OROLOGIO
. Un orologio (o cronometro) è un congegno destinato a dare la misura del tempo. Noi abbiamo la nozione del tempo dalla durata di un fenomeno naturale qualsiasi, dalla sua simultaneità con un altro, o dall'intervallo che li separa. E appunto il criterio di misura del tempo viene desunto dall'osservazione di fenomeni naturali che si riproducono sempre con la stessa legge o in condizioni identiche. Questo carattere spetta a molti movimenti celesti e, in particolare, a quelli compiuti dalla Terra, i quali presentano inoltre, con le condizioni della nostra esistenza e del nostro lavoro, per il succedersi dei giorni, delle notti e delle stagioni, una relazione che nessun altro fenomeno fisico, anche regolarissimo, ci potrebbe fornire.
Dai periodi della rotazione diurna della Terra e della sua rivoluzione intorno al Sole risultano gli elementi da cui sono ricavate le unità di misura del tempo: il giorno e l'anno.
Il tempo: tempo siderale. - In astronomia giorno è l'intervallo di tempo che passa tra due successivi passaggi di uno stesso astro al meridiano di un dato luogo (v. giorno). Poiché gli astri sono dotati di movimento sensibile sulla sfera celeste, i giorni che con essi si possono definire sono differenti l'uno dall'altro. Se l'astro che si considera è una stella, si ha il giorno siderale, che è il tempo che impiega la Terra a fare una rotazione completa intorno al proprio asse o, in altre parole, l'intervallo di tempo che intercorre tra due successivi passaggi di una data stella al meridiano di un medesimo luogo. Esso rappresenta propriamente l'unità di misura del tempo usata dagli astronomi, i quali, secondo essa, regolano i proprî orologi (pendoli e cronometri).
Il giorno siderale si divide in 24 parti dette ore siderali; ognuna di queste comprende poi 60 minuti siderali; un minuto siderale, infine, si divide in 60 secondi siderali.
Gli astronomi, con osservazioni di stelle allo strumento dei passaggi, determinano con grandissima precisione la durata del giorno siderale, e quindi delle sue frazioni, l'ora e i minuti.
Tempo solare: vero e medio. - Ma il giorno siderale, che è l'unità fondamentale, scientifica, per la misura del tempo, sarebbe troppo incomodo per i bisogni della nostra vita pratica che è regolata, invece che sulle stelle, sul Sole. Si è fatto allora ricorso al tempo solare, dicendo giorno solare vero l'intervallo di tempo che passa tra due passaggi successivi del Sole al meridiano di uno stesso luogo. Poiché il Sole si sposta tra le stelle, da occidente verso oriente, di una quantità uguale a 3m 56S, il giorno solare vero risulta più lungo del giorno siderale.
Il giorno solare vero, tuttavia, non ha sempre un valore costante, a causa della forma ellittica dell'orbita terrestre e dell'inclinazione dell'eclittica (ragione preponderante); verrebbe quindi a mancare al tempo solare così definito, il carattere perché tutti i giorni di cui si compone possano servire come misura fissa e invariabile del tempo. Perciò, per gli usi della vita civile, si fa ricorso al tempo medio, la cui unità, il giorno medio, rappresenta la media di tutti i valori che assume durante l'anno il giorno vero. Esso è il giorno che si avrebbe se la Terra si movesse con velocità angolare costante intorno al Sole in un'orbita circolare e avesse il suo asse normale a quest'orbita. Anche il giorno medio si divide in 24 ore medie, un'ora in 60 minuti, un minuto in 60 secondi. È questo il tempo su cui si regolano gli orologi normalmente usati per i bisogni della vita civile.
Si può facilmente determinare il mezzogiorno vero di una data località (istante del passaggio al meridiano del centro del Sole); da questo si passa al mezzogiorno medio apportando una correzione che è detta equazione del tempo (v. equazione). Le differenze tra i due mezzogiorni, vero e medio, variano, nel corso dell'anno, sia in grandezza sia in segno, di guisa che a volte precede il mezzogiorno vero e a volte quello medio. La somma di tutte queste differenze nel corso dell'anno è, naturalmente, uguale a zero.
Considerando la rete dei meridiani terrestri, osserviamo che, poiché il giorno si compone di 1440 minuti primi, la terra ruota di un grado ogni
e pertanto l'ora (per es. il mezzogiorno) di un dato meridiano avanzerà o ritarderà di 4m rispetto a quella dei meridiani prossimi distanti di 1° di longitudine, a seconda che si procede verso occidente o verso oriente; ogni 15° di longitudine si avrà la differenza di un'ora. Si verrebbero così ad avere ore differenti nelle differenti località, anche della stessa regione o nazione; e questo risulterebbe oltremodo disagevole per i correnti bisogni della vita.
Si adotta perciò, per le indicazioni degli orologi, il tempo medio di un meridiano prefissato, opportunamente scelto. È quindi necessario che alle indicazioni del tempo si unisca sempre quella del meridiano su cui è computato.
Le seguenti indicazioni si riferiscono al rapporto tra il mezzogiorno di Roma e l'ora locale delle principali città d'Italia: Roma 12h, Torino 11h 41m, Milano 11h44m, Venezia 11h 59m, Firenze 11h 55m, Bologna 11h55m, Palermo 12h 03m, Napoli 12h 07m.
Organi e funzionamento degli orologi. - Un orologio è una macchina completa che comprende motore e operatore nonché il congegno di trasmissione che li collega. Questi organi ne costituiscono il meccanismo principale. Il motore è, secondo i casi, un peso, una molla, o l'energia elettrica; l'operatore è l'indice (o il gruppo di indici) che forniscono la lettura della misura del tempo. Al meccanismo principale è collegata una serie di meccanismi secondarî, che però hanno nel movimento una funzione essenziale: così si dica del meccanismo di caricamento che fornisce il lavoro necessario nella speciale forma in cui occorre; il meccanismo distributore o di scappamento che regola la serie periodica dei moti dell'orologio; il meccanismo regolatore, che assicura l'assoluta uniformità dei singoli elementi di intermittenza del moto e la cui funzione è fondata sull'isocronismo delle oscillazioni di un pendolo o di un bilanciere.
Passiamo ora a esaminare un tipo di orologio assai semplice, con forza motrice a molla e con regolatore a pendolo (la fig. 1 ne mostra la sezione verticale).
Tra le due pareti AC, BD che sostengono i perni dei diversi alberi del meccanismo è inclusa la parte principale del medesimo; a destra, e cioè posteriormente, è il pendolo p; a sinistra, e cioè sul davanti, è il quadrante A′C′ sul quale si muovono gl'indici e che porta l'indicazione delle ore. Il meccanismo principale è costituito nel modo seguente. Sull'albero m è montata la capsula o bariletto E racchiudente la molla motrice che viene caricata facendo ruotare l'asse m, mediante una chiave. Una ruota dentata di 80 denti che fa parte del contorno del bariletto E (le ruote sono definite col numero dei loro denti) ingrana con un rocchetto di 12 denti sull'albero mI. L'albero mII che traversa la piastra anteriore AC è comandato dall'albero mI con le ruote 75 e 8 e porta all'esterno su a la lancetta dei minuti primi. Dal moto dell'indice dei minuti primi si passa a quello dell'indice delle ore, che è montato sulla bussola b folle sull'albero mII col ruotismo compreso fra le due pareti A C e A′C′. Sull'albero mII è la ruota 36 che dà moto a ruota eguale 36 montata sull'albero K; sullo stesso albero è la ruota 7, la quale pone in moto la ruota 84 fissa sulla bussola che porta l'indice delle ore. Il rapporto di velocità fra i due indici è di 12, rapporto che è dato appunto da 84/7.
Il meccanismo distributore (scappamento) è formato da una ruota d'arresto (di 34 denti) montata sull'albero mIV e da un arpione doppio h, montato sull'asse mV, a forma di ancora (fig. 2) le cui code alternativamente s'impuntano sui denti della ruota di arresto. Nell'intervallo fra un arresto e il successivo, la ruota divenuta libera obbedisce all'azione della forza motrice. Il moto oscillatorio dell'arpione o ancora è tale che a ogni oscillazione, e cioè nell'intervallo fra un arresto e il successivo, lo spazio angolare percorso dalla ruota d'arresto 34 è costante.
L'isocronismo di questa successione d'intermittenza è dato col mezzo del regolatore. È chiaro che se l'oscillazione dell'arpione è isocrona, lo stesso avviene delle fasi in cui si divide il moto rotatorio della ruota d'arresto e di tutti gli organi dell'orologio. Nel nostro caso il regolatore è un pendolo p montato sul proprio asse m0; esso trasmette la propria oscillazione all'ancora e riceve da questa in pari tempo, per effetto della forma speciale data ai denti della ruota d'arresto, l'impulso per mantenersi in moto. È facile arguire che, essendo fissata la velocità dell'albero dei minuti e il numero delle oscillazioni del pendolo, in egual tempo tutto il ruotismo deve dare luogo a rapporti definiti. In un orologio il rapporto fondamentale è quello che lega il regolatore con l'asse su cui è montato uno degl'indici del tempo (asse di centro).
Questa rapida descrizione dà il carattere essenziale di tutti i meccanismi di orologeria. Gioverà ora un esame sia pure sommario dei varî organiche compongono questi meccanismi.
