MANCINI, Ortensia
Nacque a Roma il 6 giugno 1646 da Lorenzo e da Geronima Mazzarino, sorella del cardinale Giulio. Crebbe a Roma, insieme con i suoi fratelli, fino al maggio del 1653, quando il cardinale Mazzarino la chiamò in Francia, insieme con la madre e i fratelli Filippo Giuliano e Maria. Dopo un soggiorno di alcuni mesi ad Aix, presso la sorella Laura Vittoria, duchessa di Mercoeur, che si trovava in Francia dal 1648, la M. fu accolta nel convento della Visitazione di Faubourg Saint-Jacques, a Parigi, dove rimase per due anni, fino all'inizio del 1656. In seguito alla morte della madre, nel dicembre 1656, e della sorella Laura, nel febbraio 1657, fu affidata alle cure di Marie de Venel, dama d'onore di Laura Mancini, e cominciò a frequentare la corte. Sebbene molto giovane, la M. colpì la società aristocratica francese segnalandosi per la sua precoce bellezza, ma anche per un carattere che già si intuiva incostante e volubile.
Tra il 1659 e il 1660 fu costretta a un forzato esilio a Brouage, presso La Rochelle, in seguito alla decisione del Mazzarino di allontanare Maria da Luigi XIV, in modo da rompere un legame amoroso che al potente ministro appariva preoccupante.
Tornata a corte, la M. fu coinvolta nell'ambiziosa politica matrimoniale dello zio, che mirava a radicare la sua famiglia nei ranghi dell'alta nobiltà francese. Oltre a essere un buon partito, la M. spiccava decisamente nel gruppo delle sorelle. Marie-Madeleine Pioche de la Vergne, madame de La Fayette, la reputava "une des plus parfaites beautés de la Cour" (p. 35), pur sottolineando che la sua languida personalità mancava di esprit.
Tra il 1658 e il 1660 si parlò, non senza fondamento, di diversi prestigiosi partiti: Carlo II d'Inghilterra, esule in Francia, il principe Pietro del Portogallo, il duca Carlo Emanuele II di Savoia, Jean de Coligny, che nelle guerre della Fronda si era schierato contro il Mazzarino, il principe L. di Courtenay, appartenente a una famiglia di antica nobiltà ormai decaduta. Tuttavia il Mazzarino rifiutò i partiti reali, orientandosi alla fine su C.A. de la Porte, marchese di Meilleraye, figlio di C. de la Porte, suo antico collaboratore e gran maestro dell'artiglieria.
Il matrimonio fu celebrato il 28 febbr. 1661. Poco dopo, il 9 marzo, il Mazzarino morì. In virtù delle sue disposizioni testamentarie, il Meilleraye assunse il titolo di duca di Mazzarino e fu, insieme con la M., il principale erede del cardinale, dal quale ottenne il palazzo Mazzarino a Parigi, i governatorati di Alsazia, Bretagna e Vincennes e cospicui beni patrimoniali, che assommavano, secondo calcoli grossolani dei contemporanei, a 20-30 milioni di livres. Ben presto, però, ci si rese conto che né la M. né suo marito erano in grado di trarre profitto dalla grande eredità politica ed economica che era loro toccata.
La vivacità della M. si scontrava con il rigido cattolicesimo e la patologica gelosia del marito. Nei primi anni di matrimonio, tuttavia, il ménage in qualche maniera funzionò e la M. generò quattro figli: Marie-Charlotte (1662), Marie-Anne (1663), Marie-Olympe (1665) e Paul-Jules (1666). Ma le tensioni tra i coniugi non tardarono a esplodere. La M. amava la vita di corte, mentre il marito la costringeva a seguirlo nei suoi frequenti viaggi nelle province di cui era governatore e, stando a quanto lei stessa scrisse, le imponeva un progressivo isolamento, licenziando le sue cameriere e impedendole di frequentare i parenti, in particolare il fratello Filippo, al quale la M. fu sempre particolarmente legata. Anche il cattolicesimo del Meilleraye sfociò progressivamente in un bigottismo ridicolo, che lo indusse a far scalpellare le sculture del palazzo Mazzarino e a rimproverare a Luigi XIV di mantenere un'amante ufficiale, Louise Françoise de la Baume Le Blanc, duchessa de La Vallière.
