DE BERNARDI, Oronzio
Nacque a Terlizzi (Bari), il 13 nov. 1735 da Giuseppe e Bisanzia De Chirico. Restano oscuri stato e composizione della famiglia, e in genere, circa la sua formazione e la successione Cronologica delle sue attività, sussistono ampi margini di incertezza. Risulta che effettuò gli studi elementari con il sacerdote C. Assalemme, che in quegli stessi anni fu anche maestro del Cotugno (poté forse nascere già allora l'amicizia tra i due attestata in anni successivi); all'età di quattordici anni il D. entrò nel noviziato agostiniano di Nardò, ove si trovava un suo fratello maggiore, frate col nome di Guglielmo di Sant'Onorato, che era un poeta e oratore sacro di qualche notorietà nell'ambito locale. Il fratello gli fu precettore negli studi secondari di filosofia e matematica; si può osservare che, se le precise modalità di questi studi non sono note, l'opera successiva del D. mostra tuttavia una discreta familiarità con la letteratura fisico-matematica europea del primo Settecento, ciò che può valere come sintomo del generale adeguamento della cultura meridionale di metà secolo anche nell'area ecclesiastica, dove sul vecchio tronco devozionale e scolastico s'innestarono apporti del nuovo sperimentalismo in una sintesi significativa, se non sempre ben risolta sul piano dottrinale.
A. questo proposito si può osservare che dal 1752 sarà vescovo di Giovinazzo e Terlizzi il frate celestino Giuseppe Orlandi, un valido matematico la cui figura poté influire sulla formazione del D. che, dopo gli studi a Nardò i cui esiti secondo le fonti furono brillanti, ancora secolare si trasferì a Napoli poco dopo il 1750, per seguire corsi universitari. Risulta che qui seguì anche le lezioni del Genovesi e dopo alcuni anni, al ritorno a Napoli dopo la parentesi romana, fu in grado di conseguire la laurea utriusque iuris; in questo periodo avrebbe anche svolto qualche attività didattica, e stretto contatto coi circoli colti napoletani. Assunto al sacerdozio, il D. si trasferì a Roma dove soggiornò più anni: mentre non v'è documentazione sulle sue attività in questi anni, è però noto che si associò a vari cenacoli culturali; partecipò così a quel complesso di iniziative che nel mondo culturale romano del periodo mirava alla difesa della tradizione cattolica contro l'offensiva illuministica, col recepire certi portati della scienza e della nuova critica. In questi circoli il D. tenne sia orazioni in difesa dell'ortodossia romana e del primato pontificio contro il protestantesimo e il gallicanismo, sia alcune analisi di autori come Arnobio e Origene; non v'è traccia, in questi anni, di sue specifiche mansioni pastorali, e un suo più organico inserimento nella gerarchia pare essersi determinato solo quando, attorno al 1765, decise di tornare a Terlizzi, compiendo un viaggio nel corso del quale, come detto, conseguì a Napoli la laurea. Nella località natale insegnò matematica, filosofia e diritto, finché nel 1768 il vescovo di Tropea, Felice de Paù, lo scelse come suo vicario: in tale ruolo, tra l'altro, il D. si troverà a difendere il suo vescovo da accuse di eccessivo rigore, forse nei confronti dei gruppi culturali innovativi che iniziavano a costituirsi in Calabria. Da allora egli terrà più volte analoghi uffici: tornato in Puglia fu consultore dell'arcivescovo di Trani, Gaetano Maria Capece, mentre in seguito, dopo aver rinunciato alla nomina a vicario capitolare a Bisceglie (e, pare, anche al vescovato), fu delegato e luogotenente della curia di Giovinazzo ed esaminatore sinodale; a queste incombenze associò un'assidua attività di oratore sacro, proseguendo anche studi e letture, tanto che la sua salute no fu intaccata. Dopo varie cure infruttuose, seguì il consiglio del Cotugno di praticare una regolare attività fisica estiva in forma di bagni di mare, allora inconsueti. A questa circostanza, apparentemente del tutto marginale, si connette invece il pur modesto ruolo scientifico che il D. svolgerà; divenuto cultore appassionato del nuoto, fu portato dalla sua competenza fisico-matematica ad interrogarsi sulla meccanica del galleggiamento e della traslazione in acqua, compiendo per diversi anni studi ed esperienze in regolari soggiorni estivi a Barletta.
