ORLANDO
Il nome O. (o Rolando) costituisce l'equivalente, in volgare italico, del nome francese d'oïl Roland - che conosce versioni simili ma leggermente diverse nelle altre lingue parlate in Europa occidentale e centrale -, indicante secondo la tradizione epica della matière de France, fissatasi alla fine del sec. 11°, il principale tra i 'paladini' di Carlo Magno, nipote dello stesso imperatore.Non si è quasi per nulla informati sulla personalità storica di quello che a partire dal sec. 11°-12° divenne uno dei principali eroi della tradizione epica europea. Il nome, con qualche variante (Hruodlandus, Rothlandus), è attestato appartenente a un membro dell'entourage regale e corrisponde a testimonianze numismatiche - è inciso su monete del 781 - e a documenti che citano elenchi di personalità della corte. Ma la testimonianza indiretta più importante è offerta dagli Annales qui dicuntur Einhardi (MGH. SS, I, 1826, p. 159), dove si parla dell'agguato teso nel 778 al passo di Roncisvalle alla retroguardia delle truppe franche reduci da una non felice campagna tra Navarra e Aragona, da parte dei montanari Wascones (baschi o guasconi: in ogni modo, senza dubbio cristiani). Gli Annales si limitano a fare allusione al fatto che, in quel non chiaro e comunque poco glorioso e poco importante episodio guerresco, caddero alcuni importanti dignitari regi che il sovrano aveva posto al comando della colonna sorpresa dall'imboscata. Riprendendo e ampliando questa narrazione, la Vita Karoli Magni (IX; MGH. SS, II, 1829, p. 448) di Eginardo, scritta fra l'829 e l'836, le aggiunse i nomi di tre fra i personaggi più elevati caduti durante quell'episodio: il siniscalco Eggiardo, il conte palatino Anselmo e Hruodlandus, Brittannici limitis praefectus, cioè O. o Rolando, conte della marca di Bretagna. Una tradizione storica abbastanza sicura, ancorché esile sul piano quantitativo, assicura che la memoria storica del fatto del 778 sopravvisse senza sostanziale soluzione di continuità fino al sec. 11°, vale a dire fin quando non fu accolta nella tradizione epica meglio nota, o, a dirla con maggior precisione, fin quando allo stato attuale delle conoscenze non venne fissata per iscritto quella tradizione epica meglio nota. Tale distinzione dev'essere introdotta forzatamente nel discorso, nella misura in cui le polemiche tra fautori d'uno sviluppo storico progressivo e ininterrotto delle chansons de geste dalle antiche cantilenae orali carolinge (che peraltro, pur attestate sul piano della menzione, non si conoscono nella loro sostanza testuale) e fautori invece di un repentino sviluppo dell'epica della matière de France sulla via dei pellegrinaggi e delle imprese guerriere legate alla Reconquista - insomma, le polemiche tra i seguaci di Bédier (1908-1913), fautori della seconda delle tesi or ora richiamate, e i suoi oppositori - non si sono ancora placate.Le basi della leggenda rolandiana sono radicate comunque in un fatto storico: la spedizione voluta nel 778 da Carlo in Spagna su richiesta del signore musulmano di Barcellona e Gerona, Sulaymān ibn al-῾Arabī, coinvolto al pari di tutti i capi dell'Andalus nelle conseguenze della rivoluzione califfale che nel 750 aveva segnato il passaggio dall'autorità omayyade a quella abbaside e la nascita quindi di un Islam sunnita ma neo-omayyade con centro in Córdova, ostile al califfato abbaside di Baghdad. I principi ispano-islamici non avevano reagito nella stessa maniera dinanzi alle vicende califfali: da qui l'appello al vicino re franco, la sua prospettiva che un'incursione a S dei Pirenei lo avrebbe condotto ad ampliare i confini, se non proprio del suo regno, quanto meno della sua influenza, e una campagna militare né prudente, né abile, né fortunata. Prese l'avvio probabilmente già dal periodo propriamente carolino, e forse dalla volontà stessa del sovrano, una sorta di 'elaborazione del lutto' per i fatti di Roncisvalle che, elevando lo smacco