ORSI, Lelio, detto di Maestri, de Magistris
ORSI (Orso, Urso), Lelio, detto di Maestri, de Magistris (Lelio da Novellara). – Non si conosce l'esatta data di nascita di questo pittore e architetto del XVI sec., originario probabilmente di Novellara (Reggio Emilia).
La contea era retta da un ramo dei Gonzaga, presso i quali il padre Bartolomeo (documentato dal 1500-37), discendente da una famiglia attestata dal XV secolo a Tizzano Valparma, prestò servizio con vari incarichi. La nascita di Lelio è tradizionalmente fissata al 1511 per deduzione dall’epigrafe funeraria, oggi nella chiesa di S. Stefano, che lo dichiara morto nel 1587 a 76 anni; un’anticipazione della data al 1508 circa è stata proposta in considerazione del fatto che nel 1528 Orsi figura come testimone in due rogiti, ruolo per il quale era richiesta di solito un’età tra i 20 e i 25 anni (M. Pirondini, in L. O., 1987, p. 21).
Non citato nelle Vite di Giorgio Vasari, Orsi fa la sua apparizione nella storiografia artistica con Malvasia (1678) che ne lamenta la sfortuna critica; la memoria della sua attività, oscurata anche dalla distruzione del patrimonio novellarese, è affidata al recupero da parte dell’erudizione settecentesca, con Tiraboschi (1786), quindi con lo storico della contea di Novellara, il canonico Davolio (1833). Un apprezzamento precoce si registra nell’ambiente dei collezionisti e dei conoscitori di disegni, con il padre Sebastiano Resta, autore anche di un archetipo di perizia commerciale (1679) preservata sul rovescio dell’Annunciazione del Museo Gonzaga di Novellara. Si delinea in queste testimonianze la fisionomia di un pittore legato a Correggio e in seguito influenzato da Michelangelo. Il recupero dell’artista, appartenente alla generazione di Vasari e Francesco Salviati, si compie con la rivalutazione storiografica del manierismo e con la definizione del folto corpus grafico che costituisce l’aspetto più significativo della sua attività, a fronte delle poche prove pittoriche superstiti e di un impegno come architetto poco indagato. Benché numerosi, i documenti che lo riguardano (E. Monducci, in L. O., 1987, pp. 263-303, al quale si rimanda per la documentazione citata nel testo, ove non diversamente precisato) non si riferiscono quasi mai a opere sopravvissute e tra queste solo due dispongono di appigli certi, il 1544-45 per gli studi degli affreschi della Torre dell’orologio di Reggio Emilia e il 1569 per lo studio della Beata Vergine della Ghiara.
Risale al 14 maggio 1532 la prima notizia che lo vede attivo al servizio del conte Giulio Cesare Gonzaga, cui fornì i disegni per le finestre della rocca di Novellara. Nel 1535 risulta già sposato con Giulia Lanzi e trasferito a Reggio Emilia, dove il 7 luglio 1536 fu battezzata la secondogenita Camilla, cui seguirono Orazio Bartolomeo nel 1539 e Elisabetta Isabella nel 1545. Quest' ultima ebbe per padrino l’umanista Sebastiano Corradi, titolare dal 1540 di una cattedra pubblica nella città. Il primogenito Fabrizio, documentato come pittore dal 1554, nacque nel 1534 circa.
Nel 1536 Orsi partecipò alla decorazione di un arco effimero per l’ingresso di Ercole II d’Este nella città recuperata al dominio estense. In questo periodo risiedeva in una casa nella vicinia di S. Pietro (1538) che permutò nel 1539 con un edificio più ampio. L’opera più antica attribuitagli è il fregio ad affresco monocromo su fondo blu con satiri, putti, figure mostruose e cavalli nel castello di Querciola (Viano), di proprietà del reggiano Vincenzo Scaioli, riferibile al periodo 1535-40, sulla base di argomentazioni araldiche (Toschi, 1900, pp. 16-21).
