veggenti, guaritori, protettori della comunità e dispensatori di beni.
Eppure la mitologia eroica annovera numerosi esempi di eroi scorretti, malvagi, traditori, ladri, folli, sacrileghi, incestuosi, autori di assassini efferati di cui spesso sono vittime i parenti più prossimi.
Tieste, Edipo, Alcmeone, Licaone, Tereo, Oreste e tanti altri compiono delitti spaventosi contro i loro consanguinei. Questi personaggi non si distinguono certo come campioni di virtù e sono in questo molto lontani dall’ideale carattere nobile che identifica l’eroe moderno. Caratterizzati come figure dell’eccesso, le loro passioni e azioni sono improntate alla hybris, ossia alla "tracotanza", alla "dismisura", che è "uno dei tratti più salienti della natura eroica" (Angelo Brelich, Gli eroi greci, 1958, p. 261).
La hybris spinge gli eroi fino agli estremi limiti del comportamento accettabile dalla comunità, costringendoli a soppiantare i rivali e a far subire pene terribili, a volte con estrema disinvoltura, a chiunque ostacoli le loro imprese. A differenza dei santi cristiani, cui sono spesso paragonati, gli eroi greci non devono il loro statuto unicamente ai nobili atti di cui fanno prova. Sfrontati, orgogliosi, sprezzanti del pericolo e delle regole, avidi di potere, dominati da un appetito smisurato e da una sessualità irrefrenabile, presi dalla smania di competizione e dalla volontà di prevalere, gli eroi superano gli altri per forza, bellezza, coraggio, ma anche per le loro azioni violente e riprovevoli. Nell’Iliade Achille mostra il suo lato selvaggio infliggendo un trattamento aberrante al cadavere del suo nemico Ettore, che vuole oltraggiare privandolo della belle mort; Ecuba, madre annientata dal dolore, sogna di affondare i suoi denti nel corpo di Achille per divorargli il fegato e vendicarsi. Gli eroi giungono persino a porsi come antagonisti degli dèi e a offenderli, incorrendo nella punizione che li destina al fallimento e alla sconfitta. Vi è chi gareggia nel canto (Tamiri, aedo di Tracia, è punito con cecità e mutismo dalle Muse), chi nella tessitura (Aracne è trasformata in ragno da Atena), chi si vanta della propria progenie (Niobe è privata dei figli, che Apollo e Artemide uccidono, ed è poi tramutata in roccia piangente, Apollodoro, Biblioteca, III, 5, 6).
Apollodoro
La punizione di Niobe
Biblioteca, Libro III, 5, 6
Anfione sposa Niobe figlia di Tantalo che gli partorisce sette figli […] e sette figlie […]. Esiodo dice che ebbe dieci figli e dieci figlie, Erodoto quattro maschi e tre femmine, Omero sei figli e sei figlie. Niobe, madre felice, si vantò di essere più fortunata di Latona. Irritata, la dea scatenò contro i figli di Niobe i suoi figli, Artemide e Apollo: Artemide uccise le femmine in casa, a colpi di freccia, Apollo uccise i maschi che erano, tutti insieme, a caccia sul Citerone. […] Niobe lasciò Tebe e si recò a Sipilo presso suo padre Tantalo e qui rivolse a Zeus una preghiera e fu trasformata in pietra: lacrime scorrono dalla pietra, di notte e di giorno.
Apollodoro, I miti greci, a cura di P. Scarpi, trad. it. di M. G. Ciani, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 1996
Gli eroi presentano a volte anche tratti mostruosi, anomalie e difformità fisiche: statura eccessiva o nana, teriomorfismo (Cecrope, il primo re di Atene, secondo la tradizione più diffusa, ha la parte alta del corpo in forma umana e quella inferiore di un serpente). Tutti questi aspetti innalzano gli eroi al di sopra dei comuni mortali, in una sfera ambigua e imperscrutabile che emana dalla loro natura complessa.
