ORSINI, Orso di Gentile
ORSINI, Orso di Gentile. – Non si conosce la data di nascita di questo condottiero del XV secolo, d’incerta paternità, da alcuni (Litta, 1819-99; Volpicella, 1916; Pieri, 1933) ritenuto bastardo di Gentile di Bertoldo Orsini, conte di Soana.
Valente condottiero fu altresì autorevole consigliere degli Aragonesi di Napoli dal momento in cui entrò al loro servizio, svolgendo per essi anche missioni di intermediazione diplomatica (Dispacci sforzeschi da Napoli [DS], V, docc. 270, 277, pp. 481, 494). Giovanni Pontano (De bello neapolitano, II) così ne scrisse: «magno ingenio, constanti animo, fida amicitia, maturis consiliis, integra voluntate, manu promptus atque in certaminibus felix, in consulendo cautus, in deliberando minime temerarius, quique nihil prorsus ficti haberet atque ut maxime impiger, sic ipse parum omnino ambitiosus erat».
Un interessante risvolto della sua mentalità di condottiero si coglie in una missiva a Francesco Sforza dell’ambasciatore Antonio da Trezzo (15 gennaio 1462), nel resoconto dell’incontro che sanzionava la collaborazione di Orsini con Ferdinando d’Aragona: «Venuto alla presentia del signor re, esso conte, doppo facta debita reverencia, ringraciò la maiestà sua de tanto dono quanto gli havea facto, primo de aceptarlo ad gracia et per servitore [… ] et ch’l se conosceva pur havere facto qualche damno alla maestà sua, non volontario, ma forzato per essere soldato d’altri, ma se confidava che essa maestà faria come l’altri magnanimi principi che cum el scordare remetono le iniurie, et sperava fare tanti benefici ad sua maestà che emendarà li damni passati» (DS, V, doc. 11, p. 27).
Nel 1443 combatté al seguito di Alfonso d’Aragona nelle Marche contro Francesco Sforza, ma passò dalla parte di questo nella fase in cui Sforza operò per Filippo Maria Visconti. Nel 1447, estintosi il dominio visconteo, sostenne le sorti della Repubblica ambrosiana per poi combattere contro di essa collaborando con Francesco Sforza; fu ferito in due scontri; la seconda volta gravemente nell’assedio di Piacenza nel 1447. Dopo l’ascesa di Sforza al Ducato di Milano, a detta di Sansovino (1565, p. 105) «corrotto da’ Vinitiani», nel 1450 passò al loro servizio rimanendovi fino al 1459.
La sua collaborazione militare era tanto ambita che Giovanni Antonio Orsini Del Balzo, principe di Taranto, pur di attrarlo nel Regno nelle fila antiaragonesi, fece pressioni sui veneziani perché rescindessero il loro contratto. D’altra parte il re Alfonso svolse un’azione di segno opposto, temendo che il baronaggio a lui ostile potesse avvalersi dell’opera del condottiero. Nel 1459 Orsini accolse infine l’invito del principe di Taranto, che dopo la morte di Alfonso sosteneva il pretendente angioino al trono napoletano. Ferdinando d’Aragona ne fu molto irritato e non nascose ad Antonio da Trezzo il suo malumore nei confronti dei veneziani per il licenziamento di Orsini, oltre che per l’attività, apparentemente di mediazione, da essi svolta presso il principe di Taranto (DS, II, docc. 65, 71, 32, pp. 181 n. 5, 197 n. 1, 102 n. 6). Nella battaglia di Sarno (7 luglio 1460), dove rischiò di essere fatto prigioniero in una mischia con Roberto Orsini (Di Costanzo, 1769), Orso ebbe un ruolo importante nella rotta subita da Ferdinando (Squitieri, 2011). Nel 1461 il principe di Taranto gli affidò la difesa di Nola ed egli s’impegnò in numerose azioni militari giungendo (6 giugno 1461) persino sotto le mura di Napoli e facendo «assai grande preda» (DS, IV, doc. 128, p. 220), ma fu costretto dalla mancanza di approvvigionamenti per la città da lui presidiata ad avviare trattative per un accordo.
Da Trezzo il 2 dicembre, illustrando l’evoluzione della situazione annotò che il conte era stato costretto a espellere dalla città ben 600 abitanti per mancanza di rifornimenti (doc. 219, p. 376) e il 12 dicembre prevedeva una sua resa imminente (entro due mesi), come lasciava intuire il trasferimento di famiglia e beni mobili a Nola.
