Orti Oricellari
La storia degli O. O. ha inizio il 4 febbraio 1483, quando Bernardo Rucellai (→) acquistò la prima porzione di terreno, ulteriormente accresciuta nel 1490, su cui sarebbero sorti abitazione e giardino. La proprietà era situata nel popolo di S. Lucia d’Ognissanti, a poca distanza dall’Arno e dal tratto occidentale delle mura cittadine. L’ingresso principale era lungo via della Scala e l’abitazione era posta nell’angolo nord-orientale, all’incrocio tra via della Scala e via Polverosa, l’attuale via degli Orti Oricellari (Comanducci 1995-1996, a cui si fa riferimento se non altrimenti precisato). Giorgio Vasari ne evidenzia le novità stilistiche di ascendenza classica «avendo [...] due logge, una volta a mezzogiorno e l’altra a ponente, ambedue bellissime e fatte senza archi sopra le colonne; il quale modo è il vero e proprio che tennero gl’antichi» (Le vite, a cura di R. Bettarini, P. Barocchi, 3° vol., 1971, p. 287) e ne attribuisce il progetto a Leon Battista Alberti (→), morto però dal 1472 – anche se gli interessi architettonici di Rucellai e la sua familiarità con Alberti non escludono l’utilizzo di un disegno preesistente.
La presenza della selva costituiva una delle peculiarità degli O. O., distinguendoli dagli altri giardini della città. Come suggerisce Pietro Crinito (De sylva Oricellaria, in Id., De honesta disciplina, 15438, pp. 534-36), nel giardino si trovavano viali di viti e alberi da frutto che conducevano dalla parte soleggiata fin dentro il «sacro bosco», esso stesso collezione antiquaria di essenze arboree immortalate dai poeti latini e dove, in un’atmosfera suggestiva dei giardini principeschi del Regno di Napoli – come sottolinea Fabrizio Colonna nell’Arte della guerra (I 13) – erano disposti sedili per gli ospiti. La dimensione antiquaria della selva risulta evidente dal confronto con i molti passi del De urbe Roma dello stesso Rucellai in cui si fa riferimento a orti dell’antichità quali quelli sallustiani e quelli di Pomponio Attico, questi ultimi, come evidenziato dal Rucellai, abbelliti da una selva. Accanto alla selva, l’altro riferimento al mondo antico era costituito dalla collezione di marmi, alle cui origini si fondono suggestioni classiche, albertiane ed esempi coevi: la villa tusculana di Cicerone, con il giardino popolato di statue evocanti un ambiente ideale per accogliere discussioni filosofiche; le raccomandazioni di Alberti circa la disposizione di busti e statue nelle logge; le raccolte medicee del giardino di via Larga e di S. Marco; le vigne della nobiltà romana e le residenze del Regno, in particolare quella di Diomede Carafa di Maddaloni e la villa di Poggioreale, entrambe visitate da Rucellai. Della raccolta antiquaria si sa che includeva un marmo greco proveniente da Pisa (un sarcofago?) con scene marine e gare circensi, e che, tra il secondo e il terzo decennio del Cinquecento, era stata arricchita con pezzi rinvenuti a Pisa durante una campagna di scavi finanziata da Palla Rucellai e da Antonio Roncioni (R. Roncioni, Delle istorie pisane, a cura di F. Bonaini, «Archivio storico italiano», 1844, 6, p. 18). Già nel 1476 Bernardo era però in contatto con Antonio Ivani da Sarzana per farsi inviare teste antiche dalla zona di Luni e, almeno dal 1492, era in possesso di due colonne tortili in porfido. L’ultimo riferimento certo alle collezioni del giardino è dato da Benedetto Varchi (→; Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 2° vol., 1838-1841, p. 51) che ricorda come, tra il 1527 e il 1530, Battista Della Palla avesse «fatto levare alcune statue di marmo dall’orto dei Rucellai» per inviarle, insieme ad altri oggetti d’arte provenienti da Firenze, al re Francesco I per ottenerne l’appoggio alla causa repubblicana. Un sonetto di Cosimo Rucellai dove si descrive una statua di Bruto dalla mano ‘liberatrice’ avvinta dall’edera, pur non sviluppando un tema originale, lascia intravedere un suggestivo legame tra le discussioni negli O. O. e lo scenario antiquario creato da Bernardo, cui allude più volte (Discorsi I proemio A 3; Arte della guerra I 15), però polemicamente, lo stesso Machiavelli.
