GIUSTINIAN, Orsatto
Nacque a Venezia dal nobile Michiel di Giacomo di Polo, del ramo detto da Negroponte, e dalla cittadina Elena Mazza di Gaspare il 27 sett. 1538.
Il G. venne registrato nel Libro d'oro delle nascite dei patrizi veneziani solo il 22 luglio 1543: risultando il padre Michiel deceduto già il 27 luglio 1540, fu la madre a esercitare l'ufficio di dichiarante. Il 4 dic. 1558, a seguito dell'estrazione della balla d'oro, poté usufruire del diritto di accedere al Maggior Consiglio anticipatamente rispetto al raggiungimento della maggiore età (25 anni), garantendosi un avvio precoce della propria attività di nobile al servizio dello Stato. Dopo una serie di candidature non coronate da successo (sette, nel periodo compreso fra il 12 nov. 1559 e il 24 giugno 1561, come segnalano le raccolte di Consegi), ebbe finalmente inizio la vita pubblica del G., caratterizzata da un impegno continuo e da una rispettabile molteplicità di cariche.
Fu, infatti, advocatus ad Consilia (10 luglio 1561 - 9 luglio 1562 e 22 marzo 1563 - 21 marzo 1564), ufficiale alla Messettaria (senseria; 10 apr. 1565 - 9 ag. 1566), savio dei Cinque alla pace (2 maggio 1569 - 4 sett. 1570), entrò in Quarantia civil vecchia (1° genn. 1570), fu provveditore agli Orzi nuovi (24 sett. 1571 - 30 nov. 1572) e membro del Collegio di venti savi (dal 31 ag. 1573). Quest'ultimo incarico non venne portato a termine per via dell'elezione in Quarantia civil nuova il 18 apr. 1574: per i 24 mesi successivi è lecito immaginare la permanenza del G. nei tre Consigli in cui si articolava l'organo dei Quaranta (Quarantia civil nuova, civil vecchia, criminale), per i quali la Lex pisana stabiliva la rotazione con tre "mude" di otto mesi per ciascuno. Nel dicembre 1578 divenne esecutore alle Acque e in tale veste, circa a metà del mandato, di durata biennale, si trovò nel settembre 1579 a sovrintendere alla misurazione della larghezza della laguna all'altezza dei ponti di Brendolo, Chioggia e Malamocco e a farne dettagliata relazione ai savi alle Acque. Fu in seguito provveditore a Salò e capitano della Riviera di Bressana (18 marzo 1587 - 27 giugno 1588), membro dei Dieci savi sopra le decime in Rialto (29 sett. 1591 - 28 sett. 1592), giudice della Corte di petizione (22 sett. 1599 - 21 genn. 1600). Il 13 apr. 1600 venne nominato esecutore delle deliberazioni del Collegio dei dieci delegati dal Senato sopra le acque del Chiampo, e riconfermato in servizio il 24 maggio 1602 con un'estensione delle competenze, oltre al torrente Chiampo, anche alle acque del Guà e ad altre.
Il 28 nov. 1559 sposò, nella chiesa di S. Sofia, Candiana Garzoni, il padre della quale, Balduino, a quella data defunto, era stato cancelliere grande di Candia. Del 23 ottobre era il contratto di nozze, con cui il G. stringeva accordi precisi con i tre fratelli della futura sposa, Alvise, Agostino e Bernardino, stabilendo una dote che avrebbe dovuto ammontare a 5000 ducati. Tuttavia, ancora nel 1577 la cifra non era stata interamente corrisposta, costringendo il G. a "far lite più volte e aver molti travalghi" con i cognati (Arch. di Stato di Venezia, Sez. notarile, Testamenti, 47, bb. 193-197, testamento di Candiana Garzoni del 2 luglio 1577). In contrada S. Sofia, nelle case e in compagnia di uno di questi, Alvise, egli comunque abitava nel 1566.
La "condizione" presentata in quell'anno per la redecima denuncia una situazione economica decisamente non florida: dichiarando una rendita annua di appena 24 ducati, riscossi a titolo di affitto per una casa in contrada S. Andrea a Portogruaro, e di 21 staia di frumento derivanti da alcuni possedimenti terrieri, il G. poteva senza esagerazioni concludere: "questo è tutto quel poco che mi ritrovo al presente" (Ibid., Dieci savi sopra le decime in Rialto, Redecime, 1566, b. 134). Il confronto con la "condizione" della redecima del 1582 testimonia, oltre il trasferimento in un'altra abitazione, in contrada S. Marina, un miglioramento della propria posizione patrimoniale, che comunque restava di non particolare rilievo: in poco meno di un ventennio gli introiti erano cresciuti fino a raggiungere i 200 ducati e le 46 staia di frumento annui, grazie a una più consistente proprietà immobiliare (tra cui: nella Patria del Friuli i campi di Torresella e Pradipozzo, le case nella contrada S. Agnese a Portogruaro, a Cinto e a Concordia; nella Marca trevigiana, la villa dei Pradazzi e quella della contrada del Confalone entrambe presso Asolo).
