osanna
È la parola ebraica che ricorre più frequentemente in D.; di solito, da sola o all'inizio di un inno, è cantata dagli angeli o dai beati (Pg XI 11, XXIX 51, Pd VII 1, VIII 29, XXVIII 118; e vedi XXXII 135 Anna / ... non move occhio per cantare osanna); fuori della Commedia si legge solo in Vn XXIII 7 e 25 nella canzone Donna pietosa e di novella etate (v. 62), sempre sulla bocca di un coro angelico. Dovunque suppone un profondo sentimento di gioia e di riverenza davanti alla gloria beatificante di Dio.
Il vocabolo era notissimo perché proprio della liturgia, che l'aveva desunto dai racconti evangelici (Matt. 21, 9; Marc. 11, 9 e 10; Ioann. 12, 13); con esso s'iniziava l'acclamazione delle folle durante l'ingresso trionfale di Gesù in Gerusalemme. D. segue semplicemente l'uso liturgico, senza porsi la questione filologica, che assillò numerosi antichi. Nel 382 il papa Damaso, in un biglietto (Epist. XIX) a s. Girolamo, affermava di aver letto in proposito molti commentari al testo evangelico con il risultato di una grande incertezza a causa delle loro affermazioni " non dico diverse, ma del tutto contraddittorie ". S. Gerolamo risponde con una lunga lettera (Epist. XX), passando in rassegna alcune interpretazioni e proponendo quella giusta, basata sul testo ebraico di Ps. 117 (ebraico 118), 25, ove - dopo il nome di Dio al vocativo - compare l'invocazione hôšî ‛ āh nnā ', ossia l'imperativo del verbo che significa " salvare ", più una particella o interiezione rafforzativa. Unite le due parole e trascritte in maniera approssimativa in greco e in latino, risultò il termine o., con forza di pura interiezione (cfr. Agost. Doctr. christ. II XI 16) o esclamazione di gioia e di lode senza riferimento al suo preciso significato etimologico (si pensi al nostro ‛ viva! ').