Mancano notizie affidabili sulla formazione del Orsi che è aggregato tradizionalmente alla scuola di Parma, per l’attenzione verso i modelli di Correggio e le qualità ottiche della sua pittura, apprezzabile in grado diverso lungo il suo percorso. Accanto a Parma, meta importante per la sua formazione fu la Mantova di Giulio Romano, dove fu attratto dalla versione del classicismo postraffaellesco che irradiava dai cantieri di Palazzo Te e Palazzo ducale. Dopo l’esito rude e provinciale del fregio di Querciola (c. 1535), segnato da un gusto espressivo caricato e da un dinamismo spaziale di marca protobarocca che tiene conto anche del Pordenone, tra quarto e quinto decennio le influenze di Correggio e Giulio Romano sono sintetizzate con esiti originali negli studi per un fregio con gli Amori di Giove e Io (Parigi, Louvre, inv. 10360, 10404) e in due progetti per decorazioni di facciate (Windsor, Royal Library, inv. nn. 10900 e 10899), di cui uno con scene di lavorazione della lana potrebbe essere collegato al restauro del palazzo dell’Arte della lana di Reggio Emilia (1542-1546).
Nel S. Michele arcangelo sconfigge Satana dell’Ashmolean Museum di Oxford, il primo di una serie di dipinti di piccole dimensioni che costituiscono l’aspetto più noto del pittore, le fonti giuliesche tratte dal camerino dei Cesari e dalla sala di Troia in Palazzo ducale e i riferimenti a Correggio si compongono in una cifra più elegante e preziosa, talora confusa con gli esiti del parmense Giorgio Gandino del Grano.
Impegno di spicco del periodo reggiano fu la decorazione della torre dell’Orologio, di commissione civica, documentata tra il 13 novembre 1544 e il 17 ottobre 1545. Degli affreschi, perduti, sono stati individuati i disegni preparatori raffiguranti Apollo sul carro del sole preceduto da Aurora (Pirondini, 1985 e 1987).
Tra il 15 ottobre 1545 e il 3 gennaio 1546 Orsi fu a Roma al servizio di Giulio Cesare Gonzaga, chierico della camera apostolica per conto di Paolo III Farnese, con compiti non precisati in relazione all’ampliamento e abbellimento del distrutto palazzo Branconio dell’Aquila (Ciroldi, 2002, pp. 35-37). Questi lavori già in corso a partire dalla primavera del 1543 per opera di Francesco de’ Vincenzi da Lugano, detto maestro Barbone, che di solito eseguiva progetti di Orsi, permettono di ipotizzare una prima presenza romana del pittore già nel 1543 (Ciroldi, 2002, p. 32).
Il 16 marzo 1546 l’artista riparò a Novellara, sotto la protezione dei Gonzaga, in seguito al coinvolgimento nell’omicidio del reggiano Gian Paolo Bojardi come appare da una lettera di Costanza da Correggio, che allora reggeva la contea, un’accusa dalla quale Orsi sarebbe stato prosciolto nell’ottobre 1552. Citato nel ruolo di teste in vari atti notarili tra 1547 e 1552, in questa fase consolidò il rapporto con i Gonzaga, trovandosi al centro di varie iniziative decorative e divenendo un originale interprete della congiuntura michelangiolesca padana. Tra 1548 e 1552 gli nacquero altri tre figli, Scipione, Isabella e Corinzia.
