ORZO (dal lat. hordeum; fr. orge; sp. cebada; ted. Gerste; ingl. barley)
L'orzo, al pari del grano, è un cereale coltivato da tempi preistorici; da esso principalmente hanno tratto farina panificabile i popoli di più remota civiltà; e remotissimo, nell'antico Egitto e altrove, è anche il suo impiego nella fabbricazione della birra, oltre che nell'alimentazinne degli animali domestici. Con l'avvicinarsi ai tempi moderni, l'orzo va perdendo terreno come cereale panificabile; specialmente nei paesi europei a partire dal sec. XVI, in cui alle colture alimentari s'aggiungono quelle della patata e del mais, che non tardano a conquistarvi posti eminenti, mentre il grano, in continua espansione colturale, lo va di più in più eliminando, fino quasi a escluderlo dalla panificazione. Nei nostri tempi, rimanendo preponderante l'impiego dell'orzo nell'alimentazione degli animali domestici, tende ad acquistare importanza sempre maggiore l'impiego industriale (maltazione e fabbricazione della birra). Solamente nei popoli dell'estremo nord e delle maggiori altitudini, a clima più aspro, e presso alcune popolazioni meridionali di più arretrata civiltà, l'orzo entra ancora largamente nell'alimentazione umana.
Zona agraria. - La zona agraria, o zona di coltura proficua, dell'orzo ha un'ampiezza superiore a quella di tutti gli altri cereali; basti ricordare che va dalla California all'Alasca, supera nelle Alpi i 2000 m. d'altitudine e raggiunge quasi i 3000 nell'altipiano del Perù. Vi sono orzi che, compiendo il proprio sviluppo in due mesi e mezzo o tre, riescono a maturare anche nei paesi dell'estremo nord, in cui, nella brevissima estate, la terra non disgela che per pochi centimetri, e a maturare del pari, all'estremo opposto, nei paesi caldo-aridi.
Produzione. - Al principio del secolo XX (quinquennio 1898-1902) la produzione europea, secondo i dati di F. Th. Hunt, si avvicinava ai 3/4 della produzione mondiale. Seguivano gli Stati Uniti, con poco più di 1/10, e a molta distanza l'Asia, l'Africa e l'Australia. Russia, Germania e Austria-Ungheria erano, in quest'ordine, i maggiori centri di produzione. Nelle più recenti rilevazioni statistiche (37 paesi, nel quinquennio 1926-1930), l'Europa, compresa tutta la Russia, mantiene il primato con oltre 18 milioni di ha. assegnati all'orzo sui 30 1/2 circa di superficie totale censita; ma cresce notevolmente la quota dei paesi extraeuropei, soprattutto nell'America Settentrionale. Le più vaste aree a coltura si avevano nella Russia (più di 7 milioni di ha.), negli Stati Uniti (4 1/3), nel Canada (2), nella Romania, nella Spagna, ecc. Il prodotto complessivo dei 37 paesi raggiungeva un'annua media di circa 337 milioni di quintali, con un contributo europeo (Russia esclusa) di quintali 148.471.000.
L'Italia figurava nel quinquennio con ettari 234.000 e quintali 2.385.000. Relativamente modesti sono in Italia gli spostamenti da un anno all'altro nell'estensione della coltura e nella produzione degli orzi, come è dimostrato dai seguenti dati, che riportiamo da I problemi attuali dell'agricoltura italiana (Studî raccolti da L. Federzoni, Bologna 1933).
Può essere utile qui ricordare che l'industria della maltazione è venuta prendendo notevole sviluppo in Italia dal 1929.
Limitiamo per brevità all'annata 1930 - che sembra meglio rispecchiare le condizioni più frequenti - i dati statistici relativi all'orzo nelle varie regioni italiane. Si ebbe:
Come si vede, Sardegna e Sicilia dànno più della metà del prodotto totale, il centro maggiore del regno trovandosi nella Sicilia. Seguono l'Emilia, la Venezia Giulia e la Puglia; ultima è la Liguria, con poche decine di ettari. La più alta produzione unitaria (q. 15,50 per ha.) si ebbe nel Veneto; le più basse (q. 7,10 e 7,50) in Liguria e nell'Abruzzo.