L'organo motore. - La forza motrice per gli orologi si ottiene per mezzo della gravità (peso), dell'elasticità dell'acciaio (molla) o dell'energia elettrica. Quest'ultima, come quella che influisce sul complesso dei meccanismi costituenti gli orologi e può modificarli radicalmente, sarà considerata a parte.
Condizione essenziale all'isocronismo è l'uniformità dello sforzo motore, la quale è evidentemente maggiore con il motore peso che non con il motore molla.
Il motore peso si usa negli orologi di grandi dimensioni e in quelli, comunque, che non devono subire spostamenti.
Il peso è il più delle volte applicato mediante corda in seta o canapa avvolta spiralmente su un tamburo di diametro costante unito al primo mobile dell'orologio. La quantità di lavoro che il peso P può fornire dipende dall'altezza libera di caduta H. Il numero di giri n del tamburo durante lo sviluppo del lavoro totale (PH kgm.) sarà n = H : π (D + d), se D è il diametro del tamburo e d quello della corda. Se è conosciuto il tempo t (in sec.) impiegato dal tamburo per compiere un giro, la durata totale della carica sarà T = tn. Si aumenta la durata della carica, con una data altezza di caduta, diminuendo il diametro del tamburo. Nella pratica il valore del peso P varia fra i limiti seguenti: orologi da torre P = 50 a 2000 kg.; discesa 1 metro circa ogni 24 ore; orologi astronomici e domestici P = 3 a 5 kg. La potenza sviluppata in kgm. al 1″ varia da 0,025 a 0,0005.
Se l'altezza di caduta è limitata, la durata della carica si può raddoppiare grazie a una carrucola mobile. Il peso, attaccato a questa carrucola, farà compiere al tamburo, a pari svolgimento di corda, un numero doppio di rotazioni; ma dovrà naturalmente essere aumentato del doppio. Quando il peso ha compiuto la sua caduta libera, l'orologio deve essere ricaricato. La ricarica si ottiene facendo ruotare il tamburo in modo che la corda si riavvolga e il peso risalga, e, secondo l'entità del peso, la rotazione del tamburo si otterrà direttamente o per mezzo di una coppia dentata. La prima ruota motrice del meccanismo è montata folle all'estremità del tamburo al quale è collegata per mezzo di un arpione che, agendo su una ruota d'arresto, rende solidale il sistema durante la discesa del peso, mentre permette che il tamburo ruoti liberamente, nel senso inverso, durante la ricarica. Con questo dispositivo, che è il più comunemente usato, l'orologio si arresta durante la ricarica; varî sistemi sono stati perciò studiati per eliminare l'inconveniente.
L'altro organo motore è la molla ed è il solo che si presti per gli orologi poco voluminosi e per quelli portatili. Essa è formata di una lamina di acciaio temperato avvolta su sé stessa, su più spire, in modo che la tendenza a svolgersi permette di utilizzare per il moto dell'orologio il lavoro da essa immagazzinato. La molla è fissata con l'estremo interno a un asse centrale e con l'estremo esterno a una capsula o bariletto che la contiene. Lo sforzo, la deformazione a flessione di una molla e il lavoro che essa può immagazzinare si determinano con il calcolo. Il valore dello sforzo P varia con la tensione della molla, e giunge a zero quando la molla è completamente allentata. Tali sforzi sono valutati con diagrammi che dànno in ascisse i giri di avvolgimento e in ordinate gli sforzi corrispondenti.
Le misure delle molle da cronometri sono d'ordinario: altezza mm. 11 a 29, spessore 0, 10 a 0,29, diametro del bariletto mm. 29 a 33, lunghezza mm. 1300 a 1350, diametro dell'albero mm. 8 a 9, numero di giri di sviluppo per ottenere la forza motrice 8 a 10, lavoro meccanico immagazzinato nella molla kgm. 1,40 a 1,80. Per gli orologi da tasca si ha spessore mm. o, 10 a 0, 12, lunghezza mm. 300 a 340.
Le molle hanno al solito sezione uniforme su tutta la lunghezza, con orli arrotondati; talvolta hanno al mezzo un leggiero rigonfiamento; ovvero hanno spessore che aumenta leggermente verso il mezzo; talvolta lo spessore varia in senso inverso. I rapporti tra dimensioni delle molle, diametro interno del bariletto ed esterno del mozzo sono in genere fissati dall'esperienza; i dati relativi interessano specialmente il costruttore.
La variazione dello sforzo motore fornito da una molla ha consigliato di studiare i modi per renderlo quanto possibile uniforme. La prima idea, adottata da Breguet e Jurgensen, è stata di fare uso di grandi bariletti e di molle assai lunghe utilizzando per il loro svolgimento un numero di giri limitato al periodo in cui lo sforzo subisce le minori variazioni (v. sotto). Grande diffusione ha avuto anche in passato, allo stesso scopo, l'uso del conoide. La molla era allora chiusa in un bariletto liscio mentre la prima ruota dentata era montata su un albero parallelo a quello del bariletto e sul quale era fissato un cono scanalato a spirale. Una piccola catena era fissata con un estremo al contorno del bariletto, con l'altro al conoide sulle cui spire si avvolgeva. Nel moto di rotazione del bariletto sotto l'azione della molla, la catena avvolgendosi produceva la rotazione del conoide. Le variazioni in meno dello sforzo motore erano compensate col raggio crescente delle varie spire. Onde la variazione dei successivi diametri del conoide era inversamente proporzionale alle variazioni dello sforzo motore. La carica dell'orologio si otteneva girando con una chiave l'albero del conoide. Il congegno ebbe grande diffusione, ed è tuttora usato negli orologi di precisione, e dispositivi speciali furono adottati per non interrompere il moto dell'orologio durante la carica.
Essenziali per le funzioni che le molle devono compiere sono gli arresti i quali hanno lo scopo d'impedire ogni moto retrogrado della molla e quindi il suo scaricarsi. Essi sono costituiti da una ruota d'arresto e da un arpione. Coi bariletti dentati girevoli la ruota d'arresto è montata sull'asse o nocciuolo al quale è fissata la molla motrice, mentre il perno dell'arpione che la trattiene è montato su un ponticello fisso come alla fig. 3, dove o è l'asse del bariletto portante il quadro per caricare la molla; p, il ponticello; r, la ruota d'arresto fissata ad o; a, l'arpione; m, la molla dell'arpione. La ricarica avviene girando il quadro o e la ruota r nel senso della freccia che sarà quello del bariletto.
Sono poi applicati alle molle, nel caso di orologi di precisione, arresti speciali o arresti di carica (arrêtages) che hanno il doppio scopo di impedire ogni movimento di carica quando la molla è interamente avvolta su sé stessa, e di ottenere, insieme, ch'essa si svolga in quei limiti di giri per cui lo sforzo motore ha l'uniformità massima. Un tale arresto è formato di un arpionismo a denti costituito di ruota d'arresto e arpione; questo, montato di solito sull'asse di avvolgimento della molla motrice, ingrana con la ruota d'arresto spostandola ad ogni giro, e il numero di giri (giri di carica) è definito dal numero di volte per cui l'arpione può ingranare con la ruota prima d'impuntarsi contro di essa. Il più comune e diffuso è quello conosciuto col nome di croce di Malta (fig. 4); la rotazione continua dell'arpione a produce un moto di rotazione intermittente sulla croce b (un dente ad ogni giro) fino a che non s'incontra il dente x che impedisce ogni ulteriore movimento.
Un cenno merita quella specie di carica che è detta a remontoir. Gli orologi ordinari si caricano facendo ruotare mediante una chiave una delle estremità sporgenti dell'albero della molla che prende allo scopo sezione quadrata. Tale mezzo fu usato in passato anche per gli orologi da tasca. Ma oggi, in questi ultimi, la chiave è stata sostituita da un congegno unito all'anello di sospensione. Questo congegno, detto di remontoir, deve anche permettere lo spostamento degl'indici, che si otteneva in passato facendo girare con la chiave l'asse di centro; e ciò complica il dispositivo rendendolo più delicato.
Il tipo più comune di remontoir è quello Lecoultre, in cui la pressione di un bottoncino posto sul contorno della cassa disimpegna il ruotismo che comanda la carica e impegna quello degl'indici; ma numerosi altri tipi ne sono stati studiati (Breguet, Patek, Philips, ecc.) e oggi i più diffusi sono quelli nei quali le funzioni del bottoncino si ottengono spostando verticalmente l'albero di carica.
Un altro meccanismo accessorio da poco entrato in uso, permette di avere indicazione esterna dello svolgimento delle spire.
Si è pensato anche a ottenere la ricarica automatica degli orologi da tasca utilizzando sia il movimento che chi porta l'orologio gl'imprime necessariamente nel camminare, sia il movimento di apertura e di chiusura della cassa speciale in cui l'orologio è contenuto. La ricarica automatica è stata studiata anche per i grandi orologi a peso, nei quali si utilizza a questo scopo l'energia elettrica. Disceso nella posizione più bassa, il peso agisce su uno speciale interruttore e mette quindi in moto un motore che ne produce il sollevamento. Giunto nella posizione più alta, il peso stesso agisce su un altro interruttore in modo da aprire il circuito arrestando il motore. Il sistema si complica alquanto se il peso dell'orologio non è più unico, cioè, per es., quando l'orologio è provvisto di suoneria. La ricarica elettrica ha il vantaggio di permettere una grande riduzione delle altezze di caduta. Oggi si costruiscono anche orologi i quali ricavano l'energia per ricaricarsi dalle continue variazioni di temperatura.