L’individuazione di uno o più probabilmente due soggiorni a Roma, anteriori a quello da tempo acquisito del 1554-55, fornisce una conferma della necessità di una maggiore articolazione dei rapporti di Orsi con il panorama artistico romano già supposta per via stilistica (Romani, 1982, 1984, 1997). Infatti un gruppo di opere mostra l’innesto di riferimenti alla Roma farnesiana nella quale Orsi ebbe modo di assistere al confronto tra Michelangelo, che aveva da poco concluso il Giudizio Universale, e Perin del Vaga, pittore di corte di Paolo III e protagonista della maniera raffaellesca. Tra queste sono i disegni preparatori per la decorazione della torre dell’Orologio (Windsor Castle, Royal Library, inv. 0224; Parigi, Musée du Louvre, Département des arts graphiques, inv. 10378), gli studi di fregi di soggetto astrologico con protagonista il carro di Apollo (Louvre, inv. nn. 3460, 10379-10381), gli affreschi staccati da un camerino della Rocca di Novellara, decorato con un padiglione di verzure di ispirazione correggesca, al sommo del quale era il Ratto di Ganimede (Modena, Galleria Estense), ispirato al disegno di Michelangelo per Tommaso dei Cavalieri. La sintesi tra maniera raffaellesca e michelangiolismo è ben testimoniata dalle Scene di diluvio mitologico superstiti di un complesso perduto della Rocca (Modena, Galleria Estense). Appartengono alla stessa fase un gruppo di fogli sul tema del fregio a girali d’acanto abitato da figure mostruose, divinità mitologiche o episodi biblici (Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, inv. 1640 E, 1620 E; Lille, Musée des Beaux-Arts, inv. nn. 341, 342; Besançon, Musée des Beaux-Arts, inv. D 1438), e alcuni studi per unità decorative con figure entro cartigli (Parigi, Louvre, inv. nn. 11.116, 11.116 bis; Monaco, Staatliche graphische Sammlung, inv. 12739; Firenze, Gabinetto disegni e stampe degli Uffizi, inv. 1643; Londra, British Museum, inv. 1946.7,13,385; Mosca, Museo Puškin, inv. 14050). In questi disegni, da scalare tra la seconda metà degli anni Quaranta e i primi anni Cinquanta, si manifestano anche punti di contatto con le decorazioni ideate per il castello di Fontainebleau dal bolognese Francesco Primaticcio, presente a Roma in più occasioni nel corso degli anni Quaranta, sia nell’adozione di tipologie specifiche (cuoi e cartouches), sia nelle innovazioni introdotte sulla scorta dell’influenza di Michelangelo nella concezione illusionistica di Giulio Romano (Romani, 1997).
Secondo una lettera non più rintracciabile, nel 1553 Orsi fu a Venezia al seguito dei conti Camillo (1521-1595) e Alfonso (1529-1589) Gonzaga, figli di Alessandro I e Costanza di Correggio. Nel periodo dicembre 1554-settembre 1555 soggiornò a Roma con il conte Alfonso, regnante Giulio III, presso il quale il Gonzaga svolse mansioni di cameriere segreto.
Rientrato a Novellara prima del 7 luglio 1556, Orsi fu coinvolto in una serie di cantieri architettonici e decorativi con un ruolo di artista di corte e mansioni di progettazione e coordinamento di maestranze diverse, fra le quali figuravano il figlio Fabrizio, ucciso nel 1567, e il citato maestro Barbone. È stato riferito al 1558 circa il deperito ciclo di affreschi staccato dal salone del Casino di sopra (Novellara, Museo Gonzaga), sulla base di un registro di contabilità del conte Camillo che documenta, sia pure in modo generico, lavori di decorazione (M. Pirondini, in L. O.…, 1987, pp. 29 s., 106-111). L’impresa può essere collegata con l’arrivo a corte in quell’anno di Barbara Borromeo, moglie del Gonzaga.