Gli esordi poetici del G. risalgono al 1561, anno di pubblicazione delle Rime di diversi nobilissimi et eccellentissimi autori in morte della signora Irene delle signore di Spilimbergo (Venezia, D. e G.B. Guerra), cui egli partecipò con tre sonetti. Più rilevante l'impegno letterario immediatamente successivo: 23 sonetti apparsi nel secondo volume della raccolta De le rime di diversi nobili poeti toscani (ibid., L. Avanzi, 1565) curata dal poligrafo Dionigi Atanagi. Da allora, per un lungo arco di tempo, si registrano solo sporadiche apparizioni, con appena un sonetto per ciascuna occasione, nel Tempio della divina signora donna Geronima Colonna d'Aragona allestito da Ottavio Sammarco (Padova, L. Pasquati, 1568), nelle Rime di mons. Girolamo Fenaruolo (Venezia, G. Angelieri, 1574), nelle Rime di diversi eccellentissimi auttori nella morte dell'illustre sign. Estor Martinengo (s.n.t. [1575?]) a cura di Veronica Franco. A queste rade prove poetiche si aggiunsero, sul finire del secolo, i sonetti prefatori apposti rispettivamente alla Vita del serafico e glorioso s. Francesco di Lucrezia Marinelli (Marinella; Venezia, P.M. Bertano e fratelli, 1597) e al Delle miserie umane. Cento stanze morali del medico Orazio Guarguante da Soncino (ibid. 1600).
Frammista all'attività propriamente lirica fu quella di traduttore: è suo, infatti, il volgarizzamento in endecasillabi sciolti e settenari dell'Edipo tiranno di Sofocle (ibid., F. Ziletti, 1585), prescelto dagli accademici olimpici per lo spettacolo inaugurale del teatro Olimpico di Vicenza il 3 marzo 1585, protagonista Luigi Groto nei panni di Edipo, corego Angelo Ingegneri, autore delle musiche per i cori Andrea Gabrieli. Per avere fornito la sua traduzione, il G. fu accolto nell'Accademia, con l'unanimità dei voti, il 28 maggio 1584.
Nel 1600, a coronamento di una lunga militanza poetica, benché fino ad allora parsimoniosamente offerta alle stampe, il G. pubblicò a Venezia le proprie Rime in un unico volume insieme con quelle dell'amico di un'intera esistenza e collega letterato, Celio Magno (Rime di C. Magno et di O. Giustiniano).
Somma dei poetici bilanci di due autori che, "di animo, di studi e conversazione congiuntissimi in vita" (così il Magno nell'affettuosa dedica al G. del suo Deus, c. 2v), vollero compiere insieme il passo della pubblicazione principale e conclusiva della loro carriera, consegnandosi uniti alla posterità, le Rime nascono come un organismo bipartito e unitario al tempo stesso, frutto di un appaiamento volontario, coscientemente progettato e attuato. Il libro comprende due sezioni: le rime del Magno (seguite da una piccola appendice di componimenti del fratello Alessandro) e le rime del G., entrambe dotate di numerazione e segnature autonome. Il canzoniere del G. ammonta a 143 sonetti, 10 madrigali, una canzone, un capitolo ternario, oltre a 23 sonetti di proposta o risposta di autori diversi e a un'ode latina di Ottavio Menini, con relativa traduzione del Giustinian.
Il canzoniere è in linea con il filone minoritario di frazionamento della compagine poetica in settori giustapposti, già sperimentato da G. Muzio (Egloghe, Venezia 1550; Rime, ibid. 1551), da L. Paterno (Nuovo Petrarca, Venezia 1560; Nuove fiamme, ibid. 1561), da G. Goselini (Rime, Venezia 1581), da T. Tasso (Rime. Parte prima [seconda], Brescia 1592-93) e destinato ai più vistosi esiti secenteschi di G. Marino (Rime, Venezia 1602) e di T. Stigliani (Rime, Venezia 1605); la parte giustinianea si caratterizza per una diffrazione in sei aree secondo un criterio tematico: rime amorose (seguite da una sorta di breve corollario madrigalistico), coniugali, funebri, varie, spirituali e di corrispondenza. Questa partizione, tuttavia, non si manifesta con il ricorso a un paratesto dichiaratorio (la sezione corresponsiva è l'unica a essere dotata di un titolo specificativo: "Proposte e risposte dell'auttore a diversi e di diversi all'auttore"), bensì mediante l'espediente tipografico della lettera ornata a inizio di ogni gruppo di liriche e del carattere maiuscolo per il resto della parola incipitaria, cui è demandato il compito di distinguere nel continuum del libro la sua articolazione interna.