Con il progressivo deterioramento della sua vita familiare, la M. fu sempre più spesso costretta a ritirarsi presso la sorella Olimpia, duchessa di Soissons. Nel 1667 la famiglia della M. stabilì un accomodamento e la M. accettò di ritirarsi per qualche tempo nell'abbazia di Chelles, vicino Parigi, dalla quale si trasferì, a causa delle pressioni del marito, nel più rigido convento delle Figlie di S. Maria alla Bastiglia. Qui strinse amicizia con un'altra illustre reclusa, Marie Sidonie de Lenoncourt, marchesa di Courcelles, la cui vita avventurosa si intrecciò più volte con quella della Mancini. Desiderosa di liberarsi dalla reclusione, la M. tornò nell'abbazia di Chelles, dalla quale uscì in seguito a una sentenza del Parlamento di Parigi che affermò il suo diritto di abitare al palazzo Mazzarino, mentre il Meilleraye si sarebbe dovuto ritirare all'Arsenal.
La situazione era ormai diventata difficile per la M., anche perché il marito aveva presentato un ricorso in appello e c'era una fondata eventualità che la Grand Chambre del Parlamento di Parigi la obbligasse a una convivenza che le risultava ormai insopportabile. Lo stesso Luigi XIV, che in passato non le aveva fatto mancare il suo appoggio, sembrava meno disposto ad assecondare le richieste della M., tanto che la spinse a firmare un accordo interlocutorio con cui consentiva al Meilleraye di vivere nel palazzo Mazzarino, a patto di rispettare gli spazi di autonomia della moglie.
La M. decise allora di fuggire e il 13 giugno 1668 abbandonò Parigi, con la complicità del fratello Filippo e di Louis de Rohan, uno dei suoi spasimanti. In un primo momento raggiunse la Lorena, dove fu ben ricevuta dal giovane duca Carlo V. Poi raggiunse Milano, dove fu accolta dalla sorella Maria e dal marito di questa, Lorenzo Onofrio Colonna. Nel frattempo il Meilleraye otteneva dal Parlamento un decreto che lo autorizzava a far tornare la moglie, anche con la forza, sotto il tetto coniugale e intentava un processo contro Filippo Mancini e il Rohan per la complicità nella fuga.
Il soggiorno italiano fu un'amara disillusione per la Mancini. La sorella e il cognato la accolsero con un certo affetto, ma ben presto l'intera famiglia, compreso Filippo, cominciò a valutare con crescente disapprovazione i disinvolti comportamenti della M. e fece pressioni per una riconciliazione con il marito. Le pressioni divennero più forti nell'autunno del 1668, quando la M. si trovava a Roma, ospite dei Colonna. Ci si era infatti resi conto dei rapporti sin troppo intimi della M. con uno scudiero del suo seguito, tale Courbeville.
Dopo uno scontro verbale tra Maria Mancini e Courbeville, la M. abbandonò palazzo Colonna per ritirarsi presso sua zia, Laura Martinozzi, che le impose una vita strettamente ritirata. Dopo poche settimane, si produsse un duro litigio tra zia e nipote e la M. si ritirò nel monastero di Campo Marzio, di cui un'altra zia, Anna Maria Mazzarino, era stata priora. La frivolezza della M. cominciava ormai a suscitare scandalo e ne discreditava l'immagine presso l'opinione pubblica francese. Lo stesso Luigi XIV lamentava il fatto che la nipote di un personaggio come il Mazzarino si rendesse ridicola in tutta l'Italia. Di fronte a questa situazione, la famiglia Mancini decise di prendere provvedimenti e cercò, con scarsa fortuna, di rendere permanente il soggiorno della M. in una casa religiosa.
Rimasta incinta di Courbeville, la M. visse con crescente fastidio la sua reclusione nel monastero di Campo Marzio, ma si scontrò con l'opposizione dello zio, il cardinale Francesco Maria Mancini, divenuto suo tutore. Dopo aver tentato di ottenere un sostegno da Cristina di Svezia, nel 1669 fuggì con l'aiuto di Maria e ottenne la protezione del pontefice Clemente IX, che le consentì di vivere nel palazzo Mancini o nel palazzo Colonna.
Grazie ai buoni uffici di Filippo, la M. decise di tentare un accomodamento con il marito e, nella primavera del 1670, lasciò Roma per la Francia insieme con il fratello. Fu ricevuta a corte e il re le accordò una pensione di 24.000 lire nel caso avesse voluto fare ritorno a Roma. La prospettiva di una rappacificazione con il marito tramontò immediatamente. Dopo una semireclusione all'abbazia di Lys, presso Melun, dal febbraio al maggio del 1671, la M. tornò a Roma, dove riprese la sua intensa vita sociale, legandosi affettivamente all'affascinante C. de Lorraine, conte di Marsan e a suo fratello Philippe, amante del fratello di Luigi XIV, Philippe d'Orléans. Non si trattò di legami duraturi e la lista degli amanti, veri o presunti, della M. si allungò rapidamente.
