ORTOPEDIA
. La voce "ortopedia" è stata coniata da N. Andry, quasi due secoli addietro, quando egli ha fuso i due radicali ὀρϑός "dritto" e παίς "bambino" in un neologismo, con il quale ha intitolato il trattato dell'"arte di prevenire e di migliorare nei bambini le deformità del corpo, con mezzi alla portata dei padri, delle madri e di quanti sono addetti al loro allevamento" (Parigi 1741).
Ma ben prima della parola era nata la cosa; perché le deformità del corpo umano era naturale che avessero formato oggetto dell'attenzione della medicina fino dai suoi primi albori; e la storia della medicina egiziana, babilonese, cinese, indiana, greca, romana, dimostra che in ogni tempo i dismorfismi sono stati studiati tanto nella loro interpretazione etio-patogenetica, quanto, specialmente, nelle loro possibilità di cura e di ricupero; benché queste ultime fossero spesso contrastate dalla primitiva tendenza barbarica di esporre i neonati deformi perché soccombessero; evidentemente con l'Eurota e col Taigeto degli Spartani, era dissonante ogni tendenza ricuperativa degli storpî.
Qui interessa tenere presente che l'ortopedia di N. Andry comprendeva tutte le deformità, anche funzionali, di qualunque organo o sistema dell'economia umana; ma esclusivamente nelle loro manifestazioni nell'infanzia e suscettibili di correzione con mezzi semplici e facili. Nella mancanza, però, di una più esatta determinazione degli organi colpiti dalla deformità, nonché dell'etiologia e della patogenesi di esse, alla voce ortopedia sono stati attribuite a volta a volta dai varî studiosi una comprensione e una estensione differenti a seconda delle loro tendenze; tanto che quando, nel 1781, fu fondato il primo istituto ortopedico (da A. Venel) troviamo che in quello accorrevano ed erano accolti pazienti affetti dalle forme più disparate e che comprendevano, insieme con i balbuzienti, perfino le donne incinte. Da R. H. Sayre e da L.-A. de Saint-Germain si è sostenuto che la voce "ortopedia" non dovesse essere derivata da παῖς, ma da παιδεία "educazione"; anche il radicale πεδάω "lego, tengo saldo" potrebbe esser chiamato in causa nella formazione di quel neologismo che definisce un'attività, nella quale le fasciature hanno tanta parte. Giova qui ricordare che non sono mancati i tentativi di eliminare una denominazione che, per differenti ragioni, veniva considerata come meno appropriata e meno felice: infatti J.-M. Delpech proponeva che si parlasse di "ortomorfia" piuttosto che di ortopedia; mentre F. Bricheteau trattava dell'"ortosomatia"; e Bigg avrebbe voluto sostituirle con l'"ortoprassia". Ma nessuna di queste voci ha soppiantato quella che era stata creata da Andry, forse perché "ortopedia ha un significato così vago e indefinito, che non significa nulla o press'a poco..., e per la sua elasticità si presta quindi a denominare una specialità in via di formazione..., denominazione che (s'affretta ad aggiungere A. Codivilla) potrà essere conservata soltanto a patto che non abbia influenza alcuna sul concetto della cosa".
Nella progressiva evoluzione della scienza e della pratica medica, questo concetto ha invero subito adattamenti così essenziali da risultarne spostati e in parte capovolti i termini, entro i quali l'ortopedia era stata delimitata dall'Andry. Infatti oggi l'ortopedia: a) non si occupa più delle deformità di tutti gli organi e di tutti i sistemi dell'economia umana, ma si limita esclusivamente a quelle che interessano l'apparato del movimento, siano esse anatomiche o semplicemente funzionali; b) le considera però in qualunque età e non più soltanto nell'infante; c) mette in valore, tanto ai fini diagnostici, quanto specialmente a quelli curativi, tutti i presidî acquistati dalla medicina nel suo sviluppo e in particolare maniera l'arsenale terapeutico operativo (il quale evidentemente in nessun caso potrebhe essere considerato come "a portata di tutti" quale voleva l'Andry); d) senza più circoscrivere la propria attività al solo ricupero delle deformità già costituite, aspira a intervenire, con mezzi congrui e tempestivi, anche durante l'evoluzione delle lesioni patologiche e traumatiche dell'apparato motore, per esercitarne la profilassi delle invalidità.
Cosicché oggi, prescindendo totalmente dal significato etimologico della parola, l'ortopedia può essere definita come quella branca della scienza e della pratica medica che studia, previene e cura le deformità e le invalidità dell'apparato motore, congenite o acquisite (patologiche o traumatiche). Essa, con una denominazione più appropriata, potrebbe essere chiamata (R. Dalla Vedova) medicina della funzione motoria "cinematoiatria" (dal greco κίνημα "movimento" e ἰατρεία cura medica").