Relativamente agli scambî internazionali, si può ricordare che nel 1931-32 i quantitativi più rilevanti furono esportati dalla Russia, dal Canada e dall'Argentina; esportarono anche la Bulgaria, la Polonia, la Romania, gli Stati Uniti. Le maggiori importazioni furono fatte in Germania, Gran Bretagna, Francia, Belgio e Olanda. L'Italia è tra i paesi a più modesta importazione, con 36.000 quintali circa.
Classificazione botanica. - Non è agevole orientarsi, avendo un obiettivo d'applicazione agraria, fra le numerose classificazioni botaniche degli orzi fino qui proposte. Può giovare una breve rassegna delle più reputate.
Nella tribù delle Hordeae J. W. Bews comprende 22 generi, pressoché tutti delle regioni temperate e costituiti in forte prevalenza di specie annuali. Hanno particolare importanza in relazione alla nostra agricoltura o alla nostra flora, oltre al genere Hordeum, i generi Triticum, Secale, Lolium, Agropyron, Elymus e Nardus.
Il genere Hordeum comprende 25 specie delle regioni temperate di entrambi gli emisferi; è suddiviso da E. Haeckel in tre sottogeneri: Zeocriton Beauv., Crithopsis Jaubert e Cuviera Köl. Le specie vengono da Harlan distribuite in 4 gruppi: Hordeum vulgare L., H. intermedium Kke., H. distichon L., H. deficiens Steud. Ogni gruppo è poi suddiviso in varietà in base ai caratteri dell'involucro glumeale del granello, ecc.
Limitatamente agli orzi coltivati, una buona classificazione è quella proposta da A. Atterberg, della Stazione agraria di Kalmar, in una memoria che vide la luce a Berlino nel 1899. La parte descritti va si richiama a un'interessante collezione di spighe che anche noi potemmo avere dall'Atterberg, e dalla quale abbiamo tratto le fotografie, qui riprodotte, delle forme d'orzo meno comuni. Come nelle precedenti classificazioni di P. Körnicke e di A. Voss (1885), anche in questa dell'Atterberg tutti gli orzi coltivati vengono riferiti a una singola specie, l'Hordeum sativum Pers., la quale è suddivisa in 4 sottospecie: H. sat. commune, H. sat. macrolepis, H. sat. furcatum e H. sat. inerme. Avendo avuto a disposizione anche un ricco materiale proveniente da incrocio (trascurate 4 forme dubbie) l'Atterberg poteva quadruplicare il numero delle varietà (45) descritte dal Kornicke. Le 188 forme, distinte ed ereditariamente stabili, che egli descrive, sono distribuite in varietà qualificate come muticum, distichum, deficiens in tutte e quattro le sottospecie; e inoltre: polystichum nelle prime tre, rostratum nella 1ª e nella 3a, heterolepis solamente nella 1ª. Salvo le varietà rostratum, le altre sono divise in sottovarietà a volta a volta designate come hexastichum, erectum, nutans, parallelum, vulgare, zeocriton. Le sottovarietà vengono infine suddivise (in relazione al colore delle spighe e dei granelli, e alle condizioni di aderenza degl'involucri glumeali) in 4 gruppi: album, nigrum, nudum, nigronudum. Prevalgono le forme bianche: 94 su 188 (nere 53, nude 28, neronude 13); e così pure, fortemente, le forme della prima sottospecie: commune 129, macrolepis 30, furcatum 23, inerme 6. Prevalenti sono anche gli orzi distici (60 forme) sui tetrastici (39) e sugli esastici (17); e si ha in ciò un riflesso abbastanza esatto della relativa diffusione attuale delle differenti varietà nella coltura.
Più completa, poiché comprende anche gli orzi spontanei, è la classificazione proposta nel 1923 da A. Garrigues, della quale diamo qua appresso lo schema.