La prima notizia degli incontri negli O. O. si ha a partire dal 1502 quando, in opposizione al governo del neoeletto gonfaloniere, Bernardo Rucellai si ritirò a vita privata «in quello orto suo» (F. Guicciardini, Oratio accusatoria, in Id., Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, 1936, p. 230), «vivendo malissimo contento benché in dimostrazione si fussi ristretto con molti litterati ed attendessi alle lettere ed al comporre» (F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, 1931, pp. 284-85).
Le riunioni continuarono fino al 1506, quando Bernardo, insieme al figlio Giovanni, lasciò Firenze per motivi politici. Lo scambio epistolare con gli amici degli O. O. durante gli anni del volontario esilio consente di stabilire che, almeno sporadicamente, gli incontri continuarono anche durante la sua assenza – verosimilmente con Palla come ospite – per riprendere con scoperto spirito antisoderiniano al rientro di Bernardo a Firenze (circa 1511), quando, proprio dall’ambiente degli O. O., partì l’iniziativa politica che condusse alla caduta del gonfaloniere (1512):
Di quell’orto, come si dice del cavallo troiano, uscirono le congiure, uscinne la ritornata de’ Medici, uscinne la fiamma che abbruciò questa città; e si scoperse finalmente tutto in modo che potette essere conosciuto da ognuno, ma in tempo che non potette essere provveduto da nessuno (F. Guicciardini, Oratio accusatoria, cit., p. 554; F. de’ Nerli, Commentarii, 1° vol., 1859, pp. 158-60, 172).
Bernardo morì due anni dopo, ma già probabilmente dal 1513, a seguito del deteriorarsi delle sue condizioni di salute, il ruolo di ospiti passò ai figli.
Il De honesta disciplina di Crinito, la corrispondenza di Rucellai e il Ragionamento sopra le difficoltà di mettere in regole la nostra lingua di Giovambattista Gelli (→) sono le fonti primarie per conoscere i frequentatori degli O. O. in questo periodo. Il gruppo che ne emerge risulta composto, oltre che dall’ospite e dallo stesso Crinito, dall’umanista Bartolomeo Fonzio, dal filosofo Francesco Cattani da Diacceto, allievo di Marsilio Ficino (→), e dagli aristocratici e intellettuali Giovanni Corsi, Giovanni Canacci, Francesco Vettori (→), Piero Martelli e Dante Popoleschi – mentre Gelli, nato nel 1498, si ritrae nel Ragionamento esclusivamente come testimone occasionale, se pur entusiasta, degli anni più tardi di questa prima fase. Stretti legami di amicizia e affinità di interessi politici e culturali consentono di aggiungere con ragionevole certezza il nome di Bindaccio Ricasoli; per analoghe ragioni è possibile includere anche quelli di Cosimo Pazzi, vescovo di Arezzo e poi arcivescovo di Firenze, e di Lorenzo Strozzi, congiunto, amico e, dal 1503, anche genero di Bernardo Rucellai.
Altri nomi fatti per possibili ospiti sono quelli di Gino Capponi (→), Antonio Alberti, Pier Francesco da Gagliano e Pomponio Gaurico, ma la loro presenza non è provata.
Per vicinanza di ideali politici – aristocratici avversi a qualsiasi forma di ‘governo largo’ in nome di una volontà di riforma ispirata al modello senatorio veneziano – e comuni interessi di studio – riflessione storico-filosofica sull’antichità volta a promuovere un’interpretazione critica e, possibilmente, una trasformazione del presente – i frequentatori degli O. O. nell’età di Bernardo si presentano come un gruppo per lo più omogeneo, composto da una maggioranza di figure caratterizzate dalla diretta partecipazione ai più alti livelli della vita politica ante 1502 e da professionisti dello studio e delle lettere, a loro legati da relazioni di fiducia e amicizia (Diacceto, per es., fu maestro dei figli e del nipote di Bernardo, Cosimino, oltre che di Piero Martelli e Giovanni Corsi; B. Varchi, Vita di Francesco Cattani da Diacceto, in F. Cattani da Diacceto, I tre libri d’amore, 1561, pp. 186-87).
