ORMISDA, papa, santo
ORMISDA, papa, santo. – Figlio di Giusto, nacque a Frosinone.
Sposato, ebbe un figlio, Silverio – autore dell’epitaffio del padre (Inscriptiones Christianae urbis Romae, II, 1, n. 15; Inscriptiones latinae christianae veteres, n. 984, p. 184), dove si ricordano gli eventi salienti del suo pontificato – che divenne a sua volta papa.
Un parente stretto di Ormisda, Geronzio (m. 565), primicerius dei notai pontifici, fu suo collaboratore (Inscriptiones Christianae urbis Romae, n. 1098, p. 501; Inscriptiones latinae christianae veteres, n. 1312, pp. 252 s.).
Pochi mesi dopo il concilio del 1° marzo 499, Ormisda fu consacrato diacono da papa Simmaco. In tale veste, nel concilio romano del 6 novembre 501, anche questo indetto da Simmaco, fu il relatore di un documento contro la cui legittimità il sinodo era stato chiamato a esprimersi. La scriptura risaliva al 483 ed era stata allora presentata dal prefetto di Odoacre, Basilio, il quale lamentava che la designazione del successore di papa Simplicio fosse avvenuta «sine nostra consultatione», con riferimento agli aristocratici o allo stesso Basilio, in quanto rappresentante del re. Al concilio del 501, il documento venne contestato perché le questioni relative – le modalità di designazione del successore di un papa e la partecipazione di aristocratici nella stesura di un documento ecclesiastico – erano strettamente connesse con lo scontro in atto tra Simmaco e Lorenzo e la scriptura venne abrogata.
Il nome di Ormisda non compare nel seguente sinodo del 502, pervenuto privo delle sottoscrizioni e durante il quale il papa Simmaco fu sottoposto a processo. Una lettera di quest’ultimo (ep. 11, in Epistolae Romanorum Pontificum, pp. 708 s., tra 507 e 512) ai vescovi africani perseguitati in Africa dai vandali ariani, parla di un diacono H (sic) – Ormisda o Ennodio – che avrebbe trasmesso al papa la richiesta di veneranda patrocinia dei ss. Nazario e Romano a conforto delle sofferenze dei cattolici (Sardella 1996, pp. 162-164).
Sulla scelta di Ormisda come pontefice, il 20 luglio 514, non sembrerebbero esserci stati dissensi. Ma non si può dire con certezza se Simmaco l’avesse effettivamente designato quale suo successore, così come aveva stabilito il concilio del 1° marzo 499. Ormisda era in ottimi rapporti con Ennodio, potente vescovo di Pavia, e potrebbe aver goduto anche dell’avallo dell’amalo re gotoTeoderico, che governava allora l’Italia e alla cui corte Ennodio era vicino.
Per quanto riguarda le vicende romane e italiche, sotto il pontificato di Ormisda vennero riassorbiti gli ultimi casi di dissidenza dello scisma laurenziano (cfr. Le Liber pontificalis, I, p. 269 e l’epitaffio di Silverio, Inscriptiones Christianae urbis Romae, II, 1, pp. 130, 286 e 502), mentre nel momento in cui egli assunse la cattedra di vescovo di Roma, era ancora in atto fra Oriente e Occidente lo scisma acaciano (così detto da Acacio, patriarca di Costantinopoli), iniziato nel 484 e determinato dai problemi lasciati aperti dal concilio di Calcedonia (451) e dalle ulteriori conseguenze dello Henotikon di Zenone (482); lo scisma era continuato anche dopo la morte di Acacio (488 o 489), perché papa Felice aveva insistito, inutilmente, perché ne venisse cancellato il nome dai dittici contenenti l’elenco degli alti dignitari ecclesiastici.
La documentazione epistolare degli anni del pontificato (150 lettere, complessivamente, tra quelle di Ormisda e quelle dei corrispondenti, nell’edizione di A. Thiel, 1868) riguarda in massima parte proprio i rapporti con l’Oriente e in particolare due questioni: quella di maggior peso era relativa allo scisma acaciano; la seconda si inserì su questa ed era legata alla vicenda dei monaci sciti, sostenitori della formula teopaschita.