militare ad alto momento di martirio, cambiando da cristiana (come certamente era) in musulmana l'identità degli aggressori e nascondendo il fatto che questi erano semmai piuttosto degli aggrediti che stavano difendendo la loro terra da un'armata di stranieri, cambiò un insuccesso militare in successo politico-propagandistico. I successivi tre lunghi secoli di contesa tra cristiani e musulmani nel bacino mediterraneo, nella penisola iberica, in Sicilia e infine in Anatolia e in Siria-Palestina altro non fecero se non elevare la rotta di Roncisvalle a momento-canone di una lunga, secolare, nella prospettiva simbolica eterna contesa fra Cristianità e Islam. Di tale contesa si può dire che O. divenisse il santo patrono, il martire quasi canonizzato come tale, il modello cristomimetico.Vi è stato senza dubbio un episodio o una serie di episodi nel quale o nei quali la contesa 'di lunga durata' - ma perciò stesso cronicizzatasi, per dire così, ed esente ordinariamente ma non in assoluto da momenti 'acuti' - ha trovato un suo fulcro risolutore e normativo. Tale momento può essere stato la scelta di uno dei grandi papi della Riforma del sec. 11°, Alessandro II, che nel 1063, con la bolla Eos qui in Hispaniam (più tardi assurta a modello delle 'bolle di crociata'), accordava la remissione dei peccati a coloro che avessero accettato di accorrere volontariamente in Aragona per contrastare i musulmani in quella restata poi celebre come l'impresa di Barbastro, a patto tuttavia che i partenti si fossero confessati al loro vescovo o al loro padre spirituale. Se si vuole prestar fede a Pietro Diacono (Chronica monasterii Casinensis, III, 71; PL, CLXXIII, col. 868), Vittore III avrebbe incoraggiato nella stessa maniera i pisani e i genovesi all'atto della conquista della città nordafricana di Mahdia nel 1087. La successiva conquista della Sicilia da parte di Ruggero d'Altavilla e infine la spedizione in Oriente poi divenuta famosa come prima crociata (1096-1099) avrebbero consolidato il deciso colore religioso-ecclesiale ormai assunto dall'Islam e in questo senso le spedizioni connesse con la Reconquista spagnola, una volta divenute il canone di riferimento della contesa guerriera contro l'Islam come fatto spiritualmente meritorio, avrebbero aperto la porta all'elaborazione dell'ideologia della crociata. Ma la Spagna richiamava alle vecchie imprese di Carlo: ed è sul cammino della Reconquista e del pellegrinaggio a Santiago de Compostela che si elaboravano dottrina, spiritualità, estetica e retorica di quella che sarebbe stata la crociata. La geste carolingia fu ripresa, rielaborata, in molti punti anche deformata rispetto alla sua realtà storica.I tentativi - da parte di storici, filologi e archeologi - di riempire adeguatamente i vuoti delle attuali conoscenze tra il 778, la narrazione di Eginardo (che è già, essa stessa, nella formulazione con la quale è nota, più recente di mezzo secolo rispetto agli eventi che narra) e la circolazione del testo scritto della Chanson de Roland hanno finora condotto a risultati incerti e modesti. Il poema allude in più punti, e più o meno oscuramente, a un testo, un''antica Gesta' o 'Gesta dei Franchi', non si riesce a capire se narrativo o poetico, che ne costituirebbe la fonte: ma può trattarsi di un peraltro conosciuto artificio letterario teso a dar credibilità e autorità maggiori a quel che si narra. Maggiore credito può essere accordato invece ai riferimenti a vere e proprie reliquie che si potevano ammirare e per così dire venerare, con un atteggiamento mentale e lungo cammini non diversi da quelli, appunto, dei pellegrini dalla Francia diretti a Santiago de Compostela: la tomba di O. (alla quale con minore certezza si può ritenere fossero annesse quelle degli altri due personaggi caduti a Roncisvalle, Oliviero e Turpino) nella chiesa di Saint-Roman a Blaye (dip. Gironde), l'olifante - vale a dire il corno d'O., la tuba eburnea segnalata