Le rime d'amore presentano un forte sviluppo narrativo, con più fuochi sentimentali: vi si cantano due donne, ricorrendo anche a situazioni innovative rispetto al repertorio tradizionale. Sulla dominante presenza del sonetto si innestano, isolate, la canzone XXXV e il capitolo L, che svolgono un ruolo di cerniera tra differenti e contrarie fasi del rapporto sentimentale. Le rime dedicate al matrimonio con Candiana (14 sonetti aperti da una protasi che colloca in un passato di errore e fallacia la precedente esperienza amorosa e delinea un nuovo corso sotto il segno del "sacro imeneo") rappresentano l'aspetto della produzione giustinianea che ha goduto del maggiore interesse della critica, anzi spesso assunto a pars pro toto. Il G. viene infatti per lo più ricordato come poeta coniugale (Flamini, Pilot, Rizzi, Croce, Elwert). Con toni di spiccata intimità, il poeta evoca avvenimenti della propria biografia: dal giorno delle nozze al trentacinquesimo anniversario, passando attraverso un periodo di lontananza, la gioia del ritorno agli affetti più cari (la "dolce madre" e la "diletta sposa"), la perdita della madre e il conforto offerto dalla moglie, la sterilità del coniugio. Il dolore per la scomparsa della madre Elena Mazza, morta di peste il giorno di s. Martino del 1576, è cantato nei primi quattro sonetti della sezione funebre e ancora in svariati componimenti di corrispondenza.
Il G. fu in relazione di amicizia con molti letterati del tempo, i cui nomi risultano tra quelli dei corrispondenti in versi o tra i dedicatari delle sue rime: Domenico e Marco Venier, Ottavio Menini, Giorgio Gradenigo, Annibale Ricci, Diomede Borghesi, Giovanni Mario Verdezzotti, Giovanni Contarini, Andrea Gussoni, Valerio Marcellini, Olimpia Malipiero, Giacomo Barbaro, Marcantonio Martinengo, Giacomo Contarini, Lucia Colao, Maddalena Campiglia, Cristoforo Ferrari, Giambattista Marino, Tomaso Stigliani.
La morte colse il G. per "febre" il 14 sett. 1603 a Montebello Vicentino probabilmente nel corso dell'ultimo incarico pubblico. Il suo corpo, riportato a Venezia, ricevette sepoltura presso la chiesa di s. Francesco della Vigna.
Tramandano le fattezze del G. una medaglia bronzea, di artista anonimo (Brescia, Museo civico), nonché un bel busto marmoreo realizzato da Alessandro Vittoria (Padova, Museo civico) e celebrato in alcuni sonetti della sezione corresponsiva delle Rime.
Privo di prole legittima, nel sonetto XCIII, Poi che di noi lasciar contende il fato, il G. allude a un "figlio putativo" invocato a "ristorar il danno" della mancanza di prole propria, definendolo "del suo lignaggio istesso nato", "per sangue […] congiunto" e infine da ornare "del suo nome in altri chiaro". Solo l'ultimo testamento di Candiana svela l'identità di colui che proprio come un figlio fu allevato e amato: era questi Orsattino Giustinian, nato il 2 maggio 1587 da Zaccaria, cugino germano del G., e Chiara Zane, che le ultime volontà di Candiana elevarono a erede fedecommissario dei beni familiari in assoluta obbedienza ai desideri del defunto consorte, al quale ella sopravvisse di otto anni (morì infatti il 9 luglio 1611).