Il regolatore. - L'elemento fondamentale del calcolo d'un orologio e del suo funzionamento riposa sul numero delle oscillazioni isocrone compiute dal regolatore (pendolo o bilanciere).
a) Il pendolo. - Il pendolo semplice è costituito da un corpo pesante sospeso a un filo o a una barra, ritenuti inestensibili e senza peso; spostando il corpo pesante dalla verticale e poi abbandonandolo, supponendo nulle le resistenze passive, esso percorrerà un arco in discesa di moto accelerato, e un secondo arco in salita di moto ritardato. L'arco totale costituisce un'oscillazione semplice. La doppia oscillazione è isocrona e il tempo impiegato a compierla è praticamente indipendente dalla sua ampiezza. Il tempo in secondi per un'oscillazione è espresso da
in cui l è la lunghezza del pendolo in metri, distanza fra l'asse di rotazione e il centro di oscillazione (centro di gravità del peso), e g l'accelerazione di gravità (a Roma g = 9.803 m./sec.2). La formula che fornisce t non è matematicamente esatta, essendo t funzione anche dell'ampiezza a dell'oscillazione; ma per piccoli valori di a e per misure che non siano di precisione il risultato della formula semplice è sufficiente.
Essendo la durata dell'oscillazione funzione di g, essa varia leggermente con la latitudine, cioè le oscillazioni sono più lente all'equatore e si accelerano avvicinandosi ai poli. Vi ha anche una leggerissima influenza l'altitudine. L'effetto della latitudine, che è il più sensibile, si può valutare su questi dati calcolati per un pendolo che batta il secondo: al polo l = m. 0,9958, a Londra 0,9941, a Parigi 0,9936, a Milano o,9933, a Roma 0,9929, all'Equatore o,9907.
In ogni caso si può adottare la legge che le durate delle oscillazioni al 1″, stanno fra loro come le radici quadrate della lunghezza dei pendoli, ovvero le lunghezze dei pendoli stanno fra loro come i quadrati dei tempi d'oscillazione. Per ogni località vi sono apposite tabelle calcolate allo scopo.
La regolazione dei pendoli si fa modificandone la lunghezza. Serve a ciò la vite che regola la posizione della lente sull'asta di sospensione.
Il peso dei pendoli è mantenuto in limiti pratici consigliati dall'esperienza. Per orologi da torre si usavano pendoli di 50-60 kg.; ora si scende a 4-6 kg. e anche meno. Per pendoli di uso corrente la lente scende al peso di 80 grammi circa. L'ampiezza dell'oscillazione è di 6° a 8°; negli orologi di maggiore precisione si scende a oscillazioni più piccole, 4°-5°. La lunghezza massima, che si tendeva in passato a esagerare, è oggi generalmente quella del pendolo che batte il secondo; la lunghezza minima non dovrebbe essere inferiore ai 25 cm., sebbene in piccole pendole da appartamento si scenda talora anche sotto gli 80 mm.
Il pendolo e il congegno di scappamento costituiscono due organi strettamente connessi; l'oscillazione del pendolo è trasmessa agli arpioni dell'ancora, i quali agiscono sulla ruota d'arresto producendo il moto intermittente caratteristico degli orologi. Ma il pendolo non ha per centro di sospensione il centro stesso di oscillazione dell'ancora; questo centro è indipendente e il collegamento fra scappamento e pendolo si effettua per mezzo di un organo detto la forchetta. Tale organo, montato sull'asse oscillante dell'ancora, è una leva che abbraccia l'asta del pendolo a una certa distanza dal suo centro e la trascina nel moto d'oscillazione in modo da assicurare meglio la regolarità del moto.
Compensazione del pendolo. - Le variazioni di temperatura, modificando la lunghezza del pendolo, influiscono sul funzionamento degli orologi accelerandone o ritardandone la marcia. Per rendersi conto dell'importanza del fenomeno, basterà pensare che una variazione di o,0273 mm. (prdotta in un'asta di acciaio, di circa 1 m. di lunghezza, da una variazione di 2°), è sufficiente perché si abbia una differenza di 1″ su 24 ore e che, alle nostre latitudini, l'avvicendarsi delle stagioni fa variare la temperatura di circa 40°.
A questo inconveniente si è cercato di rimediare dapprima costruendo l'asta del pendolo con materiale avente un minimo coefficiente di dilatazione (legno, vetro o una lega di argento e nichelio). Ma il rimedio è insufficiente per orologi da torre esposti a variazioni di temperatura anche di 60° e più, nonché per tutti quegli orologi da cui si esige la massima precisione. Si ricorre allora ai pendoli compensati e la compensazione si fa o sull'asta o sulla sospensione o sulla lente. Sull'asta lo scopo si ottiene componendo questa di materiali diversi aventi un adatto coefficiente di dilatazione. Se ad esempio, l'asta è tagliata come nella fig. 5, la lunghezza del pendolo è data da AB + CD − EF + GH, delle quali AB, CD, GH hanno dilatazione in un senso ed EF in senso contrario; basterà che, con opportuna scelta di materiali, le dilatazioni nei due sensi siano eguali. Così è costruito il pendolo della fig. 6 a 5 sbarre; in esso a è l'asta primitiva di sospensione, passante libera attraverso m″ e fissa ad m′ cc sono aste fissate a m′ e m″; bb sono aste fissate ad m″ e passanti libere attraverso m′; a esse è unita la lente la cui posizione è regolabile con la vite o; le aste abb sono di ferro, e le cc di zinco; tutte sono tubolari. Il numero delle sbarre può essere aumentato. Il pendolo Harrison ha 9 aste, 5 di ferro e 4 di rame o bronzo. Questa compensazione fu perfezionaia dal tedesco S. Riefler, sostituendo all'acciaio l'invar, lega di acciaio e nichelio, che ha un piccolissimo coefficiente di dilatazione (dieci volte più piccolo di quello dell'acciaio) ed esige quindi una piccolissima correzione. La compensazione sulla sospensione è fatta modificando il punto di oscillazione della molla. Infine la compensazione sulla lente è ottenuta modificando la posizione del centro di gravità della lente, ciò che si ottiene con diversi sistemi; quello ormai di uso generale è stato ideato dal Graham: alla lente vengono sostituiti uno o due vasi di mercurio. Se l'aumento di temperatura abbassa la lente, lo stesso aumento eleva il livello di mercurio nel vaso e quindi il centro di oscillazione della lente rimane ad altezza invariata.
b) Il bilanciere. - Prima dell'invenzione del pendolo, bilanciere s'era chiamato uno speciale tipo di regolatore applicato agli orologi da torre o ai grandi orologi da appartamento (v. fig. 7). Nell'orologeria moderna il nome è passato a indicare un regolatore largamente usato nei piccoli orologi da tavolo, nonché negli orologi portatili ordinarî e nei cronometri di precisione. Questo regolatore è formato di un piccolo volano (bilanciere) a corona pesante rispetto alle razze, collegato a una molla a spirale piana o cilindrica, di cui un'estremità è unita a un punto fisso, e l'altra è unita al mozzo del volano. Se si sposta il sistema dalla sua posizione di equilibrio girando il volano di un dato angolo, la molla si tenderà sviluppando una reazione elastica che, oltre a riportare il congegno alla posizione primitiva, gli farà percorrere un arco in senso contrario. Il moto, ove non esistessero resistenze passive, continuerebbe indefinitamente; lo scappamento unito al bilanciere serve appunto a trasmettergli un impulso che vinca l'effetto di tali resistenze. Le molle a spirale che si adoperano possono essere piane (orologi comuni) o cilindriche (cronometri).
I principî di costruzione e di calcolo di un regolatore formato da bilanciere e molla vennero stabiliti da Leroy e Philips e sono analoghi a quelli di un pendolo. La durata in secondi t di un'oscillazione è data da
in cui l è la lunghezza svilappata della molla e γ una costante espressa dal rapporto
tra il momento M di elasticità della molla e il momento d'inerzia A del bilanciere. Se durante l'oscillazione il valore di γ resta costante, la relazione ci dice che le oscillazioni del bilanciere sono isocrone qualunque sia la loro ampiezza angolare, il tempo t in secondi essendo indipendente da tale ampiezza; inoltre la durata della oscillazione è proporzionale alla radice quadrata dell'ampiezza della spirale. Perché sia possibile un calcolo del sistema su dati numerici, ricordiamo che il momento d'inerzia del bilanciere è dato da
(P peso della corona del bilanciere, r raggio e g accelerazione di gravità), mentre il momento di elasticità della molla dipende dal materiale della molla e dalla sua sezione. Così per l'acciaio temperato il modulo di elasticità E ha il valore di 30.000 kg. al mmq.; se la molla è a spirale piana di spessore h e altezza b si ha
e se a spirale cilindrica di diametro d si ha
Con questi dati si può calcolare la durata dell'oscillazione o il numero delle oscillazioni del bilanciere in un'ora.
Poiché il numero delle oscillazioni dipende dalla lunghezza della spirale, questa lunghezza si modifica, per registrare gli orologi, mediante uno stringilama o racchetta (raquette) che rende maggiore o minore la parte attiva della molla. La racchetta è unita a una lancetta, e un arco graduato indica il senso dello spostamento per ottenere l'accelerazione o il ritardo. Nei sistemi più perfezionati gli spostamenti della lancetta sono comandati da una vite. Nella fabbricazione delle spirali si usa oggi l'invar a coefficiente termoelastico nullo.
I dati relativi al bilanciere sono desunti generalmente dall'esperienza.