Tra il 514 e il 515, per iniziativa dell’imperatore Anastasio, ci fu un primo tentativo di chiudere lo scisma. Ma, alternativamente, sia il papa sia l’imperatore rifiutarono di addivenire alle richieste dell’altro: una prima delegazione del papa non ebbe esito (Collectio Avellana 107, 109, 116). Anastasio rifiutò, ma lasciò aperte le negoziazioni (ibid. 111, 125) e per un anno non ci fu alcun contatto. Una seconda missione papale in Oriente, che ribadì le richieste di condanna per Acacio e gli eresiarchi, tentando anche di coinvolgere i vescovi d’Oriente, fallì e ci fu ancora un anno di silenzio tra papa e imperatore. Morto Anastasio (nel luglio 518), Giustino, il successore di fede ortodossa, al cui trono era associato il comes Giustiniano, suo nipote, riprese il negoziato, mentre Giovanni, patriarca di Costantinopoli, comunicava che i nomi dei papi Leone e Ormisda erano stati scritti nei dittici. Fra la fine del 518 e l’inizio del 519, il papa ribadì a Giustino, Giustiniano e Giovanni di Costantinopoli la richiesta di condannare Acacio e di sottoscrivere il libellusfidei, contenente le sue condizioni. Fu inviata una nuova legazione papale e ai primi di marzo 519 lo scisma sembrò ricomposto.
In molte chiese però – a Tessalonica e ad Antiochia, ma anche a Costantinopoli e a Efeso – la situazione era ancora conflittuale e in alcuni casi gli anatemi dichiarati furono solo simulati. Fino al 521 Ormisda pressò dunque Giustino, Giustiniano, l’imperatrice e Giovanni di Costantinopoli e poi Epifanio, che gli era succeduto (febbraio 520), per ricomporre lo scisma: voleva, tra l’altro, che fosse eletto vescovo di Alessandria Dioscoro, uno dei suoi legati, e che venissero reintegrati alcuni vescovi ortodossi esiliati. L’imperatore rifiutò, chiedendo, per di più, che il papa retrocedesse dalla richiesta di cancellare dai dittici anche i nomi dei patriarchi che non avevano accolto le sue richieste di anatemizzare gli eresiarchi. Ormisda a sua volta rifiutò.
Il secondo problema con l’Oriente riguardava la controversia relativa ai monaci Achille, Giovanni, Leonzio e Maurizio, oriundi della provincia della Scizia (Dobrugia romena), di nazionalità gota e di lingua latina. Questi monaci, tra il 519 e il 520, sostennero la contestata formula dottrinale «unus de Trinitate passus est carne», denominata teopaschita (da theós, dio, e páschein, soffrire). Si trattava di una proposta di integrazione alle definizioni calcedoniane e recuperava un’antica formula, in base alla quale veniva asserito che Cristo aveva sofferto come Dio (libellus fidei, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 2, pp. 3-10; Collectio Avellana, 224, 11). Il risvolto monofisita della formula teopaschita aveva causato tumulti popolari e ostacolava la pacificazione. Gli stessi monaci sciti andarono direttamente dal papa e giunsero a Roma tra maggio e giugno 519 (ibid., 216 s.), mentre a Costantinopoli una delegazione papale sosteneva la tesi avversa. Ormisda temporeggiò: intendeva, infatti, aspettare il ritorno dei suoi legati a Roma, mentre tratteneva a Roma gli sciti, forse influenzato da un connazionale dei monaci, Dionigi il Piccolo, al quale aveva, tra l’altro, commissionato una collezione grecolatina di canoni. Nel marzo 520 infine si espresse contro qualunque formula innovativa del mistero della Trinità.
Si intrecciò con la questione scita anche la richiesta di un intervento del papa sulla questione pelagiana. Nel luglio 520, il vescovo africano Possessore chiese al papa come comportarsi a proposito delle dispute sorte negli ambienti monastici provenzali, a proposito del radicalismo di Agostino nei confronti delle tesi di Fausto di Riez, in particolare della sua dottrina della grazia. Il 13 agosto, Ormisda rispose con un attacco ai monaci sciti, che lo avevano vessato per oltre un anno (ibid., 231), rinviando per il problema della corretta dottrina della grazia ad Agostino, Ilario e Prospero. La pubblicità data alla lettera da parte di Possessore provocò la reazione degli sciti contro il papa e in difesa della formula teopaschita (Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 2, pp. 46 s.), sulla quale però ribadirono la loro posizione contraria i legati papali rientrati da Costantinopoli nel settembre 520 (Collectio Avellana, 192). Questo fatto e gli intrighi degli stessi monaci a Roma, dove avevano cercato appoggi tra i gruppi filorientali, spinsero il papa a cacciare gli sciti da Roma lo stesso mese. Ormisda comunicò poi all’imperatore la sua decisione: la formula dei monaci andava rigettata per incompatibilità del teopaschismo con le definizioni di Calcedonia (26 marzo 521, ibid. 236 s.), ma Giustiniano non ne fece gran conto e continuò a sostenerla.