Numerosi lavori oggi perduti furono avviati nel 1563 per il conte Alfonso: il progetto architettonico e la decorazione di una scuderia a Bagnolo e della residenza del Casino di sotto a Novellara, e una campagna di ripristino delle facciate delle case. Nel 1567, in coincidenza con il matrimonio tra Alfonso e Vittoria di Capua, Orsi diresse nuovi lavori di ristrutturazione e decorazione nella Rocca. Il 29 settembre 1566 avviò la progettazione della nuova chiesa di S. Stefano, per la quale richiese in consultazione a Giovan Battista Bertani due disegni della chiesa palatina di S. Barbara a Mantova; la convenzione tra il conte Alfonso e maestro Barbone per la costruzione dell’edificio (1° settembre 1570) fa riferimento a un suo disegno. Nello stesso anno fornì il progetto per la prima chiesa dei gesuiti, come risulta da una perduta convenzione del 28 aprile, ricordata da Davolio (1833), tra maestro Barbone e il conte Camillo.
Il soggiorno romano del 1554-55 segnò l’adesione ai modi del michelangiolismo 'riformato', che allinea Orsi agli esiti di Daniele da Volterra e di Pellegrino Tibaldi, comportando l’adozione di schemi di decorazione propri della stagione più matura della maniera, interpretati con grande libertà espressiva e una sensibilità pittorica che hanno fatto parlare di una sua variante 'emiliana' (Briganti, 1945). Testimoniano questa fase gli affreschi del Casino di sotto (c. 1558), nei quali divinità e allegorie sono ospitate entro una ornata struttura architettonica finta a monocromo, secondo soluzioni che ricorrono molto simili in uno studio per decorazione di parete con lo stemma dei Gonzaga di Novellara (British Museum, inv. 1977.12,10,14).
A questo ciclo si collegano per affinità stilistiche numerosi progetti per decorazioni di pareti e facciate di palazzi, tra i quali sono gli studi della Kunstbibliothek di Berlino (inv. HdZ 1083), della Pierpont Morgan Library di New York (inv. 1973.34) e di Edimburgo (National Gallery of Scotland, inv. D. 914). Una lettera perduta del 29 novembre 1559 in cui Orsi chiede un disegno della cappella Paolina può essere collegata con lo studio per una pala centinata con la Conversione di S. Paolo (Oxford, Ashmolean Museum, P. 422 A), ispirato all’affresco michelangiolesco dello stesso tema (Romani, 1982). Un disegno dell’Albertina di Vienna (inv. 2729), raffigurante entro una elaborata cornice la favola delle chiocciole tratta dalla raccolta Fabulae Centum dell’umanista cremonese Gabriele Faerno, fu probabilmente eseguito dopo il 1563, anno dell’edizione postuma dell’opera, illustrata da Pirro Ligorio, rispetto alla quale l’invenzione di Orsi è indipendente.
Cade in questo periodo anche un gruppo di dipinti di piccole dimensioni, influenzati dai modi tardi di Michelangelo, tradotti in una versione miniaturizzata: la raffinata Annunciazione (Novellara, Museo Gonzaga), appartenuta al padre Resta e ispirata al cartonetto fornito da Buonarroti a Marcello Venusti sullo stesso tema; il visionario Martirio di s. Caterina (Modena, Galleria Estense), dal plasticismo arrovellato; S. Giorgio e il drago, e il Sacrificio d’Isacco (Napoli, Gallerie di Capodimonte). Nel Noli me tangere (Hartford, Wadsworth Atheneum), nei Pellegrini di Emmaus (Londra, National Gallery) e nel Compianto sul Cristo morto di Palazzo Venezia a Roma si assiste a un ridimensionarsi delle stravaganze della maniera e a una rinnovata attenzione per la luce in chiave emiliana che suggeriscono una collocazione più avanzata in direzione del 1569, anno della Beata Vergine della Ghiara. Preoccupazioni analoghe mostrano i progetti per la decorazione della facciata della casa del pittore (Modena, Galleria Estense, inv. 1265; Parigi, Louvre, inv. 21112; Princeton, Art Museum, inv. 47-14; Windsor, Royal Library, inv. 4791) al centro della quale campeggiano lo stemma di famiglia – due orsi ai lati di una fontana – e un balestriere nell’atto di scagliare una freccia, ripreso con varianti in un’incisione attribuita a Cherubino Alberti con l’iscrizione «Regij 1579».