Per orologi da tasca: diametro della corona 11 a 20 mm.; peso in grammi 0, 19 a 0,46; oscillazioni all'ora 18.000. Per cronometri da tasca: diametro della corona 18 a 21; peso 1,90 a 2; oscillazioni 18.000.
Registrazione e compensazione dei bilancieri. - La registrazione del bilanciere è fatta modificandone il raggio d'inerzia mediante viti a grossa testa applicate alla corona. È poi necessario che i bilancieri siano compensati per le variazioni di temperatura. Questa necessità deriva dal fatto che l'aumento di temperatura allontanando la massa dal centro e allungando la spirale fa scemare la velocità mentre l'abbassamento di temperatura produce un'accelerazione. La compensazione è fatta specialmente negli orologi di precisione.
Nel tipo più comune di bilanciere compensato la corona è formata di due lamine saldate fatte di metalli inegualmente dilatabili. Le lamine però non completano il cerchio; gli archi bimetallici sono al solito di acciaio all'interno e di bronzo all'esterno. Le masse compensatrici sono fissate a vite alla corona esterna.
Questo sistema non è però sufficiente, e lo si completa, nei cronometri, con la compensazione addizionale (tipi Hartnup, Saunier, Callier, ecc.).
Meccanismi distributori (scappamenti). - Si è già notata la doppia funzione affidata negli orologi allo scappamento. Esso deve infatti trasformare il moto di rotazione continuo che deriva dal motore in quel moto intermittente speciale che è caratteristico degl'indici di un orologio, ma deve inoltre e nello stesso tempo trasmettere al regolatore un impulso che lo mantenga in moto. Considerato nell'aspetto cinematico, lo scappamento è un organo che trasforma il moto oscillatorio continuo del regolatore, in un moto circolare intermittente che si trasmette poi a tutto il ruotismo dell'orologio.
Assai vari nei loro dispositivi, gli scappamenti sono tuttavia costituiti essenzialmente da una ruota d'arresto o di scappamento, montata sull'asse di una delle ruote dell'orologio che per sé stessa sotto l'azione del motore assumerebbe un moto di rotazione continuo, e da un arpione che, fatto oscillare a mezzo di un braccio, arresta, a intervalli regolari, quel moto, trasformandolo in un moto intermittente.
Ogni oscillazione del pendolo o del bilanciere si divide in due parti; l'arco percorso in diretto contatto dell'arpione coi denti della ruota di scappamento (arco di levata), e quello che l'arpione percorre in più per la spinta ricevuta dalla ruota (arco supplementare): quest'ultimo, con la sua ampiezza, è l'elemento precipuo della regolarità dell'orologio. Un congegno di scappamento, per ben funzionare, deve presentare minime resistenze di attrito e imprimere al regolatore una forza, possibilmente costante, di poco superiore a quella necessaria per mantenerlo in moto.
Il numero degli scappamenti ideati è enorme; si possono tuttavia dividere in due gruppi principali: scappamenti applicati ai pendoli e scappamenti adattabili ai bilancieri. Ciascuno dei due gruppi presenta poi tre categorie: tipi a rinculo nei quali la ruota d'arresto prende sotto l'azione dell'arpione un leggiero movimento retrogrado (questo dispositivo è ora abbandonato essendosi riconosciuta l'inutilità del rinculo); tipi a riposo nei quali, all'infuori del periodo d'impulso che la ruota attraverso l'arpione imprime al regolatore, la ruota resta immobile e il suo dente è appoggiato su una superficie concentrica all'asse del bilanciere; in questo periodo di riposo il meccanismo è arrestato. Infine si ha il terzo tipo degli scappamenti detti liberi usati nell'orologeria di precisione; in essi il periodo d'impulso al regolatore è minimo, e l'oscillazione del regolatore avviene nel resto del periodo in piena indipendenza dallo scappamento. Ciò sottrae il regolatore alle variazioni di forza motrice e assicura meglio l'isocronismo delle oscillazioni.
In questo rapido esame ci riferiremo soltanto agli scappamenti usati nell'orologeria moderna ordinaria e di precisione.
Scappamenti per regolatore a pendolo. - a) A riposo. - Uno scappamento di tale specie, ideato dal Graham fino dal 1710, è fornito di un'ancora ad arpioni (fig. 8).
Successivamente si modificarono gli arpioni dell'ancora tagliandoli a semicilindri o a semifusi, come nel tipo Brocot. Ma nella costruzione pratica più comune i denti semicircolari non sono applicati agli arpioni, sibbene alla ruota e gli arpioni dell'ancora agiscono tangenzialmente alla circonferenza, il centro di oscillazione dell'ancora (o del pendolo) essendo fuori della verticale del centro della ruota (fig. 9). Altri sistemi di scappamento a riposo per pendoli, come quello detto a colpo perduto, quello ad ago, ecc., sono oggi di rarissimo uso.
b) Liberi. - Negli orologi a pendolo con scappamento a riposo la piccola forza motrice necessaria a mantenere il moto crea degli attriti sia pure assai limitati. Negli scappamenti liberi anche questo attrito è eliminato perché il riposo si fa avvenire su un organo distinto dall'ancora che così continua il moto col regolatore in modo quasi indipendente. Di congegni del genere ne furono ideati varî (Ruffert, a doppia ruota, Rend, Denison, ecc.).
Scappamenti per regolatori a bilanciere. - Possono essere a riposo e liberi (v. sopra). Notissimo tra i primi è quello a cilindro ideato dal Graham nel 1778 (fig. 10). Si compone di una ruota di scappamento provvista di denti che sporgono al di sopra della sua corona. L'arpione oscillante, il cui asse coincide con quello del bilanciere, ha forma semicilindrica cava. Nell'oscillazione del cilindro il dente della ruota penetra nella cavità interna dell'arpione e i periodi di riposo che dànno origine alle necessarie intermittenze si verificano nell'appoggio del dente contro la superficie interna ed esterna del cilindro. Nell'uscire dall'incavo il dente trasmette al cilindro e al bilanciere l'impulso che gli permette di conservare il moto. Generalmente oggi ruota e cilindro si fanno in acciaio; talvolta negli orologi più delicati il cilindro è fatto in pietra dura.
Altro scappamento a riposo per bilancieri, molto usato nella costruzione inglese, è il Duplex così denominato perché la ruota d'arresto porta non uno solo ma due ordini di denti. In questo tipo di scappamento, l'impulso al bilanciere è dato ogni due oscillazioni, il che, diminuendo gli effetti delle variazioni della forza motrice, lo rende adatto agli orologi cui si richiede grande precisione.
Più importanti tuttavia sono gli scappamenti liberi nei quali il bilanciere compie la propria oscillazione, salvo il periodo di impulso, in piena indipendenza dalla ruota che fa il riposo contro un corpo immobile.
Il migliore e il più usato di questi scappamenti, è quello cosiddetto ad ancora, che ha subito diverse modifiche e ha dato luogo a tipi numerosi (v. per es. quello rappresentato a fig. 11).
Negli scappamenti dei cronometri il riposo e l'impulso si verificano su organi distinti, anzi che entrambi sugli arpioni dell'ancora.
Ruotismo. - La forza motrice fornita dal peso o dalla molla si trasmette al regolatore, pendolo o bilanciere, mediante un sistema di ruote dentate necessarie per l'assoluta precisione dei rapporti di velocità.
Lo studio delle ruote dentate e il tracciamento geometrico dei loro denti ha nell'orologeria importanza grandissima, dovendo essere ridotte al minimo le resistenze passive per assicurare la più lunga durata di un orologio e perché il rendimento della trasmissione sia il più elevato possibile.
Il calcolo di un ruotismo da orologio è assai semplice e i trattati speciali ne dànno esempî interessanti. Si vuole talvolta che l'orologio indichi non l'ora soltanto, ma il giorno della settimana, il mese, le fasi della luna, ecc., o che segni il movimento apparente dei corpi celesti. Il calcolo dei ruotismi, piuttosto complicato in questi casi, non presenta tuttavia particolari difficoltà. A ottenere rapporti fuori dell'ordinario si usano anche con successo i ruotismi differenziali.
I perni, le resistenze passive e la lubrificazione degli orologi. - I perni degli orologi ruotano in fori provvisti di piccole cavità per la raccolta dell'olio lubrificante. Quelli degli orologi da tasca e dei cronometri ruotano in cuscinetti di pietre dure. Nei grandi orologi da torre si usano ora largamente i cuscinetti a sfere.
Gli sforzi in giuoco negli orologi sono piccoli, e la massima parte del lavoro passivo è quella prodotta dall'attrito. La regolarità della marcia non esige tanto la riduzione di questo lavoro, quanto la sua costanza. Il sistema di trasmissione di un orologio per cui a un piccolo spostamento dell'organo motore corrisponde uno spostamento grandissimo (e quindi assai più rapido) dell'ultimo mobile (almeno 600 volte maggiore), fa sì che le resistenze di attrito vadano sensibilmente diminuendo dal motore allo scappamento, essendo le pressioni inversamente proporzionali alle velocità. L'uso di perni bene calcolati per forma e dimensioni e costruiti con materiali appropriati è il mezzo migliore per ridurre nell'orologio le resistenze di attrito. Anche gli urti devono essere evitati e nel tracciare il meccanismo, specie lo scappamento, questo scopo non deve mai essere perduto di vista.