Dei rapporti con l’Oriente fece anche parte la politica di traslazione delle reliquie: su richiesta di Giustiniano, Ormisda inviò a Costantinopoli reliquie dei santi apostoli Pietro e Paolo, mentre sembrerebbe esserci stata anche un’intensa importazione di vasi d’oro e d’argento in funzione di arredi ecclesiastici.
Molto meno copiosa è la documentazione relativa ai rapporti tra Ormisda e l’episcopato d’Occidente, tuttavia sufficiente a dimostrare il suo interesse per le cristianità della Gallia e, soprattutto, della Spagna.
Forse questo è spiegabile con la situazione politica, dal momento che il dominio ariano dei Visigoti poneva maggiori problemi. Interessanti questioni riguardanti le norme da seguire nella scelta dei vescovi e nella convocazione dei sinodi evidenziano problemi relativi all’inserimento di esponenti del clero greco nelle Chiese di Spagna e, con essi, possibili ondate migratorie ecclesiastiche, proprio in dipendenza della situazione con l’Oriente. Non è escluso che un problema simile riguardasse anche le Chiese di Gallia, dove l’élite sociale dei Franchi era da poco divenuta cattolica mentre, nella valle del Rodano, Sigismondo, re dei Burgundi, ariani tolleranti, si convertì nel 517. Delle lettere all’episcopato gallico, quella a Remigio di Reims è da considerare spuria in quanto, tra l’altro, presupporrebbe vivente re Clodoveo, morto nel 511. Per lo stesso motivo non può essere accolta la notizia del Liber pontificalis, in base alla quale Ormisda avrebbe ricevuto in dono da Clodoveo gemme preziose. Un’epistola a Cesario (ep. 150, ibid., pp. 988-990), forse dell’inizio del pontificato, riguarda, tra l’altro, un’interessante questione relativa all’alienazione del patrimonio ecclesiastico per la dotazione di una fondazione monastica femminile fatta dal vescovo di Arles.
Anche a Ormisda, come al suo predecessore, il Liber attribuisce la persecuzione dei manichei, sottoposti a processi ed esiliati, con conseguente rogo dei loro libri davanti alla basilica costantiniana.
In quanto alla politica architettonica e monumentale, molte testimonianze parlano di opere notevoli, come la fastosa ristrutturazione dei presbiteri della basilica di S. Pietro e della basilica costantiniana (S. Giovanni in Laterano) e di quella di S. Paolo sulla via Ostiense, che arricchì di sontuosi arredi liturgici (Inscriptiones Christianae. Nova series, II, n. 4115; Le Liber pontificalis, I, pp. 271 s.); infine, la costruzione di altari e di edifici di culto (Le Liber pontificalis, I, p. 269).
Morì e fu sepolto in S. Pietro il 6 agosto 523.
Assente in Beda, il suo nome è nel Martyrologium di Adone e nel Martyrologium Romanum (6 agosto).