Il soggiorno romano della M. non durò molto. All'inizio del 1672 la sorella Maria cominciò a manifestare a sua volta progetti di fuga dal marito e si confidò con la M., la quale, stando a quanto lei stessa scrisse nelle sue memorie, manifestò la sua contrarietà al progetto ma, di fatto, collaborò attivamente alla sua realizzazione. Il 29 maggio 1672 la M. e Maria lasciarono Roma in incognito e si imbarcarono sul litorale laziale, dopo avere avuto qualche informale assicurazione che avrebbero ottenuto asilo in Francia. All'inizio di giugno del 1672 raggiunsero fortunosamente la costa francese. Dopo aver trascorso alcuni giorni ad Aix, le sorelle si separarono. La M. era venuta a sapere che alcuni emissari del marito erano sulle sue tracce e, temendo di essere catturata, raggiunse Torino e poi la Savoia. Grazie alla benevolenza del duca Carlo Emanuele II di Savoia, la M. fu ospitata nel castello di Chambéry, dove visse tranquillamente, inserendosi senza difficoltà nel piccolo mondo della nobiltà savoiarda e dimostrando una qualche assiduità alle pratiche religiose. In tal modo, il nome della M. cominciò a scomparire dalle gazzette e l'ancor giovane duchessa poté riacquistare un certo credito presso la società aristocratica europea.
È stato talora sostenuto che la M. divenne amante del duca Carlo Emanuele, ma si tratta di un'illazione non suffragata da prove. Vero è che il duca ricevette costantemente minuziosi resoconti sulla vita che la M. conduceva a Chambéry e le inviò regali di ogni genere. Egli non era, del resto, l'unico ammiratore della M.: nel suo soggiorno savoiardo, infatti, la duchessa fu circondata dalla devozione di numerosi personaggi, dal castellano di Chambéry, M. d'Orlier, a S. Le Camus, vescovo di Grenoble, che nel 1673 fu protagonista di un fallito tentativo di rappacificazione tra la M. e il marito, al letterato C. Vichard de Saint-Réal, con il quale la M. mantenne un rapporto molto stretto per parecchi anni.
Nel 1675 furono stampate, presso l'editore Marteau, di Colonia, le memorie della M., con il titolo di Mémoires de D.M.L.D.M.; l'opera conobbe una certa fortuna ed ebbe nel giro di poco tempo un'edizione inglese (Londra 1676) e una in lingua italiana (Colonia 1677). Si tratta di uno dei primi casi di memorie femminili destinate esplicitamente alla stampa, anche se taluni hanno ipotizzato che il reale autore delle memorie sia stato il Vichard de Saint-Réal. Le memorie della M. rappresentano soprattutto un tentativo di riaccreditare la propria immagine presso l'opinione pubblica francese, anche allo scopo di opporsi alle manovre giudiziarie del marito. Pertanto, esse sono piuttosto elusive sulla vita privata della M., dipinta come una donna ingenua, costretta a un matrimonio infelice da una scelta politica del cardinal Mazzarino e non compresa dai suoi stessi parenti. Nonostante il suo carattere scopertamente difensivo, il testo non manca comunque di una certa scioltezza che, in parte, giustifica il successo editoriale.
Nel 1675 Carlo Emanuele II morì e la M., temendo di non godere della protezione della reggente, Giovanna Battista di Savoia Nemours, lasciò la Savoia. Attraversò la Germania, mescolandosi agli eserciti in transito, e raggiunse l'Olanda, da dove, nel 1676, si imbarcò per l'Inghilterra. Entrò a Londra all'inizio del 1676 abbigliata da cavaliere, con un piccolo e variopinto seguito, e fu accolta affettuosamente dal re Carlo II, suo antico spasimante, e da suo fratello, il duca di York e futuro Giacomo II.