nel Liber V sancti Iacobi (VIII; a cura di J. Vielliard, Mâcon 19633, p. 78) - nella chiesa di Saint-Seurin di Bordeaux. Le guerre ugonotte del Cinquecento, ancor prima della Rivoluzione francese, hanno cancellato molte di queste tracce. D'altronde, dal momento che impossibile resta ricostruire il rapporto fra il testo della Chanson de Roland quale è stato tramandato per iscritto e la tradizione orale precedente, impossibile risulta altresì formulare ipotesi accettabili circa il legame fra quella tradizione orale e la fondazione di quei luoghi, l'inventio e l'eventuale translatio di quegli oggetti di culto. Quel che si può dire è che la Chanson de Roland fissata per iscritto testimonia dell'esistenza di luoghi di culto connessi con la memoria del sacrificio di O. e che essi stanno in un presumibilmente stretto rapporto con l'elaborazione orale dei temi epici che appunto alla redazione del poema quale è nota hanno condotto.Guglielmo di Malmesbury, nei suoi Gesta regum Anglorum (III, 242; Rer. Brit. MAe. SS, XC, 2, 1889, p. 302), composti nel 1125, dà notizia del fatto che nella battaglia di Hastings del 1066, fra le truppe normanne si intonava una cantilena Rollandi, ma è impossibile sapere se quest'espressione si riferisce alla vera e propria Chanson o, appunto, a una delle composizioni orali che l'hanno preceduta e in qualche misura ne sono state modello e materiale. Ma lo scarto cronologico tra i fatti del 1066 e la redazione dei Gesta impedisce ogni determinazione cronologica più precisa. Si può dire che la Chanson de Roland sia comunque, nella sostanza, coeva alla prima crociata, anche se è difficile prendere con certezza partito tra chi la vorrebbe leggermente precedente e chi di poco successiva. Certo è che il poema e l'impresa del 1096-1099 traggono linfa da uno stesso humus culturale e congiunturale e che sono strettamente connessi.La Chanson de Roland fornisce anche, in un certo senso, il canone interpretativo e l'inquadramento propagandistico della crociata a partire dal 12° secolo. In sette anni di guerra, Carlo ha conquistato l'intera Spagna: resta soltanto la città di Saragozza, il re della quale, Marsilio, invia al sovrano franco l'ambasciatore Biancardino. La condotta da tenere nei confronti del residuo potere saraceno in Spagna provoca una contesa tra i fautori della guerra, primo tra tutti O., e quelli della pace, tra i quali si annovera Gano, patrigno di Orlando. La rivalità che insorge tra i due fa sì che Gano, ambasciatore di Carlo a Saragozza, spinga Marsilio alle armi in odio al paladino e con lui ordisca l'agguato di Roncisvalle, dove O. muore da eroe-martire. Carlo giunge a Roncisvalle troppo tardi per salvare il nipote prediletto, ma in tempo utile per inseguire i saraceni in fuga. A questo punto lo sconfitto Marsilio, a Saragozza, riceve gli ambasciatori del suo sovrano, l'emiro di Babilonia Baligante, che sta muovendo per giungere in Spagna e misurarsi in battaglia con il suo grande antagonista, l'imperatore Carlo. La battaglia fra i due sovrani è in realtà la sfida suprema tra Cristianità e Paganìa. Vince Carlo, Saragozza è presa, Marsilio muore, O. viene sepolto a Blaye e Carlo può tornare in Aquisgrana; qui Alda, la promessa sposa del paladino, muore di dolore alla notizia che il suo amato non è più, mentre Gano riceve castigo esemplare.La diffusione della Chanson de Roland e dei componimenti che in un modo o nell'altro si proposero come continuazioni o complementi di essa ebbe uno straordinario successo tra il sec. 12° e il 16°, e con essi il nome O. e la coppia onomastica consacrante il compagnonnage tra O. e Oliviero, nonché le rappresentazioni iconiche del personaggio O., che numerose sono pervenute soprattutto in miniature di codici di composizioni poetiche di materia carolingia, ma anche in sculture e in vetrate.In particolare, le testimonianze iconiche della popolarità di O. e della sua avventura sono molte e precoci, per quanto