PARTICIACO, Orso I
PARTICIACO, Orso I. – Nato nella prima metà del IX secolo, divenne doge di Venezia nell’864.
Secondo una tradizione non anteriore ai primi del XIII secolo, egli fu un discendente dei Particiaco, che avevano retto il ducato con i dogi Agnello, Giustiniano e Giovanni tra l’810 e l’836 (Origo, 1933, p. 117), ma secondo la critica recente nulla prova questa parentela, mentre pare assai probabile che la famiglia ducale o, quanto meno, il ramo principale di essa, si sia estinta, senza lasciare eredi diretti. Tutt’al più, se fosse dimostrabile con certezza – tramite un figlio di nome Badoer (cfr. infra) – la discendenza da Orso di Orso II (911-932), definito un Particiaco dal cronista Giovanni Diacono ai primi dell’XI secolo (Giovanni Diacono, Cronaca veneziana, in Cronache veneziane antichissime, I, a cura di G. Monticolo, 1890, p. 132), si potrebbe pensare all’appartenenza di entrambi a un ramo minore dell’illustre famiglia. La forma cognominale è comunque ormai storiograficamente consolidata.
Orso era subentrato a Pietro Tradonico (836-864), ucciso mentre usciva dalla chiesa di S. Zaccaria. Non sembra che sia stato coinvolto nell’omicidio: giustiziò ed esiliò (nei due imperi, d’Oriente e d’Occidente) alcuni responsabili, e si mosse in continuità con la politica del suo predecessore, intraprendendo una serie di riforme nel campo dell’amministrazione civile e religiosa e di iniziative armate contro i pirati saraceni e contro le popolazioni slave insediate sulla costa adriatica.
Contro questi ultimi, una prima spedizione fu intrapresa forse nell’866. Una flotta venne diretta contro Domagoj, che nell’864 aveva usurpato il trono croato al legittimo pretendente Zdeslav. Il duca slavo, intimorito, preferì non combattere e scese a patti con Orso, cedendo ostaggi. La tregua non durò però a lungo, perché attorno all’872 vi fu uno scontro (sfavorevole ai veneziani) presso Salvore (Savudrija) sulla costa occidentale dell’Istria, e nell’876 Trpmir, figlio del defunto Domagoj, attaccò e saccheggiò numerose città istriane puntando poi verso Grado. Orso reagì con prontezza e sconfisse gli slavi in uno scontro navale. Nell’878, fu poi raggiunto un accordo con Zdeslav (che aveva ripreso il potere); la corresponsione di un tributo garantì ai veneziani la sicurezza. Rimasero però esclusi dall’intesa i pirati narentani, non soggetti al dominio dei duchi croati, contro i quali il doge condusse una spedizione non risolutiva.
Anche i musulmani rappresentarono un problema per il governo di Orso, in un alternarsi di successi e di insuccessi che segnarono per oltre un decennio il dogado.
Tra l’867 e l’871, forse in concomitanza con le spedizioni dell’imperatore carolingio Ludovico II nell’Italia meridionale, navi veneziane attaccarono con successo i saraceni insediatisi da tempo a Taranto. Già nell’872 però, i pirati islamici, salpando da Creta, penetrarono nell’Adriatico e attaccarono alcune città della Dalmazia meridionale, risalendo fino all’isola di Brazza (Brač). Più rischioso l’episodio dell’875: un’incursione a Grado, difesa strenuamente dai suoi abitanti; l’invio di una flotta veneziana, comandata da Giovanni, figlio di Orso, deviò abilmente l’attacco saraceno su Comacchio (e una città concorrente fu così saccheggiata).
Questo impegno militare di Orso – che fu coordinato almeno in parte con le operazioni terrestri dei carolingi e marittime dei bizantini – ebbe positive ripercussioni di prestigio e di politica estera: egli ottenne il titolo aulico di protospatario, mai concesso in precedenza ad alcun doge, in occasione di una solenne ambasciata imperiale a Venezia (878 circa), e nell’880 Carlo III il Grosso, a Ravenna, rinnovò il trattato stipulato nell’840 fra Lotario I e Pietro Tradonico, che regolava i rapporti, soprattutto di carattere economico, fra gli abitanti del Regno Italico e quelli del ducato, considerato di fatto uno stato sovrano.
