PUGLIESE, Oronzo
PUGLIESE, Oronzo. – Nacque a Turi, in provincia di Bari, il 4 aprile 1910, da Matteo (1870-1954), agricoltore, e da Francesca Lepore (1870-1960). Fu l’ultimo di sette figli: prima di lui la madre aveva avuto Giulia, Giovanni e Angelo dal primo marito, Angelo Pugliese, e poi Tommaso, Antonio e Vito dal secondo marito, Matteo (fratello di Angelo), sposato dopo essere rimasta vedova.
Frequentò la scuola fino alla quinta elementare. La grande passione per il calcio gli fece presto capire di non essere tagliato per l’agricoltura e lo spinse a ribellarsi alle intenzioni dei genitori, che avrebbero voluto si dedicasse, come i fratelli, all’azienda del padre, proprietario di un vigneto e di un mandorleto. Fece per un paio d’anni l’apprendista ebanista, dedicandosi al calcio in ogni momento libero dal lavoro nel laboratorio artigiano. La prima squadra fu il Turi. Il primo contratto – 15 lire a partita, più premi in natura – che ottenne dalla squadra di Acquaviva delle Fonti (Bari), quando aveva sedici anni, convinse i genitori a tollerare la tenacia con la quale inseguiva il sogno di sfondare nel mondo del calcio. Iniziò la carriera come ala, ma poi fu trasformato in terzino: le sue doti principali erano la velocità e la grinta. Passò poi al Casamassima (Bari) e a diciannove anni si arruolò volontario nell’Aeronautica. Durante una licenza sostenne un provino con il Bari, allora in serie B. L’ingaggio sfumò e il grande sogno svanì perché la richiesta economica di Pugliese fu giudicata esosa. Varie altre volte, negli anni successivi, fece provini con il Bari, ma non riuscì mai a ottenere un ingaggio.
Dopo il congedo, tornò a giocare a Casamassima e girò poi in varie squadre dilettantistiche: a Gioia del Colle, Molfetta, Frosinone, Montevarchi, Potenza, Popoli.
Nel 1938 passò al Siracusa, in serie C. L’anno successivo conobbe Adelina Scimò, che sposò l’11 dicembre 1940 e che diventò la donna della sua vita. Da lei ebbe due figli: Francesca (nata nel 1942) e Matteo (nato nel 1948).
In Sicilia fece le prime esperienze da allenatore, iniziando una carriera che lo portò poi alla serie A e ai tanti successi che gli valsero l’intramontabile soprannome di mago di Turi. A Lentini (Siracusa), nella società sportiva Leonzio, il primo incarico da tecnico: il presidente, coltivatore di arance, lo pagava con cassette di agrumi. Nei primi tempi Pugliese fece l’allenatore continuando a giocare nel Siracusa.
Durante la seconda guerra mondiale tornò a Turi e per un breve periodo fu anche impiegato all’anagrafe del Comune. Tornò a Lentini nel 1944 e l’anno successivo si trasferì a Messina, in serie C, dove restò due stagioni come giocatore-allenatore (l’ultimo in cui giocò fu il torneo 1946-47). Quindi due stagioni a Barcellona Pozzo di Gotto (Messina) all’Igea Virtus.
Nella stagione 1949-50 il primo successo, alla guida del Messina: vinse il campionato di serie C dopo uno spareggio con il Cosenza. Nel campionato successivo, il suo primo di serie B, fu esonerato dopo otto giornate.
Allenò poi una stagione a Benevento in serie C e tre a Caltanissetta in D. Nel 1956 vinse il campionato di serie D con la Reggina, dopo uno spareggio con il Pescara, e si fermò in Calabria per altri due anni.
Venne poi chiamato a Siena (1958-59), dove perse lo spareggio per la promozione in B contro l’Ozo Mantova. La stagione successiva tornò a Siracusa e poi venne richiamato al Siena, sempre in serie C.
All’inizio del campionato 1961-62 gli fu affidato il Foggia, appena retrocesso dalla serie B: fu l’inizio del ciclo d’oro dei ‘satanelli’ e dell’affermazione di Pugliese come allenatore e come personaggio di primo piano del calcio a livello nazionale. Conquistò subito la promozione, quindi un quinto posto in B e, alla fine del torneo 1963-64, la ‘storica’ promozione in serie A. Grazie all’ottimo campionato disputato dal suo Foggia, Pugliese ottenne il premio Seminatore d’oro della FIGC (Federazione Italiana Giuoco Calcio) e guadagnò ‘sul campo’, dai tifosi, il ‘titolo’ di ‘don’ Oronzo.
Alla sua prima stagione di serie A centrò una vittoria che fece scalpore e che restò per sempre tra i suoi ricordi più cari. Il 31 gennaio 1965 il Foggia sconfisse l’Inter guidata da Helenio Herrera per 3-2 (gol di Lazzotti, Nocera, Peirò, Suarez e Nocera): vittoria ‘storica’ perché in quella stagione l’Inter risultò quasi imbattibile e conquistò lo scudetto, la Coppa dei campioni e la Coppa intercontinentale.