Il rapporto diretto e personale con l’ospite, colto e affascinante – «era udito come una sirena perché era ornatissimo ed eloquentissimo» (F. Guicciardini, Oratio accusatoria, cit., p. 229) – rappresenta il comune denominatore di questa prima fase, connotata da una dimensione privata ed elitaria, in cui all’ostentato rifiuto della politica attiva, in realtà solo apparente (Comanducci 1999), fanno da scudo le fronde del «sacro bosco» all’ombra del quale si fa musica ‘apollinea’ (P. Crinito, De sylva Oricellaria, cit., vv. 1-4) – Ficino aveva dedicato a Bernardo Rucellai l’Oratio ad Deum theologica, rielaborata e cantata «alla lira» dal Magnifico (M. Ficino, Opera, 1° vol., 1576, pp. 665-66) – e si riflette su temi quali «l’elegante similitudine» di Boezio tra matematica e Stato dominato da una ristretta minoranza; geometria e Stato popolare; musica e Stato retto «dai migliori» (P. Crinito, De honesta disciplina xv 9): non a caso, la forma statale alla veneziana auspicata da Rucellai. Sono infatti gli interessi di Bernardo che si incontrano e si fondono con quelli dei suoi ospiti e dettano sostanzialmente l’agenda degli O. O.: l’amore per l’antichità in tutte le sue forme, dall’antiquaria alla letteratura; la scrittura storiografica e lo studio dei grandi modelli latini (Livio, in primo luogo, le cui Deche erano state oggetto di indagine da parte di Rucellai); la riflessione filosofica sulla scorta dei pensatori antichi; e soprattutto, la politica, del recente passato, con il rimpianto in chiave antisoderiniana della vagheggiata età dell’oro del Magnifico, e del presente, e comunque sempre intesa come la disciplina morale più alta verso la quale far convergere ogni forma di riflessione sull’antichità.
Con il rientro dei Medici, venuto meno il motivo del dissenso politico, l’atmosfera degli incontri inizia a cambiare preludendo, almeno in parte, agli sviluppi successivi: tra gli ospiti cominciano a farsi strada interessi linguistici e le porte del giardino si aprono a occasioni di natura più formale, come i pubblici discorsi degli oratori in visita a Firenze rievocati da Gelli (Ragionamento sulla lingua, in Id., Dialoghi, a cura di R. Tissoni, 1967, p. 294).
Nella seconda stagione degli O. O. il nipote di Bernardo, Cosimino, assunse progressivamente il ruolo di ospite, detenendolo tra il 1516-17 e il 1519, anno della sua morte – che però, come mostra la corrispondenza di M. (Battista Della Palla a M., 26 apr. 1520; Filippo de’ Nerli a M., 1° ag. 1520; Zanobi Buondelmonti a M., 6 sett. 1520) e nonostante quanto affermato da Nerli (Commentarii, 2° vol., 1859, p. 12), non pose fine agli incontri.