Le deformità che interessano l'apparato motore - intese un tempo in senso strettamente morfologico, oggi, in senso più lato, intese anche dal solo punto di vista funzionale - o esistono già al momento della nascita, in atto o in potenza, e sono chiamate congenite, oppure si stabiliscono successivamente, e allora sono considerate acquisite.
Le deformità congenite sono spesso ereditarie e possono essere ricondotte a viziosa formazione primitiva (deformità congenite embrionali) oppure a un arresto di sviluppo o a turbata evoluzione, imputabili ad aderenze dell'amnios col feto, oppure a scarsezza del liquido amniotico, che consente alle pareti uterine di esercitare pressioni troppo intense su quelle regioni del prodotto che sono più strettamente a contatto con esse; o da avvolgimento del funicello ombellicale attorno a un arto, ecc. Le conseguenti alterazioni morfologiche ci presentano stigmate, che dalla semplice ipoplasia circoscritta, attraverso alterazioni da sovraccarico, vanno fino all'amputazione intrauterina (deformità congenite secondarie o fetali). Tra le cause di possibili deformità congenite dell'apparato motore non possono andar trascurate le malattie proprie del feto; specialmente quelle a carico dell'apparato scheletrico e quelle del sistema nervoso centrale. Appartengono finalmente ancora al gruppo delle deformità congenite quelle che possono essere riportate a cause che hanno esplicata la loro influenza durante l'evoluzione del parto, di solito distocico, su di un feto fino allora ortomorfico. Non sempre una deformità congenita è apparente al momento della nascita; ma essa si può manifestare soltanto dopo qualche mese e perfino dopo qualche anno (come, per es., avviene rispettivamente nella lussazione dell'anca, nella scoliosi. ecc.).
Se però teniamo conto della loro frequenza, la maggior parte delle deformità e della invalidità dell'apparato motore, sono acquisite: esse cioè sono sopravvenute in conseguenza di processi patologici, o di lesioni violente, che ne hanno interessato questo o quell'organo dopo la nascita; essendo in causa a volta a volta o gli organi passivi dell'apparato motore (ossa, articolazioni) oppure gli organi attivi (muscoli, tendini, guaine, borse, nervi e quella parte del nevrasse che presiede alla funzione motoria); oppure gli uni e gli altri insieme. In esse è spesso possibile stabilire la patogenesi della deformità, non solo in rapporto alla causa (etiologia), ma anche in rapporto all'organo interessato dal processo morboso o dalla lesione violenta; e consentono quindi di essere distinte in deformità osteogene, artrogene, miogene, tenogene, desmogene, neurogene, dermogene. Anche senza essere malate, le ossa possono andare incontro a deformità da sovraccarico in conseguenza di sollecitazioni dinamiche o statiche, troppo intense, a cui vengano sottoposte in un periodo del loro sviluppo nel quale non hanno ancora raggiunto una resistenza sufficiente (deformità posturali, da vestiario, da calzatura inadeguata, ecc.). Ma è ovvio che il dismorfismo da eccessivo carico sarà più facile e più notevole nel caso che lo scheletro sia minorato nelle sue strutture e nelle sue resistenze da una qualche causa patologica, cosi da lasciarsi deformare non solo per effetto della gravità, ma perfino per la semplice azione del tono muscolare. Tra le malattie dello scheletro che lo predispongono a deformarsi, oltre alle più frequenti alterazioni rachitiche, meritano particolare attenzione l'osteomalacia, l'osteite cronica (tubercolare), l'osteomielite acuta e i tumori delle ossa: benché in questi ultimi due processi l'evoluzione tumultuosa (della flogosi o della neoplasia) soglia avere così intense ripercussioni sull'economia generale del soggetto da fare spesso passare in secondo piano il fattore dismorfico. Nel rachitismo più di frequente s'inarcano, si angolizzano e si torcono le ossa delle estremità inferiori (portanti) e della rachide con le sue appendici costali; la tubercolosi della colonna vertebrale provoca il gibbo pottiano: tutti esempî di deformità osteogene. E qui non può essere trascurato il fatto che l'accrescimento e le strutture dei segmenti scheletrici possono andare incontro a dismorfismi da turbe trofiche nervose, come per esempio nella paralisi flaccida infantile, oppure in conseguenza di turbe dell'equilibrio ormonico degl'increti delle ghiandole a secrezione interna; in questo ultimo senso hanno particolare interesse le discrinie timiche, paratiroidee, ipofisarie; anche queste eventuali deformità appartengono al gruppo delle osteogene. Avremo invece a fare con deformità artrogene ogni qualvolta la causa della deformità abbia interessato le articolazioni. Queste, oltre alla purtroppo frequente osteoartrite tubercolare, possono andare incontro a sinoviti acute o croniche (reumatiche, gonococciche, gottose, sifilitiche, ecc.), a osteoartrosi deformanti, a osteoartrosi neuropatiche, come nella tabe, nella siringomielia, che ne compromettono più o meno, insieme con la morfologia, anche la funzione. Nella genesi delle deformità acquisite dell'apparato motore possono essere in causa processi morbosi che, avendone interessato le parti molli, abbiano determinato un accorciamento di queste. Se si forma una cicatrice nella