Se l’oratore sforzesco riteneva che il passaggio di Orsini alla fedeltà aragonese fosse opportunisticamente determinato dalla constatazione che le fortune del pretendente angioino andavano ormai declinando, Sansovino successivamente insinuò che la decisione di passare allo schieramento aragonese nascesse dalla convinzione che, essendo ormai il principe di Taranto vecchio, malato e prossimo alla morte, la parte filoangioina sarebbe tracollata in breve tempo. Le trattative con Ferdinando furono laboriose e Orsini si atteggiò da mediatore con il principe di Taranto (pp. 384 s., 390, 397). Il 18 dicembre 1461 inviò una lettera autografa al re promettendo che entro 20 giorni avrebbe consegnato i castelli di Somma e di Arpaia e sarebbe passato alla sua fedeltà alle condizioni contenute nei capitoli convenuti tra loro due (doc. 233, p. 396).
L’importanza politica e strategica che si attribuiva al suo cambiamento di fronte si coglie nella corrispondenza dell’oratore sforzesco. Era opinione diffusa, infatti, che la dedizione di Orso, oltre a riportare la tranquillità nella regione, avrebbe costituito un esempio autorevole che gli altri signori avrebbero seguito (ibid. V, docc. 5, 8, pp. 13, 23). L’oratore informava anche delle sollecitazioni che venivano da Orsini, perché il duca approvasse ufficialmente la sua decisione (V, docc. 6, 12, pp. 19, 30 s.).
Il 1° gennaio 1462 Orsini prestò omaggio a Ferrante. Pontano (De bello neapolitano, II), ripreso da Sansovino, descrive minuziosamente anche le particolari modalità gestuali del rito di ligio omaggio prestato nel gennaio 1462 (DS, V, doc. 3, p. 9; Vitale). Il 14 gennaio 1462 Orsini fece il suo ingresso a Napoli «recevuto cum grandissimo honore et alegreza del populo; li quali populari gli andarono incontra più de tre miglia facendo grandissima festa parendoli, come è il vero, che la reductione de esso conte alla fidelità del re habia dato quiete et pace ad tuta questa provincia de Terra del Lavoro» (docc. 11, 13, pp. 27, 32). Venne investito del titolo di conte di Nola e inoltre di Avella, Baiano, Lauro, Palma, Ottaviano, Atripalda, Monteforte, Cicala, Montefredano, Forino e Castronuovo, nonché di Ascoli Satriano. Pompeo Litta, Luigi Volpicella e la storiografia successiva ritennero che la concessione di Ascoli fosse da collocare nel 1464 a compenso dell’opera svolta da Orsini per la conquista di Manfredonia e soprattutto per aver evitato alla morte del principe di Taranto la rivolta delle sue milizie.
I curatori dei Dispacci sforzeschi da Napoli, V (doc. 3, p. 10 n. 3) ritengono invece che la concessione risalga già al 1461, al momento del passaggio al fronte aragonese (come si evince da una lettera del 2 dicembre 1463 di da Trezzo allo Sforza, nella quale riferiva un episodio singolare: avendo promesso la città di Ascoli ad Angelo Acciaioli, «credendolo potere fare, sé trovato non recordandossene soa maiestà haveva facta promessa al magnifico conte Orso quando se redusse alla fidelità soa, el quale ne ha tolta la possessione»). Di fronte alla contrarietà di Orsini, deciso a non rinunziare ad Ascoli, il re provvide allora a soddisfare Acciaioli con altri possedimenti e a erigere a ducato Ascoli Satriano a favore di Orsini che già lo deteneva.
Le concessioni di terre al condottiero rientrano nella strategia disegnata dal re di costruzione di un ceto militare radicato nel Regno attraverso l’assegnazione di domini territoriali, onde contenere in qualche modo, se non bilanciare la potenza della feudalità di antica formazione (Storti, 2007).
Mentre Napoleone Orsini premeva, senza risultato, sul re per ottenere lui Nola (DS, V, doc. 44, p. 91), ai primi di febbraio 1462 Orso si diresse con le sue truppe al campo regio a Sarno (doc. 19, p. 46), partecipò con tre squadre alla campagna di Puglia (docc. 64, 73, pp. 131,144) e si distinse nella battaglia di Troia (18 agosto 1462).
Sansovino (1565, II, p. 17) raccolse la tradizione secondo cui Ferdinando avrebbe dichiarato di aver ottenuto a Troia non solo la vittoria, ma «lo stabilimento del Regno dal conte Orso».