Quando si parla di eroi greci, vengono subito in mente i nomi di Achille, Odisseo, Eracle, Elena, personaggi del mito celebrati dalla poesia epica, lirica e tragica, che ne consacrano la memoria immortale come figure panelleniche, riconosciute da tutta la Grecia, nello spazio e nel tempo, e spesso venerate in diversi santuari. Eppure i Greci conoscono schiere di eroi legati a una località precisa.
Questi eroi locali sono personaggi del mito, esseri sovrumani, ma anche uomini ordinari, storici o supposti tali, che si distinguono per le azioni memorabili compiute al servizio della comunità e che in virtù delle loro qualità straordinarie sono eroizzati, ossia ricordati con tratti mitici e onorati dalla collettività con un culto tombale. Il più delle volte gli eroi indigeni sono eponimi, riconosciuti come antenati e "fondatori" (archegetai) prestigiosi di città, di famiglie o persino di regioni intere della Grecia cui danno il nome (il Peloponneso è l’"isola di Pelope").
Pausania
Foroneo fonda la prima comunità
Guida della Grecia, Libro II, 15, 5
C’è ancora un’altra leggenda: il primo ad abitare questa terra fu Foroneo, e suo padre non fu un uomo chiamato Inaco, ma un fiume di questo nome. Questi fece da giudice tra Posidone ed Era nella contesa per il possesso della terra, e con lui giudicarono anche i fiumi Cefiso e Asterione: avendo essi deciso che la terra apparteneva a Era, Posidone fece sparire loro l’acqua. Per questo, né Inalco né alcun altro dei fiumi menzionati hanno acqua, se non quando è piovuto; e in estate le loro correnti si seccano, fatta eccezione per quelle di Lerna. Foroneo, figlio di Inalco, fu il primo a riunire in comunità gli uomini, che fino ad allora vivevano dispersi e ciascuno per suo conto; e il luogo in cui per la prima volta si riunirono fu chiamato "città di Foroneo".
Pausania, Guida della Grecia. Libro II. La Corinzia e l’Argolide, a cura di D. Musti e M. Torelli, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 1986
Erodoto
Aiace e Telamone a Salamina
Storie, Libro VIII, cap. 64
Aiace e suo padre Telamone sono invocati dagli Ateniesi prima della battaglia di Salamina (nel 480 a.C.) perché apportino soccorso.
Così i Greci a Salamina, dopo aver gareggiato in parole, poiché Euribiade decise così, cominciarono i preparativi per la battaglia. Si fece giorno e al sorgere del sole ci fu una scossa sulla terra e in mare. Decisero di pregare gli dèi e di invocare come alleati gli Eacidi. Lo decisero, e lo fecero: pregati tutti gli dèi, da lì, da Salamina, chiamarono in aiuto Aiace e Telamone, e mandarono a Egina una nave per Eaco e gli altri Eacidi.
Erodoto, Storie, trad. it. di A. Fraschetti, Milano, Mondadori, Fondazione Lorenzo Valla, 2003
Tale funzione è per lo più prerogativa degli eroi, ma non esclusiva: si pensi al caso della dea Atena da cui prende il nome la città di Atene. Anche ad Atene peraltro il culto degli eroi eponimi ha una grande importanza a partire dal 508-507 a.C., quando il legislatore Clistene ripartisce il corpo civico in dieci tribù (phylai), ognuna chiamata col nome di un eroe eponimo scelto da una lista di cento dalla Pizia, sacerdotessa di Apollo a Delfi. Questi eroi hanno un ruolo fondamentale nella religione ufficiale e nello sviluppo della città: ricevono annualmente sacrifici e le loro statue sono erette nell’agorà, ossia nel cuore della vita politica ateniese, davanti ai luoghi in cui si riuniscono le massime istituzioni politiche.
Anche le corporazioni delle arti e mestieri hanno il loro eroe eponimo protettore: ad Atene, Ceramos è il patrono dei ceramisti (da cui prende il nome il Ceramico, quartiere di artigiani specializzati nella produzione di vasi), Academo dei giardini (la scuola di Platone, l’Accademia, ha sede nei pressi del suo luogo di culto).