M. iniziò a frequentare gli O. O. tra il 1516 e il 1517. I suoi scritti, insieme ai Commentarii di Nerli, alle Istorie della città di Firenze di Iacopo Nardi (→), alle Lezioni di Benedetto Varchi, al Ragionamento e ai Capricci di Gelli, ai Dialogi di Antonio Brucioli (→) e, a titolo diverso, ai Marmi di Anton Francesco Doni (→), sono le fonti più significative per conoscere gli ospiti di questo periodo. Accanto a M., a Cosimino, agli zii di questi più o meno continuativamente presenti e agli stessi Nerli, Nardi e Brucioli, troviamo così Zanobi Buondelmonti (→), Luigi Alamanni (→), Giovanni Battista Della Palla (→), Francesco Guidetti, Antonfrancesco degli Albizzi, Lorenzo Strozzi (→), i tre Diacceti (oltre a Francesco allievo di Ficino, Francesco, detto il Nero, e Iacopo, detto il Diaccetino, → Cattani da Diacceto, Iacopo), Gian Giorgio Trissino (→) e Giano Lascaris (→). A essi possiamo verosimilmente aggiungere Lodovico Alamanni (→), Filippo Strozzi (→) fratello di Lorenzo e, forse, Alessandro de’ Pazzi, Lodovico Martelli (→), Pierfrancesco e Alessandro Portinari e Amerigo Morelli (Arte della guerra, Discorsi, Vita di Castruccio Castracani; M. a Lodovico Alamanni, 17 dic. 1517; Filippo de’ Nerli a M., 1° ag. 1520; Zanobi Buondelmonti a M., 6 sett. 1520; G.B. Gelli, Ragionamento, cit., pp. 307-12, e Capricci, in Id., Dialoghi, a cura di R. Tissoni, 1967, p. 50; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, 1858, p. 72; F. de’ Nerli, Commentarii, 2° vol., cit., p. 12; B. Varchi, Lezioni, in Id., Opere, 2° vol., 1858, p. 718). Molto più incerta la presenza negli O. O. di Niccolò Martelli e Luigi di Tommaso Alamanni (→), che pure furono coinvolti nella congiura del 1522. Infine, sono stati variamente associati agli incontri di questo periodo i nomi di Iacopo Alamanni, Bardo Segni, Francesco Layolle, Bernardo Pisano, Bartolomeo Cavalcanti (→), Pier Adovardo Giachinotti, Pierfrancesco da Gagliano, Filippo Casavecchia e Donato Giannotti, anche se la loro presenza non risulta provata. Oltre a costoro, si ha notizia di visitatori occasionali i cui nomi suggeriscono un ambiente decisamente poliedrico: papa Leone X (→), per il quale venne organizzato un banchetto nel 1515 (G. Rucellai, Zibaldone quaresimale, Londra, Warburg Institute, c. 252r; Cummings 2004, pp. 46, 225); il capitano Fabrizio Colonna (Arte della guerra); e, se pur la fonte può suscitare qualche perplessità, la Nannina Zinzera, nota cantante e cortigiana fiorentina (A.F. Doni, I marmi, a cura di E. Chiorboli, 1° vol., 1928, p. 206).
In questo periodo, all’accresciuto numero degli ospiti, che costituiscono un gruppo molto più eterogeneo dal punto di vista sociale e dagli orientamenti politici più articolati, al limite a volte dell’ambiguità – ma i tempi non favorivano certo una linearità coerente –, corrispondono interessi di natura più varia, pur non venendo meno l’ideale filo conduttore rappresentato dallo studio della storia antica quale strumento per la conoscenza del passato e per l’analisi politicadel presente. È questo il motivo che trova in M. l’interprete più illustre, e, proprio su richiesta degli amici degli O. O., egli compose «quel suo libro de’ discorsi sopra Tito Livio», dedicandolo a Zanobi Buondelmonti e Cosimino Rucellai «e anco il libro di que’ trattati e ragionamenti sopra la milizia» (F. de’ Nerli, Commentarii, 2° vol., cit., p. 12), dedicato a Lorenzo Strozzi e dove, oltre a Fabrizio Colonna, appaiono come interlocutori Cosimino Rucellai, Zanobi Buondelmonti, Luigi Alamanni e Giovanni Battista Della Palla, e in cui è contenuto un accorato ricordo dello stesso Cosimino, morto da poco tempo. Sempre nell’ambiente degli O. O. prese forma la Vita di Castruccio Castracani, dedicata a Zanobi Buondelmonti e Luigi Alamanni, «per il che detto Niccolò era amato grandemente da loro, e anche per cortesia sovvenuto, come seppi io, di qualche emolumento; e della sua conversazione si dilettavano maravigliosamente, tenendo in prezzo grandissimo tutte l’opere sue» (I. Nardi, Istorie, cit., p. 72). L’acume politico di M. trova così nei «giovani» degli O. O. – eredi, a detta di Gelli, della raffinata ricercatezza linguistica che aveva caratterizzato «que’ più vecchi», con i quali si erano trovati «spesso all’Orto» (G.B. Gelli, Ragionamento, cit., p. 312) – degli attenti ed entusiasti interlocutori, sollecitamente pronti a consigliare l’amico Niccolò affinché la sua prosa possa farsi il più possibile efficace e persuasiva (Zanobi Buondelmonti a M., 6 sett. 1520).