Nel dicembre 1463 ricevette una giornea in dono da Francesco Sforza con altri baroni che avevano dimostrato particolare fedeltà a Ferrante (DS, V, doc. 152, p. 288). Partecipò alle operazioni di guerra contro il principe di Rossano dal giugno all’agosto 1463 ai Mazzoni e nell’assedio di Mondragone (docc. 217, 220, 228, pp. 393, 399, 440). Nel settembre l’oratore sforzesco s’impegnò «cum lo magnifico conte Orso» nelle difficili trattative per l’accordo col principe di Rossano e con il conte di Fondi (doc. 270, p. 481); con l’oratore, Orsini collaborò anche successivamente per risolvere altre delicate questioni (docc. 270, 277, pp. 481, 494). Fu in Toscana con l’esercito aragonese nel 1478 in difesa del papa nella guerra contro Firenze seguita alla congiura dei Pazzi.
Durante il conflitto morì di dissenteria a Viterbo il 5 luglio
Non ebbe figli dalla moglie Isabella (o Elisabetta, morta nel 1496), figlia del conte Dolce dell’Anguillara, morto durante l’assedio di Monza nel 1449 e che Orsini sostituì al comando di 200 cavalli per disposizione di Francesco Sforza. Lasciò due figli bastardi, Raimondo e Roberto, avuti da una donna di umile condizione. In vita aveva assegnato il Ducato d’Ascoli al primogenito. Prima di morire raccomandò ambedue i figli al duca di Calabria che assicurò loro la sua protezione, venendo poi meno alla promessa.
I possedimenti del conte furono confiscati e i figli imprigionati in Castelnuovo, secondo l’accusa che la loro madre li avesse avuti da un’altra persona, essendo il conte troppo vecchio all’epoca del loro concepimento. Il disconoscimento si fondò su di un’ammissione in tal senso fornita dalla stessa madre, non sappiamo se indotta a tale dichiarazione con la forza o col danaro. Nola fu assegnata al tutore dei due orfani, Nicola Orsini, conte di Pitigliano. Il comportamento del re nei confronti dei due fanciulli (Porzio, 1964, I, pp. 54 s.; Pontieri, 1964, p. LXVIII), provocò l’indignazione del baronaggio e, inteso come una provocazione minacciosa per l’intero ceto (Sansovino, 1565, II, p. 17), avrebbe costituito addirittura uno stimolo alla congiura dei baroni. I dispacci degli ambasciatori estense, fiorentino e sforzesco consentono una ricostruzione delle vicende che riguardarono i due orfani e il destino dei domini del defunto conte (Scarton, 2011).
Autore di un’originale opera, Governo et exercitio de la militia (Pieri, 1933, pp. 97-104) dedicata a Ferdinando d’Aragona (la dedica è datata 2 gennaio 1477), Orsini si distinse, come il contemporaneo Diomede Carafa, dai trattatisti militari che guardavano astrattamente ai modelli forniti dalla tradizione classica. Seguace della scuola sforzesca che s’ispirava alla strategia logoratrice (intesa anche in senso politico), elaborò formulazioni dettate dalla sua esperienza personale e propose un progetto di organizzazione militare che, alla luce dei più recenti studi sulle innovazioni introdotte nel Regno in età ferrantina (Storti, 2007, pp. 163-166; Senatore, 2011), risulta in consonanza con i quadri teorici delle riforme perseguite dal re e miranti alla costituzione di un esercito demaniale permanente. Tali affinità programmatiche hanno suggerito l’ipotesi, già avanzata da Pieri e illustrata sulla base di ricca documentazione e ferma convinzione da Storti, di un’influenza delle opinioni di Orsini sul programma di ristrutturazione del settore militare in atto nel Regno. Considerando anche i Memoriali di Diomede Carafa ci si è però domandati (Del Treppo, 1997) quanto questi scritti «siano il frutto delle discussioni che i loro autori, consiglieri e uomini d’arme, abitualmente avevano con il re, e sulle quali i dispacci degli ambasciatori ci possono ancora illuminare» (Storti, 2007, p. 11).
Nella prima parte dell’opera Orsini tratta dei vari aspetti finanziari, strutturali, tecnici, tattici, disciplinari e sanitari dell’organizzazione militare. Nella seconda parte, pur richiamando anche esempi storici militari trasmessi dalla tradizione culturale classicista (cap. XXI-XXXIV), associa a un’analisi critica di fatti militari contemporanei (cap. XXXV-XXXVIII) un’attenta conoscenza delle problematiche politiche e militari del Regno, con un forte richiamo all’eticità e alla centralità di una previdente organizzazione militare (in un’ottica contestualizzata che esalta il ruolo dell’esercito più che quello della marina da guerra) a fondamento della sicurezza dello Stato, auspicando il coordinamento razionale di tutte le componenti che concorrono a tale finalità (cap. XXXIX), partendo dal presupposto (cap. I) che nella militia consiste «el fundamento del Stato».