Con più diretto riferimento alla coltura è trattata la classificazione degli orzi dal Percival; il quale si occupa principalmente degli orzi a 6, a 4 e a 2 file e accenna appena agli orzi nudi (H. coeleste L.) e ai triforcati, di scarsissimo interesse agrario. Accettando questa direttiva, richiameremo qui comparativamente le più salienti caratteristiche dei tre gruppi testé indicati: orzo esastico, orzo tetrastico e orzo distico. Si hanno in ogni caso tre spighette uniflore inserite su ciascun nodo della rachide. I fiori sono tutti fecondi nell'orzo esastico (a. sat. hexastichum) e nel tetrastico (H. sat. vulgare); è fecondo soltanto il fiore della spighetta mediana nell'orzo distico (H. sat. distichum), essendo maschili i fiori delle due spighette laterali. E però nella spiga matura si hanno sei file di granelli nel 1° e 2°, due file soltanto nel 3°: file nettamente rilevabili nell'orzo esastico, perché tutte regolari ed egualmente fra loro distanziate attorno alla rachide. Nel tetrastico invece solamente i granelli mediani di ogni nodo della rachide formano due file regolari, mentre i granelli laterali dànno altre due doppie file irregolari, cosicché nell'insieme la spiga sembra avere 4 file di granelli. Nei paesi europei, specialmente del nord, è molto limitata la coltivazione degli orzi a 6 file - largamente diffusi invece negli Stati Uniti - perché i loro granelli, di piccola mole e duri, si ritengono di scarso valore anche per l'alimentazione del bestiame. L'orzo tetrastico, a spighe generalmente più lunghe dell'esastico e del pari erette, produce granelli più grossi, di più alto valore alimentare. Il ciclo di vegetazione molto breve e la produttività, non infima anche in terre assai povere, consentono agli orzi tetrastici di raggiungere - con le semine estive, si avverta bene - le massime latitudini e le maggiori altitudini montane. L'orzo tetrastico - scrive il Percival - è il cereale più importante nell'estrema zona settentrionale d'Europa, dove principalmente da esso si trae il pane. Entrava in passato - e limitatamente vi entra ancora - nella fabbricazione del malto; ma ha troppo alto contenuto proteico e troppo poco amido per poter competere con gli orzi distici.
Gli orzi da birra più fini, è ben noto, sono prodotti da alcune delle tante varietà dell'Hordeum distichum. Ha importanza anche pratica la distinzione in H. dist. erectum e H. dist. nutans. Le varietà del 1° gruppo comprendono orzi a spiga eretta e larga, a culmo abbastanza vigoroso per consentire la coltivazione in terre anche riccamente concimate; producono granelli molto buoni per forma e mole, ma a contenuto proteico piuttosto alto. Le varietà riferibili ad H. dist. nutans sono caratterizzate da una spiga più stretta e più lunga; volgendo a maturazione, essa s'inclina di più in più su un lato, fino a divenire quasi parallela allo stelo; il quale è piuttosto gracile e quindí poco resistente all'allettamento. È di questo gruppo il famoso orzo Chevalier che, insieme con le varie selezioni da esso derivate, fornisce i più fini orzi da birra. La razza venne fondata nel 1819 a Debenham (Suffolk) dal reverendo Chevalier, partendo da una singola spiga casualmente rinvenuta in una coltura comune della sua parrocchia.
Chiudendo questo riassunto sulle specie e varietà di orzo, vogliamo ricordare infine l'interessante studio di N. I. Vavilov (1921) sugli orzi a reste lisce. Questo botanico dimostra esaurientemente che hanno origine da ibridazione spontanea o artificiale quegli orzi a reste lisce in cui R. Regel (1908) aveva veduto dei casi di mutazione tipica, spiegando questa con l'annullamento brusco, per cause interne, nelle forme ordinarie a reste dentellate, del fattore ereditario della dentellatura. I climi della Persia, del Caucaso e della Russia meridionale, dove più frequenti il Vavilov ha trovato gli orzi a reste lisce, sono particolarmente favorevoli - egli scrive - al sorgere, per via d'ibridazione, di questi orzi.
Coltivazione. - Della coltivazione dell'orzo non si occupano che alla sfuggita e per cenni, dopo aver detto brevemente e non sempre esattamente delle varietà, gli agronomi italiani del secolo XIX: così il Peroni, nella prima metà, e gli stessi Ridolfi e Cuppari, che sono i maggiori. Diffusamente e compiutamente ne tratta invece (1931) A. Succi nella Nuova Enciclopedia Agraria Italiana. Rinviando a questa il lettore che voglia approfondire l'argomento, ci limiteremo a esporre poche note con più speciale riferimento agli orzi da birra, verso i quali l'agricoltura italiana sembra doversi a preferenza orientare. È ben noto che fino alla vigilia della guerra mondiale l'industria italiana della birra, già in forte continuo sviluppo, traeva per la quasi totalità dall'estero le materie prime: malto e luppolo. Risale a quell'epoca l'inizio di un movimento d'espansione della coltura degli orzi da birra in Italia. Si deve tuttavia osservare che questo movimento è ancora lungi dallo sperato sviluppo; e ciò perché nella produzione del malto non si è ancora realizzato un collegamento d'industriali e agricoltori.