Lo statuto eroico e i criteri di eroizzazione si modificano con l’evolversi della società greca e sono intimamente legati ai cambiamenti politici, sociali e religiosi. Generalmente è promosso a uno statuto eroico chi si illustra per il suo contributo alla civiltà, in qualità di protos heuretes, ossia di "inventore" e "scopritore" di un’arte (techne) particolare, come Ippocrate, padre della medicina. Fino all’età ellenistica la morte in battaglia costituisce comunque una delle principali vie di accesso allo statuto eroico, incoraggiata anche dall’ammirazione per gli eroi della tradizione poetica omerica o per i caduti in battaglia celebrati dalla poesia di Tirteo. Quanti si illustrano per coraggio e forza, anche se non sono stricto sensu eroi (heroes), ma piuttosto "uomini valorosi" (agathoi andres) che si battono per proteggere e salvare la patria, ricevono onori eroici, come i guerrieri ateniesi morti a Maratona (490 a.C.) durante la guerra tra Greci e Persiani, poi celebrati durante i funerali con epitaphioi logoi ("orazioni funebri"). Si crede che a queste celebri battaglie abbiano preso parte anche gli eroi del passato, i quali, a differenza dei morti ordinari, possono manifestarsi tra i vivi con epifanie benefiche, intervenendo sui campi di battaglia come protettori o aiutanti. Sono eroizzati e salutati come "liberatori" (eleutherioi) anche i due aristocratici Armodio e Aristogitone, considerati i fautori della caduta del regime dei Pisistratidi (avvenuta in realtà solo quattro anni dopo l’uccisione del tiranno Ipparco nel 514 a.C., con l’espulsione di suo fratello Ippia). Le statue dei tirannicidi sono erette al centro dell’agorà. Il significato politico di queste misure è evidente. La giovane democrazia ateniese si crea i propri eroi, simbolo della lotta contro la tirannide, e li addita come esempio proposto all’ammirazione dei vivi.
Anche se rare, vi sono figure di eroine che si battono per la difesa della patria.
Policrita, appartenente a un’illustre famiglia di Nasso, libera la sua patria dai Milesi. I suoi concittadini le innalzano un monumento nel luogo stesso in cui muore e l’onorano con funerali pomposi.
Oggetto di culti eroici e di commemorazioni sono anche gli ecisti (oikistai), ossia i fondatori di città e "colonie" (apoikiai). Per le città della Grecia si tratta quasi sempre di personaggi mitici cui si attribuisce un culto locale. Nel periodo della colonizzazione, a partire dall’VIII secolo a.C., gli ecisti inviati dalla madrepatria sono soprattutto personaggi reali.
Il primo ecista conosciuto è Batto, che fonda la città di Cirene, in Libia, alla fine del VII secolo a.C. Non si sa se sia un personaggio mitico o storico, ma è considerato discendente di uno degli Argonauti (Pausania, VIII, 8, 4).
Pausania
Antinoe e la fondazione di Mantinea
Guida della Grecia, Libro VIII, 8, 4
Vi sono anche casi di eroine fondatrici. Pausania racconta la storia di Antinoe, che su consiglio di un oracolo segue un serpente, simbolo eroico per eccellenza, e guida gli abitanti di Mantinea nel luogo in cui sarà fondata la città.
La città dei Mantineesi dista circa dodici stadi da questa sorgente. È chiaro che Mantineo, figlio di Licaone, fondò in un altro luogo la città che anche ai nostri giorni gli Arcadi chiamano Ptolis; di là Antinoe, figlia di Cefeo, figlio di Aleo, obbedendo a un responso oracolare, trasferì gli abitanti in questo sito, seguendo come guida per il trasferimento un serpente – di quale specie fosse non è ricordato –; ed è per questo che il fiume che scorre presso l’odierna città ha ricevuto il nome di Serpente (Ophis).