Alla fine degli anni Sessanta agli impegni novellaresi si affiancarono una serie di commissioni reggiane: nel 1567 Orsi fu coinvolto nella progettazione della facciata marmorea del duomo della città come testimoniano i pagamenti del 16 e del 26 giugno, rispettivamente per due disegni e due modelli, e una lettera del 1° maggio dalla quale si apprende la determinazione dei canonici di scegliere il suo disegno e affidargli la direzione dei lavori e di un incontro con l’orafo dilettante e letterato Alfonso Ruspagiari (Ciroldi, 2006, pp. 131 s.). All’impresa non si diede seguito. Il 2 dicembre gli Anziani del Comune gli richiesero i disegni per vasi d’argento da donare ad Alfonso II d’Este, in occasione della venuta a Reggio. Tra 1568 e 1569 si aprì la zecca di Novellara, affidata a Gian Antonio Signoretti sotto la supervisione di Orsi.
Nel 1569 eseguì per Ludovico Pratissoli un disegno con la Vergine adorante il Bambino (Reggio Emilia, Museo della basilica della Beata Vergine della Ghiara) che, tradotta in affresco da Giovanni Bianchi detto il Bertone, è all’origine della vicenda miracolosa da cui scaturì la fondazione del tempio reggiano della Madonna della Ghiara. L’invenzione fu incisa da Johannes Sadeler I nel 1596 con l’iscrizione «Lelio Orsi Reg.s figuravit».
Con il disegno della Beata Vergine della Ghiara fornito di una mal leggibile iscrizione antica con il nome del pittore e la data 1569, Orsi si lascia alle spalle una fervida stagione di impegni decorativi; posteriore è lo Studio per una pala d’altare con la Trinità (Oxford, Ashmolean Museum, inv. P420), probabile commissione di Camillo Gonzaga, che vi appare in preghiera, mentre la presenza di s. Barbara con funzione mediatrice tra cielo e terra suggerisce un post quem al 1572, data di morte di Barbara Borromeo.
Negli ultimi due decenni le notizie sulla sua attività si rarefanno ma l’artista continuò a essere oggetto di richieste di progetti e consulenze e nel 1574 soggiornò nuovamente a Roma secondo quanto attesta una lettera del 27 marzo di Claudia Rangoni ad Alfonso Gonzaga. Una memoria del maggio 1576 riepiloga la trattativa rimasta sospesa con il capitolo della chiesa di S. Prospero a Reggio Emilia per la decorazione del catino absidale per la quale Orsi aveva fornito un disegno da porsi in opera con la collaborazione di Bernardino Campi che in seguito gli subentrò nella commissione assieme a Camillo Procaccini; la considerazione in cui Orsi era tenuto emerge dal fatto che fu consultato nel 1584 sulla parte di Procaccini. Il 30 giugno 1576 eseguì per conto del Capitolo del duomo reggiano il disegno per il tabernacolo del sacramento ma nel documento di allogagione dell’opera a Prospero Spani non si fa menzione di suoi disegni.
Dopo un primo episodio di malattia tra marzo e maggio 1579, Orsi si impegnò con Gaspare Scaruffi il 17 ottobre 1580 per una pala con Cristo che incorona la Vergine alla presenza di s. Francesco, per la chiesa di S. Francesco, della quale non si ha notizia. In questi anni dovette risiedere per alcuni periodi a Reggio Emilia, come lascia capire una lettera del 19 marzo 1581 indirizzata al conte Alfonso nella quale esprime il desiderio di rivedere i suoi signori. Pur sofferente per nuovo aggravamento dello stato di salute, di cui è notizia in una lettera di Vittoria di Capua del 24 marzo 1583, eseguì un disegno per un progetto non precisato. Il 19 agosto 1585 la confraternita di S. Rocco, all’atto di affidare a Ercole Procaccini i due quadri del prebiterio della chiesa di S. Rocco a Reggio Emilia, richiese l’esame da parte di Orsi dei disegni preparatori.