L'esperienza di questi ultimi decennî ha potuto dimostrare, se non del tutto infondati, enormemente esagerati i timori di una minacciosa concorrenza della birra al vino. La secolare tradizione assicurerà forse per sempre a quest'ultimo il posto d'onore sulla mensa dei popoli latini; particolarmente in Italia, e a ciò contribuirà non poco anche il saldo inquadramento della vite nell'agricoltura italiana. Nessun turbamento potrà quindi recare, a questo sicuro dominio del vino, una penetrazione anche molto vasta della birra come bevanda d'indiscutibili pregi fuori della tavola. Sono incoraggianti le prove qua e là in corso, anche con luppolo di quegli "alti valloni" che P. Cuppari giustamente indicava come sede appropriata a una vantaggiosa coltivazione.
È stata autorevolmente affermata, da V. Peglion e da altri, la possibilità di ottenere in Italia orzi da birra non meno fini dei migliori del Nord.
È fondamentalmente un problema di varietà e d'ambiente vegetativo; e vogliamo qui ricordare il contributo che alla risoluzione di questo problema non ha mancato di portare l'Istituto sperimentale di cerealicoltura di Bologna.
Da piccole partite di orzo da birra del commercio, molto impure, che si poterono avere in piena guerra mondiale dalla Svizzera, furono tratte alcune linee geneticamente pure di razze pregiate (Primus, Principessa di Svalöf, Hannachen, ecc.), fermandosi da ultimo sulle due apparse migliori: una del Primus e un'altra del Principessa di Svalöf. riferibili rispettivamente a H. dist. erectum ed H. dist. nutans. Entrambe le linee, di cui la prima molto precoce, sono già da qualche anno nella coltura comune; ma stentano a farsi strada per l'incerto collocamento del prodotto, che non sempre riesce a giungere alle malterie. Dànno prodotti quantitativamente molto buoni soprattutto nelle semine autunnali che, salvo nei casi d'inverno eccezionalmente rigido, possono andare a buon fine anche nella Valle Padana; e bene si comportano nelle semine primaverili. Ciò contraddice in pieno le previsioni del Nilsson (1913, citate dal Peglion) che tendevano a escludere la possibilità di coltivare proficuamente gli orzi svedesi a sud delle Alpi. Il risultato molto soddisfacente d'una prova di maltazione su prodotti ottenuti in ambiente vegetativo poco più che mediocre ci consente di affermare senz'alcuna esitanza che quei due orzi, di sicura acquisizione, potranno fornire ottimo materiale da malto particolarmente nelle più elevate giaciture colturali alpine e appenniniche. Questa impressione di sufficienza, per quanto si può chiedere alla razza, trova conferma anche nel fatto che le specifiche qualità dell'orzo da birra dipendono per molta parte dall'ambimte di vita della pianta.
Delle qualità dell'orzo in rapporto alla produzione del malto non si può giudicare con sicurezza che in base alla composizione accertata dall'analisi chimica. Le partite migliori, con 62 a 64% di amido, hanno un contenuto proteico che si aggira intorno al 9%. Negli orzi di medio valore i proteidi raggiungono il 101/3-11%, sono meno buoni quelli col 12%, e vengono rifiutati per la maltazione gli orzi a contenuto proteico superiore al 14%. Questi dati di J. Percival, che concordano con quelli dei mercati di Berlino e Vienna riferiti dal Peglion, fanno pensare a una variazione nella valutazione degli orzi rispetto al contenuto proteico. A. Nowacki infatti presentava (1885) la seguente classificazione:
ll malto di orzi a elevato contenuto proteico dà birra torbida e poco serbevole.
Prescindendo dall'analisi, anche alcuni caratteri di facile rilevazione possono definire con sufficiente attendibilità i più significanti pregi e difetti dell'orzo in rapporto alla fabbricazione del malto. Ne diremo nelle seguenti note attinte principalmente alle compendiose trattazioni di Th. F. Hunt e J. Percival.