Fonti e Bibl.: Acta Sanctorum, Augusti, II, Venezia 1751, pp. 155-161; Epistolae Romanorum Pontificum genuinae, I, a cura di A. Thiel, Braunsberg 1868, rist. anast. Hildesheim-New York 1974, pp. 739-990. Tutte le epistole, tranne le nn. 9, 24, 25, 26, 88, 125, 142, 143, 148, 149 e 150, si trovano in Collectio Avellana, a cura di O. Guenther, Prague-Wein-Leipzig 1895; l’epistola 9 (ad Caesarium) in Collectio Arelatensis 30, in Mon. Germ. Hist.,Epistolae, III, a cura di W. Gundlach, Berlin 1892, pp. 42-44, n. ed. in Epistulae Caesarii, in S. Caesarii Opera varia, II, a cura di G. Morin, Maredsous 1942, pp. 14-17; l’epistola 124 (ad Possessorem) in Collectio Avellana, 231 e in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 2, a cura di E. Schwartz, Berlin-Leipzig 1914, pp. 44-46; l’epistola 148 è di Dionigi il Piccolo; l’epistola 150 in Caesarius, Statutis de virginibus, in S. Caesarii Opera varia, II, cit., pp. 125-127; Epistula ad Caesarium Arelatensem, ibid., p. 14. La Fides Hormisdae papae è in Collectio Avellana 89, 90, 116B, 159, 3 e Appendix IV. Per le altre fonti: Inscriptiones Christianae urbis Romae septimo saeculo antiquiores, I-II, a cura di G.B. De Rossi, Roma 1857-88, I, n. 1098, p. 501; II, 1, n. 15, pp. 130, 286, 502; (Magnus Felix) Ennodius episcopus Ticinensis, Epistulae (I-IX), in Id., Opera omnia, a cura di G. Hartel, Wien 1882, n. 4, 34, pp. 121 s., n. 5, 13, pp. 136 s., n. 6, 33, p. 168, n.7, 12, pp. 108 s., n. 33, p. 221, n. 8, 38, p. 225, n. 9, 5, pp. 231 s.; Id., Eucharisticum de vita sua, a cura di G. Hartel, Wien 1882, pp. 399-401; Regesta Pontificum Romanorum, a cura di Ph. Jaffé et al., I, Leipzig 1885, pp. 101-109; Le Liber pontificalis, a cura di L. Duchesne, I, Paris 1886, pp. 98-105, 269-272; III, a cura di C. Vogel, ibid. 1957, p. 90; Fr. Bücheler, Carmina Latina Epigraphica, II, Leipzig 1897, n. 1385, p. 654; Maxenti Iohannis Responsio adversus epistolam quam Possessorem a romano episcopo dicunt haeretici destinatam, in Acta Conciliorum Oecumenicorum, IV, 2, cit., pp. 46-62 e a cura di Fr. Glorie, Turnholt 1978, pp. 111-153; Inscriptiones Christianae urbis Romae. Nova series, II, a cura di G.B. De Rossi - A. Silvagni, Roma-Città del Vaticano 1935; Martyrologium Romanum [...] scholiis historicis instructum, in Propylaeum ad Acta Sanctorum Decembris, Bruxelles 1940, p. 326; Inscriptiones latinae christianae veteres, a cura di E. Diehl, I, Berlin 19612, n. 984, p. 184; n. 1312, pp. 252 s.; V. Grumel, Les regestes des actes du patriarcat de Constantinople, I, Les actes des patriarches, f. 1, Les regestes de 381 à 715, Paris 1972, nn. 210-219, pp. 152-159; Iohannes Diaconus, Libellus quem obtulit sancto papae Symmacho, a cura di E. Wirbelauer, München 1993, pp. 39 s.; Clavis Patrum Latinorum, a cura di E. Dekkers, Steenbrugge 19953, nn. 1683 s., pp. 547 s. Si vedano inoltre: A dictionary of Christian biography, III, London 1882, s.v., pp. 155-160; G. Pfeilschifter, Der Ostgotenkönig Theoderich der Grosse und die katholische Kirche, Münster i. W. 1896, pp. 138-154; H. Grisar, Geschichte Roms und der Päpste im Mittelalter, I, Freiburg i. B. 1901 (trad. francese, Paris 1906), pp. 33-36; R. Cessi, Lo scisma laurenziano e le origini della dottrina politica della Chiesa di Roma, in Archivio della Società romana di storia patria, XLII (1919), pp. 5-229; Id., Dallo scisma laurenziano alla pacificazione religiosa con l’Oriente, ibid., XLIV (1921), pp. 210-321; L. Duchesne, L’Église au VIe siècle, Paris 1925, pp. 128-132; E. Caspar, Geschichte des Papsttums, II, Tübingen 1933, pp. 129-183, 762-766; Storia della Chiesa, a cura di H. Jedin, III, Milano 1975, pp. 240-243; J. Richards, The popes and the papacy in the early Middle ages 476-752, London 1979, pp. 100-109; C. Capizzi, Sul fallimento di un negoziato di pace ecclesiastica fra il papa Ormisda e l’imperatore Anastasio I (515-517), in Critica storica, XVII (1980), pp. 23-54; Papa O. (514-523). Magistero cura pastorale e impegno ecumenico. Atti del Convegno, a cura di C. Noce, Frosinone 1993; T. Sardella, Società Chiesa e Stato nell’età di Teoderico. Papa Simmaco e lo scisma laurenziano, Soveria Mannelli 1996, p. 163 n. 53; S. Pricoco, Da Costantino a Gregorio Magno, in Storia del cristianesimo. L’antichità, Bari 1997, pp. 408 s., 417-420; T. Sardella, O., in Enciclopedia dei Papi, I, Roma 2000, pp. 476-483.