Alla produzione tarda appartengono anche varie invenzioni sacre quali: il Cristo morto tra la Carità e la Giustizia (Modena, Galleria Estense), la Deposizione nel sepolcro del Musée des Beaux-Arts di Nîmes e gli studi per l’Allegoria del sangue di Cristo (Firenze, Uffizi, Gabinetto disegni e stampe, inv. 13216), per la Resurrezione di Lazzaro e la Presentazione di Gesù al tempio (Amsterdam, Rijksprentenkabinett, inv. 1960.97), nei quali il recupero di moduli classicizzanti va insieme a una progressiva riscoperta delle radici emiliane e correggesche della propria pittura. Questa si attua in modo più continuo in una serie di opere che rimeditano invenzioni del maestro quali: le due adorazioni dei pastori a lume di notte della Gemäldegalerie di Berlino e già Podio, ora in collezione privata, ispirate alla Notte, allora in S. Prospero a Reggio Emilia; lo studio di pala d’altare con la Madonna del latte tra i ss. Andrea e Giuda (Oxford, Christ Church College, inv. 1349), cui si collegano due frammenti con la Madonna con il Bambino e S. Giuda, entrambi di collezioni private; l’Ecce homo del Musée Fabre di Montpellier; l’Orazione del Cisto nell’orto (vendita Sotheby’s, Firenze, 10 aprile 1974), ispirata al dipinto correggesco ricordato da Vasari nella casa dello speziale reggiano Francesco Maria Signoretti. A quest’opera si rifà anche la visionaria invenzione del Cristo tra le croci (ubicazione ignota) studiata in un foglio del Louvre. Originali rivisitazioni del tema della Madonna della scodella del Correggio sono studiate a penna nei disegni della Public school di Rugby e degli Uffizi (inv. 9075 S).
Un riferimento cronologico per la fase 'neocorreggesca' di Orsi, che non approda ai risultati innovatori in senso seicentesco dei Carracci, ma costituisce un originale esito nel quadro del tardo Cinquecento, è rappresentato dal Cristo risorto che appare alla Vergine e agli apostoli per la chiesa del Gesù di Novellara (ora in S. Stefano), firmato e datato 1580, dove il pittore bresciano Pietro Maria Bagnatore, già in rapporto con i Gonzaga nel 1566, quindi nel 1571, rese un momentaneo omaggio all’orientamento di Orsi.
Orsi morì a Novellara il 3 maggio 1587 e fu sepolto nella chiesa del Carmine, come attesta la lapide, oggi in S. Stefano, che lo definisce «in architectura magno, in pictura maiori, in deliniamentis optimo».