Importante è pure la lubrificazione dell'orologio; ma questa è efficace e sicura solo nei primi periodi, producendosi col tempo nel lubrificante un'ossidazione che lo rende denso e collante. Sembra, ma la questione è lungi dall'essere risolta, che il miglior lubrificante sia l'olio di oliva, tratto dalle olive mature; deve essere conservato un anno prima di farne uso e posto in recipienti che lo sottraggano a ogni influenza dell'aria e della luce.
Suonerie. - Fra i numerosi meccanismi accessorî di cui gli orologi possono essere muniti, i più comuni sono certamente quelli per la segnalazione acustica dell'ora e delle sue frazioni (suonerie). I sistemi di suoneria più in uso sono essenzialmente due: quello con ruota a intagli o spartiore (chaperon) e quello a cremagliera (rateau). In entrambi i sistemi, sul disco di una ruota (generalmente il secondo mobile del particolare ruotismo della suoneria) sono applicati dei fusi equidistanti, paralleli all'asse della ruota stessa. Quando questa gira, i fusi agiscono sulla coda di un martello sollevandolo e poi lasciandolo ricadere. Il numero di colpi battuto dal martello dipende naturalmente dalla maggiore o minore durata del moto del ruotismo; e i due sistemi si differenziano nel modo di assicurare questa durata e di modificarla di ora in ora, affinché le ore battute dal martello corrispondano a quelle segnate dagl'indici.
Nel primo sistema, una piccola leva, azionata dalla ruota che porta l'indice dei minuti, impedisce al ruotismo di scorrere e lo libera solo a intervalli regolari (15, 30 minuti). In un orologio con suoneria a ore e mezze, questa leva riposa normalmente in uno degl'intagli che dividono in undici archi di ampiezza cresente l'intero cerchio della spartiore (chaperon) fissata sull'asse di una delle ruote della suoneria. Ogni ora, quando l'indice dei minuti tocca le ore XII, la leva esce dall'intaglio; il ruotismo prende allora a scorrere (e il martello a battere) finché la leva, ricadendo nell'intaglio successivo, non lo arresta. Ogni mezz'ora, quando l'indice dei minuti tocca le ore VI, la leva esce dall'intaglio, ma per ricadervi subito, dopo aver permesso alla suoneria di battere un colpo solo.
Nel secondo sistema, un piccolo rocchetto a un solo dente, solidale con l'asse di una delle ruote della suoneria, fa avanzare a ogni giro un arco dentato (la cremagliera) fino a impuntarsi contro un arresto fissato sulla stessa cremagliera. Un dispositivo speciale (la chiocciola) fisso sulla ruota a stella che compie
di giro all'ora, fa variare la posizione di partenza della cremagliera, allontanando a mano a mano, di uno, di due... di dodici denti, l'arresto dal rocchetto. Questo sarà libero così di compiere uno, due.... dodici giri, battendo la suoneria un colpo a ogni giro.
Classificazione degli orologi. - Una classificazione degli orologi dai più semplici ai più complessi, dai più economici ai più perfetti, da quelli grandissimi a quelli così piccoli da essere incastonati in un anello da signora, sarebbe troppo lunga; accenneremo qui unicamente ai tipi fondamentali più comuni e industrialmente più importanti.
Orologi da torre. - Non differiscono dagli ordinarî orologi a pendolo con motore a peso. Possiedono un proprio quadrante di piccole dimensioni. Il movimento viene poi trasmesso agl'indici di uno o più quadranti (quattro, per es., sulle quattro facce di una torre), mediante un sistema di ruote coniche e di giunti cardanici comandato dall'asse di centro dell'orologio che muove l'indice dei minuti. Dietro a ciascuno dei quadranti è applicata la minuteria, cioè quel sistema di ruote che dal moto dell'indice dei minuti deriva quello dell'indice delle ore.
La costruzione di questi orologi si è di recente notevolmente perfezionata. Essi si distinguono specialmente in base alla suoneria, se devono cioè suonare le ore, le mezze e i quarti e ripeterle, se vi sono aggiunte suonerie speciali, come i carillons, ecc.
Celebri sono gli orologi di Hannover, della torre di Westminster a Londra, di Venezia in Piazza S. Marco, e quelli più recenti costruiti in Germania da Beyes e in Inghilterra da Sen Thomas and Clock, nonché i grandi orologi montati sulle torri di Rennes e di Arranche (Francia). Alcuni di questi orologi sono a carillon. In queste grandi costruzioni l'Italia non è rimasta indietro e si hanno esemplari interessanti di costruzioni moderne perfezionate di orologi da torre. Basterà qui citare il complicatissimo orologio di Messina e quello, più semplice, di Saronno con suoneria a cremagliera (ore e quarti).
Orologi da appartamento. - Hanno generalmente motore a peso o a molla, regolatore a pendolo e sono spesso provvisti di suoneria. Per ridurne le dimensioni, si costruiscono talvolta con pendolo a leva cortissima, cioè a grande numero di oscillazioni, o, specie quelli da tavolo, con regolatore a bilanciere.
Orologi di controllo. - Se ne costruiscono oggi di molti tipi per soddisfare le più varie esigenze: per accertarsi che la vigilanza notturna sia effettivamente esercitata, per controllare l'entrata e l'uscita degl'impiegati e degli operai, ecc. Quelli installati nelle cabine di blocco permettono di seguire la marcia dei treni; sono dotati di un diagramma comandato dal movimento di orologeria, e di penne scriventi collegate agli apparecchi di segnalamento e di blocco.
Orologi portatili. - Costituiscono la branca industrialmente più importante dell'orologeria e quella che presenta le maggiori difficoltà, essendo il congegno concentrato in una cassa di piccolo diametro e di limitato spessore. Ciò ha dato origine a disposizioni interne assai varie (e quindi ai calibri, varî per ogni fabbricante) degli assi di tutti i mobili e dei loro supporti o ponti.
Ora si costruiscono orologi a secondi o cronografi (con un grande indice concentrico a quello delle ore e azionato da un motore indipendente); orologi a ripetizione (con una suoneria che, azionata dalla pressione di un bottone posto sul contorno della cassa, batte le ore e i quarti segnati sul quadrante); orologi a sveglia, a calendario, ecc. Fra questi ultimi, un capolavoro può essere considerato quello Le Roy a due quadranti, non più grande di un orologio normale, fornito di indicatore dello sviluppo della molla motrice, di cronogra10, di termometro, di igrometro, di barometro, di altimetro, di bussola, di grande suoneria a minuti, e capace di indicare il giorno, il mese e l'anno (tenendo conto degli anni bisestili), le fasi lunari, le stagioni, i solstizî, gli equinozî, l'equazione del tempo, l'ora di 125 città, la levata e il tramonto del sole, l'immagine del cielo con la visione di molte centinaia di stelle a due latitudini.
Orologi di precisione o cronometri. - Sono questi i congegni nei quali si trovano raccolte le combinazioni più perfette allo scopo di ottenere l'indicazione del tempo col più alto grado di precisione. Si distinguono in cronometri terrestri e cronometri marini, differenti dai primi solo per essere sospesi alla cassa mediante un giunto cardanico che li rende indipendenti dai movimenti di rullio e di beccheggio della nave. Hanno motore a molla con conoide o bariletto dentato, oscillazioni orarie del bilanciere da 14.400 a 18.000, peso del bilanciere da 3 a 4 grammi; perni del bilanciere, della ruota di scappamento e di quella dei secondi in pietra dura; scappamento libero, compensazione perfetta del bilanciere; spirale cilindrica in invar con curve terminali esattissime. La registrazione di un cronometro è operazione assai delicata che implica l'uso delle matematiche superiori e di esperienze assai minuziose ed esatte. Una registrazione perfetta richiede che il cronometro non dia una variazione superiore a 1/10 di 1″ al giorno.
Orologeria elettrica. - Nata nella seconda metà del secolo XIX, è assai progredita recentemente.
L'energia elettrica può essere applicata agli orologi sia per ricaricarli, sia per sostituire in essi la forza motrice fornendo al regolatore l'impulso che lo mantenga in moto. Può essere infine usata, ed è questa senza dubbio l'applicazione più importante, per rendere fra loro solidali più orologi in modo che diano indicazioni uguali. C'è in questo caso un orologio centrale il quale, chiudendo un circuito a intervalli regolari (di solito un minuto primo), trasmette un impulso agli orologi ricevitori. I più semplici fra questi ultimi sono dotaii della sola minuteria e di una ruota ad arpione, collegata con l'asse di centro (indice dei minuti), la quale è fatta avanzare di un dente a ogni chiusura di circuito da un'ancoretta mobile fra i poli di un'elettrocalamita. Assai più complicati naturalmente sono gli orologi centrali che possono essere puramente meccanici o meccanici con ricarica elettrica, o elettrici. Gli elettrici, a pendolo (Bain, Hipp, Fery, ecc.) o a bilanciere (Couderay), utilizzano, per mantenersi in moto, l'energia elettrica, secondo numerosissimi sistemi spesso assai ingegnosi.
Orologi astronomici. - Si distinguono dagli orologi comuni per la maggiore precisione con cui sono costruite le singole parti, per gli accorgimenti studiati allo scopo di sottrarne il funzionamento alle influenze perturbatrici e quindi per la maggiore attendibilità delle indicazioni ch'essi forniscono. Per ottenere l'esatto isocronismo delle oscillazioni del pendolo, bisogna far sì che rimangano costanti:1. la distanza del centro di oscillazione dall'asse di rotazione del pendolo; 2. la densità del mezzo in cui il pendolo oscilla; 3. l'ampiezza dell'oscillazione stessa. Analogamente per il bilanciere con la molla a spirale, non debbono variare né il momento di elasticità della molla (e questo a prescindere dalle deformazioni che può subire l'estremità stessa della molla), né il momento d' inerzia del bilanciere.