A Orso si attribuisce inoltre un’importante riforma dell’organizzazione della Chiesa veneziana con l’istituzione di nuove diocesi. Negli ultimi anni del suo dogado compaiono infatti tutte le sei diocesi che poi per secoli avrebbero costituito la provincia ecclesiastica gradense: Caorle, Eraclea, Iesolo, Malamocco, Olivolo e Torcello. L’evidente tentativo del potere politico di subordinare a sé quello religioso posto in essere da Orso ebbe inevitabilmente ripercussioni. A parte l’uccisione di un vescovo di Torcello (864), l’inquietudine si manifestò nell’874, quando il neoeletto patriarca di Grado, Pietro, rifiutò inizialmente la carica e fuggì nel Regno Italico; e quando il doge si vide rifiutare da costui l’elezione al vescovado torcellano del suo candidato Domenico, abate di S. Stefano di Altino, e gli fu comminata la scomunica, lo costrinse a fuggire in Istria, e poi (dopo un anno di soggiorno a Rialto) a Roma. Nonostante i ripetuti interventi di papa Giovanni VIII, Orso resistette, e costrinse alla fine il patriarca Pietro a cedere, consacrando anche i vescovi da lui designati nel frattempo (con l’eccezione di quello di Torcello, peraltro poi riconosciuto dal successore). Fu una svolta importante nella direzione della subordinazione della Chiesa patriarcale all’autorità dogale.
Nell’ambito della politica ecclesiastica di Orso si inserisce anche il trattato concluso a Venezia nel gennaio dell’880 con Gualperto, patriarca di Aquileia.
L’accordo, vantaggioso per gli interessi veneziani, escludeva il blocco del porto aquileiese di Pilo da parte veneta, con il riconoscimento della libertà di commercio e l’esenzione da imposizioni fiscali ai mercanti che l’avessero utilizzato. Gualperto promise inoltre la fine delle ostilità nei confronti della sede gradense, con la rinuncia a ogni rivendicazione sulle chiese dipendenti e i vari possessi di quest’ultima.
Insieme con il figlio e coreggente Giovanni (protagonista valoroso a Grado nell’875), Orso prese nell’880 un importante provvedimento (confermato poi, nel 960, da Pietro IV Candiano) che vietava il commercio degli schiavi. Si trattava di un’iniziativa certo antipopolare perché escludeva i mercanti lagunari da un lucroso commercio, ma che ebbe positivi riscontri in termini di riconoscimento internazionale. Del resto, la congiuntura economica e demografica era comunque favorevole; anche grazie a iniziative dogali, la pressione demografica sollecitava lo sviluppo edilizio in seguito alla bonifica della parte orientale di Rialto e di Dorsoduro.
Orso morì nell’881 e fu sepolto nel monastero di S. Zaccaria.
Lasciò quattro figli maschi: Giovanni, Badoer, Orso e Pietro, nonché due femmine: Felicia che sposò Rodoaldo figlio di Giovanni duca di Bologna, e Giovanna, badessa di S. Zaccaria.
Gli subentrò il primogenito Giovanni (solitamente indicato come Giovanni II per distinguerlo da Giovanni I, fratello e successore del doge Giustiniano), che governò fino all’887.
Fu un dogado breve, ma importante, durante il quale si verificò innanzitutto un cambio della guardia nel ceto dirigente veneziano con la scomparsa quasi definitiva dei tribuni – potenti se non egemoni fino alla metà del IX secolo (lo attesta la loro presenza ancora al testamento del vescovo Orso dell’853) e legati al possesso fondiario – a vantaggio di chi aveva diversificato i propri cespiti, investendo nei traffici marittimi e nei commerci. Dal punto di vista istituzionale, i tribuni furono sostituiti dai giudici: non esperti di diritto, ma personalità dotate di prestigio politico e di capacità di rappresentanza.
Nel segno della continuità con la politica paterna, Giovanni riuscì a ottenere da Carlo il Grosso (Mantova, 10 maggio 883) il rinnovo del trattato già stipulato con Orso nell’880; furono inoltre rifuse nel documento dell’883 le concessioni comprese nel privilegio di Lotario dell’841 (libero godimento dei beni fondiari veneziani ubicati nel territorio dell’impero carolingio). Giovanni fallì però nel tentativo di annessione al ducato del territorio di Comacchio, non ancora risollevatosi dall’incursione musulmana dell’875.
A una prima sconfitta (in occasione della quale Badoer, fratello del doge fu catturato, e morì dopo esser stato liberato) seguì in realtà l’occupazione di quel luogo cruciale per il controllo del Po; ma i tentativi di ottenere una conferma papale, esperiti (fino all’886) presso i papi Adriano III e Stefano V, furono vani, e Comacchio fu abbandonata.
Negli ultimi tempi della sua esistenza, Giovanni, impossibilitato per ragioni fisiche a governare da solo, nominò coreggente il fratello Pietro; morto costui, fu designato il superstite fratello Orso, che rinunciò. Di conseguenza nell’887 – secondo Giovanni Diacono (Cronaca veneziana, cit., p. 123) – i veneziani scelsero come loro doge Pietro Candiano. La decisione fu avallata da Giovanni che nominò il prescelto proprio coreggente e successore, senza peraltro dimettersi dalla carica. Alla morte improvvisa (sempre nell’887) di Candiano, Giovanni fu richiamato al potere, ma declinò e diede ai concittadini la possibilità di scegliersi la propria guida. Fu così eletto Pietro figlio di Domenico Tribuno; Giovanni sparì nel silenzio e probabilmente morì poco dopo.