Alla corte di Carlo II la M. acquisì una posizione di primo piano. Ancora affascinante, colpì l'attenzione del re ed entrò in un complesso gioco di intrighi politico-sentimentali. Infatti, la regina Caterina di Braganza e il partito antifrancese ritennero di poterla utilizzare per soppiantare nel cuore di Carlo II la favorita Louise de Kéroualle, duchessa di Portsmouth, che spingeva il sovrano a una politica di stretta alleanza con la Francia. La M. si prestò al gioco, suscitando l'apprensione del governo francese, ma il suo carattere incostante le impedì di assurgere al ruolo di favorita. Pur ricevendo doni e una pensione dal re, la M. finì per innamorarsi di Louis Grimaldi, principe di Monaco, con il quale mantenne per alcuni mesi una relazione. La M. suscitò pure l'amore appassionato del proprio nipote Filippo di Savoia Soissons, figlio di sua sorella Olimpia, che si trovava in Inghilterra. Filippo, geloso di un altro spasimante della M., un tale barone Banier, nel 1684 lo sfidò a duello e lo ferì mortalmente. L'episodio suscitò un grave scandalo e portò all'arresto del giovane, che in seguito fu rilasciato e si imbarcò sulla flotta veneziana. La M., da parte sua, si confinò in casa, manifestando il desiderio di lasciare l'Inghilterra e di recarsi in Spagna, presso la sorella Maria.
In Inghilterra la M. fu al centro di un gruppo di letterati, esuli e libertini, come Gregorio Leti, Isaac Vossius e il teologo Henri Justel. Un gruppo eterogeneo, all'interno del quale spiccava Ch. de Saint-Évremond, che la adottò come musa e la celebrò in molte opere, tra cui va ricordata almeno l'Oraison funèbre de madame la duchesse de Mazarin (1684), curioso panegirico che adotta fittiziamente lo stile dell'elogio funebre pur essendo stato composto quando la M. era in vita.
Per la M. la partecipazione a questi circoli intellettuali non rappresentò l'esito di una reale passione per le lettere, ma fu soprattutto una maniera per riprodurre, in un contesto profondamente diverso, la vita dei salons parigini. Progressivamente la M. orientò i suoi interessi soprattutto verso il gioco d'azzardo, come spesso accadeva nei milieux di nobili emigrati, indebitandosi pesantemente.
La rivoluzione del 1688 inferse un grave colpo alle sorti della Mancini. Il nuovo re, Guglielmo d'Orange, ridusse al minimo le elargizioni che la M. riceveva dalla Corona, mettendola in una situazione di seria difficoltà. La M. cercò di ottenere qualche sovvenzione dal marito, interessando i suoi parenti in Francia, ma senza successo. Il duca di Mazzarino, infatti, riaffermò i propri diritti e dichiarò che non avrebbe cessato di utilizzare ogni mezzo lecito per costringere la M. a tornare con lui. Le ragioni del Mazzarino furono sostenute nel 1689 in un'azione giudiziaria condotta da un famoso avvocato al Parlamento di Parigi, Claude Érard, mentre la M. affidò a Saint-Évremond il compito di rispondere al duro attacco. La brillante Réponse di Saint-Évremond al Plaidoyé di Érard era costruita molto abilmente e riusciva nella non facile impresa di proporre un'immagine virtuosa della M., mettendo in ridicolo il bigottismo del marito, sul quale veniva riversata l'accusa di aver dissipato il patrimonio ereditato dal cardinale Mazzarino.
L'esito del processo fu favorevole alla M., che decise di restare in Inghilterra. Col tempo la M. aveva assunto molti usi inglesi, pur mantenendo forti rapporti con la Francia e con la sua famiglia di origine, e in particolare con le sorelle Olimpia e Maria Anna, che la visitarono in diverse occasioni, soprattutto nel corso degli anni Ottanta.
Nel corso del 1699 la M. si ammalò. Morì a Chelsea il 2 luglio 1699.
Il duca di Mazzarino pagò i numerosi debiti lasciati dalla M. e portò la salma in Francia. Per quasi un anno condusse con sé il corpo della moglie nei suoi spostamenti finché non venne convinto a dargli sepoltura nel collegio delle Quattro Nazioni a Parigi, dove si trovava la tomba del cardinal Mazzarino.
Un anno dopo la morte della M., apparvero Some reflections upon marriage occasioned by the duke and duchess of Mazarine's case (Londra 1700) di Mary Astell, opera che alcuni giudicano una delle prime manifestazioni della letteratura sull'emancipazione femminile: la Astell muoveva dall'esperienza della M. per criticare la pratica di combinare matrimoni senza tenere conto degli affetti e per sostenere l'esigenza di un rapporto più paritario tra i coniugi.
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