Lo studio della lingua quale strumento per scrivere di storia (M., Nardi, Nerli) o di poesia (Luigi Alamanni, Cosimino Rucellai, Guidetti, Buondelmonti, Lodovico Martelli), per emulare in volgare le tragedie dei classici greci (Giovanni Rucellai, Trissino, Alessandro de’ Pazzi, e ancora Alamanni e Martelli) o per tradurre e divulgare i testi sacri (Brucioli) e i classici latini (Nardi) è infatti l’altro grande temadegli incontri in questo periodo. È in particolare attorno a Trissino, già in amicizia con Bernardo Rucellai e legatissimo poi sia a Giovanni di Bernardo sia a Cosimino, che si svolge un acceso dibattito su come debba definirsi la lingua italiana, innescato dalla sua presentazione negli O. O. dell’appena ritrovato De vulgari eloquentia di Dante Alighieri (G.G. Trissino, Opere, 1729, in partic. 2° vol., pp. 222-23; G.B. Gelli, Ragionamento, cit., p. 307; B. Varchi, Opere, 2° vol., cit., p. 718).
La concentrazione sugli ospiti più illustri e sui temi a essi principalmente associati ha rischiato di mettere in ombra temi significativi che furono presenti anche in questa fase, quali l’interesse per l’antiquaria e l’architettura classica – Palla Rucellai continuò ad arricchire la collezione degli O. O., e Trissino, la cui villa di Cricoli ambiva a riprodurre la casa romana di Vitruvio, fu il mecenate di Andrea Palladio, da lui guidato all’amore e alla scoperta dell’antichità classica; ma anche le dispute intorno a temi filosofici stimolate dalla presenza di Diacceto e di tanti suoi vecchi e nuovi allievi, e riflesse nei Dialogi di Brucioli, i cui interlocutori saranno proprio gli amici degli O. O.; e l’interesse per la musica, sia a livello teorico, sia di esecuzione per voce e accompagnamento strumentale del canto carnascialesco, della «canzona» e del nascente madrigale. La composizione di versi per l’accompagnamento musicale accomuna M. (si vedano in particolare gli intermezzi di Mandragola e Clizia, musicati da Philippe Verdelot (→) e cantati da Barbara Salutati) a Iacopo Nardi e Filippo Strozzi, quest’ultimo esperto liutista e ricordato per aver accompagnato al liuto parti della sua Commedia in versi – alla cui stesura non fu estraneo Machiavelli. Lo stesso M. sembra si dilettasse di far musica «alla ribeca» (V[espucci?] a M., 24 apr. 1504) e non appare un caso che i primi madrigalisti attivi a Firenze, Bernardo Pisano, Francesco Layolle e lo stesso Verdelot, abbiano messo in musica versi di M., di Alamanni, di Guidetti e di Martelli, oltre che di Trissino (Cummings 2004; Chiodo, Sodano 2012). A conferma degli interessi musicali degli «amici di meriggio» può essere letta la discussa testimonianza di Doni – accettabile però in termini cronologici – in cui la Zinzera cortigiana riferisce di essersi trovata «all’Orto de’ Rucellai a cantare, dove si faceva tra que’ dotti una gran disputa sopra il Petrarca [...] poi ci demmo alla musica» (A.F. Doni, I marmi, 1° vol., cit., pp. 206-07; Cummings 2004, p. 41).