circa alcune di esse i dubbi e le forzature non siano mancanti. A parte alcune immagini troppo frettolosamente - o, al contrario, sulla base di una tradizionale ma poco filologica lettura pigramente ripresa - identificate come orlandiane, quasi senza dubbio riguardano O. e Oliviero le due statue del portale del duomo di Verona, dove l'identificazione del paladino è resa certa dall'iscrizione Durindarda che ne adorna la spada, sebbene l'identificazione della scultura 'gemella' come Oliviero sia meno sicura e, anche riguardo a O., ci si sia chiesti da quando egli sia tale: in altri termini, non è da escludersi che i due guerrieri che sorvegliano il portale del duomo di Verona rappresentassero in origine qualcosa di diverso e che l'insorgere della popolarità del ciclo orlandiano abbia indotto a una posteriore identificazione mediante l'incisione del nome della spada del paladino sulla lama ostentata dalla figura che ormai, per tutti, è senz'ombra di dubbio O.; secondo un'altra, fortunata interpretazione, i due guerrieri sarebbero invece gli eroi di un altro ciclo epico, Guglielmo d'Orange e il saraceno Renoardo. Una raffigurazione sicura, e imponente, dell'epopea orlandiana era invece costituita con certezza dal programma musivo del pavimento della cattedrale di Brindisi, dove una serie di scene bibliche, al centro del mosaico, erano contornate da una fascia alta m 2,5 che raccontava la rotta di Roncisvalle. Purtroppo però due successivi terremoti, del 1743 e del 1858, hanno rovinato del tutto il pavimento e, per la lettura delle scene musive, non è possibile oggi affidarsi che alle incerte riproduzioni opera nel 1812 di Aubin-Louis Millin (Parigi, BN, Cab. Estampes, Coll. Millin, Gb63) e di Schulz (1860).I fatti della 'materia di Francia' e di quella 'di Bretagna' si andarono in certo modo assimilando e confondendo nel corso dei secc. 12°-13°: non perché si producessero contaminazioni tra i cicli di Carlo e di Artù, ma perché semmai il primo, originariamente epico, andò assumendo con il tempo caratteri e movenze tipiche della sostanza romanzesca del secondo, caratterizzata da amori, viaggi, peripezie a sfondo magico o romanzesco. In Dante O. è ricordato due volte: in Inf. XXXI, vv. 16-17, a proposito del terribile suono del suo corno paragonato con quello del gigante Nembrot; in Par. XVIII, vv. 43-45, dove tra gli eroi della fede, le anime dei quali si presentano al poeta nella luminosa croce del cielo di Marte, la luce dell'anima del paladino brilla insieme con quella del suo sovrano Carlo nonché dei due eroi del ciclo di Guglielmo d'Orange (Guglielmo e Renoardo), quelli della prima crociata (Goffredo di Buglione e Roberto il Guiscardo, anche se il secondo, a rigore, nella crociata non ebbe parte) e naturalmente insieme ai modelli eroici della Bibbia (Giosuè e Giuda Maccabeo).Molte sono le raffigurazioni di O.: da quelle sicure, come sulle vetrate della cattedrale di Chartres o sulle colonne che in Germania stavano a segnare i mercati ed erano dette appunto Rolandsäule, fino a uno dei due splendidi cavalieri che guardano il portale d'ingresso sud della cattedrale di Chartres, che potrebbero però rappresentare non due paladini, bensì i due santi-cavalieri Giorgio e Teodoro.Incerta, nella sostanza, la tradizione iconica orlandiana. A caratterizzare il paladino sono piuttosto alcune scene della sua Chanson - il suonare il corno, il tentativo di spezzare la spada contro la grande pietra che gli sta servendo da estremo appoggio, il suo consegnare il guanto in segno di fedeltà all'arcangelo Gabriele in punto di morte - che non una fisionomia precisa o attributi speciali, a parte l'olifante. Ma, in testi miniati come l'Entrée d'Espagne (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, fr. Z. 21) è possibile controllare come almeno a partire dal Trecento a O. si siano attribuite precise insegne araldiche, caratterizzate dallo scudo inquartato di vermiglio e d'argento.