‘Storica’ anche perché segnò l’inizio di una rivalità tra Pugliese e Herrera che durò per anni, accrescendo enormemente la popolarità dei due allenatori e facendo la fortuna dei giornali dell’epoca. «La bravura di Herrera? I milioni di Moratti», ripeteva spesso Pugliese. Al di là della rivalità, tra i due c’erano rispetto e stima. «Un personaggio dalla carica umana eccezionale – disse Herrera di Pugliese –. Sembrava brusco, rude, urlava, però era giusto. In fondo voleva soltanto arrivare» (Il ‘nemico’ Herrera: «Eccezionale la sua carica umana», La Gazzetta dello sport, 13 marzo 1990, p. 9).
Per altre due volte, negli anni successivi, Pugliese sconfisse Herrera: nella stagione 1965-66 (Roma-Inter 2-0, gol di Benitez e Barison) e nel 1969-70 (Bari-Roma 1-0, gol di Canè su rigore). Alla fine del campionato 1964-65 il Foggia conquistò il nono posto e due suoi giocatori – Micelli e Nocera – furono convocati in nazionale.
Pugliese lasciò il Foggia per andare ad allenare la Roma. In tre stagioni ottenne un ottavo e due decimi posti. Ricevette dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat il titolo di commendatore della Repubblica per meriti sportivi, del quale andò sempre molto fiero.
Dopo tre stagioni fu esonerato e sostituito – ironia della sorte – proprio con Herrera. Declinò una proposta del Panathinaikos e fu poi chiamato, alla fine del girone di andata del torneo 1968-69, al Bologna. Poi Bari, Fiorentina, di nuovo Bologna nella stagione 1971-72. Fu il suo ultimo campionato di serie A. Restò poi fermo per un anno, quindi allenò ancora in serie minori: Lucchese (C), Avellino (B), Termoli (D), Crotone (C). Proprio a Crotone finì la sua carriera. Rifiutò la proposta di allenare la nazionale del Canada e chiuse con il calcio alla fine della stagione 1978-79.
Per tutta la carriera Pugliese fu molto amato dal pubblico, per la passione che metteva nel lavoro. Diventò presto un personaggio mediatico, grazie al suo modo di vivere con grande intensità le partite: per esempio, correndo ripetutamente avanti e indietro lungo la linea che delimita il campo di gioco e urlando in continuazione ai propri giocatori (che per lui erano «i picciotti»), il più delle volte in dialetto pugliese, per dare istruzioni e per stimolarli a dare il meglio di sé. «Pigghia ’sta palla sinnò t’accide!» («Prendi questa palla, sennò ti uccido!») era una tra le sue numerosissime frasi celebri.
Una volta, quando era a Roma, durante una gara con la Juventus all’Olimpico, ebbe un malore e svenne in panchina quando Del Sol realizzò un gol (poi annullato) che avrebbe dato la vittoria ai bianconeri.
Una delle sue grandi doti fu sapere galvanizzare l’ambiente e motivare la squadra al punto da ottenerne il massimo («Undici sono loro, undici siamo noi», ripeteva sempre). Amava essere sotto la luce dei riflettori e davanti alle telecamere ed era sempre tra i più ricercati dai giornalisti.
Tra i primi a raccontare la vita e la carriera del ‘mago di Turi’ fu il figlio Matteo, che prima di diventare imprenditore si dedicò al giornalismo: il Corriere dello sport, negli anni Sessanta, gli affidò la singolare rubrica Pugliese secondo Matteo. La vita di don Oronzo scritta dal figlio.
«Era un personaggio eccezionale nel suo modo di comportarsi, con la sua capacità di coinvolgere e motivare i giocatori», sintetizzò Giacomo Losi, capitano della Roma negli anni della gestione Pugliese (G. Cataleta, Oronzo Pugliese. Quando nel calcio esistevano i maghi, Foggia 2010).
Furono celebri la sua scaramanzia (prima delle partite importanti spargeva sale ai bordi del campo), la maniacalità con la quale controllava i giocatori, soprattutto gli scapoli, con blitz nei locali e appostamenti davanti ad appartamenti e alberghi, e la sua proverbiale parsimonia.
Il Comune di Turi dedicò a Pugliese la strada che conduce al campo di calcio del paese e istituì il premio nazionale per lo sport Oronzo Pugliese: le prime tre edizioni furono assegnate a Cesare Prandelli (2008), Carlo Ancelotti (2009) e Fabio Capello (2011).
Alla figura di Pugliese si ispirarono i creatori del personaggio Oronzo Canà, interpretato da Lino Banfi per i film L’allenatore nel pallone (1984) e L’allenatore nel pallone 2 (2008), entrambi diretti da Sergio Martino.
Morì a Turi l’11 marzo 1990, dopo diversi anni vissuti su una sedia a rotelle, in seguito a un ictus che lo aveva colpito nel 1983. È sepolto nella cappella di famiglia nel cimitero di Turi.
Fonti e Bibl.: G. Brera, O. P., in Id. Incontri e invettive, Milano 1974; I. Cucci, Un nemico al giorno. Storia di un giornalista, Arezzo 2003; G. Cataleta, O. P.: quando nel calcio esistevano i maghi, Foggia 2010.