La stagione degli O. O. legata a M. e ai giovani poeti amici di Cosimino si concluse nel 1522 con i drammatici eventi seguiti alla scoperta della congiura contro il cardinale Giulio de’ Medici: la condanna a morte di Iacopo da Diacceto e di Luigi di Tommaso Alamanni, la fuga di Buondelmonti, dell’Alamanni poeta e di Brucioli. Tracce degli ideali politici che animarono il ristretto gruppo di ospiti degli O. O. coinvolti nel progetto sarebbero riscontrabili nei loro versi, in cui la forma petrarchesca farebbe a volte da veicolo a un celato contenuto ideologico (Chiodo, Sodano 2012), maturato, come vollero già notare i contemporanei, dall’assidua familiarità e dall’ascolto di M.:
laonde andavano costoro pensando, per imitare gli antichi, d’operare qualche cosa grande, che gl’illustrasse; e fermarono l’animo a fare una congiura contro al Cardinale e non considerarono bene nel congiurare a quello, che il Machiavello nel libro de’ suoi discorsi aveva scritto loro sopra le congiure, che se bene lo avessero considerato, o non l’avrebbero fatto, o se pure fatto l’avessero, almeno più cautamente procedenti sarebbono (F. de’ Nerli, Commentarii, 2° vol., cit., pp. 12-13).
Bibliografia: Fonti: P. Crinito, De honesta disciplina, Florentiae 1504, Lugduni 15438; F. Cattani da Diacceto, I tre libri d’amore, Vinegia 1561; M. Ficino, Opera, Basileae 1576; G.G. Trissino, Tutte le opere, 2 voll., Verona 1729; B. Varchi, Storia fiorentina, a cura di L. Arbib, 3 voll., Firenze 1838-1841; R. Roncioni, Delle istorie pisane, a cura di F. Bonaini, «Archivio storico italiano», 1844, 6; I. Nardi, Istorie della città di Firenze, a cura di A. Gelli, 2 voll., Firenze 1858; B. Varchi, Opere, Trieste 1858; F. de’ Nerli, Commentarii, 2 voll., Trieste 1859; A.F. Doni, I marmi, a cura di E. Chiorboli, 2 voll., Bari 1928; F. Guicciardini, Storie fiorentine dal 1378 al 1509, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1931; F. Guicciardini, Scritti autobiografici e rari, a cura di R. Palmarocchi, Bari 1936; G.B. Gelli, Dialoghi. I capricci del bottaio, La Circe, Ragionamento sulla lingua, a cura di R. Tissoni, Bari 1967; G. Vasari, Le vite, a cura di R. Bettarini, P. Barocchi, 3° vol., Firenze 1971.
Per gli studi critici si vedano: D. Cantimori, F.A. Yates, Rhetoric and politics in Italian Humanism, «Journal of the Warburg Institute», 1937, 1, pp. 83-102; F. Gilbert, Niccolò Machiavelli e la vita culturale del suo tempo, Bologna 1964, 1969; C. Dionisotti, Machiavellerie. Storia e fortuna di Machiavelli, Torino 1980; R.M. Comanducci, Gli Orti Oricellari, «Interpres», 1995-1996, 15, pp. 302-58 (con bibl. prec.); M. Lieber, Dibattito sulla lingua e ricerca di una norma linguistica: gli Orti Oricellari, in Actas do XIX Congreso internacional de lingüística e filoloxía románicas, Santiago de Compostela 1989, a cura di R.L. Vásquez, 8° vol., Coruña 1996, pp. 53-62; R.M. Comanducci, Impegno politico e riflessione storica. Bernardo Rucellai e gli Orti Oricellari, in I ceti dirigenti in Firenze dal gonfalonierato di giustizia a vita all’avvento del ducato, Atti del VII Convegno, Firenze 19-20 sett. 1997, a cura di E. Insabato, Lecce 1999, pp. 153-70 (con bibl. prec.); A.M. Cummings, The maecenas and the madrigalist, Philadelphia 2004 (con bibl. prec.); A.M. Cummings, Musical references in Brucioli’s Dialogi and their classical and medieval antecedents, «Journal of the history of ideas», 2010, 71, pp. 169-90 (con bibl. prec.); D. Chiodo, R. Sodano, Le muse sediziose. Un volto ignorato del petrarchismo, Milano 2012.