Bibl.:
Fonti. - La Chanson de Roland ou de Roncevaux, a cura di F. Michel, Paris 1837; La Chanson de Roland, a cura di C. Segre, Milano-Napoli 1971; La Canzone di Orlando, a cura di M. Bensi, Milano 1985; P. Rajna, Le fonti dell'Orlando Furioso, Firenze 1876 (19002; rist. 1975).
Letteratura critica. - H.W. Schulz, Denkmäler der Kunst des Mittelalters in Unteritalien, Dresden 1860, I, pp. 302-306; G. Paris, Histoire poétique de Charlemagne, Paris 1865 (19052); J. Bédier, Les légendes épiques, 4 voll., Paris 1908-1913 (1926-19293); M. de Riquer, Los cantares de gesta franceses: sus problemas, su relación con España, Madrid 1952; E. Li Gotti, Roncisvalle nell'Opera dei Pupi e la leggenda orlandiana nell'epoca normanna in Sicilia, "Colóquios de Roncesvalles, Zaragoza 1956", Zaragoza 1956, pp. 277-300; R. Menéndez Pidal, La Chanson de Roland y el neotradicionalismo, Madrid 1959; G. Horrent, s.v. Roland (Chanson de), in Dictionnaire des lettres françaises. Le Moyen Age, Paris 1964, pp. 644-648; R. Lejeune, J. Stiennon, La légende de Roland dans l'art du Moyen Age, 2 voll., Bruxelles 1966; P. Aebischer, Rolandiana et Oliveriana, Genève 1967; I. Siciliano, Les chansons de geste et l'épopée: mythes, histoire, poèmes, Torino 1968; D. Branca, s.v. Orlando, in ED, IV, 1973, p. 198; C. Segre, La tradizione della Chanson de Roland, Milano-Napoli 1974; G.C.A. Ciarambino, Carlomagno, Gano e Orlando in alcuni romanzi italiani del XIV e XV secolo, Pisa 1976; W.D. Lange, s.v. Chanson de Geste, in Lex. Mittelalt., II, 1981, coll. 1703-1707; Sulle orme di Orlando. Leggende e luoghi carolingi in Italia, a cura di A.I. Galletti, R. Roda, Padova 1987; Nuove Effemeridi 9, 1996, 33.F. Cardini
Nei manoscritti conservati, né la Chanson de Roland né le sue versioni rimate posteriori prevedono illustrazioni, se non limitate a qualche iniziale. Numerosi risultano, invece, i codici miniati contenenti testi letterari e compilazioni storiche o pseudostoriche legati al tema dell'epopea carolingia, e dunque alle vicende di O., in particolare in relazione all'affermarsi, dalla fine del sec. 11°, dell'interesse per la figura di Carlo Magno: l'illustrazione di questo materiale testuale segnò un nuovo sviluppo nella produzione libraria medievale (Stones, 1977).Il codice contenente l'Historia Karoli Magni et Rotholandi dello pseudo-Turpino, inserita nel Liber sancti Iacobi o Codex Calixtinus, che narra delle vicende di Carlo Magno e di O. in Spagna, c'onservato a Santiago de Compostela (Arch. de la Catedral y Bibl., C), fu all'origine di una ricchissima tradizione illustrativa miniata (Lejeune, Stiennon, 1966), destinata ad affermarsi specialmente a partire dagli inizi del Duecento. Realizzato in due diverse campagne decorative - e certamente sulla base di un modello illustrato precedente -, dal punto di vista stilistico il codice attesta una stretta dipendenza dal mondo francese e può essere ricondotto, per quanto concerne la prima campagna, all'arte romanica della regione compresa tra Normandia e media valle della Loira (Ayres, 1992; Cahn, 1992) e a una datazione intorno al 1138 (Stones, 1992; 1996), oppure di poco successiva alla metà del sec. 12° (Diaz y Diaz, 1992); la seconda campagna decorativa viene invece assegnata al 1173 ca. e mostra caratteristiche di stile più prossime alla produzione miniatoria della Francia meridionale, della Spagna e della stessa Santiago de Compostela.In area germanica la figura di O. appare scarsamente diffusa; costituisce eccezione un codice illustrato del Ruolantes Liet (Heidelberg, Universitätsbibl., Pal. germ. 112; Das Rolandslied, 1977) - traduzione in dialetto bavarese e adattamento di una versione francese della Chanson de Roland a cura del prete ratisbonense Corrado - che si ritiene commissionato dal duca di Sassonia e Baviera Enrico il Leone (1129/1130-1195) e dalla sua consorte Matilde. L'opera, d'impronta religiosa ma ancora legata al genere