La linea ereditaria dei Particiaco si estinse, dunque, in modo definitivo verso la fine del IX secolo.
Fonti e Bibl.: Iohannes Diaconus, Cronaca veneziana, in Cronache veneziane antichissime, I, a cura di G. Monticolo, Roma 1890, pp. 117-123, 126, 128, 178; Capitularia regum Francorum, in Monumenta Germaniae Historica (MGH), Legum sectio II, II, a cura di A. Boretius - V. Krause, Hannover 1897, p. 138; P.F. Kehr, Italia pontificia, VII, Venetia et Histria, 2, Respublica Venetiarum, provincia Gradensis, Histria, Berolini 1925, pp. 15-17, 44-47; Registrum Iohannis VIII. papae, a cura di E. Caspar, in MGH, Epistolae, VII, Epistolae Karolini aevi, V, a cura di P. Kehr, Berolini 1928, pp. 16, 18 s., 24 s., 52 s., 55; Origo civitatum Italiae seu Venetiarum (Chronicon Altinate et Chronicon Gradense), a cura di R. Cessi, Roma 1933, pp. 29, 117, 125; Karoli III Diplomata, in M.G.H., Diplomata regum Germaniae ex stirpe Karolinorum, II, a cura di P. Kehr, Berolini 1937, p. 27; Andreae Danduli ducis Venetiarum Chronica per extensum descripta, a cura di E. Pastorello, in RIS, XII, 1, Bologna 1938-58, pp. 155-161; Documenti relativi alla storia di Venezia anteriori al Mille, a cura di R. Cessi, Padova 1942, II, pp. 7, 10, 13 s., 16-21; Venetiarum historia vulgo Petro Iustiniano Iustiniani filio adiudicata, a cura di R. Cessi - F. Bennato, Venezia 1964, pp. 1, 44, 47; Martin da Canal, Les estoires de Venise, a cura di A. Limentani, Firenze 1972, pp. 22 s.; G.G. Caroldo, Istorii Veneţiene, I, De la originile Cetăţii la moartea dogelui Giacopo Tiepolo (1249), a cura di Ş. V. Marin, Bucureşti 2008, pp. 61, 63.
S. Romanin, Storia documentata di Venezia, I, Venezia 1853, pp. 138, 140 s., 143 s.; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, I, Gotha 1905, pp. 96-100, 429 s.; P.F. Kehr, Rom und Venedig bis ins 12. Jahrhundert, in Quellen und Forschungen aus italienischen Archiven und Bibliotheken, XIX (1927), pp. 11, 60, 64, 66; A. Da Mosto, I dogi di Venezia con particolare riguardo alle loro tombe, Venezia 1939, p. 38; R. Cessi, La crisi ecclesiastica veneziana al tempo del duca Orso, in Id., Le origini del ducato veneziano, Napoli 1951, pp. 87 s., 91-96; R. Cessi, Politica, economia, religione, in Storia di Venezia, II, Dalle origini del ducato alla IV crociata, Venezia 1958, pp. 162-164, 170 s., 176, 180 s., 184; A. Da Mosto, I dogi di Venezia nella vita pubblica e privata, Milano 1960, pp. 17, 19; R. Cessi, Venezia ducale, I, Duca e popolo, Venezia 1963, pp. 255-257, 259, 261-263, 268 s., 271 s., 276, 279-282, 285, 290; A. Carile, La formazione del ducato veneziano, in A. Carile - G. Fedalto, Le origini di Venezia, Bologna 1978, p. 202; G. Ortalli, Venezia dalle origini a Pietro II Orseolo, in Storia d’Italia, I, Longobardi e bizantini, a cura di P. Delogu - A. Guillou - G. Ortalli, Torino 1980, pp. 388, 392, 399 s., 402, 414; A. Castagnetti, Famiglie e affermazione politica, in Storia di Venezia dalle origini alla caduta della Serenissima, I, Origini-Età ducale, a cura di L. Cracco Ruggini et al., Roma 1992, p. 615; G. Ortalli, Il ducato e la “civitas Rivoalti” tra carolingi, bizantini e sassoni, ibid., pp. 740, 744 s., 747, 752-756, 763; D. Rando, Una chiesa di frontiera. Le istituzioni ecclesiastiche veneziane nei secoli VI-XII, Bologna 1994, pp. 22 s., 50-52, 69, 95, 119.