Poté così stabilire conclusivamente che il peso specifico del corpo umano, e di molti organismi in genere, è inferiore a quello dell'acqua marina, traendone la conseguenza corretta che il galleggiamento -è un fatto fisico spontaneo, non il prodotto d'una azione di sostentamento consistente nel nuoto la cui funzione attiene solo ai mutamenti posizionali. Naturalmente il risultato non era nuovo, poiché era del tutto implicito nella nuova meccanica fin dal Seicento e la tesi corrispondente era stata sostenuta più volte, ma senza che venisse fornita una trattazione conclusiva, al punto che nella stessa comunità scientifica sopravviveva una varietà di opinioni.
Ciò spiega perché quando il D., in una conversazione a Napoli nel gennaio del 1790, espose le sue idee al primo ministro Acton, responsabile anche della Real Marina e uomo di mare per formazione, questi ne fu colpito e si adoperò per farle verificare. L'intero procedimento dei controlli, notevole per ampiezza e scrupolosità e costituente un caso non frequente d'intervento diretto dei governo borbonico in una ricerca dai risvolti applicativi, si trova descritto nell'opera in cui il D. espose le sue tesi, edita a Napoli nel 1794 a spese del re Ferdinando IV, che s'interessò alla questione e volle assistere ed anche partecipare ad alcune delle esperienze: L'uomo galleggiante o sia l'arte ragionata del nuoto.
Il libro, dedicato all'Acton, consta d'una prefazione e diciannove capitoli. Inteso come prima parte d'una trattazione in due volumi (di cui il secondo non fu pubblicato, e forse neppure scritto), traccia i fondamenti teorici del galleggiamento e dello spostamento nei liquidi, esamina il rapporto ponderale tra organismi e uguali volumi d'acqua, ridetermina il baricentro del corpo umano e studia le modalità della locomozione e del nuoto presso varie specie animali (temi, questi ultimi, già affrontati un secolo prima da G. A. Borelli nel suo De motu animalium, di cui per molti aspetti l'opera del D. è una consapevole ripresa). La seconda parte avrebbe invece dovuto specificare l'indagine in senso applicativo, determinando le modalità ottimali per il nuoto umano. Nell'opera non interessa la parte propriamente ideativa - di per sé non molto originale e sorretta da un apparato dimostrativo piuttosto semplice e a ridotta componente matematica - ma hanno un certo interesse storico i rilievi fatti dal D. sullo stato insoddisfacente della teoria del galleggiamento, con la connessa ampia analisi della letteratura sull'idraulica, come anche la cronistoria delle verifiche condotte per ordine di Acton (cap. V), provvista d'un simpatico tono aneddotico. Il ministro aveva affidato le verifiche al maggior generale della marina borbonica Bartolomeo Forteguerri, che effettuò centinaia di prove in mare con persone di diversa conformazione, in condizioni differenziate; a queste prove, e ad altre affidate ai professori dell'accademia militare della Nunziatella, partecipò spesso lo stesso D., nonostante l'età ormai avanzata; l'esito favorevole delle prove fu comunicato all'Acton dal Forteguerri e dai professori della Nunziatella con due distinte dichiarazioni del settembre-ottobre 1792, in seguito alle quali il D. fu invitato a mettere per iscritto le sue tesi.
L'uomo galleggiante ebbe circolazione ed apprezzamento europei, procurando all'autore l'aggregazione ad accademie come quelle di Pietroburgo, Edimburgo, Gottinga, Parigi, e ai Georgofili di Firenze; le fonti accennano anche ad un invito del governo spagnolo a recarsi in Spagna per sviluppare praticamente certe sue intuizioni - che però il D. non raccolse - mentre accettò un vitalizio assegnatogli da Ferdinando IV in riconoscimento dei suoi servigi. Dopo la pubblicazione del suo libro tornò a Terlizzi, pare senza più rivestire incarichi di qualche rilievo, e vi morì di apoplessia il 29 novembre 1806.
Bibl.: G. Guastamacchia, Biografia. O. D., in Poliorama pittoresco, III (1838-39), 1, pp. 59 s.; C. Minieri Riccio, Memorie storiche, Napoli 1844, p. 56; D. Giusti, Diz. No-bibliografico degli scrittori pugliesi, Napoli 1893, p. 68; C. Villani, Scrittori ed artisti pugliesi, Trani 1904, pp. 129 s.