Umidità. - Nelle buone partite si aggira intorno al 14%. L'orzo bene essiccato conserva meglio il suo potere germinativo; in confronto dell'orzo umido, soggetto anche ai danni delle muffe, germina più rapidamente e uniformemente.
Frattura farinosa. - E più netta e ricorre con maggiore frequenza negli orzi distici; può agevolmente rilevarsi col diafanoscopio o con i farinotomi. La frattura cornea è indice di alta percentuale di proteine, d'una percentuale bassa di amido e quindi di malto estrattibile. Ha endosperma più farinoso e germina più uniformemente l'orzo raccolto a completa maturazione. Ma per evitare, fra l'altro, che piogge e rugiade alterino il colore chiaro dei granelli - con grave pregiudizio delle loro qualità commerciali - si preferisce d'ordinario la mietitura anticipata. Opportuni piccoli ammassamenti dei covoni possono consentire anche all'orzo mietuto di completare normalmente la maturazione senza nulla perdere nel colore. Recenti prove di D. M. Mac Lean nel Manitoba (Canada) dimostrano che la raccolta dell'orzo una settimana prima della maturazione non diminuisce né il rendimento unitario della coltura né il peso individuale dei granelli.
Peso specifico apparente (peso per ettolitro). - È molto variabile, in relazione anche ai frammenti di reste che si trovano ancora nei granelli dopo la battitura: più limitatamente nei territorî aridi, dove le reste sono molto fragili. L'alto peso dell'ettolitro s'accompagna a un elevato peso individuale dei granelli; indica generalmente alta percentuale di "mandorla" nel granello e bassa percentuale di proteine.
Germinabilità. - Condizione essenziale di un buon orzo da birra è evidentemente che esso sia vitale. La trasformazione dell'amido nei composti solubili (destrina e maltosio), che saranno poi estratti per mezzo dell'acqua, si compie per azioni enzimatiche nel corso della germinazione. Si hanno i risultati migliori da una germinazione rapida e quanto più possibile simultanea e completa nella massa dei granelli. Nelle buone partite il 96% dei granelli germina in 72 ore a 18-20°; si deve rifiutare l'orzo che non dà in questo tempo almeno l'85% di germinati. Analoghe a queste indicazioni del Percival sono quelle del Hunt: germinabilità non inferiore al 95%, e - come misura pratica dell'energia germinativa - il 70% dei granelli germinati entro 2 giorni, oppure il 90% in 3 giorni. Poiché nell'orzo anche ben conservato il potere germinativo subisce forti depressioni in tempo relativamente breve, non si assumono d'ordinario nella fabbricazione del malto orzi raccolti da più di 2 anni. Molta importanza hanno i rivestimenti glumeali del granello, i quali proteggono l'embrione durante la germinazione e agiscono poi come un filtro nell'estrazione del malto. Nelle malterie la germinazione dell'orzo viene arrestata quando la piumetta ha raggiunto i 3/4 della lunghezza del granello e la radichetta il doppio. L'orzo è preferito all'avena e al frumento, perché sviluppa meno proteidi insolubili e ha più alto potere peptonizzante e diastatico.
Purezza. - Nell'orzo destinato alla maltazione sono da ricordare fra le impurità più pericolose i granelli rotti dello stesso orzo o comunque lesi nell'involucro; anche in questi ultimi l'embrione può non essere più vitale; e, al pari dei granelli rotti, essi sono esposti all'invasione delle muffe, quando l'orzo viene inumidito per la maltazione. Di ciò conviene preoccuparsi soprattutto al momento della trebbiatura, per regolare con la massima oculatezza la battitrice.
Il processo di coltivazione è essenzialmente il medesimo che viene adottato per il frumento. In Italia l'orzo - anche a motivo della sua scarsa diffusione nelle regioni ad agricoltura più progredita - è ancora tenuto in poca considerazione e perciò, di regola, trascuratamente coltivato. Una più larga diffusione degli orzi da birra aprirà certamente la via a una tecnica più moderna e corretta: anche nei centri dell'Italia meridionale, dove la produzione, specie delle "marine" e del basso poggio, resterà fondamentalmente destinata all'alimentazione del bestiame.