cute o nelle fasce o nei muscoli o nei tendini (non importa poi se essa sia conseguenza di una ustione, di un congelamento o di una flogosi acuta o cronica oppure di una turba ischemica da compressione, ecc.) i segmenti scheletrici che sono collegati dalle parti molli accorciate, subiranno una limitazione nella loro escursione articolare e l'arto assumerà un atteggiamento coatto, in contrattura. La limitazione funzionale sarà più o meno notevole a seconda della sede, dell'estensione, della profondità e della distensibilità delle cicatrici. Fra queste contratture manterremo distinte quelle dermogene da quelle desmogene, dalle miogene, dalle tenogene, a seconda che la cicatrice interesserà la pelle, le fasce, i muscoli, i tendini. Ma fra le contratture muscolari sono da ricordare anche le neurogene, nelle quali il muscolo o in contrazione spastica, o non contrastato dall'antagonista (paralitico-flaccido) va subendo tale accorciamento, da costituire ostacolo all'articolarità intersegmentale scheletrica. E finalmente non devono essere dimenticate le contratture miogene posturali o abituali, delle quali un esempio dei più tipici si ha a carico dei flessori della gamba nel paziente che, per una paralisi flaccida del muscolo quadricipite estensore, cresca e viva costantemente accoccolato sulle ginocchia flesse.
Dalle deformità acquisite patologiche vanno mantenute distinte quelle traumatiche, cioè provocate da lesioni violente che abbiano interessato uno o più organi dell'apparato motore.
In queste, più ancora che nelle patologiche, il dismorfismo e il deficit funzionale che vanno a consolidarsi, se per la loro etiologia sono da riportare all'azione primaria del trauma o del processo morboso, spesso la deformità patogenicamente è imputabile in parte, e qualche volta totalmente, all'insufficienza di provvedimenti curativi messi in valore nelle fasi evolutive della lesione violenta o morbosa. Se i frammenti di una frattura non vengono ridotti, o se durante la consolidazione non vengono mantenuti efficacemente coattati, se una lussazione viene trascurata e lasciata inveterare, o se un frammento di frattura, sia pure parcellare, viene lasciato saldarsi in ectopia, su un capo articolare, così da limitarne l'articolarità, se un muscolo o un tendine o un nervo recisi vengono lasciati cicatrizzare senza che le superficie di scontinuità siano state ricondotte in adeguato contatto; se un frammento della teca cranica o di una lamina o di un corpo vertebrale resta avvallato e viene lasciato esercitare una compressione prolungata sui sottostanti centri cortico-motori o sulle vie nervose motrici, le deformità e le invalidità che in definitiva andranno a stabilirsi sono causate insieme dalla lesione violenta e dall'insufficiente terapia; e sarebbero state quindi evitabili per quel coefficiente che è imputabile a cause, che potevano essere rimosse da adeguati provvedimenti curativi. In questi casi se l'indirizzo ortopedico funzionale potrà esplicare la sua influenza favorevole tempestiva, nella fase evolutiva della lesione traumatica o patologica, saranno altrettante deformità (invalidità) che l'attività ortopedica avrà potuto prevenire.
Mentre quindi per le deformità congenite dell'apparato motore (sia embrionali, sia fetali) l'attività ortopedica si può occupare esclusivamente del loro ricupero, per le deformità acquisite, patologiche, ma specialmente per quelle traumatiche, essa può esercitare anche una efficace azione preventiva. Qui l'ortopedia non vuole essere chiamata in soccorso soltanto per trovare rimedio alle invalidità già costituite, ma vuole essere valorizzata al fine d'impedire lo stabilizzarsi di esiti invalidanti delle lesioni che potrebbero determinarle: a tal fine l'indirizzo funzionale dovtà essere attuato fino dalle fasi iniziali della loro evoluzione. Ma anche quando le deformità acquisite (patologiche o traumatiche) si siano consolidate, dovrà valere per esse lo stesso criterio fondamentale, che domina nel campo della terapia delle deformità congenite; dovrà cioè essere sempre tenuto presente il fatto che le possibilità di ricupero più favorevole vanno diminuendo tanto più, quanto più estese e più intense alterazioni secondarie (da adattamento) avranno potuto determinarsi ed evolvere nella sede della deformità. La legge dell'adattamento funzionale (W. Roux) esercita infatti una cospicua influenza nella morfogenesi dell'apparato motore in tutti i suoi organi, ivi compresi i suoi componenti scheletrici (legge della trasformazione ossea, o legge di J. Wolff). Quanto più sarà giovane la paziente affetta da lussazione congenita dell'anca, cioè quanto meno a lungo il tono dei suoi muscoli pelvi-femorali avrà influito come stimolo (morfogeno) sui componenti articolari e specialmente quanto meno a lungo ella avrà gravato col peso del suo corpo sull'anca sublussata, o lussata, tanto più sarà facile di riportare la sua testa femorale nell'acetabolo, come pure di mantenervela; ma in particolare maniera va tenuto presente che tanto più brillante risulterà il ricupero definitivo, in quanto i componenti articolari raggiungeranno più presto caratteristiche congruenti e perciò funzionalmente più idonee a evitare turbe consecutive nel loro sviluppo (osteocondritiche).
