orrore
È lo sbigottimento, misto di terrore e di violenta commozione, suscitato nell'animo del poeta dall'apparizione di Amore: Vn III 11 8 m'apparve Amor subitamente / cui essenza membrar mi dà orrore.
Compare nella tradizione come diffusa variante, già dicussa dai commentatori più antichi, di error, in If III 31 E io ch'avea d'error la testa cinta, che è la lezione preferita, tra gli altri, dalla Crusca, dalla '37, dalla '21 e dal Petrocchi.
Anche perché favorita da numerose reminiscenze virgiliane (Aen. II 559 " At me tum primum saevus circumstetit horror "; III 29-30, IV 280, ecc.) e bibliche (II Machab. 3, 17; Dan. 7, 15) adducibili a riscontro, la variante orrore è stata adottata da Casini-Barbi, Sapegno, Chimenz, Mattalia, ecc., che le attribuiscono il significato di " forte sgomento "; il Porena, invece, la riallaccia al valore etimologico del latino horror e interpreta: " Io, cui si drizzavano i capelli sulla testa ". Per tutta la questione, si veda Petrocchi, Introduzione 168 e ad locum.