Edizioni critiche: Edipo tiranno, a cura di F. Fiorese, Vicenza 1984; Rime, a cura di R. Mercatanti, Firenze 1998.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Venezia, Avogaria di Comun, Contratti di nozze, reg. 152/13, cc. 24r-25r; Ibid., Nascite, Libri d'oro, regg. 52/II, cc. 165v, 168r; V, c. 130v; Ibid., Necrologi di nobili, b. 159, reg. 1, cc. n.n. (per la data di morte del padre Michiel); Ibid., Provveditori alla Sanità, Necrologi, reg. 830, c. 109r; Dieci savi alle decime in Rialto, redecima, 1566, b. 134, condizione di decima 1073; redecima, 1582, b. 159, condizione di decima 120; Segretario alle voci, Accettazione di cariche elette in Maggior Consiglio, reg. 3 (1595-1604), c. 68v; Ibid., Elezioni in Maggior Consiglio, regg. 3 (1553-62), cc. 207v-208r; 4 (1562-70), cc. 63v-64r, 66v-67r, 78v-79r; 5 (1570-77), cc. 110v-111r, 159v-160r; 7 (1587-95), cc. 36v-37r, 198v-199r; 8 (1595-1602), cc. 64v-65r; Ibid., Elezioni in Senato, regg. 6 (1588-1600), c. 129r; 7 (1600-06), c. 128r; Ibid., Libri delle proposte del Maggior Consiglio, regg. 2 (1565-86), cc. 146r, 192v; 3 bis, c. 25r; Ibid., Grazie della Barbarella, reg. 9 (1534-66), c. 50r; Ibid., Universi o misti, reg. 12 ex 15 (1550-73), c. 58r; Notarile, Testamenti, Notaio Marcantonio Cavagnis, bb. 193-197, cedola testamento 47 (testatrice Candiana Garzoni; testamento non pubblicato del 2 luglio 1577); Notaio Giulio Ziliol, b. 1242, cedola testamento 136 (testatrice Candiana Garzoni); Misc. codd., I, Storia ven., 23: M. Barbaro - A.M.Tasca, Arbori de' patrizi veneti, p. 474; Venezia, Biblioteca del Civico Museo Correr, Cod. Cicogna, 3526: F. Gasperi, Catalogo della biblioteca veneta, p. 177; Ibid., Biblioteca nazionale Marciana, Mss. it., cl. IV, 347 (= 5116): Miscellanea di scritture varie in materia di acque, cc. 150v-151r; 16 (= 8305): G.A. Cappellari Vivaro, Campidoglio veneto, cc. 141r, 165r; 314 (= 8810): A. Zeno, Alberi genealogici di famiglie patrizie veneziane, II, c. 27r; 353 (= 7931): Necrologio di nobili veneziani dal 1530 al 1613, cc. 258v, 260v; 928 (= 8597): M. Barbaro, Genealogie delle famiglie patrizie venete, c. 273r. Vedi anche Ibid., Raccolte di Consegi, Mss. it., cl. VII, 825 (= 8904) (1556-60), cc. 210r, 289r, 324r, 330r; 826 (= 8905) (1561-65), cc. 13r, 15r, 16r, 21r, 23r; 827 (= 8906) (1566-70), c. 345r; 828 (= 8907) (1571-75), c. 209r; 829 (= 8908) (1576-80), c. 198r; 830 (= 8909) (1581-87), c. 44r; Vicenza, Biblioteca civica, Arch. stor. dell'Accademia Olimpica, b. 1, f. 5, libro E, cc. 25v-26r.
C. Magno, Deus, Venezia 1597, c. 2v; E.A. Cicogna, Delle inscrizioni veneziane, II, Venezia 1827, pp. 20-23; IV, ibid. 1834, p. 635; VI, 2, ibid. 1853, p. 803; G. Soranzo, Bibliografia veneziana in aggiunta e continuazione al "Saggio" di E.A. Cicogna, Venezia 1885, p. 417; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano s.d., p. 445; A. Pilot, Un altro poeta coniugale del '500, Roma 1906; V. Zippel, Un busto ignoto del Vittoria, in L'Arte, XXIX (1926), pp. 73 s.; F. Rizzi, L'anima del Cinquecento e la lirica volgare, Milano 1928, pp. 214 s.; B. Croce, Poeti e scrittori del pieno e tardo Rinascimento, III, Bari 1952, pp. 303-306; W. Th. Elwert, Studi di letteratura veneziana, Venezia-Roma 1958, p. 151; L. Schrade, La représentation d'Edipo tiranno au Teatro Olimpico (Vicence 1585), Paris 1960; D. Ponchiroli, Lirici del Cinquecento, Torino 1968, p. 179; E. Taddeo, Il manierismo letterario e i lirici veneziani del tardo Cinquecento, Roma 1974, p. 165; F. Erspamer, Petrarchismo e manierismo nella lirica del secondo Cinquecento, in Storia della cultura veneta, 4, 1, Vicenza 1983, pp. 218 s.; L. Baldacci, Lirici del Cinquecento, Milano 1984, p. 158; T. Martin, Alessandro Vittoria and the portrait bust in Renaissance Venice, Oxford 1998, pp. 106 s., tav. 87; S. Mazzoni, Lo spettacolo inaugurale, in Id., L'Olimpico di Vicenza: un teatro e la sua "perpetua memoria", Firenze 1998, pp. 87-207; S. Mammana, Ipotesi di due madrigali cinquecenteschi, in Studi italiani, XII (2000), pp. 127-132.