Cura e prevenzione delle deformità e delle invalidità dell'apparato motore, che costituiscono dunque il campo di attività pratica dell'ortopedia, presuppongono un'analisi e una conoscenza quanto più possibile completa delle cause e della genesi della esistente deformità e rispettivamente dell'entità delle lesioni, patologiche o violente, soggette a evolvere verso la deformità invalidante. In quest'analisi l'ortopedia dovrà giovarsi di tutti i mezzi diagnostici, atti a procurarle elementi obiettivi di giudizio, tanto riguardanti la morfologia e la funzione delle ossa e delle articolazioni, quanto riguardanti lo stato e le attitudini dei muscoli, dei tendini, dei nervi e del nevrasse motore: senza eventualmente trascurare l'analisi del sistema simpatico e parasimpatico, nonché quella dell'equilibrio ormonico dell'economia individuale. Finalmente dovrà essere oggetto di esame anche la sfera volitiva del paziente; perché possa essere stabilito se egli offra condizioni consentanee con il ricupero dei movimenti volontarî. Soltanto basandosi sul risultato di questa minuziosa analisi l'ortopedia sarà in grado di stabilire le indicazioni all'impiego di adeguati provvedimenti curativi; che essa deriva dai tre grandi gruppi: dell'ortopedia fisica, dell'ortopedia tecnica e dell'ortopedia chirurgica. All'ortopedia fisica (detta anche terapia fisica o fisioterapia) appartengono la ginnastica medica, la massoterapia, la balneoterapia, la termoterapia, la fototerapia, l'elioterapia, ecc. All'ortopedia tecnica (detta anche apparato-terapia) appartengono la tecnica delle fasciature e degli apparecchi gessati e la tecnica degli apparecchi di prostesi e tutori. L'ortopedia chirurgica finalmente abbraccia due distinti campi di attività, e cioè quello dell'ortopedia chirurgica incruenta e quello della cruenta. Provvedimenti di ortopedia fisica, tecnica e chirurgica, sono spesso messi in valore a integrare la loro azione contemporanea o successiva a beneficio del motuleso. È ovvio che il rendimento più favorevole dall'impiego di questi mezzi terapeutici - appartenenti a un arsenale così vasto e importante - potrà essere ottenuto soltanto quando la scelta e l'attuazione dei presidî più idonei si basi sulla precisa conoscenza della peculiarità del caso, adeguandosi con speciale cura a tutte le particolari condizioni individuali.
L'ortopedia è oggetto d'insegnamento ufficiale nella metà circa delle università italiane e dispone di reparti (specializzati) in taluni dei maggiori ospedali del regno.
Bibl.: N. Andry, L'orthopédie ou l'art de prévenir et de corriger dans les enfants les difformités du corps, Parigi 1741; J.-M. Delpech, De l'orthomorphie par rapport à l'espèce humaine, ivi 1828; R. H. Savre, Lectures on orthopedic surgery and diseases of the joints, New York 1876; W. Roux, Der züchtende Kampf der Teile oder die "Teilauslese" im Organismus, Lipsia 1881; L.-A. de Saint-Germain, Chirurgie orthopédique, Parigi 1882; J. Wolff, Das Gesetz der Transformation der Knochen, Berlino 1892; A. Hoffa, Die orthopädische Chirurgie, Stoccarda 1905; A. Codivilla, Definizione e limiti dell'ortopedia. III° Congresso della Società italiana di ortopedia, Biella 1906; R. Dalla Vedova, Ortopedia e traumatologia dell'apparato motore, anno I, Napoli 1929, fasc. 1; id., Per intensificare l'assistenza ortopedica, in Assistenza sociale agricola, XII, Roma 1932, fascicoli 11 e 12.