Ottenuto il dominio di Nola, ampliò e restaurò con magnificenza l’edificio già esistente, senza peraltro poter portare a termine prima della morte la residenza, definita la regia, che indubbiamente veniva progettata a rappresentare il suo nuovo status anche in rapporto alla città. Per la facciata settentrionale del palazzo utilizzò i marmi del vicino anfiteatro romano (secondo Ambrogio Leone [1997] senza attribuire, almeno inizialmente, a quei materiali una specifica valenza culturale). Portando avanti un progetto di ristrutturazione urbanistica spostò l’ubicazione del macello e ampliò il mercato, e concluse i lavori alla basilica dell’episcopio, già iniziata da Raimondo Orsini.
Fonti e Bibl.: Dispacci sforzeschi da Napoli[DS] I, 1444 2 luglio 1458, a cura di F. Senatore, prefazione di M. Del Treppo, Napoli 1997; IV, 1° gennaio-26 dicembre 1461, a cura di F. Storti, ibid. 1998; V, 1° gennaio 1462-31 dicembre 1463, a cura di E. Catone - A. Miranda - E. Vittozzi, ibid. 2009. M.F. Sansovino, De gli huomini illustri di Casa Orsina libri quattro, in Venetia Bernardino et Filippo Stagnini, 1565, II, p. 17; VII, pp. 105, 107; A. Di Costanzo, Istoria del regno di Napoli, Napoli, 1769, pp. 552, 554; Notar Giacomo (Giacomo della Morte), Cronica di Napoli, a cura di P. Garzilli, Napoli 1845, pp. 99, 105,138, 141, 155 s., 176; Una cronaca napoletana figurata del Quattrocento, a cura di R. Filangieri, Napoli s.d.; A. Leone, De Nola, a cura di A. Ruggiero, Napoli 1997, pp. 29, 39, 46, 81, 85, 170, 302, 306, 312, 392, 476; P. Litta, Famiglie celebri d’Italia, Milano-Torino 1819-99, VIII, tav. XVI; C. Minieri Riccio, Alcuni fatti di Alfonso I d’Aragona dal 15 aprile 1437 al 31 maggio 1458, inArchivio storico per le Province napoletane, VI (1881), pp. 7, 20, 27; Note biografiche dei personaggi nominati nel Libro delle Istruzioni, in Regis Ferdinandi primi instructionum liber (10 maggio 1486- 10 maggio 1488), a cura di L. Volpicella, Napoli 1916, pp. 384-387; P. Pieri, Il Governo et exercitio de la militia di O. O. e i “Memoriali” di Diomede Carafa, in Archivio storico per le Province napoletane, n. s., XIX (1933), pp. 99-212; P. Pieri, Il Rinascimento e la crisi militare italiana, II ed., Torino 1952, pp. 263, 270 n., 271 n., 276, 280 s., 283, 294, 610; C. Porzio, La Congiura de’ baroni del Regno di Napoli contra il Re Ferdinando primo e gli altri scritti, a cura di E. Pontieri, Napoli 1964, pp. 54 s.; E. Pontieri, Introduzione, ibid., p. LCVIII, XCIV, XCVII; F. Storti, L’esercito napoletano nella seconda metà del Quattrocento, Salerno 2007, pp. 50 n., 120, 122 n.,128, 132 e n., 145, 147 s., 163-166, 173 n.; G. Vitale, Rituali di sottomissione nel Mezzogiorno aragonese: l’omaggio ligio di Orso Orsini, in Rassegna storica salernitana, LIII (2010), pp.11-22; M.L. Squitieri, La battaglia di Sarno, in Poteri, relazioni, guerra nel Regno di Ferrante d’Aragona. Studi sulle corrispondenze diplomatiche, a cura di F. Senatore - F. Storti, Napoli 2011, pp. 30, 32; E. Scarton, La congiura dei baroni del 1485-87 e la sorte dei ribelli, ibid., pp. 218-220, 222, 224, 250, 271, 290; F. Senatore, La battaglia nelle corrispondenze diplomatiche: stereotipi lessicali e punto di vista degli scriventi, in La battaglia nel Rinascimento meridionale. Moduli narrativi tra parole e immagini, a cura di G.C. Abbamonte et al., Roma 2011, p. 236.