Molto importante per un miglioramento della coltura è l'appropriata concimazione, rispetto alla quale sono da tenere in conto i risultati d'una vecchia prova del von Maercker (1883-87, citata da A. Nowacki).
La somministrazione di nitrato sodico in ragione di 100 e 200 kg. per ha. portava in quella prova il contenuto proteico - nella media su 4 varietà - da 7,80% (testimone) a 9,11 e 9,59%; e corrispondentemente la proporzione di granelli farinosi dall'88% al 69,7 e 65,7%. Ma lo stesso Nowacki allontana ogni preoccupazione richiamando fra altre una prova di W. Schneidewind (1903); il quale con una concimazione salina completa (a base di azoto, potassio e fosforo), sperimentando su 8 differenti varietà di orzo da birra, poté ottenere una ricca produzione di granelli (q. 32,47 a 36,38) che diedero all'analisi un contenuto proteico molto basso: da 6,88 a 7,94%. Anche recenti indagini sul grano conducono a escludere un'azione specifica praticamente rilevabile dei fertilizzanti azotati sul contenuto proteico dei cereali; del quale contenuto, più che la concimazione e forse la stessa razza, decide pertanto e soprattutto il decorso stagionale, che abbia determinato nell'orzo uno svolgimento più o meno rapido del ciclo di vita.
Malattie e altri fattori nocivi. - Le stesse malattie, da parassiti vegetali e animali, che possono colpire il grano e i cereali in genere, ricorrono anche nell'orzo.
La ruggine, oltre che da Puccinia graminis e da P. glumarum, può avere origine da Puccinia simplex (Körn.) Eriks. et Henn.; il carbone da Ustilago hordei, meno comune, e U. Jensenii. Si può usare contro il carbone il trattamento con acqua calda come per il frumento, ma a temperatura un po' meno elevata (inferiore di 3 gradi circa, Hunt). La Gibberella Saubinetii (Mont.) Sacc., di cui è forma conidiale il Fusarium roseum Link, produce la golpe bianca.
Le 70 specie circa d'insetti che vivono a spese di graminacee possono naturalmente danneggiare anche l'orzo. Ma sono particolarmente da ricordare, per danni più o meno frequenti e di entità molto varia, le seguenti:
Ortotteri: Calliptanus italicus L., Dociostaurus maroccanus Thunb., Curtilla gryllotalpa L.
Tisanotteri: Limothrips cerealium Hal.
Emitteri eterotteri: Aelia acuminata L., Eurygaster hottentotus F.
Afidi: Pentaphis trivialis Pass.
Lepidoderi: Euxon segetum Schiff., Sitotroga cerealella Oliv., Tinea granella L.
Coleotteri: Agriotes lineatus L., Calandra oryzae L., Lema melanopa L., Sitodrepa panicea L., Tenebrioides mauritanicus L., Zabrus tenebrioides Goeze.
Imenotteri: Cephus pygmaeus L.
Ditteri: Chlorops taeniopa Meig., Siphonella pumilionis Bjerk., Contarinia tritici Kirby, Oscinis frit L., Phytophaga destructor Say.
Bibl.: A. Peroni, La coltivazione dei grani, Brescia 1835; C. Ridolfi, Lezioni orali di agraria, 3ª ed., Firenze 1868; P. Cuppari, Lezioni di agricoltura, 2ª ed., Pisa 1869; A. Atterberg, Die Varietäten und Formen der Gerste, Berlino 1899; F. Th. Hunt, The cereals in America, New York 1904 (ristampa, 1924); V. Peglion, Le piante industriali, Roma 1917; id., Le nostre piante industriali, Bologna 1919; A. Nowacki, Anleitung zum Getreidebau, 7ª ed., Berlino 1920 (la 1a ed., 1885); N. I. Vavilov, De l'origine d'orge à barbes lisses, in Bull. of Appl. Botany and Plant Breeding, Pietrogrado 1921; A. Garrigues, Les orges, Parigi 1923; J. W. Bews, The World's Grasses, Londra 1929; M. Marro e A. Succi, Coltivazione dei cereali, in Nuova Enciclopedia agraria italiana Torino 1931; Istit. Internazionale di agricoltura, Bollettino di statistica agraria.