Vari sistemi sono stati studiati (v. sopra: Compensazione del pendolo) per impedire che le variazioni della temperatura modifichino la distanza fra il centro di oscillazione e l'asse di rotazione del pendolo, e i più perfetti di questi sistemi sono stati applicati naturalmente agli orologi astronomici. Poiché, tuttavia, nonostante l'estrema cura con cui i pendoli compensati sono costruiti, permangono lievi errori in eccesso o in difetto di compensazione, si preferisce oggi tenere gli orologi in locali protetti contro le variazioni di temperatura e possibilmente dotati di riscaldamento artificiale a termostato.
Per evitare le variazioni della densità del mezzo entro il quale il pendolo oscilla, lo si pone in un ambiente chiuso pneumaticamente, che non risenta le variazioni della pressione atmosferica e che si conservi a temperatura costante, così da non avere, in conseguenza delle variazioni di questa, variazioni di tensione dell'aria contenuta nella campana (fig. 12 a sin.), ovvero si aggiusta sulla sua asta un piccolo barografo, che porti al di sopra della colonna di capsule metalliche del barografo un peso opportuno. Questo peso viene calcolato in guisa che alzandosi o abbassandosi al diminuire o crescere della pressione atmosferica risulti alterata la distanza del centro di oscillazione di quel tanto che basti a compensare gli effetti della variata densità dell'aria (fig. 12 al centro e a destra). Ambedue i sistemi corrispondono perfettamente, e poco o nulla di meglio si può desiderare a questo riguardo.
Per ottenere infine che sia osservata completamente la terza condizione, bisognerebbe rendere sempre rigorosamente eguale l'intensità dell'impulso che il pendolo riceve per compensare la perdita di forza viva, e mantenere assolutamente costanti le resistenze provocate dall'apparato di orologeria, che si ripercuotono poi sul pendolo attraverso il lavoro dell'ancora e della forcella. Ma basta pensare alla non assoluta eguaglianza dei denti delle singole ruote, alle minime loro eccentricità, ai progressivi logoramenti degli assi e dei loro perni e all'indurimento degli olî di lubrificazione, per comprendere come questa sia la difficoltà maggiore da superare. Un passo veramente notevole, coronato da un sensibile miglioramento nella precisione raggiunta dagli orologi, si ebbe con l'introduzione dello scappamento completamente libero ideato da S. Riefler. Con esso si conseguì il vantaggio di far oscillare il pendolo in modo completamente indipendente dal motismo dell'orologio, di far pervenire l'impulso non direttamente sul pendolo attraverso la forcella, ma mediante la molla stessa di sospensione, e di far avvenire lo scappamento e l'impulso nel momento in cui il pendolo passa per la verticale e ha pertanto la massima forza viva.
Recentemente si è ottenuto ancora un ulteriore progresso mediante gli orologi Shortt, introdotti dalla Synchronome Co. Ltd. di Londra, nei quali si è staccato completamente il pendolo, oscillante in recipiente pneumatico a pressione molto bassa, dall'orologio con i suoi ruotismi. Il pendolo assolutamente libero riceve un leggiero impulso a intervalli regolari di tempo (ogni trenta oscillazioni) mediante un dispositivo elettrico comandato da un secondo orologio a pendolo, tenuto elettricamente in sincronismo permanente dal pendolo principale stesso. Solo l'orologio secondario è dotato di ruotismi e di indici. I risultati così ottenuti sono sorprendenti per l'esattezza raggiunta; gli andamenti di questi orologi si mantengono costanti per mesi e mesi, a meno di variazioni di solo qualche millesimo di secondo.
Meno facile è stato eliminare le cause che possono alterare l'andamento degli orologi a bilanciere (cronometri). Introducendo tuttavia la spirale cilindrica in luogo della piana, il bilanciere compensato bimetallico, e negli ultimi anni quello in acciaio invar, si è potuto migliorare sensibilmente anche questi orologi, tanto che i migliori, se tenuti in locale opportuno ove non risentano né variazioni brusche di temperatura né scosse o tremiti, possono gareggiare con gli orologi a pendolo, che non siano, ben inteso, di altissima precisione.
Tanto negli orologi a pendolo, quanto nei cronometri usati a scopo astronomico, sono stati introdotti poi ancora dispositivi speciali atti a provocare ogni secondo, ovvero ogni due, chiusure, o aperture, di circuiti elettrici, le quali permettono mediante apparecchi sussidiarî (cronografi) la determinazione degl'istanti in cui si osservano determinati fenomeni. Tali dispositivi consistono generalmente in una leggiera leva, che poggia su una ruota dentata portata dall'asse della lancetta dei secondi: a ogni dente la leva si alza, chiudendo così, o rispettivamente aprendo, il circuito elettrico.
Storia. - La genesi delle umane nozioni spaziali e temporali, come anche l'origine della misura del tempo, sono da ricercare nella particolare maniera (prelogica o mistica) con cui le società primitive considerano i fenomeni naturali. Il firmamento o orizzonte visibile, gigantesco orologio celeste, fu l'orologio delle prime epoche dell'umanità.
Più tardi, alcune cime, e più specialmente certe rupi, costituirono veri quadranti solari. Furono questi gli orologi rupestri dei quali la preistoria ci ha lasciato tracce e che segnano la transizione tra la cronometria naturale e quella artificiale.
Antichità. - Le civiltà egizia, assiro-babilonese, meda, greca, alessandrina e romana che tennero conto degli sviluppi della cronometria furono assai brillanti. Nell'epoca imperiale la cronometria romana conobbe la clessidra a immersione, quella a stillazione e quella meccanica; inoltre le meridiane monumentali o fisse e quelle portatili. Il loro uso era comune nell'amministrazione e in tribunale, nella vita civile e militare. Numerosi furono i patrizî che ne possedettero. Con le sue precisazioni cronologiche, il diritto romano contribuì molto al progresso delle istituzioni cronometriche che l'amministrazione imperiale diffuse poi nelle provincie più lontane. La civiltà romana conobbe il giorno naturale (dies naturalis), il giorno civile (dies civilis), il giorno militare e quello astronomico o scientifico, nonché le ore temporali o vere e le ore equinoziali o medie. Su tutte queste determinazioni prevalsero però il giorno e l'ora temporale.
Medioevo. - Non è esatto affermare che con lo smembramento definitivo dell'impero romano, la cronologia e la cronometria greco-romana andarono perdute. La civiltà cristiana che nel Medioevo prese il sopravvento, almeno in Occidente, continuò talune tradizioni cronologiche e cronometriche dell'antichità. Essa ereditò, tra l'altro, la meridiana e la clessidra, il cui uso si perpetuò attraverso tutte le vicissitudini che segnarono la caduta dell'Impero d'Occidente e lo stabilirsi di quello d'Oriente. Il Medioevo cristiano conobbe anche, se non in pratica almeno in teoria, i giorni civile, militare e astronomico dell'antichità. Ma introducendo le ore canoniche e, all'inizio della stessa epoca, il computo mosaico del giorno (la durata del giorno da un tramonto all'altro), il cristianesimo s'ispirò alla tradizione giudaica o biblica, che in specie la regola benedettina diffuse un po' dappertutto a cominciare dal sec. VI. Le ore canoniche e le campane (signum) che le annunziavano dominarono tutto il Medioevo occidentale e lo segnarono della loro impronta indelebile: dal mattutino a compieta esse indicarono le sette divisioni del giorno vero, ossia dall'alba al tramonto. Poiché il suono delle ore canomche veniva regolato sull'ora locale o sul meridiano del luogo (l'ora nazionale era sconosciuta), era assolutamente indispensabile consultare le meridiane.
Il Medioevo cristiano occidentale conobbe ugualmente la clessidra e anche la clessidra meccanica, l'orologio a mercurio, gli orologi ignei (orologi a olio, ceri e candele), l'orologio a sabbia, l'astrolabio e altri strumenti per la misurazione del tempo.
Più laica di quella occidentale, la cronometria bizantina conobbe non solo la meridiana, la clessidra meccanica e l'astrolabio, ma anche l'orologio meccanico da appartamento (orologio di palazzo) fisso o portatile (horologia gestatilia), con molle (elateribus) e perfino con dispositivi automatici.
Anche la cronometria musulmana fu notevole. Gli Arabi portarono a un alto grado di perfezione tecnica e di precisione matematica le meridiane, gli astrolabî, le clessidre meccaniche fisse o portatili, parecchie delle quali furono a pesi e contrappesi e con dispositivi automatici. È peraltro da notare come i musulmani ebbero grande avversione per la campana, che consideravano strumento tipico della civiltà cristiana e occidentale. Resta comunque il fatto che i Bizantini e i musulmani portarono la tecnica degli orologi meccanici quasi alla perfezione dell'orologeria moderna. L'orologio meccanico unito alla campana non è invenzione spontanea, ma un punto d'arrivo e un perfezionamento il cui merito è tutto dell'Occidente cristiano.