epico, costituì un importante avvenimento sul piano non solo letterario ma anche iconografico, poiché, redatta tra il 1168 e il 1172 (Kötzsche, 1995), venne illustrata a Ratisbona o forse a Brunswick con un ciclo creato appositamente per il testo, ma che si riallaccia a tipi iconografici generici (Stones, 1977), in uno stile che rivela l'influsso della scuola miniatoria di Ratisbona-Prüfening o di Frisinga (Das Rolandslied, 1977); il codice è di qualità non altissima, caratterizzato dall'inserzione delle immagini a interrompere il testo e dall'uso del disegno a penna (Kern, 1972).Riccamente illustrata è la versione rimata del Ruolantes Liet, rimaneggiata da un autore che si definisce der Stricker intorno al 1230-1235 ca., intitolata Karl der Grosse: diffusa nel sec. 13° e diffusissima nel 14° prevalentemente nella Germania meridionale, venne illustrata sistematicamente nei suoi episodi principali, per es. in un codice della fine del Duecento magnificamente miniato, con immagini pressoché a piena pagina ma incastrate nel testo e direttamente correlate a quanto destinate a illustrare (San Gallo, Kantonsbibl. Vadiana, 302); sotto l'aspetto stilistico si tratta di un manoscritto inseribile nella produzione miniatoria della regione del lago di Costanza.L'illustrazione della Chanson d'Aspremont occupa un certo rilievo nella storia dei testi orlandiani: un manoscritto redatto in Inghilterra nella prima metà del sec. 13° (Londra, BL, Lansdowne 782; Ross, 1968) comprende ben quarantacinque disegni, sommari ma vivacizzati da tocchi di verde, rosso e azzurro. Altri casi sporadici di illustrazione miniata del tema orlandiano sono presenti nella Chanson de Girart de Vienne di Bertrand de Bar-sur-Aube (per es. Londra, BL, Royal 20.D. XI, prima metà del sec. 14°), nella Chanson de Fierabras (per es. Londra, BL, Egert. 3028, metà del sec. 14°), nel Roman d'Arles, del 1373-1375 (Aix-en-Provence, Bibl. Arbaud, M. O. 63).L'unico codice che illustra l'Entrée d'Espagne (Venezia, Bibl. Naz. Marciana, fr. Z. 21), risalente alla metà del sec. 14°, venne eseguito da più decoratori ma concepito unitariamente e prevede un'impaginatura studiata per far posto a un numero straordinario di miniature (ben trecentosettantacinque) a narrazione continua, tutte di dimensioni rilevanti (Limentani, 1991); esso costituisce il più ricco libro d'immagini dell'iconografia orlandiana, teso, da una parte, a glorificare O. come protagonista centrale e come eroe cristiano per eccellenza e, dall'altra, capace di illustrare del testo ogni singolo episodio, ovvero di trasporlo interamente in immagini.Negli annali della monarchia francese, le Grandes Chroniques de France, la figura di O. e l'illustrazione delle sue imprese assunsero particolare importanza nell'ambito di una tradizione storicizzante, politica e morale, legata al culto di Carlo Magno, all'interno della quale il paladino svolgeva un ruolo centrale. Spicca un esemplare del secondo quarto del sec. 14° (Londra, BL, Royal 16.G.VI), eseguito per il giovanissimo Giovanni II il Buono (1319-1364), uno dei più lussuosi manoscritti francesi del Trecento, realizzato intorno al 1335-1340 da artisti attivi per la corte e caratterizzato da una decorazione particolarmente abbondante, varia, piena di novità, che modifica creativamente le sue probabili fonti come libero adattamento (Hedeman, 1991) di un testo a sua volta accuratamente rivisto e glossato.La presenza di miniature illustranti gesta di O. si riscontra inoltre in vari altri generi di testi, per es. in cronache regionali come la Chronique dell'anonimo di Béthune (Parigi, BN, nouv.acq.fr. 6295, seconda metà del sec. 13°), nello Speculum historiale di Vincenzo di Beauvais (Escorial, Bibl., O.I.4, fine del sec. 13°), nello Spieghel historiael di Jacob van Maerlant (Aia, Koninklijke Bibl., Ak. XX, prima metà del sec. 14°), nel Trésor di Brunetto Latini (Parigi, BN, fr. 567, fine sec. 13°-inizi 14°).