Pausania, Guida della Grecia. Libro VIII. L’Arcadia, trad. di M. Moggi e M. Osanna, Milano, Fondazione Lorenzo Valla, 2003
Gli atleti, simili a eroi per forza e audacia, sono spesso eroizzati, in quanto l’agon, ossia la "competizione", il "concorso", è un valore fondamentale che consacra l’eccellenza eroica. Le imprese compiute dagli atleti apportano prestigio e gloria alla loro patria d’origine, che ricompensa i propri vincitori con odi, statue e culti.
Erodoto
Onori tributati agli atleti olimpici
Storie, Libro V, cap. 47
Con lui morì Filippo figlio di Butacide, crotonese, il quale per essersi fidanzato con la figlia del sibarita Telis era stato esiliato da Crotone, ma, deluso nella speranza delle nozze, se ne era andato per mare a Cirene, e salpando di là aveva seguito Dorieo con una trireme propria e mantenendo l’equipaggio a sue spese, egli che era un olimpionico e il più bello dei Greci del tempo. Per la sua bellezza ottenne dagli Egestani onori che nessun altro ebbe: hanno infatti eretto sulla sua tomba come a un eroe un tempietto e se lo propiziano con sacrifici.
Erodoto, Storie, trad. it. di A. Izzo D’Accinni, Milano, BUR, 1994
In particolare, assurgono al rango di eroi quanti conseguono la periodonike, ossia la vittoria del "circuito" (periodos) dei grandi agoni panellenici (giochi olimpici, nemei, istmici e pitici), un’impresa riuscita a pochissimi. Del resto è agli eroi che è attribuita la fondazione di queste gare atletiche, che si svolgono nei grandi santuari del territorio greco. Tra gli atleti più celebri figura Cleomede di Astipalea, che vince nella gara del pancrazio a Olimpia, nel V secolo a.C., dopo aver ucciso l’avversario. Squalificato, il pugile è privato del premio e impazzisce di rabbia. Finisce allora per uccidere anche sei bambini scaraventando su di loro il tetto della scuola, poi si rifugia nel santuario di Atena e sparisce. La Pizia lo dichiara un eroe. L’aneddoto indica chiaramente l’aspetto ambivalente della figura eroica: non è necessariamente il merito che fa di un defunto un eroe, ma talvolta anche il carattere straordinario e spesso misterioso che avvolge la sua vita e la sua morte. Questo non vale però per gli atleti celebrati da Pindaro, per il quale l’aretè, sia essa atletica, morale o guerriera, è un elemento essenziale per l’attribuzione dello statuto eroico.
Se guerrieri, re, generali, legislatori, vincitori di prove sportive e fondatori di città forniscono i casi più frequenti di eroizzazione durante tutta l’età classica ed ellenistica, non sono comunque i soli. Il tragediografo Sofocle è eroizzato e onorato col nome di Dexion, perché "accoglie" nella propria casa la statua di Asclepio, accompagnando il trasferimento del dio da Epidauro ad Atene con un peana composto per l’occasione.
La schiera dei poeti che ricevono onori e tributi dopo la morte è lunga: Archiloco, Saffo, Eschilo, sono solo alcuni dei poeti theioi, elevati a un rango quasi divino. Omero ha santuari in diverse città, tra cui Chio e Smirne, dove hanno luogo feste e sacrifici in suo onore.
Durante l’età ellenistica si assiste a una "banalizzazione" dell’eroizzazione dei defunti, che diventa una pratica ordinaria, molto diffusa. In questo periodo anche le tombe di comuni mortali presentano l’iscrizione "eroe" o "eroina" e sono decorate con motivi eroici tipici (cavalli, serpenti, scene di banchetto). Il termine è impiegato come titolo onorifico per conferire uno statuto speciale a questi trapassati, spesso membri di famiglie aristocratiche o persone decedute per morte violenta e prematura.
Con il progressivo disgregarsi del sistema delle città-stato (poleis), si diffonde inoltre la pratica di attribuire un culto a personaggi viventi come riconoscimento del loro evergetismo e della loro condotta eccezionale nelle imprese politiche o militari. E con Alessandro Magno si assiste all’affermazione del culto del sovrano, che ha grande diffusione durante le monarchie ellenistiche per poi imporsi facilmente anche a Roma.