Epoca moderna. - In orologeria, l'epoca moderna si annunzia con l'introduzione dell'orologio a pesi e contrappesi, usato nei monasteri, nelle chiese e nei palazzi. Fu da una parte l'orologeria ecclesiastica e dall'altra l'orologeria gentile. Infine il movimento comunale e l'unione dell'orologio meccanico con la campana crearono l'orologeria borghese. In tal modo, il mondo occidentale dovette rinunziare definitivamente al sistema delle ore temporali (ore vere), adottando il sistema delle ore equinoziali o medie, le sole che potevano essere indicate dagli orologi a pesi e contrappesi da appartamento e da campanile. Fu, questa, una rivoluzione sotto il triplice aspetto tecnico, scientifico e sociale. Tuttavia il computo delle ore canoniche si mantenne ancora a lungo nella vita pubblica. D'altra parte nelle istituzioni cronometriche dei primi secoli moderni (ormai ciò che si misurava era l'ora e non più divisioni più o meno spaziate del giorno) si formarono differenziamenti nazionali d'ogni specie. Così in Italia si ebbe, fino al principio del sec. XIX, l'ora italiana (hora italica) fondata sulla divisione che del giorno aveva adottato la chiesa primitiva e che andava da un tramonto all'altro. Si ebbe anche l'ora boema (hora bohemica), introdotta dall'imperatore Carlo IV, la quale non è altro che l'ora italiana trapiantata in Boemia. Nella Francia e nei paesi che ne subirono l'influsso si ebbe l'ora gallicana (hora gallica), la quàle s'ispirò al giorno civile dei Romani, che durava da una mezzanotte all'altra. I sistemi italiano e gallicano conobbero la numerazione di 24 ore (quella del nittemero greco-romano), mentre il sistema cronometrico tedesco (hora germanica) si basava sulla numerazione duodecimale. Vi fu anche l'ora britannica (hora britannica), fondata non sul momento vespertino del giorno, come l'ora italiana, ma sul momento mattutino (il giorno andava cioè da un levar di sole all'altro). Né mancarono altre particolarità: così il "tocco" italiano; l'adozione del principio dell'ora cominciata (hora incipia), sul quale si basava l'ora di Basilea, o del principio dell'ora terminata (hora completa).
Le origini di questo movimento cronometrico risalgono ai secoli XII e XIII. Verso la fine del sec. XIII l'Occidente conobbe già gli orologi da appartamento a pesi e contrappesi e forse anche a molla, quindi esclusivamente meccanici. Ve ne furono nelle dimore di molti principi italiani e di Filippo il Bello in Francia. Questo movimento cronometrico, accentuatosi nei secoli XIV e XV, è uno dei caratteri più tipici della civilta occidentale, anzi di tutta la civiltà. Orologi da campanile per uso pubblico vennero impiantati dappertutto in Europa, mentre l'orologio da appartamento, che aveva carattere privato, rimase dapprima privilegio degli alti dignitarî ecclesiastici e dello stato. Fu solo nel sec. XV e soprattutto nel successivo che l'orologio da appartamento si diffiuse tra la nobiltà e l'alta borghesia. Fu questo il risultato del movimento del Rinascimento, al quale l'orologeria deve la creazione di orologi da appartamento e portatili di dimensioni sempre più ridotte, di orologi da viaggio (horologia viatoria) e di orologi tascabili (horologia pensilia). L'evoluzione è chiara; da una parte gli orologi monumentali, dall'altra l'orologio-mobile e l'orologio-gioiello. Tale è stato l'avviamento dell'arte e della tecnica nel Rinascimento. Già nella seconda metà del sec. XV le corti dell'Italia e di altrove conoscevano l'orologio-sveglia e gl'inventarî della corte di Savoia menzionano un orologio "in forma di tamburino" il quale, per le sue dimensioni molto ridotte, non poteva essere che un orologio a molla.
L'oriuolo propriamente detto, apparso agl'inizî del sec. XVI, è un risultato collettivo e non una creazione individuale e spontanea.
Nel movimento, molto accentuato all'epoca dell'alto Rinascimento, è da vedere un aspetto della generale evoluzione artistica, tecnica, scientifica, economica e sociale. Fu questo movimento generale che permise la formazione di dinastie di orologiai e di centri dell'industria, tra cui alcuni emersero in modo speciale. In Italia furono Firenze, Venezia, Genova, Milano, Napoli e Roma; in Francia, Parigi, Blois, Grenoble e Lione; nei Paesi Bassi, Anversa, Bruges, Gand, Bruxelles, Amsterdam; in Gran Bretagna, Londra; in Germania, Augusta e Norimberga.
L'industria dell'orologeria. - Impiantata a Ginevra, dal 1550 circa e durante tutta la seconda metà del secolo XVI, da Francesi, Fiamminghi e Italiani rifugiativisi a causa delle persecuzioni religiose, l'industria dell'orologeria assunse nella Svizzera romanica uno sviluppo considerevole quale non si ebbe in nessun altro luogo. La fabbricazione degli orologi da tasca, industria essenzialmente della regione del Giura, migrò nel Vaud (Valle di Joux, Sainte-Croix), nella regione di Neuchâtel (La Chaux-de-Fonds, Le Locle, Fleurier, ecc.) e nell'antico vescovato di Basilea (l'attuale Giura Bernese: Neuveville, Saint-Imier, Bienne); infine, nel sec. XIX, nei cantoni di Soletta e di Basilea-Campagna, a Sciaffusa e nel Ticino.
Alla fine del sec. XVII l'industria degli orologi fu rivoluzionata dappertutto da due innovazioni famose: l'applicazione del pendolo agli orologi non tascabili e quella della spirale regolatrice agli orologi da tasca. La precisione assai maggiore che si raggiunse generalizzò l'uso degli orologi tra la borghesia, finché nel sec. XIX gli orologi fissi e portatili si democratizzarono del tutto. Le pendole di Parigi, quelle viennesi, quelle inglesi, ma soprattutto quelle di Neuchâtel godettero di grande rinomanza in tutti i paesi europei e anche assai più lontano. In Francia, segnatamente a Parigi e nel Giura Francese (Besançop, ecc.), in Gran Bretagna, a Londra, l'industria orologiera prese ugualmente uno slancio tecnico e artistico di prim'ordine. In Germania, gli orologi di Augusta e di Norimberga perdettero importanza; invece l'industria dell'orologio da appartamento nacque nel sec. XVIII nella Foresta Nera, dove nei secoli XIX e XX ha preso notevole sviluppo. Nel sec. XIX l'industria degli orologi fu trapiantata dall'Europa negli Stati Uniti e nel Giappone. Quella degli Stati Uniti, assai bene organizzata e dotata di ottimi impianti e d'ingenti capitali, si è vigorosamente affermata sì da contrastare alla Svizzera il primato ch'essa ha tenuto per tanti anni in questo campo.
In Italia l'industria dell'orologeria decadde nel periodo in cui altrove si sviluppava vigorosamente, e non rimasero a rappresentarla che poche fabbriche di buoni orologi da torre sparse un po' in tutte le regioni, ma soprattutto in Lombardia e Piemonte (Fontana a Milano, Frassoni a Rovato [Brescia], Miroglio a Torino, ecc.). Solo recentemente sono sorte a Milano l'industria degli orologi di controllo (E. Boselli), e quella, più importante, dei piccoli orologi da appartamento (Fratelli Borletti), le quali sostengono onorevolmente il confronto con le consimili industrie straniere.
Arte. - Gli orologi più antichi (quadranti solari o clessidre) non hanno molta importanza dal punto di vista artistico. Quando con l'invenzione della molla a spirale fu possibile la fabbricazione di orologi portatili e di orologi destinati a essere collocati su un mobile, gli artigiani provvedevano anche all'ornamentazione degli orologi che costituiva in realtà un lavoro di oreficeria. I tipi di orologi portatili sono prevalentemente di origine francese: di forma prima ovale od ottagona, poi rotonda, a quadrato o a losanga, furono per lo più di argento, di rame niellato o inciso, e talvolta anche di cristallo di rocca, poi di frequente ornati di smalti che ne ricoprivano interamente le facce, o che alternavano alla doratura del fondo lo splendore dei colori translucidi. Fra gli artisti francesi del'500 che diedero disegni per orologi si possono citare Étienne Delaune, Théodore de Bry e Pierre Woeiriot. La produzione degli orologi portatili si estese nella seconda metà del secolo anche alla Germania meridionale e poi in Inghilterra e in Svizzera con sempre maggiore varietà di forme, ma gli esemplari artisticamente più pregevoli sono di solito quelli francesi. Nel'600 con Abraham Heeck e Philippe Millot, sotto Luigi XIII con Claude Rivard, che introdusse figur mitologiche nelle ornamentazioni, e sotto Luigi XIV con Daniel Marot, Paul Decker, Vaquier, i Gribelin la decorazione si fa anche più ricca, con vere e proprie scene cesellate in oro, di soggetto biblico, evangelico o desunto dalle letterature classiche. Centri maggiori di produzione in Francia furono Blois, Loches, Parigi, Lione, Rouen, La Rochelle, Sedan, Strasburgo e Autun.