Bibl.:
Ed. in facsimile. - Das Rolandslied des Pfaffen Konrad. Vollfaksimile des Palatinus Germanicus 112, a cura di W. Werner, H. Zirnbauer (Faksimilia Heidelbergensia, 1), Wiesbaden 1970.
Letteratura critica. - R. Lejeune, J. Stiennon, La légende de Roland dans l'art du Moyen Age, 2 voll., Bruxelles 1966; D.J.A. Ross, The Iconography of Roland, Medium Aevum 37, 1968, 1, pp. 46-65; P. Kern, Bildprogramm und Text. Zur Illustration des Rolandsliedes in der Heidelberger Handschrift, Zeitschrift für deutsches Altertum und deutsche Literatur 101, 1972, pp. 244-270; Das Rolandslied in den Bildern der Heidelberger Handschrift, a cura di W. Werner, Wiesbaden 1977; M.A. Stones, Sacred and Profane Art: Secular and Liturgical BookIllumination in the Thirteenth Century, in The Epic in Medieval Society. Aesthetic and Moral Values, a cura di H. Scholler, Tübingen 1977, pp. 100-112; G.J. Brault, Les dessins du Ruolantes Liet et l'interprétation de la Chanson de Roland, in Charlemagne et l'épopée romane, "Actes du VIIe Congrès international de la Société Rencesvals, Liège 1976" (Bibliothèque de la Faculté de philosophie et lettres de l'Université de Liège, 225), Paris 1978, II, pp. 539-546; M. C. Diaz y Diaz, El Códice Calixtino de la Catedral de Santiago. Estudio codicológico y de contenido (Monographias de Compostellanum, 2), Santiago de Compostela 1988; A.D. Hedeman, The Royal Image. Illustrations of the Grandes Chroniques de France, 1274-1422, Berkeley-Los Angeles-Oxford 1991; A. Limentani, L'Entrée d'Espagne e i signori d'Italia (Medioevo e Umanesimo, 80), Padova 1991; M.C. Diaz y Diaz, El Codex Calixtinus: Volviendo sobre el tema, in The ''Codex Calixtinus'' and the Shrine of St. James, a cura di J. Williams, A. Stones (Jakobus-Studien, 3) Tübingen 1992, pp. 1-9; A. Stones, The Decoration and Illumination of the ''Codex Calixtinus'' at Santiago de Compostela, ivi, pp. 137-182; W. Cahn, Comments on the Question of Illumination, ivi, pp. 239-244; L.M. Ayres, The Illumination of the Codex Calixtinus: A Norman Dimension, ivi, pp. 245-254; D. Kötzsche, A16 "Rolandslied" des Pfaffen Konrad, in Heinrich der Löwe und seine Zeit. Herrschaft und Repräsentation der Welfen 1125-1235, a cura di J. Luckhardt, F. Niehoff, cat., München-Braunschweig 1995, I, pp. 58-62; A. Stones, The Codex Calixtinus and the Iconography of Charlemagne, in Roland and Charlemagne in Europe. Essays on the Reception and Transformation of a Legend, a cura di K. Pratt (King's College London Medieval Studies, 12), London 1996, pp. 169-203.M. Mihályi