Fonti e Bibl.: A. Isachi, Relatione della Miracolosa Madonna di Reggio, Reggio Emilia 1597; F. Azzari, Compendio delle Historie della città di Reggio […], Reggio Emilia 1623; C.C. Malvasia, Felsina pittrice. Vite dei pittori bolognesi […], II, Bologna 1678, p. 28; G. Tiraboschi, Biblioteca Modenese, VI, Notizie de’ pittori, scultori […], Modena 1786, pp. 493-502; L. Lanzi, Storia pittorica del’Italia […], 1789, a cura di M. Capucci, II, Firenze 1968, pp. 210 s.; P.L. Pungileoni, Memorie Istoriche di Antonio Allegri detto il Correggio, I-III, Parma 1817-21; V. Davolio, Memorie storiche della contea di Novellara e dei Gonzaghi che vi dominarono, Milano 1833; A. Venturi, La Galleria Estense in Modena, Modena 1883; H. Thode, L. O. e gli affreschi del «Casino di Sopra» presso Novellara, in Archivio storico del’arte, III (1890), pp. 366-378; F. Malaguzzi Valeri, Notizie di artisti reggiani (1300-1600), Reggio Emilia 1892; G.B. Toschi, L. O. da Novellara pittore e architetto (1511-1587), in L’arte, III (1900), pp. 1-31; A. Balletti, Storia di Reggio nell’Emilia, Reggio Emilia 1925; I. Kunze, L. O., in U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXVI, Leipzig 1932, pp. 58 s.; A. Venturi, Storia dell’arte italiana, IX, 6, Milano 1933, pp. 623-651; G. Briganti, Il Manierismo e Pellegrino Tibaldi, Roma 1945; Mostra di L. O., a cura di R. Salvini - A.M. Chiodi, Reggio Emilia 1950; Fontainebleau e la maniera italiana, catal. a cura di F. Bologna - R. Causa, Firenze 1952; F. Zeri, Agnolo Bronzino: il S. Giovanni Battista… L. O.: una Annunciazione, in Paragone, III (1952), 27, pp. 59-62; M. Gregori, Una Madonna di L. O., ibid., IV (1953), 43, pp. 55 s.; M. Laclotte, Un tableau de L. O. au Musée de Montpellier, in Revue des arts, X (1960), pp. 39 s.; E. Panofsky, Sol aequinoctialis fuit creatus. Notes on a composition by L. O. and its possible connection with the Gregorian calendar reform, in Mélanges Alexandre Koyré, Paris 1964, pp. 359-378; F. Kossof, L. O. and the walk to Emmaus, in Master drawings, IV (1966), pp. 415-418; A.E. Popham, Italian Drawings in the Department of prints and drawings in the British Museum. Artists working in Parma in sixteenth century, I-II, London 1967; F. Zeri, Un L. O. trasformato in Correggio ovvero un archetipo della perizia commerciale, in Id., Diari di lavoro, II, Torino 1976, pp. 123-131; S.M. Béguin - M. Di Giampaolo, Maestri italiani del secondo Cinquecento, «Biblioteca di disegni» XII, Firenze 1979; V. Romani, L. O. a Roma: tra maniera raffaellesca e maniera michelangiolesca, in Prospettiva, 1982, n. 29, pp. 41-61; Id., L. O., Modena 1984 (con ampia bibliografia); M. Pirondini, La pittura a Reggio Emilia, regesto e documenti di E. Monducci, Milano 1985; L. O., catal., a cura di E. Monducci - M. Pirondini, Cinisello Balsamo 1987 (con ampia bibliografia); J. Montcouquiol, Contribution à l’oeuvre peint de L. O., in Paragone, XXXVIII (1987), 453, pp. 43-46; V. Romani, Primaticcio, Tibaldi e la questione delle «cose del cielo», Cittadella 1997; L. O. e la cultura del suo tempo, Atti del convegno internazionale di studi… Reggio Emilia-Novellara… 1988, a cura di J. Bentini, Bologna 1990; A. Bacchi, Prospero Clemente. Uno scultore manierista nella Reggio del ’500, Milano 2001; S. Ciroldi, Nuovi documenti per la storia di palazzo Branconio dell’Aquila, in Il cinquantenario dell’Istituto “L. Einaudi” di Correggio, San Martino in Rio 2002, pp. 29-53; S. Ciroldi, L. O. e la facciata della cattedrale di Reggio Emilia, in Bollettino storico reggiano, XXXIX (2006), 131, pp. 123-151; V. Romani, Un’allegoria della Natività di L. O., in Il cielo, o qualcosa di più. Scritti per Adriano Mariuz, a cura di E. Saccomani, Cittadella 2007, pp. 114-121; O. a Novellara. Un grande manierista in una piccola corte, Atti della giornata di studi… 2011, a cura di A. Bigi Iotti - G. Zavatta, Novellara 2012.