Di origine tedesca sono invece prevalentemente i tipi di orologi da tavolo cinquecenteschi: rettangolari o cilindrici, in bronzo dorato o in ottone, con disegni incisi (il quadrante è per lo più orizzontale e protetto da un coperchio traforato). Questi tipi si diffondono rapidamente anche nel resto d'Europa e diventano sempre più varî; col prevalere di forme architettoniche o fantastiche, spesso più ingegnose che gustose; con largo impiego di figure e rilievi, nello zoccolo, negli angoli a balaustri o a erme che continuano nel baldacchino con cavalli marini o con sirene fino a culminare nella statuetta che è alla sommità; le facce laterali e quella posteriore hanno una sovrabbondante decorazione incisa o a rilievo quasi sempre dorata: il materiale impiegato è il rame inciso, cesellato e dorato, e poi anche l'ebano con riporti metallici.. Centri principali di fabbricazione furono Augusta (Johann Paul Pflege, Caspar Langenbücher, Jer. Metsker, Wenzel Jammitzer e Nicolas Planckh), Norimberga (Paul Schuster), Monaco (Benedict Fürstenfelder) e Vienna. Col sec. XVII le forme si fanno anche più elaborate: gli orologi tedeschi recano anche figure a movimento automatico, mentre quelli francesi e quelli inglesi riflettono anche nel secolo successivo gli stili decorativi predominanti: più sontuosi i primi, specie nell'epoca di Luigi XIV (orologi da camino o su piedi stallo, di Boulle, Caffieri, Marot), più semplici i secondi, in ottone e in legno con montature di metallo dorato, con qualche ricercatezza di decorazione architettonica nel sec. XVIII. Lo stile Luigi XV segna il prevalere del tipo di orologi, per lo più a pendolo, con decorazioni di bronzo, che rimarrà predominante fino a tutto l'Impero; esemplari numerosi se ne hanno anche dei migliori artisti del'700 (Ch. Cressent, P. Gouthière, Le Pante, ecc.) in cui talvolta la ceramica, il marmo, l'ebano, la tartaruga, ecc., concorrono all'effetto decorativo. Statuette e gruppi in bronzo, talvolta assai complessi, sormontano o circondano in pittoresche composizioni l'orologio vero e proprio; anche quelli destinati ad essere appesi alle pareti hanno contorni assai mossi e recano inquadrature lussureggianti di motivi vegetali fantasticamente unite a figure allegoriche. Il sec. XIX, dopo il trionfo dello stile antico segnato dall'arte neoclassica, non ha dato origine ad alcun nuovo tipo che possa stare alla pari con quelli dei secoli precedenti. L'orologio, sia come mobile sia come oggetto tascabile, è divenuto sempre più esclusivamente uno strumento spoglio di qualsiasi aspetto artistico: solo l'arte decorativa contemporanea ha cercato di creare nuove forme, ispirate a quella razionalità di linee che ne costituisce la norma costante.
Collezioni di orologi esistono in molti musei d'Europa: notevoli specialmente per gli orologi tedeschi anche più antichi, quelle dei musei di Dresda e di Brunswick; per gli orologi del'600 e '700, specialmente francesi, sono importanti le serie della collezione Wallace a Londra e quelle del Louvre, dove è anche la collezione Paul Garnier, notevole soprattutto per gli orologi piccoli da appendere.
Orologi monumentali. - Fino dalla più remota antichità, allorché vennero creati orologi solari (v. meridiana), le architetture che li ospitarono ebbero un andamento tutto particolare, come orientamento o come sviluppo, derivante dalla loro funzione. Ma fu nel Medioevo, nel Rinascimento e quindi nell'età barocca che gli orologi meccanici divennero non solo l'elemento decorativo dominante, ma la ragione precipua di tanti edifici. Infatti, specie nel Medioevo e nel primo Rinascimento, quando l'arte dell'orologeria aveva cultori insigni, i quali vivevano circondati da un alone di fama misteriosa, avvenne che l'opera di questi maestri fosse come arricchita da tutta una serie di elementi decorativi e di figurazioni, che dovevano conferire un interesse sempre maggiore a quegli orologi che erano vanto e orgoglio di chiese, municipî e città.
Di tali antichi orologi molti sono ancora in opera, di altri è conservato solo il ricordo, altri sono stati modificati nel loro organismo meccanico, altri ancora sono stati semplificati o resi più complessi sia nel quadrante sia negli abbellimenti e in quelle figure automatiche che con le loro periodiche azioni sembrarono nei tempi lontani frutto di prodigio, e che ancora oggi, con gli strani gesti burattineschi, suscitano tanta curiosità.
L'idea tutta romanica e ulteriormente sviluppata nel periodo gotico, di animare le costruzioni per mezzo di statue che coi loro atteggiamenti dessero una vita più intensa alle membrature architettoniche, esaltandone il senso dinamico, ha difatti una strana applicazione in quegli edifici ove i meccanismi degli orologi mettono in moto periodicamente delle statue, o le fanno apparire e scomparire dando a tutta l'architettura un senso di effettiva misteriosa animazione destinata a suscitare meraviglia.
È logico che i più complessi orologi meccanici di questo genere apparissero in quelle regioni e in quel tempo in cui l'architettura gotica accentuò i suoi particolari aspetti, e quindi nel sec. XIV e specialmente nel XV e nel XVI in Germania, in Austria, in Francia, in Svizzera e nelle Fiandre. Ricordiamo fra tutti quello della cattedrale di Strasburgo, rifatto in più tempi, quello della cattedrale di Münster in Vestfalia, con un quadrante complicatissimo e figure automatiche, costruito nel 1550, quello famoso della chiesa della Vergine di Norimberga, quello a Ochsenfurt (1505) con fantocci che si affacciano a finestrelle sparse nel prospetto della costruzione, e infine quello bellissimo del municipio di Praga, opera del secolo XV e quello del Palazzo municipale di Monaco (fig. 20).
Anche l'Italia fin dal sec. XIV ebbe i suoi orologi automatici, ed ancora è in funzione quello della Torre "Maurizio" a Orvieto (fig. 21), presso la chiesa di Santa Maria, che risale al 1351. Esso è stato completamente rifatto nel quadrante, ma conserva la figura bronzea della sommità della torre, chiamata dal popolo "Maurizio", che con un martello batte le ore sulla campana maggiore e reca una scritta che dice:
Da te a me campana fuora pati
tu per gridare ed i per fare i fati.
Tra gli altri orologi trecenteschi si può anche ricordare quello della torre del Palazzo pubblico di Siena.
Ma è nel sec. XV che il diffondersi dei nuovi modi architettonici del Rinascimento richiede un senso compositivo più armonico nella distribuzione dello spazio assegnato ai grandi quadranti, elemento dominante nella decorazione di molti edifici. Così nella torre, detta appunto dell'Orologio, a Mantova, costruita nel 1413, nell'altra torre detta del Capitano a Padova, ritoccata nella sua decorazione architettonica anche più tardi dell'anno 1437, allorché Giorgio da Treviso compose il bel quadrante con rilievi dorati e pitture, e infine, tanto per citare l'esempio maggiore, nella torre detta anch'essa dell'Orologio a Venezia, opera di Pietro Lombardo (1496). È questa la più famosa tra le costruzioni italiane del genere. Raccordata a due ali del palazzetto architettato dallo stesso Pietro Lombardo, essa si divide in quattro ordini. Nel primo in basso si apre l'arcata che da Piazza S. Marco dà accesso alle Mercerie, nel secondo domina il grande quadrante ove oltre le ore sono segnate le fasi della luna, i pianeti, i segni dello Zodiaco; nel terzo ordine è una nicchia con la statua della Vergine con il Bambino e una piccola loggia sulla quale passa il corteo dei Re Magi allo scoccare delle ore: tale corteo, che esce da una porticina a sinistra della nicchia mediana, rientra per un'altra simile che è a destra. Nel quarto ordine il riquadro è abbellito dal simbolo marciano: il leone alato. In alto infine l'edificio è coronato dai due "mori" di bronzo che percuotono con lunghi martelli la campana. L'orologio, opera di Gian Paolo e Gian Carlo Ranieri, inaugurato nel 1499, ha subito qualche trasformazione non sostanziale nella distribuzione dei suoi elementi architettonici. Tale disposizione fu molto imitata nel Veneto e nelle regioni circostanti. Tra gli altri orologi cinquecenteschi italiani è da rammentare quello della "Torre dei matti delle ore" a Brescia, l'altro del "Torrazzo" della cattedrale di Cremona (fig. 22) e quello della Fraternità di Arezzo (1552).
Di altri orologi del genere sono rimasti il ricordo o elementi interessanti, come le statue lignee cinquecentesche degli orologi della Torre comunale di Macerata e di Reggio nell'Emilia.
Durante l'età barocca non vennero più usati in Italia complicati meccanismi d'orologeria con fantocci automatici, cortei di re, figurazioni allegoriche, ma i grandi quadranti inserentisi nei prospetti di chiese, palazzi, torri e campanili vennero sempre più intimamente collegati con l'organismo architettonico di cui facevano parte.
Così nei campanili borrominiani della chiesa di S. Agnese a Piazza Navona in Roma, nell'altro della chiesa di Superga, opera dello Juvara. Ma la più geniale forse di queste disposizioni è quella dei due orologi che ornano la facciata di S. Pietro a Roma. Su tanto gravame di travertini dorati, entro eleganti cornici appaiono i due quadranti azzurri a musaico, dando con la loro intensa nota cromatica un inatteso senso di leggerezza festosa al coronamento della grande basilica.
Tra i più famosi orologi ottocenteschi è da rammentare quello del Palazzo del parlamento di Londra, costruito nel 1854, tipico per il suo grande quadrante illuminato.
Le conquiste del secolo XIX e del XX nel campo della meccanica hanno permesso, specie in America, per gli orologi inseriti nelle architetture, sistemazioni originalissime e talora geniali.
V. tavv. XCI-XCVI.
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